Corte di cassazione
Sezione III penale
Sentenza 10 gennaio 2023, n. 21183

Presidente: Ramacci - Estensore: Gentili

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza pronunziata in data 17 febbraio 2021 il Tribunale di Piacenza ha, per quanto ora interessa, dichiarato la penale responsabilità di G. Dario, condannandolo pertanto alla pena ritenuta di giustizia, in ordine al reato di cui all'art. 256, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 152 del 2006, per avere il medesimo, in concorso con altra persona, realizzato un'attività di gestione non autorizzata di rifiuti, raccogliendo e trasportando per conto terzi oltre una tonnellata di materiale ferroso di scarto.

Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore fiduciario, il G., affidando le proprie censure a tre motivi di doglianza.

Con il primo motivo è stata lamentata, con riferimento al vizio di motivazione, la mancata applicazione dell'art. 133-bis c.p., disposizione che impone al giudice, nella determinazione della pena pecuniaria, di tenere conto delle condizioni economiche del prevenuto.

Con il secondo motivo di ricorso è stata censurata la sentenza impugnata in quanto non è stata riconosciuta la particolare causa di non punibilità legata alla particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.

Infine, con il terzo motivo la sentenza impugnata è stata censurata per non essere stata disposta la sospensione condizionale della pena inflitta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, per come sarà di seguito chiarito, è inammissibile.

Osserva il Collegio, in relazione al primo motivo di ricorso, che con lo stesso è stata lamentata la incongruità della motivazione della sentenza impugnata in quanto il Tribunale di Piacenza nell'irrogare la pena a carico del G. non avrebbe fatto applicazione della previsione normativa di cui all'art. 133-bis c.p., avendo il giudice del merito fatto riferimento, onde escludere la lievità del fatto, non tanto alla condotta dell'imputato, il quale si sarebbe limitato a mettere a disposizione un suo veicolo a motore ad un congiunto che avrebbe poi materialmente effettuato la raccolta ed il trasporto dei rottami ferrosi, quanto alla entità ponderale di questi ultimi.

Giova rilevare che la disposizione richiamata nella intestazione della censura, cioè l'art. 133-bis c.p., è norma che, nel regolare i criteri di determinazione della pena pecuniaria (unica sanzione irrogata a carico del G. nella presente occasione), impone al giudicante di tenere conto, onde aumentare ovvero diminuire anche oltre i limiti dettati dalla forcella edittale la pena pecuniaria al cui pagamento l'imputato sia stato concretamente condannato, delle condizioni economiche dello stesso, questo al fine di evitare che la pena in questione sia, rapportata a tali condizioni, o inefficace in quanto troppo bassa o eccessivamente gravosa in quanto troppo alta.

Ciò posto si rileva che gli argomenti spesi dal ricorrente a sostegno della propria doglianza, afferenti al contributo che egli avrebbe offerto nella realizzazione del fatto oggetto di imputazione, a suo avviso non travalicante, a tutto voler concedere, gli estremi della mera connivenza, appaiono del tutto eterogenei rispetto alla intestazione della medesima, rendendola, pertanto, inammissibile.

Passando al secondo motivo di impugnazione, relativo alla ritenuta violazione di legge stante la mancata qualificazione del fatto nell'ambito della non punibilità, stante la particolare tenuità della offesa che sarebbe stata inferta con esso al bene-interesse protetto dalla norma precettiva violata, si osserva (così rispondendosi anche al contenuto del precedente motivo di impugnazione per il caso in cui la indicazione della norma, risultante dalla intestazione di esso, fosse dovuta ad una disattenzione del ricorrente che ha richiamato l'art. 133-bis c.p. mentre pensava anche in quel caso all'art. 131-bis dello stesso codice) che - dovendosi, in primo luogo, escludere la riconducibilità della condotta dell'imputato alla ipotesi della mera connivenza, avendo questo, attraverso la messa a disposizione della sua vettura al correo, indubbiamente travalicato i limiti, tradizionalmente riconducibili ad una mera condotta di carattere passivo e generalmente omissivo, propri della connivenza non punibile (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 ottobre 2015, n. 41055) - una volta affermata la responsabilità del G. a titolo di concorso ex art. 110 c.p., poco incide sostenere che l'apporto da lui fornito alla perpetrazione del reato è stata di limitata importanza, posto che, avendo il legislatore inteso adottare, in caso di concorso di persone nel reato, la cosiddetta teoria monistica, si è in tal modo inteso attribuire l'evento a carico di tutti i concorrenti, giacché il reato è di tutti e di ciascuno di quelli che vi presero parte e che ne vollero la realizzazione, perché è il risultato della comune cooperazione morale e materiale, onde la solidarietà nel delitto importa la solidarietà nella pena, trovando l'importanza dell'apporto materiale offerto da ciascuno dei partecipanti al reato l'unica e compiuta disciplina specializzante nelle disposizioni di cui all'art. 112 c.p., aggravatrice della pena per coloro che, nel riparto dei ruoli concorsuali, hanno rivestito una posizione di eminenza, e di cui all'art. 114, mitigatrice della pena per coloro il cui apporto causale è stato di minimo rilievo.

Fatta questa premessa, appare del tutto corretta la decisione del Tribunale piacentino di escludere, tenuto conto della considerevole entità ponderale del materiale ferroso illecitamente trasportato, ben oltre una tonnellata, deponente per una non minimale lesione inferta al bene-interesse tutelato dalla norma, la applicabilità in favore del G. della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. quale che sia stato il suo apporto personale alla commissione del reato.

Infine, con riferimento al terzo motivo di impugnazione, riguardante il mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, è sufficiente osservare, ai fini della affermazione della inammissibilità della doglianza, che la motivazione della sentenza impugnata richiama la presenza ostativa di diversi precedenti penali gravanti sul passato dell'imputato e che tale affermazione è stata solo genericamente smentita dal ricorrente il quale allude, senza alcuna specificazione, alla esistenza di un solo precedente penale, senza però neppure segnalare se lo stesso, per gravità della sanzione allora irrogata, si ponga come non ostativo alla decisione ora assunta dal Tribunale; irrilevante è il fatto che tale precedente sia, secondo quanto affermato dalla difesa dell'imputato, non specifico, in quanto la dichiarata ostatività dei precedenti penali gravanti sull'imputato non è condizionata dal fatto che essi siano riferiti ad un'imputazione tipologicamente omogenea o meno rispetto al reato per il quale si è ora proceduto.

Il ricorso proposto deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, visto l'art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Depositata il 18 maggio 2023.

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