Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Sezione II
Sentenza 29 maggio 2023, n. 824

Presidente: Ciliberti - Estensore: Ieva

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso cumulativo depositato come in rito, l'istante professionista avvocato impugnava il provvedimento di diniego dell'accesso agli atti opposto dal Consiglio distrettuale di disciplina presso l'Ordine degli avvocati di Bari, lamentando l'illegittimità, per un verso, del rifiuto opposto a fornire informazioni inerenti procedimenti disciplinari pendenti concernenti altro professionista avvocato e, per altro verso, del diniego di accesso documentale.

In particolare, parte ricorrente attivava, con unico ricorso, due processi connessi, il primo, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., riguardante un (presunto) silenzio-rifiuto a fornire talune informazioni richieste, e, il secondo, ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.a., sul provvedimento di diniego di accesso agli atti.

Venivano, in sintesi, dedotte le seguenti due censure: I) violazione dell'art. 2 (Conclusione del procedimento) della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento ex art. 97 Cost., illogicità, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta, violazione art. 24 Cost.; II) violazione dell'art. 3 (Motivazione del provvedimento) della l. n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.

Va detto che le parti, a più riprese, hanno inteso introdurre nell'odierno processo alquanto copiosa documentazione, atta a comprovare la sussistenza di inveterate e perduranti controversie tra avvocati, di carattere patrimoniale e personale (più ché strettamente attinenti lo svolgimento della professione forense), sfociate vieppiù in numerose azioni giudiziali e delazioni poste davanti, rispettivamente, a diverse Autorità giudiziarie e all'Ordine degli avvocati.

2. Si costituiva parte controinteressata, con la produzione di documenti e memorie; segnatamente, evidenziava nella propria difesa la pretestuosità, inammissibilità ed infondatezza delle richieste della parte ricorrente; in dettaglio, veniva eccepito e rimarcato come i procedimenti inerenti possibili illeciti deontologici si trovassero ancora nella fase di preliminare delibazione, ai sensi dell'art. 58, commi 1 e 2, della l. n. 247 del 2012 e dell'art. 14, commi 1, 2-bis e 3, del regolamento del C.N.F. rubricato "Procedimento disciplinare" n. 2 del 2014, assistita da stringenti esigenze di "riservatezza" quanto alle acquisizioni istruttorie (parere C.N.F. 22 gennaio 2014, n. 5).

3. Si costituiva inoltre l'intimato Consiglio distrettuale di disciplina, con produzione dei documenti pertinenti e memorie, sostenendo di aver adottato, nei termini ex lege previsti, un provvedimento espresso e motivato nel quale ha dedotto sia "la genericità ed il tenore esplorativo dell'istanza", sia l'assenza di alcun "interesse diretto, concreto e attuale" e del "nesso di strumentalità" tra la documentazione richiesta e le esigenze difensive vantate, sì da dover denegare l'accesso agli atti domandato.

4. Indi, a seguito di taluni rinvii, causati dalla produzione da parte delle parti di copiosi documenti, alla fissata conclusiva camera di consiglio, dopo ampia discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

5. Il ricorso avverso il silenzio-rifiuto è inammissibile; mentre quello avverso il diniego di accesso agli atti è infondato.

5.1. In via preliminare, i due ricorsi vanno riuniti, avendo evidente connessione, peraltro originati da un'unica istanza nel procedimento, cui è seguito un unico provvedimento da parte del Consiglio di disciplina, peraltro oggetto di un ricorso giurisdizionale cumulativo, seppure contenente due distinte domande giudiziali. Il thema decidendum si presenta affatto unitario.

5.2. Quanto al ricorso avverso il silenzio-rifiuto (o inadempimento), ne è evidente l'inammissibilità. Non v'è alcun silenzio o inerzia dell'amministrazione, avendo la stessa adottato un provvedimento espresso nei termini previsti. Che poi, siffatta amministrazione, per il contenuto del provvedimento, non fornisca taluni dati e informazioni richieste, ossia non comunica il numero, lo stato di pendenza e il termine di conclusione previsto (rectius: prevedibile), riguardo a taluni procedimenti disciplinari, attivati a carico di un dato professionista, ciò non equivale a mero silenzio o inerzia impugnabile, ai sensi degli art[t]. 31 e 117 c.p.a.

Il silenzio-rifiuto oggetto di impugnazione, ai sensi degli art[t]. 31 e 117 c.p.a., è il silenzio mero, ossia l'inazione e/o l'inerzia dell'amministrazione a fare alcunché, laddove una disposizione normativa preveda il dovere dell'amministrazione di attivarsi e di adottare un provvedimento espresso.

Nel caso di specie, parte ricorrente si duole nella sostanza del "contenuto", ritenuto non satisfattivo, di un provvedimento espresso, a fronte di una istanza di accesso agli atti. Dunque, un provvedimento è stato emanato, per quanto non abbia esaudito le pretese informative; ergo, non v'è alcun silenzio.

In materia di acceso agli atti, può inoltre ricordarsi che, nell'ipotesi di silenzio, viene a formarsi un provvedimento di diniego tacito (c.d. silenzio-rigetto) impugnabile, ai sensi degli artt. 25, comma 4, prima parte, della l. n. 241 del 1990 ("Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta") e dell'art. 116 c.p.a. Anche, per questa ragione, il ricorso proposto come silenzio-rifiuto (o inadempimento), su cui pure nel corso del processo la difesa di parte ricorrente ha insistito, è privo di alcuna base giuridica sostanziale e processuale (ex multis: T.A.R. Campania, Sez. VI, 8 luglio 2022, n. 4592).

Pertanto, il ricorso avverso il silenzio-rifiuto (o inadempimento) emerge come inammissibile.

5.3. In ordine all'impugnativa spiegata contro il provvedimento espresso di diniego, va evidenziato come il provvedimento dell'amministrazione risulti congruamente motivato e in toto in linea con quanto previsto dalle disposizioni normative vigenti. Non si rintraccia alcuna violazione delle norme di legge ce[n]surate con il ricorso, né alcuno dei profili di eccesso di potere dedotti.

Ed invero, parte ricorrente ha formulato una istanza di accesso tesa a conoscere: "a) il termine per la conclusione del procedimento avviato sulla base della menzionata segnalazione del 27 dicembre u.s.; b) l'esatto numero di segnalazioni, a fini disciplinari, di cui il più volte citato Avv. [...] è stato oggetto, con espressa richiesta di prendere visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti che contengono le segnalazioni medesime". Quanto al punto rubricato con la detta lett. b), l'istanza di accesso agli atti è motivata, in ragione delle "esigenze defensionali, come scaturenti dalle due querele presentate", null'altro precisandosi.

Orbene, va subito chiarito che il procedimento disciplinare davanti all'Ordine professionale degli avvocati e/o alla Commissione di disciplina ivi istituita, può aprirsi d'ufficio o a seguito di un atto qualificabile come "esposto", o denuncia amministrativa, o segnalazione, et similia. Mai con un atto che sia predicabile come "istanza" o domanda, o richiesta, et similia.

Nota in dottrina è la differenza tra la "denuncia amministrativa" (o esposto) e la "istanza amministrativa" (o richiesta). La prima si inquadra nella più ampia categoria degli atti, con i quali il privato, operando in collaborazione con l'amministrazione, segnala a quest'ultima circostanze di fatto e/o di diritto rilevanti ai fini dell'esercizio dei poteri ex officio. La denuncia, che può essere presentata in ogni tempo, senza l'osservanza di forme particolari, non costituisce un rimedio giuridico posto a presidio delle ragioni del privato e non sussiste, perciò, l'obbligo dell'amministrazione di pronunciare su di essa. Al contrario, l'istanza, si connota per essere quella specifica dichiarazione di volontà, che dà impulso all'apertura di un procedimento, volto all'emanazione di un provvedimento, ampliativo della sfera giuridica, che un certo soggetto interessato rivolge all'amministrazione pubblica preposta. Solo in quest'ultimo caso, consegue l'obbligo a concludere il procedimento con un provvedimento espresso, ai sensi dell'art. 2, comma 1, prima parte, l. n. 241 del 1990.

È difatti l'esponente un terzo; non è cioè il soggetto passivo destinatario di alcun provvedimento da parte dell'amministrazione (l'Ordine professionale, nel caso di specie), bensì un soggetto che, anche non leso in un proprio interesse, ha facoltà di presentare un esposto, in ottica collaborativa con l'istituzione pubblica, affinché questa proceda, nell'interesse pubblico, a verificare i fatti occorsi (ad esempio, la condotta di un iscritto ad un dato Ordine, nell'esercizio della professione, come nella fattispecie in delibazione). Ergo, non si è presenza, in consimili ipotesi, di alcuna istanza qualificata volta a conseguire un provvedimento, cui si abbia titolo.

Ed è stato rimarcato in giurisprudenza, che il procedimento disciplinare, nei confronti dell'avvocato, seppur originato da un esposto, rifletta un interesse pubblicistico, come tale giammai rientrante nella disponibilità delle parti (Cass., Sez. un. civ., 27 ottobre 2020, n. 23593).

Ove non sia espressamente previsto dalla legge applicabile ad una data categoria, per pacifici principi, il procedimento disciplinare è ampiamente discrezionale nell'an e nel quomodo. È infatti riservata all'Istituzione, che procede ad un procedimento disciplinare nei confronti di un proprio appartenente, ogni prudente valutazione. Né ciò inibisce ad un soggetto, che si ritenga leso dal comportamento di un certo professionista, di attivare gli strumenti di tutela nelle sedi proprie più pertinenti la fattispecie singolare che lo riguardi e che sono invero specificamente previsti dall'ordinamento.

Nel condurre gli accertamenti, l'organo preposto ha dunque ampia discrezionalità e vi procede entro il termine di prescrizione dell'azione disciplinare. Nel caso di specie, l'art. 56, comma 1, l. 31 dicembre 2012, n. 247 ("Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense") stabilisce che: "L'azione disciplinare si prescrive nel termine di sei anni dal fatto"; il comma 3 poi prevede le fattispecie di interruzione del termine. Non vi sono altri termini, che possano essere d'interesse per il c.d. esponente. Va considerato, in realtà, come i termini, in qualsivoglia procedimento disciplinare, siano per lo più "termini a garanzia" del soggetto incolpato o che può essere incolpato a non ritrovarsi esposto, per lungo tempo, a possibili azioni disciplinari.

Ciò posto, va poi rammentato che l'art. 58, comma 4, l. n. 247 cit. prevede che: "Il provvedimento di archiviazione è comunicato al consiglio dell'ordine presso il quale l'avvocato è iscritto, all'iscritto e al soggetto dal quale è pervenuta la notizia di illecito". Nello stesso senso è l'art. 14, comma 2, del regolamento del C.N.F. n. 2 del 2014, il quale dispone: "In ipotesi di archiviazione il Consiglio distrettuale di disciplina comunica all'esponente, all'iscritto interessato e al Consiglio dell'Ordine di appartenenza copia del provvedimento di archiviazione". Qui sì che invece si appunta l'interesse di qualunque soggetto, che abbia presentato un esposto, ad essere informato circa l'esito della propria segnalazione, qualora venga disposta l'archiviazione.

E difatti è stato affermato nella giurisprudenza amministrativa che sussiste il diritto di colui che abbia presentato un esposto al Consiglio dell'Ordine degli avvocati, sulla base del quale sia iniziato un procedimento disciplinare nei confronti di un avvocato, di accedere agli atti, con cui il Consiglio dell'Ordine ha valutato i fatti narrati nell'esposto, a partire però dalla eventuale archiviazione oppure dall'avvio del procedimento disciplinare vero e proprio (C.d.S., Sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7111).

Ragion per cui, quanto ai dati informativi richiesti in ordine ai tempi e al contenuto del proprio esposto (punto a) dell'istanza datata 26 settembre 2022), parte ricorrente riceverà, come previsto, apposita comunicazione dall'Ordine, entro i sopra richiamati termini di legge.

Per quanto invece riguarda la conoscenza dell'"esatto numero di segnalazioni, a fini disciplinari, di cui il più volte citato Avv. [...] è stato oggetto, con espressa richiesta di prendere visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti" (punto b) dell'istanza datata 26 settembre 2022), una tal richiesta risulta indeterminata, esplorativa e lesiva della riservatezza di terzi.

E, invero, l'art. 24 (Esclusione dal diritto di accesso), comma 3, della l. 241 del 1990 sancisce che: "Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni". Inoltre, ai sensi dell'art. 22, comma 4, della l. n. 241 cit.: "Non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo [...]" (c.d. divieto di accesso esplorativo).

Costante è l'indirizzo della giurisprudenza (ex multis: C.d.S., Sez. IV, 23 novembre 2002, n. 6435), che nega l'ammissibilità di accessi esplorativi, quasi alla stregua di "ispezione popolare volta alla verifica della legittimità e dell'efficienza dell'azione amministrativa". Ma è, poi, la stessa natura del diritto di accesso rimasta, per la medesima giurisprudenza amministrativa (C.d.S., Ad. plen., 24 aprile 2012, n. 7; 20 aprile 2006, n. 7; 24 giugno 1999, n. 16), sostanzialmente al guado tra diritto stricto sensu e interesse legittimo, ad esigere la dimostrazione da parte dell'istante di quale sia la sua concreta esigenza e il peculiare interesse in gioco, quando presenta l'istanza di accesso a determinati atti e documenti.

Ha puntualizzato la giurisprudenza (C.d.S., Ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7) come l'accesso agli atti si caratterizzi: "per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi)". Rileva, per lo più, la consistenza del diritto di accesso quale "interesse strumentale" alla difesa della posizione giuridica dell'istante; emerge dunque la necessità di poter cogliere, con precisione, nella domanda di accesso agli atti, il "nesso strumentale" tra la documentazione richiesta e le rappresentate particolari esigenze difensive (così C.d.S., Sez. VI, 11 marzo 2022, n. 2655).

Ma, nella fattispecie di odierna delibazione da parte del Collegio, l'istanza di accesso emerge come sostanzialmente esplorativa e non già motivata in punto di particolari esigenze difensive.

Se pur la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di accesso, in talune consimili fattispecie, ciò ha invero avuto riguardo allo specifico esposto presentato da un dato soggetto (molto spesso un cliente del professionista) a conoscere gli atti acquisiti, che riguardano gli accertamenti condotti sul proprio caso (C.d.S., Sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7111), sempreché il procedimento disciplinare vero e proprio sia stato promosso e non ostino altre ragioni peculiari contingenti per il prudente differimento al termine del procedimento sanzionatorio, però da motivarsi specificamente, senza che possa mai assumere rilevanza la circostanza che il procedimento disciplinare non sia stato "definito nei vari gradi di giudizio" (così C.d.S., Sez. III, 30 ottobre 2017, n. 5004).

Per converso, come da giurisprudenza costante, l'istanza di accesso agli atti deve avere ad oggetto una specifica documentazione in possesso dell'Amministrazione (indicata in modo sufficientemente preciso e circoscritto) e non può riguardare dati e informazioni generiche relative a un complesso non individuato di atti, di cui non si conosce neppure con certezza la consistenza, il contenuto e finanche l'effettiva sussistenza, assumendo pertanto un sostanziale carattere meramente esplorativo.

In verità, la disciplina della l. n. 241 del 1990 non può essere invocata, allorché l'interessato non chieda all'Amministrazione di esibire documenti di cui sia certa l'esistenza, ma piuttosto di provare se determinati atti esistono o meno (ex multis: T.A.R. Campania, Sez. I, 4 marzo 2022, n. 1456; T.A.R. Lazio, Sez. II, 3 novembre 2021, n. 11240; T.A.R. Lazio, Sez. II, 11 marzo 2021, n. 2987; T.A.R. Campania, Sez. VI, 4 giugno 2015, n. 3018; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. II, 11 aprile 2011, n. 650).

Talché l'accesso agli atti, anche se strumentale all'esercizio del diritto di difesa, deve essere, pur sempre, sorretto da un interesse conoscitivo personale, attuale e concreto (art. 22, comma 1, lett. b), l. n. 241 del 1990 e art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184 del 2006); il suo esercizio non può perseguire finalità emulative, né avere pure ac simpliciter carattere esplorativo, ossia tradursi in un controllo generalizzato dell'attività amministrativa (art. 24, comma 3, l. n. 241 del 1990; ex multis: T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 22 settembre 2018, n. 303), che possa risolversi anche in un intralcio all'esplicazione dell'attività amministrativa (T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 14 giugno 2016, n. 946) o in uno strumento di ispezione popolare e di "pressione" sulle pubbliche amministrazioni (T.A.R. Emilia-Romagna, Sez. II, 4 aprile 2016, n. 366) e non può comportare la elaborazione di appositi atti (cfr. art. 22, comma 4, l. n. 241 del 1990 e art. 2, comma 2, d.P.R. n. 184 del 2006; ex multis: T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, Sez. I, 29 ottobre 2015, n. 279).

La valenza esplorativa dell'accesso si apprezza vieppiù per la considerazione, per cui l'istanza è stata presentata, quando invero alcun procedimento disciplinare, nei confronti del controinteressato, con formulazione di specifica incolpazione, pare essere stato iniziato. In materia, va tenuto in debito conto della particolare conformazione, prevista dalla legge, per un simile procedimento forense, che in nuce distingue nettamente la fase (istruttoria) pre-procedimentale dalla fase (decisoria) procedimentale.

Nel caso di specie, non risulta che il procedimento disciplinare sia stato promosso, con formulazione dell'incolpazione formale, ai sensi dell'art. 59 (Procedimento disciplinare) della l. n. 247 del 2012, bensì penderebbe (ancora) nella preliminare fase di accertamento, ai sensi dell'art. 58 (Notizia di illecito disciplinare e fase istruttoria pre-procedimentale) della l. n. 247 cit. Alcuna notifica di incolpazione risulta mai essere stata notificata.

Peraltro, nella ipotesi del procedimento disciplinare, previsto per gli appartenenti all'ordine forense, è previsto dall'art. 59, comma 1, lett. n), della l. n. 247 cit. che, per quanto non specificatamente disciplinato, "si applicano le norme del codice di procedura penale, se compatibili", dal ché la natura para-giurisdizionale inquisitoria di un simile procedimento, che non può essere compulsato da colui che abbia presentato l'esposto o segnalazione.

Il richiamo specifico dell'art. 59, comma 1, lett. n), della l. n. 247 cit. all'applicazione delle "norme del codice di procedura penale, se compatibili" connota dunque il procedimento disciplinare degli avvocati in modo peculiare e lo differenzia rispetto a quelli disciplinati per le altre categorie di professionisti e/o di lavoratori.

L'art. 329 c.p.p., per la fase istruttoria stricto sensu (le "indagini preliminari"), impone il segreto; analogamente, dunque, nella fase istruttoria funzionale all'accertamento di (eventuali) responsabilità disciplinari dell'avvocato, va serbato il segreto a tutela della genuinità degli accertamenti. Specie, con riguardo ad una fattispecie, come quella in controversia, quando cioè v'è aspro contrasto tra due avvocati professionisti, l'uno in veste di esponente e l'altro oggetto invece di esposto, invero, foriera di potenziali reciproche delazioni.

Ergo, nella fase (istruttoria) pre-procedimentale, l'accesso agli atti non è consentito né al soggetto sottoposto ad accertamenti né all'esponente (o denunciante); né a quest'ultimo può accordarsi una tutela maggiore rispetto a quella che va riconosciuta al potenziale incolpato. Non può darsi luogo ad accesso, quando pendono accertamenti (potenzialmente anche involgenti dati "sensibili" oppure dati cruciali), a pena della compromissione della genuinità degli elementi acquisiti o ancora da acquisirsi, alla stessa stregua di quanto accade in qualsivoglia procedimento sanzionatorio sia penale che di indole amministrativa.

Ancor più, giammai può essere consentito un accesso agli atti, al fine di scrutare qualsivoglia atto acquisito per accertamenti effettuati, a seguito di esposti di terzi; questi ultimi peraltro potrebbero avere un interesse qualificato ad opporsi al disvelamento a soggetti estranei della propria identità, al di fuori del procedimento dagli stessi attivato.

E, difatti, ai sensi dell'art. 2-ter d.lgs. n. 196 del 2003 succ. mod. (disciplina in materia di tutela della riservatezza o privacy), il trattamento dei dati personali da parte di un'amministrazione pubblica (tra cui v'è l'ente pubblico associativo Ordine degli avvocati e/o Consiglio di disciplina) è consentito, nei limiti della sussistenza di una precisa base giuridica e se è necessario per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri attribuiti.

Colui che presenti un esposto ad un'autorità amministrativa ha diritto che sullo stesso sia mantenuto il più stretto "riserbo", ossia la riservatezza (reg. U.E. 2016/679 c.d. G.D.P.R.) e il segreto d'ufficio (art. 5 d.P.R. n. 3 del 1957; art. 326 c.p.), in quanto inerente le esclusive potestà pubbliche esercitabili dall'autorità al quale è stato presentato e riguarda un caso specifico. L'esposto dunque non è, per sua intrinseca natura, ostensibile a terzi in toto estranei.

Anche, per questa via, non è consentibile che alcuno possa accedere agli esposti presentati da terzi, in via intrinsecamente riservata (evidentemente per motivi peculiari, inerenti gli stessi). L'esistenza stessa e il contenuto di un esposto et similia sono affidati alla prudente delibazione dell'autorità alla quale sono presentati e non ad alcun'altro soggetto giuridico. Ergo, non possono in alcun modo essere divulgati a terzi, che non sia l'Autorità giudiziaria che li richieda con provvedimento motivato.

Seppure è vero inoltre che parte ricorrente ha dedotto, nell'istanza di accesso, la sussistenza di proprie (non meglio precisate) "esigenze defensionali", in relazione a pregresse "querele", tuttavia - oltre a non comprendersi ex se quale rilievo possano riflettere simili esposti presentati da terzi, per altri fatti, sulle vicende personali - la predetta istanza non è stata in concreto meglio argomentata, come prevede la giurisprudenza più recente in materia di c.d. accesso difensivo (cfr. C.d.S., Ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4), secondo cui sussiste sempre e comunque la necessità di motivare congruamente l'istanza formulata per accedere ai documenti, l'ostensione dei quali sia richiesta al fine di meglio difendersi in un processo già instaurato o instaurando.

Talché, come nel caso in odierna delibazione, "non è sufficiente che l'istanza contenga un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive [...] in quanto l'ostensione del documento richiesto passa attraverso un rigoroso, motivato, vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale che l'istante intende curare o tutelare" (così C.d.S., Sez. V, 20 giugno 2022, n. 5025, e Ad. plen., 18 marzo 2021, n. 4).

Pertanto, quanto al c.d. accesso difensivo, spetta alla parte interessata dimostrare in modo intelligibile il collegamento necessario fra la documentazione richiesta e proprie esigenze di difesa e, in assenza di tale dimostrazione, circa l'indispensabilità della richiesta documentazione, la domanda di accesso rappresenta un tentativo meramente esplorativo di conoscere tutta la documentazione versata agli atti e, pertanto, va dichiarata inammissibile (ex multis: C.d.S., Sez. V, 20 gennaio 2022, n. 369; T.A.R. Puglia, Sez. I, 23 settembre 2013, n. 1334; C.d.S., Sez. V, 25 settembre 2006, n. 5636).

Non si vede, dunque, quale connessione possa aversi tra esposti (eventuali) presentati da altri soggetti e la posizione del ricorrente, che peraltro ha presentato - come innanzi ricordato - un proprio esposto, in fase di delibazione da parte del Consiglio di disciplina, sul quale va atteso lo scrutinio da parte di detto organo, onde poter esercitare il diritto di accesso, a partire però dalla eventuale archiviazione, oppure dall'avvio del procedimento disciplinare vero e proprio (così C.d.S., Sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7111), salvo restando in quest'ultima evenienza l'esercizio eventuale del potere di motivato differimento nei limiti di legge (art. 25, comma 3, l. n. 241 del 1990 e art. 9 d.P.R. n. 184 del 2006).

Di conseguenza, quanto ai dati informativi richiesti sui tempi e sul contenuto degli altri (eventuali) esposti proposti da terzi (punto b) dell'istanza datata 26 settembre 2022), parte ricorrente non ha dimostrato di aver un interesse qualificato ad accedervi.

6. In conclusione, per le sopra esposte motivazioni, il ricorso proposto avverso il silenzio-rifiuto (o inadempimento), ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., si appalesa inammissibile; mentre, il ricorso avverso il provvedimento di diniego di accesso agli atti, ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.a., rebus sic stantibus, va respinto.

7. Le spese del processo possono essere vieppiù complessivamente compensate tra tutte le parti, attesa la peculiarità e la natura della controversia involgente professionisti.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, nei sensi in motivazione, dichiara inammissibile la domanda giudiziale proposta nel ricorso avverso il silenzio-rifiuto (o inadempimento) e respinge la diversa domanda giudiziale proposta avverso il diniego di accesso agli atti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli artt. 5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti comunque citate in sentenza.