Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 30 maggio 2023, n. 5301

Presidente: Lipari - Estensore: Tulumello

FATTO E DIRITTO

1. La sentenza gravata ha respinto il ricorso proposto dall'odierno appellante per l'annullamento della nota n. 4382 del 18 luglio 2013 con la quale il dirigente del V Settore del comune di Pompei ha disposto il rigetto della domanda di condono edilizio n. 410, ai sensi della l. n. 47/1985, registrata al prot. n. 5285 del 28 marzo 1986 a nome della sua dante causa S. Immacolata.

Il ricorrente in primo grado ha impugnato l'indicata sentenza con ricorso in appello.

Si è costituito in giudizio, per resistere, il Comune di Pompei.

Il ricorso in appello è stato trattenuto in decisione all'udienza straordinaria del 14 aprile 2023.

2. La sentenza del T.A.R. ha osservato che «il procedimento di condono attivato da S. Immacolata con la presentazione in data 28.03.1986, della domanda di condono con prot. n. 5285 è stato legittimamente concluso con l'emanazione del provvedimento di cui alla nota n. 4382 del 18.7.2013 emesso e notificato alla medesima S. Immacolata, senza che in alcun modo rilevi la circostanza che in data 06.7.2007 (rep. 56498 - racc. 19452), la S. aveva donato la proprietà al figlio, I. Domenico, avente causa per modo che a pieno titolo in data 05.06.2008, (quindi a distanza di circa un anno dalla donazione) il Comune di Pompei inoltrava alla S. richiesta di integrazione della documentazione; tale conclusione si giustifica in quanto I. Domenico, odierno ricorrente, non si era legittimato di fronte al Comune di Pompei, nell'ambito della istruttoria condotta dalla Rina Check s.r.l., per la sua qualità di nuovo proprietario del cespite in attesa di condono. Orbene, ove l'Amministrazione, a fronte di una domanda di condono edilizio incompleta, richieda all'interessato l'integrazione della documentazione, assegnandogli un termine per provvedere, quest'ultimo deve ritenersi (salvi i casi d'impossibilità non imputabile) tassativo, sicché l'inottemperanza alla richiesta determina la chiusura della pratica e costituisce legittimo motivo di diniego della concessione edilizia in sanatoria (cfr. T.A.R. Potenza, Basilicata, sez. I, 20 gennaio 2014, n. 78). Nella fattispecie, la medesima parte ricorrente riconosce, che nel 2008, a fronte della richiesta del Comune di Pompei alla S. di integrare la pratica di condono mediante la produzione di ulteriore documentazione, integrazione che "la S. ometteva per sopravvenuta mancanza di interesse, avendo nel frattempo ceduto la proprietà dell'immobile oggetto di condono al figlio, I. Domenico, giusta atto pubblico del 6.7.2007". Dal suo canto l'odierno ricorrente neppure in data 19.07.2010, allorquando veniva inviata la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di condono i sensi degli artt. 7, 8 e 10 bis, L. 241/90, attendeva personalmente alla richiesta di integrazione documentale proveniente dal Comune».

3. L'appellante con il primo motivo ha dedotto "errores in judicando - violazione e falsa applicazione dell'art. 35, l. n. 47/85 s.m.i. - eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, omessa e/o erronea individuazione e valutazione dei presupposti, difetto di istruttoria, contraddittorietà, cattivo esercizio del potere".

Il mezzo deduce che la richiesta di integrazione documentale risale al 2008, vale a dire a 22 anni dopo la presentazione dell'istanza, e dopo che nel 2007 l'immobile era stato donato dall'istante all'odierno appellante.

La censura deduce quindi l'illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per non aver tenuto conto dell'intervenuta formazione del silenzio-assenso.

Entrambi i profili di censura sono manifestamente infondati.

Quanto al primo, correttamente il T.A.R. ha ritenuto che era onere dell'avente causa (o comunque della dante causa) comunicare al Comune di Pompei il subentro nella proprietà dell'immobile: non avendolo fatto, non può imputarsi al Comune la mancata comunicazione al nuovo proprietario di ogni comunicazione endoprocedimentale relativa alla pratica.

Per giurisprudenza assolutamente pacifica e consolidata il silenzio-assenso sull'istanza di condono si forma solo qualora sussistano i presupposti e comunque l'istanza sia completa: il che non è nel caso di specie.

Come confermato anche dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (da ultimo, sentenza n. 1826/2023), "nello specifico ed eccezionale sistema del condono edilizio, di cui all'art. 35, comma 18, della l. n. 47 del 1985, il termine biennale, previsto ai fini della formazione del silenzio-assenso, non decorre nel caso in cui la domanda sia carente dei documenti necessari ad identificare compiutamente le opere oggetto della richiesta sanatoria, nonché quando non sia stata interamente pagata l'oblazione e altresì quando l'opera sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità (ex plurimis: C.d.S., Sez. VI, 26 settembre 2022, n. 8303; 12 luglio 2022, n. 5853; 15 marzo 2022, n. 1813; 24 novembre 2020, n. 7382). Il termine biennale decorre dal momento in cui tali carenze siano state eliminate ad opera della parte interessata, ponendo l'Amministrazione in condizione di esaminare compiutamente la relativa domanda (ex plurimis, cfr. C.d.S., Sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 535; Sez. II, 18 febbraio 2021, n. 1474). A sua volta, il termine di trentasei mesi per la prescrizione breve del diritto al rimborso e al conguaglio, decorre esclusivamente nei casi in cui il procedimento risulti definito con la formazione del silenzio-assenso".

Nel caso di specie la mancata produzione dei documenti richiesti ha dunque impedito che la pratica in questione avesse i presupposti per l'accoglimento (espresso o implicito), sicché correttamente il T.A.R. ha ritenuto legittimo sotto questo profilo il provvedimento di diniego.

4. Con il secondo motivo l'appellante ha dedotto "errores in judicando - violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2, comma 37, lett. d), legge 662/96 e della legge n. 47/85 in relazione all'art. 35 - eccesso di potere per difetto di istruttoria, superficialità, assoluta carenza dei presupposti e difetto di motivazione".

Il mezzo deduce in sostanza la non necessarietà, ai fini dell'accoglimento (anche implicito) dell'istanza, della integrazione documentale richiesta dal Comune.

L'appellante sostiene poi che i documenti necessari comunque fossero già presenti nella pratica.

Entrambi i profili di censura sono infondati.

Va anzitutto osservato che i documenti cui si riferisce l'appellante sono quelli previsti come necessari dalla legge: tuttavia laddove l'esame della pratica necessiti, nel singolo caso, ulteriore documentazione, non può disconoscersi il potere in tal senso dell'amministrazione comunale, e porre nel nulla la sua richiesta di integrazione.

Rimane pertanto insuperata la condivisibile affermazione del T.A.R. secondo la quale "la valutazione degli elementi istruttori ed, ancor prima la individuazione, anche al di là dei documenti normativamente prescritti, dei documenti necessari, in relazione alle peculiarità della fattispecie concreta, per la definizione dell'istanza di condono è materia coperta da una riserva di amministrazione, mentre l'assunto di parte ricorrente che tutti i documenti sono stati prodotti e comunque si dichiara disposto a produrli, è affermazione generica e apodittica, comunque priva di alcuna prova, bastando tra l'altro la mancanza anche di un solo documento necessario per impedire l'esaurimento dell'istruttoria".

Peraltro lo stesso ricorrente, come pure ricorda la sentenza gravata, si era detto genericamente disponibile ad effettuare l'integrazione richiesta: il che per un verso conferma l'acquiescenza prestata al ridetto esercizio del potere istruttorio, e per altro verso impedisce di attribuire a tale generica affermazione un effetto che non sia meramente (ed inutilmente) dilatorio, e che paralizzi il successivo esercizio del potere decisorio.

5. Il ricorso in appello è pertanto infondato, e come tale deve essere respinto.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante al pagamento in favore del Comune appellato delle spese del giudizio, liquidate in complessivi euro quattromila/00, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.