Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 1° giugno 2023, n. 15601

Presidente: Raimondi - Relatore: Giusti

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 26 gennaio 2022, Antonio Spada, Elena Bacchin, Gianfranco Milani, Lorenzo Maritan, Cinzia Trovò, Savino Segala, Luigi Polo e Alessandro Zambelli, cittadini elettori del Comune di Anguillara Veneta, hanno promosso un'azione popolare, ex art. 9 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (approvato con il d.lgs. n. 267 del 2000), dinanzi al Tribunale ordinario di Padova, chiedendo di accertare e dichiarare la nullità, l'illegittimità o, comunque, l'annullabilità della deliberazione in data 25 ottobre 2021 con cui il Consiglio comunale di Anguillara Veneta ha conferito all'allora Presidente del Brasile Jair Messias Bolsonaro la cittadinanza onoraria del Comune.

La cittadinanza onoraria - si legge nella delibera del Consiglio comunale - è stata conferita, su proposta del sindaco, per l'esemplare affezione ed interessamento del Presidente del Brasile verso le sue origini e verso tutta la comunità di Anguillara Veneta, a riconoscimento e rispetto dei suoi avi partiti nel 1888 proprio da Anguillara Veneta.

Gli attori hanno dichiarato di agire in sostituzione e a tutela dell'identità personale e dell'immagine del Comune.

L'attribuzione della cittadinanza onoraria - si afferma - crea un accostamento tra onorato e comunità locale. Il diritto del Comune alla propria identità personale e all'immagine sarebbe leso in conseguenza dell'abbinamento dell'immagine dell'ente con una personalità, quella del Presidente Bolsonaro, i cui comportamenti e dichiarazioni di rilievo pubblico sarebbero espressione - si sostiene da parte degli attori - di valori confliggenti con i tradizionali riferimenti storici e culturali del Comune di Anguillara Veneta, espressi nello statuto comunale.

A tale riguardo, gli attori hanno richiamato alcune dichiarazioni attribuite al Presidente Bolsonaro riguardanti i diritti umani, i diritti civili e il rispetto della parità di genere e degli orientamenti sessuali ("dobbiamo dare i diritti umani agli esseri umani, non ai marginali"; "l'unico errore della dittatura militare brasiliana è stato torturare invece di uccidere"; "sarei incapace di amare un figlio omosessuale. Non sarò ipocrita: preferisco che mio figlio muoia in un incidente piuttosto che si presenti con un altro uomo. Per me sarebbe come se fosse morto, in ogni caso").

Gli attori hanno chiesto al giudice ordinario, insieme alla declaratoria di nullità della deliberazione impugnata, l'adozione di ogni contrarius actus idoneo, in ottica ripristinatoria, a porre rimedio alla lesione che sarebbe stata inferta, in relazione all'art. 2 Cost. e agli artt. 6, 7 e 10 c.c., al diritto all'identità personale, storica e culturale dell'ente e alla sua immagine.

Nel giudizio dinanzi al Tribunale di Padova si sono costituiti Alessandra Buoso, sindaco del Comune di Anguillara Veneta, e i consiglieri comunali Raffaella Magagna, Giampaolo Baccaglini, Chiara Renesto, Steve Scarietto, Ivo Bedon, Lauro Baretta, Alice Quinto e Alessandro Bisan, resistendo.

I convenuti hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Sempre in via pregiudiziale, i convenuti hanno eccepito l'inammissibilità dell'azione per difetto di legittimazione e carenza di interesse, giacché il Consiglio comunale di Anguillara Veneta avrebbe espresso in via legittima, formale e democratica la volontà del Comune. L'azione proposta si risolverebbe in una inammissibile impugnazione di atti emanati dal Consiglio comunale nell'esercizio del potere politico.

Si è costituito il Comune di Anguillara Veneta, concludendo per l'inammissibilità delle domande avversarie. Il Comune ha eccepito che l'azione popolare ha ad oggetto un atto politico e che l'azione popolare è stata proposta contro il Comune e non nell'interesse del Comune.

Nel giudizio a quo ha spiegato intervento la Federazione Europa Verde - Verdi, aderendo all'azione popolare intentata.

2. Nella pendenza del giudizio dinanzi al Tribunale di Padova, Antonio Spada e la Federazione Europa Verde - Verdi hanno sollevato, con atto notificato il 21 ottobre 2022, ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario o, in via alternativa e subordinata, quella del giudice amministrativo.

Ad avviso dei ricorrenti, la controversia sarebbe ricompresa nell'ambito della competenza giurisdizionale del giudice ordinario, attesa la natura strettamente privatistica della deliberazione comunale impugnata, non assimilabile ad un atto adottato iure imperii conoscibile e sindacabile da parte del giudice amministrativo. Nell'adottare la deliberazione della quale si lamenta l'illegittimità, il Comune - sostengono i ricorrenti -, lungi dall'esercitare un'attività tipica, improntata al principio di legalità che informa l'agire e il potere amministrativo, avrebbe posto in essere un atto che esula dai confini della funzione pubblica, risolvendosi, al più, in un'onorificenza simbolica, accordata secondo i paradigmi tipici del diritto privato.

I ricorrenti, inoltre, avversando l'eccezione sollevata dai convenuti nel giudizio a quo, contestano che ci si trovi di fronte ad un atto politico e che, pertanto, ricorra un'ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione. Il provvedimento adottato dal Consiglio comunale di Anguillara Veneta, non essendo libero nel fine, si discosterebbe dall'atto politico: il parametro giuridico alla stregua del quale vagliare, in sede giudiziale, l'attività espletata, per definizione assente in presenza di un atto politico, sussisterebbe invece nel caso di specie, e coinciderebbe con i limiti valoriali cristallizzati nello statuto del Comune.

L'azione del Comune risulterebbe, ad avviso dei ricorrenti, compressa dalle finalità espresse nella carta statutaria, che detta i limiti invalicabili dell'agire amministrativo. La decisione dell'organo comunale, nell'accordare la benemerenza ad un soggetto la cui condotta è ritenuta incompatibile con i valori professati dalla comunità anguillarese, si porrebbe in contrasto con la normativa statutaria, risultando, per l'effetto, illegittima.

I ricorrenti osservano infatti che lo statuto è destinato ad operare quale argine all'agire politico indipendentemente dall'indirizzo di governo contingente. Non si potrebbe ascrivere la deliberazione comunale censurata al perseguimento di un obiettivo politico di vertice, poiché il riconoscimento di un'onorificenza - specie in favore di un soggetto la cui condotta sarebbe incompatibile con i valori della comunità - non contribuirebbe in alcun modo all'attività di indirizzo e programmazione politica svolta in favore dei consociati.

Ancora, il diniego tout court di giurisdizione sulla vicenda si tradurrebbe in un'ingiustificata compressione del diritto ad una tutela giurisdizionale piena ed effettiva.

In via subordinata, per il caso in cui la concessione della cittadinanza venga ricondotta ad un atto amministrativo in senso proprio, non emesso iure privatorum, i ricorrenti sostengono che debba essere dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, al fine di ottenere comunque l'annullamento della deliberazione impugnata per difetto di istruttoria ed eccesso di potere nella forma dello sviamento.

3. Si sono costituiti nel giudizio per regolamento preventivo, con controricorso, Alessandra Buoso e gli altri convenuti nel giudizio a quo, concludendo per il difetto assoluto di giurisdizione o, in subordine, per la giurisdizione del giudice amministrativo.

La controversia avrebbe ad oggetto un atto politico, sottratto, ai sensi dell'art. 7 c.p.a., in virtù della sua fondamentale funzione di direzione ed indirizzo politico, a qualsivoglia sindacato giurisdizionale. Sarebbe, del resto, evidente l'intendimento degli attori di esercitare, per via giudiziale, una volontà politica, contraria a quella assunta dal Consiglio comunale.

Ad avviso dei controricorrenti, non sarebbe sostenibile la tesi della non riferibilità della deliberazione comunale alle funzioni pubbliche dell'organo consiliare e della sua assunzione iure privatorum. Rientrerebbe, infatti, nell'autonomia politica del Comune, nonostante l'assenza di norme statali ad hoc, il potere di approvare un regolamento proprio, in base al quale poter concedere la cittadinanza onoraria (nel caso di specie, peraltro, simbolica e non incidente sulla posizione giuridica soggettiva del beneficiario).

Secondo i controricorrenti, saremmo di fronte ad una utilizzazione arbitraria dell'azione popolare. In base al disegno normativo, l'azione popolare sarebbe preordinata a rimediare alle situazioni di inerzia ed omissione da parte del Comune, e non già ad attribuire ai consociati uno strumento correttivo suscettibile di sovvertire le determinazioni assunte secondo il paradigma democratico-rappresentativo.

L'azione popolare nella specie esperita, promossa in sostituzione e per conto del Comune di Anguillara Veneta, non potrebbe essere legittimamente convertita in azione di annullamento, in ragione del difetto di legittimazione e di interesse in capo ai ricorrenti.

Ove tale conversione venga ritenuta possibile, i controricorrenti chiedono che, ai sensi dell'art. 7 c.p.a., sia dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.

4. Anche il Comune di Anguillara Veneta, costituendosi con controricorso, ha eccepito il difetto assoluto di giurisdizione, sul rilievo che il conferimento della cittadinanza onoraria sarebbe un atto politico. Ad avviso del controricorrente, la politicità dell'atto emergerebbe da tre prospettive. La prima consiste nella circostanza che il beneficiario della cittadinanza è un rilevantissimo uomo politico che è stato democraticamente eletto Presidente del Brasile alle elezioni del 2018. La seconda prospettiva consiste nella radicale assenza di concreti effetti giuridici derivanti dall'emanazione dell'atto contestato che è del tutto neutro per l'ordinamento. La terza prospettiva riguarda la natura dell'organo che ha concesso la cittadinanza onoraria: si tratta del Consiglio comunale, che rappresenta uno degli organi di governo, quello definito di indirizzo e di controllo politico amministrativo del Comune. Osserva il controricorrente che gli atti politici sono per definizione insindacabili da qualunque giudice, essendo valutabili unicamente secondo logiche politiche e di opportunità (e non di legittimità).

5. Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale.

6. Il Pubblico Ministero ha concluso per il difetto assoluto di giurisdizione.

Secondo l'Ufficio del Procuratore generale, l'onorificenza in questione assume un valore puramente simbolico, risulta inidonea ad accrescere o ledere la sfera giuridica del destinatario e viene disposta nell'ambito di un'attività libera ed autonoma, in quanto non regolata da alcuna norma di legge, attraverso le articolazioni istituzionali con le quali si realizza la rappresentanza, da parte del Comune, della comunità territoriale di riferimento.

L'assenza di una normativa applicabile e la natura simbolica della benemerenza in questione farebbero ritenere che nel caso si versi in materia nella quale è precluso l'intervento giurisdizionale, come peraltro avverrebbe nei casi di manifestazioni pubbliche puramente simboliche realizzate da autorità politiche per sottolineare il favore nei confronti di personalità o eventi, per assonanze politiche ideali o per dare rilievo ai legami familiari con il territorio e con la collettività locale rappresentata dall'ente comunale nelle sue articolazioni. Tali assonanze - osserva il Pubblico Ministero nella requisitoria scritta - potrebbero anche essere mutevoli nel tempo, per la decisione di chi ha concesso la benemerenza o per revoca disposta dallo stesso organo, all'esito di consultazione elettorale che abbia mutato la sua composizione e di conseguenza la sensibilità verso la personalità e gli eventi.

In particolare, il Pubblico Ministero sottolinea che il legislatore non ha predeterminato alcun canone di legalità per la concessione della cittadinanza onoraria.

7. Tutte le parti hanno depositato, in prossimità della camera di consiglio, memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La controversia è stata promossa dinanzi al giudice a quo per contestare la deliberazione del Consiglio comunale di Anguillara Veneta che ha attribuito la cittadinanza onoraria del Comune all'allora Presidente della Repubblica federale del Brasile Jair Messias Bolsonaro.

Gli attori, cittadini elettori del Comune di Anguillara Veneta, hanno promosso un'azione popolare, ai sensi dell'art. 9 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con il d.lgs. n. 267 del 2000, in sostituzione e a tutela dell'identità personale e dell'immagine del Comune. Essi hanno lamentato la lesione del diritto dell'ente locale alla propria identità personale e all'immagine, derivante dall'abbinamento con la personalità del Presidente brasiliano, i cui comportamenti e le cui dichiarazioni pubbliche sarebbero, si sostiene da parte degli attori, confliggenti con i valori storici e culturali espressi nello statuto del Comune di Anguillara Veneta.

2. Le Sezioni unite sono investite del compito, non di risolvere il merito della vicenda, ma di pronunciare sulla giurisdizione: di stabilire, cioè, se vi sia spazio per un intervento giurisdizionale e, in caso di risposta affermativa, di ripartire la giurisdizione, dichiarando a quale giudice, ordinario o amministrativo, spetta risolvere la controversia.

3. La prima questione da affrontare è se vi sia un giudice.

4. Il difetto assoluto di giurisdizione è configurabile quando la domanda giudiziaria non è conoscibile, in astratto e non in concreto, da nessun giudice, sicché tutti i giudici sono tenuti ad arretrare, a farsi da parte rispetto ad una materia che non può formare oggetto di cognizione giurisdizionale (Cass., Sez. un., 16 marzo 2022, n. 8600).

Il difetto assoluto di giurisdizione è ravvisabile quando manchi nell'ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l'interesse dedotto in giudizio, sì che non possa individuarsi alcun giudice titolare del potere di decidere; attiene, per contro, al merito della controversia ogni questione concernente l'idoneità di norme di diritto a tutelare il concreto interesse affermato dalla parte in giudizio (Cass., Sez. un., 30 marzo 2005, n. 6635; Cass., Sez. un., 31 marzo 2006, n. 7577; Cass., Sez. un., 8 maggio 2007, n. 10375).

In particolare, si ha difetto assoluto di giurisdizione nel caso in cui manchi in astratto la giustiziabilità della pretesa azionata.

Così, per rimanere ad alcuni esempi tratti dalla casistica giurisprudenziale, la proposizione, in sede civile, di un'azione risarcitoria diretta contro un magistrato per fatti commessi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, configura - ai sensi dell'art. 2 della l. n. 117 del 1988, in forza del quale l'azione diretta di danno può essere proposta unicamente nei confronti dello Stato, salva l'ipotesi disciplinata dall'art. 13 della stessa legge - una fattispecie di improponibilità assoluta e definitiva della domanda, in quanto concernente un diritto non configurato in astratto a livello normativo dall'ordinamento (Cass., Sez. un., 9 marzo 2020, n. 6690, cit.).

Del pari, non è giustiziabile la pretesa relativa alle modalità e ai contenuti dell'esercizio della funzione legislativa, che necessariamente esula dall'ambito della giurisdizione, sia essa quella del giudice ordinario sia del giudice amministrativo, in quanto al giudice non compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, funzioni in rapporto alle quali non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto (Cass., Sez. un., 29 maggio 2023, n. 15058).

Allo stesso modo, la domanda giudiziale volta a negare la sovranità dello Stato italiano su una porzione del proprio territorio, chiedendo al giudice ordinario di riconoscere l'esistenza di un'altra entità statuale, rientra nel perimetro del difetto assoluto di giurisdizione in quanto comporta, non già la delibazione di una posizione di diritto o di interesse legittimo, ma un sindacato sulla configurazione costituzionale dello Stato italiano, di cui viene messa in discussione, a monte, la stessa ridefinizione dei confini territoriali o, comunque, il loro assetto (Cass., Sez. un., 16 marzo 2022, n. 8600, cit.).

Nel medesimo ordine di idee, si è statuito che la pretesa del cittadino rivolta ad ottenere una quota proporzionale del "signoraggio" monetario esula dall'ambito della giurisdizione, sia del giudice ordinario che del giudice amministrativo, in quanto al giudice non compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, tra le quali sono indiscutibilmente comprese quelle di politica monetaria, di adesione a trattati internazionali e di partecipazione ad organismi sovranazionali, funzioni in rapporto alle quali non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto (Cass., Sez. un., 21 luglio 2006, n. 16751).

5. Nella specie, il difetto assoluto di giurisdizione è stato prospettato dai controricorrenti evocando la natura politica dell'atto impugnato. L'azione non avrebbe un giudice perché sarebbe stata proposta contro un atto del Comune emanato nell'esercizio del potere politico. Il conferimento della cittadinanza onoraria comunale sarebbe un atto espressione di autonomia politica: la determinazione assunta dal Consiglio comunale potrebbe essere superata unicamente da un atto del medesimo tenore, dunque da altra delibera del Consiglio comunale. Con l'azione proposta, sia pure richiamando lo statuto comunale ed i valori che lo imperniano, sarebbero formulate censure di carattere politico.

6. Il Collegio delle Sezioni unite esclude che nella deliberazione del Consiglio comunale di attribuzione della cittadinanza onoraria ricorrano i tratti tipologici dell'atto politico in senso proprio.

6.1. L'art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a. - riprendendo una previsione già contenuta nell'art. 31 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato (approvato con il r.d. 26 giugno 1924, n. 1054) e, prima ancora, nell'art. 3, secondo comma, della legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (l. 31 marzo 1889, n. 5992) - esclude dall'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo gli atti ed i provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico.

Per qualificare un atto come politico, la giurisprudenza (C.d.S., Sez. IV, 7 giugno 2022, n. 4636) richiede due requisiti: sotto il profilo soggettivo, l'atto deve provenire da un organo preposto all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello; sotto il profilo oggettivo, l'atto deve essere libero nel fine perché riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici, deve concernere, cioè, la costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione. È ritenuto tale non l'atto amministrativo che sia stato emanato sulla base di valutazioni specificamente di ordine politico, ma solo l'atto che sia esercizio di un potere politico.

Gli atti politici sono gli atti posti in essere da un organo costituzionale nell'esercizio della funzione di governo, e quindi nell'attuazione dell'indirizzo politico (costituzionale o di maggioranza): non sono, quindi, espressione di una funzione amministrativa. Gli atti adottati nell'esercizio delle funzioni politiche del Governo sfuggono al sindacato giurisdizionale del giudice comune e attengono alla sfera della responsabilità politica del Governo. In ordine ad essi può essere promosso, se ve ne sono le condizioni, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale.

La nozione di atto politico è di stretta interpretazione e ha carattere eccezionale, perché altrimenti si svuoterebbe di contenuto la garanzia della tutela giurisdizionale, che la Costituzione assicura come indefettibile e con i caratteri della effettività e della accessibilità.

Il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere, di soggezione del potere alla legge ogni qualvolta esso entra in rapporto con i cittadini, costituisce un profilo basilare della Costituzione italiana.

L'impugnabilità dell'atto è la regola: una regola orientata ad offrire al cittadino una concreta protezione della propria sfera soggettiva individuale contro le molteplici espressioni di potere in cui si concreta l'azione della pubblica amministrazione.

Il diritto vivente conferma la recessività della nozione di atto politico, che coincide con gli atti che attengono alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali.

L'esistenza di aree sottratte al sindacato giurisdizionale è confinata entro limiti rigorosi (Cass., Sez. un., 2 maggio 2019, n. 11588, cit.).

Non è, quindi, soggetto a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente ristretto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico; atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in ordine ai quali l'intervento del giudice determinerebbe un'interferenza del potere giudiziario nell'ambito di altri poteri (C.d.S., Sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502).

È questo il caso, per esempio, del provvedimento con il quale il Governo ha autorizzato l'ampliamento di una base militare U.S.A. nel nostro Paese (C.d.S., Sez. V, 29 luglio 2008, n. 3992) o del diniego del Consiglio dei ministri sull'istanza finalizzata all'avvio delle procedure per la conclusione di un'intesa ai sensi dell'art. 8 Cost. (C.d.S., Sez. IV, 7 giugno 2022, n. 4636, cit.); o, ancora, della determina con cui i Presidenti dei due rami del Parlamento hanno provveduto a nominare, ai sensi dell'art. 10 della l. n. 287 del 1990, il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (T.A.R. Lazio, 16 luglio 2020, n. 8162). Rientra nella categoria dell'atto politico la decisione di concentrare in un'unica data le elezioni amministrative ed europee (T.A.R. Catania, 10 ottobre 2014, n. 2725, sulla base del rilievo che si tratta di una espressione della funzione di direzione e di indirizzo politico del Paese alla quale sono connesse pure esigenze di contenimento della spesa pubblica).

Per contro, in molteplici casi nei quali si è posto il problema di applicare l'art. 7 c.p.a. (o il precedente art. 31 del testo unico sul Consiglio di Stato) sull'atto politico a fronte di atti produttivi di effetti che pure presentavano elementi di politicità, si è escluso detto carattere, affermandone la sindacabilità in sede giurisdizionale.

È stata esclusa la natura di atto politico dell'atto di indizione delle elezioni regionali, venendo in rilievo un procedimento amministrativo caratterizzato dall'esercizio di potestà pubbliche vincolate sulla scorta di precetti legislativi puntuali relativi all'an e al quando dell'atto di indizione della procedura elettorale, in guisa da escludere il suum dell'atto politico, rappresentato dalla sussistenza di una libertà nel fine che impedisce, in ragione dell'assenza del necessario parametro giuridico, l'estrinsecazione del sindacato giurisdizionale (C.d.S., Sez. V, 27 novembre 2012, n. 6002). Ha natura non di atto politico ma di atto amministrativo la direttiva del Ministro dell'economia e delle finanze al direttore generale del Dipartimento del tesoro finalizzata ad ottenere che il presidente del consiglio d'amministrazione della RAI, partecipata per il 99,56% dal Ministro dell'economia, convochi l'assemblea dei soci per deliberare la revoca di un consigliere d'amministrazione della società e procedere alla sua sostituzione con un nuovo amministratore (T.A.R. Lazio, 16 novembre 2007, n. 11271); ancora, non costituisce atto politico la nomina del segretario generale del Consiglio regionale (Cass., Sez. lav., 7 ottobre 2022, n. 29206), e neppure il provvedimento di scioglimento di un'associazione politica e di confisca dei suoi beni (C.d.S., Sez. IV, 21 giugno 1974, n. 452).

Dagli atti politici si distinguono gli atti di alta amministrazione, tradizionalmente definiti come atti di suprema direzione della pubblica amministrazione, di raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa: non sono quindi liberi nel fine come gli atti politici ma vincolati a fini stabiliti a livello politico; di conseguenza essi non sfuggono al regime tipico del provvedimento amministrativo.

6.2. Nella specie, la questione della natura giuridica dell'atto di conferimento della cittadinanza onoraria va affrontata tenendo conto che esso è stato posto in essere da un Comune: il che interseca il problema del ruolo delle autonomie nel nuovo assetto costituzionale delineato dal Titolo V della Costituzione.

Pur dovendosi riconoscere, su un piano generale, la titolarità in capo al Comune di una funzione di indirizzo politico e, di conseguenza, il potere di compiere, nel proprio ambito, atti politici su un piano di tendenziale parità concettuale con quelli posti in essere dagli altri enti costitutivi della Repubblica, l'attribuzione della cittadinanza onoraria da parte del Comune non costituisce un atto politico.

Dell'atto politico, sottratto al sindacato giurisdizionale, fa difetto il requisito oggettivo, perché il conferimento di quella onorificenza non è un atto riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri.

Conforta in questa direzione l'orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa in tema di revoca dell'assessore comunale: atto che è stato ritenuto soggetto allo statuto del provvedimento amministrativo, non essendo "espressione della libertà politica attribuita ai supremi organi decisionali dello Stato per la soddisfazione di esigenze a questo inerenti" (C.d.S., Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2071).

7. Secondo la requisitoria del Pubblico Ministero, al difetto assoluto di giurisdizione le Sezioni unite dovrebbero pervenire seguendo un altro percorso: facendo leva sul valore meramente simbolico dell'onorificenza in questione, la quale viene concessa dal Comune, in rappresentanza della comunità territoriale di riferimento, nell'ambito di una attività libera ed autonoma in quanto non regolata da alcuna norma di legge.

L'Ufficio del Procuratore generale sostiene che il conferimento della cittadinanza onoraria riveste una natura puramente simbolica: dalla concessione della cittadinanza onoraria non deriva alcun accrescimento della sfera giuridica del destinatario. Manca, soprattutto, una normativa applicabile, una norma di legge che regoli l'attività in questione, perché il legislatore non ha predeterminato alcun "canone di legalità" per la concessione della cittadinanza onoraria.

8. Il Collegio condivide le conclusioni della requisitoria del Pubblico Ministero.

9. La premessa dalla quale occorre muovere sta nel considerare dirimente, ai fini della giustiziabilità dell'atto, accanto ai caratteri del provvedimento, la dimensione sostanziale della legalità, la quale richiede che l'atto di esercizio del potere sia suscettibile di essere confrontato con le norme che lo disciplinano. Va inoltre valutata la presenza di interessi giuridicamente rilevanti: se mancano situazioni qualificate differenziate, in presenza di interessi di mero fatto, allora è possibile parlare di atto non sindacabile proprio perché non tocca direttamente situazioni giuridiche. Nel difetto di un interesse privato direttamente offeso manca la materia del giudizio, manca la persona cui possa riconoscersi l'azione per promuoverlo.

La chiave di volta ai fini del giudizio di insindacabilità di un atto del potere pubblico è costituita, in generale, dalla mancanza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione.

Viene in rilievo, infatti, l'art. 101, secondo comma, Cost., il quale, nel fissare il principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, individua nella legge il fondamento e la misura del sindacato ad opera del giudice.

Ciò significa che, in assenza di un parametro giuridico alla politica, il sindacato deve arrestarsi: per statuto costituzionale, il giudice non può essere chiamato a fare politica in luogo degli organi di rappresentanza. Lo preclude il principio ordinamentale della separazione tra i poteri. La "zona franca" è il riflesso della presenza di una politicità dell'atto che non si presta ad una rilettura giuridica. L'insindacabilità è il predicato di un atto non sottoposto dall'ordinamento a vincoli di natura giuridica.

Ove, viceversa, vi sia predeterminazione dei canoni di legalità, quello stesso sindacato si appalesa doveroso. Il giudice, quale che sia il plesso di appartenenza, è non solo rispettoso degli ambiti di attribuzione dei poteri, ma anche, sempre per statuto costituzionale, garante della legalità, e quindi non arretra là dove gli spazi della discrezionalità politica siano circoscritti da vincoli posti da norme che segnano i confini o indirizzano l'esercizio dell'azione di governo. La giustiziabilità dell'atto dipende dalla regolamentazione sostanziale del potere. Se dunque esiste una norma che disciplina il potere, che ne stabilisce limiti o regole di esercizio, per quella parte l'atto è suscettibile di sindacato.

Si tratta di una premessa coerente con gli approdi della giurisprudenza costituzionale.

Con la sentenza n. 81 del 2012, la Corte costituzionale ha stabilito che gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall'ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l'ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un'azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l'esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell'atto, sindacabile nelle sedi appropriate.

Il principio è stato ribadito nella successiva sentenza n. 52 del 2016, con la quale la Corte costituzionale ha sottolineato che la scelta di avviare le trattative con le confessioni religiose non è oggetto di alcuna disciplina specifica che rechi una puntuale regolazione del procedimento di stipulazione delle intese e che, in mancanza di essa, la giustiziabilità del diniego opposto all'avvio delle trattative costituirebbe un elemento dissonante. Da questa premessa la Corte ha fatto discendere l'insussistenza della configurabilità nel nostro ordinamento di una pretesa giustiziabile all'avvio delle trattative, risolvendo il conflitto in favore del Governo e affermando l'insindacabilità del diniego.

Questa prospettiva metodologica informa gli svolgimenti della giurisprudenza, del Consiglio di Stato e di questa Corte regolatrice.

Il giudice amministrativo è giunto alla conclusione che l'insindacabilità in sede giurisdizionale dell'atto va esclusa in presenza di una norma che predetermina le modalità di esercizio della discrezionalità politica o che comunque la circoscriva: è impugnabile l'atto, pur promanante dall'autorità amministrativa cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione al massimo livello della cosa pubblica, la cui fonte normativa riconosce l'esistenza di una situazione giuridica attiva protetta dall'ordinamento riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall'amministrazione (C.d.S., Sez. I, 19 settembre 2019, n. 2483).

E queste Sezioni unite (Cass., Sez. un., 2 maggio 2019, n. 11588, cit.) hanno statuito che la richiesta di promovimento del conflitto di attribuzioni rivolta da un consigliere regionale alla Regione non è sorretta da un interesse protetto dall'ordinamento giuridico, attenendo tale conflitto alla delimitazione dei poteri costituzionalmente riservati all'ente, al quale soltanto spetta la decisione, contraddistinta da ampia discrezionalità e da connotati di politicità, di proporre il ricorso ex art. 134 Cost.; e ne hanno fatto derivare che la pretesa del terzo di ottenere l'esercizio di tale prerogativa non è azionabile in giudizio, senza che sia ravvisabile la lesione dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dal momento che il diritto di accesso ad un tribunale postula l'esistenza di una posizione giuridica tutelata nell'ordinamento interno.

10. Poste queste premesse, il primo aspetto che al Collegio preme evidenziare è l'inidoneità dell'atto impugnato a provocare un'effettiva vicenda giuridica soggettiva.

La concessione della cittadinanza onoraria concretizza una manifestazione di riconoscimento e di gratitudine da parte di una determinata collettività locale nei confronti di una persona in virtù di particolari benemerenze acquisite in campi culturali, scientifici, umanitari o per altre motivazioni.

Si tratta di un titolo meramente onorifico e non dell'acquisizione dello status civitatis. La benemerenza in questione ha natura puramente simbolica e sottolinea il favore nei confronti di personalità o eventi per assonanze ideali o per sottolineare i legami familiari con il territorio o con la collettività locale rappresentata dall'ente comunale nelle sue articolazioni.

L'onorificenza in questione risulta inidonea ad accrescere o ledere la sfera del destinatario e viene disposta nell'ambito di un'attività libera ed autonoma in quanto non regolata da alcuna norma di legge.

È pacifico che l'atto con cui si conferisce questo onore è una concessione. Ma si tratta di un atto assolutamente discrezionale che non incide in situazioni giuridiche tutelate né ne costituisce. La cittadinanza onoraria non influisce in alcun modo neppure sulla posizione anagrafica del beneficiario.

Negli atti amministrativi ciò che è sindacabile non è la valutazione di opportunità, ma le conseguenze giuridiche dell'atto. L'atto è sindacabile perché innova l'ordinamento giuridico: ciò che deve essere conforme al diritto non è il nucleo politico dell'atto ma le conseguenze giuridiche che produce.

L'atto di conferimento della cittadinanza onoraria non accresce o limita la sfera giuridica (del destinatario, dell'ente comunale che lo attribuisce, dei membri della comunità di cui l'ente è esponente).

Non accade nulla di nuovo sul piano dell'ordinamento giuridico di cui si debba verificare la conformità ad un diritto che funga da criterio di legittimità delle conseguenze giuridiche, che per l'appunto mancano.

10.1. Il conferimento della cittadinanza onoraria è affidato, dal regolamento adottato dal Comune di Anguillara Veneta, al Consiglio comunale, ossia all'organo di indirizzo politico-amministrativo dell'ente locale.

Con il regolamento comunale per il conferimento della cittadinanza onoraria e le altre civiche benemerenze, approvato con la deliberazione 25 ottobre 2021, n. 26, il Comune di Anguillara Veneta ha inteso comprendere tra i propri compiti quello di sottoporre alla pubblica stima le persone che, senza distinzione di nazionalità, di razza, di sesso e di religione, abbiano giovato direttamente con opere concrete alla realtà locale oppure possano essere ricordate quali esempio e riferimento per il Comune. La cittadinanza onoraria può essere attribuita dal Consiglio comunale, altresì, per riconoscere e premiare l'impegno e le opere nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, dell'industria, del lavoro, dell'istruzione, dello sport, l'impegno per la realizzazione di iniziative di carattere sociale, assistenziale e filantropico, condotte con particolare spirito di collaborazione all'attività della pubblica amministrazione. Il conferimento della cittadinanza può essere rivolto a premiare gli atti di coraggio e di abnegazione civica.

In base al citato regolamento, sono degni della cittadinanza onoraria tutti coloro che hanno comunque dato lustro al Comune e alla sua comunità.

L'onorificenza della cittadinanza onoraria è attribuita dal Consiglio comunale, in quanto organo di rappresentanza diretta dei cittadini e perciò interprete dei sentimenti e dei desideri della comunità.

La cittadinanza onoraria può consistere in una targa in cui è rappresentato lo stemma del Comune con sotto la dicitura cittadinanza onoraria, la data, il nome e il cognome del beneficiario e una pergamena con le motivazioni dell'onorificenza e le generalità del beneficiario.

10.2. Il conferimento della cittadinanza onoraria non è soggetto ad alcuna normazione ma forma oggetto di una libera ed autonoma determinazione del Consiglio comunale.

L'azione del Comune non è vincolata a norme specifiche. Il legislatore non ha predeterminato alcun canone di legalità per la concessione della cittadinanza onoraria.

Come non è configurabile, in capo a chi aspira al conferimento della cittadinanza onoraria, l'esistenza di una situazione giuridica protetta dall'ordinamento, riferita ad un bene della vita oggetto dell'attività svolta dall'Amministrazione comunale, così, allo stesso modo, non è predicabile un interesse giuridico qualificato e differenziato in capo al civis membro della comunità territoriale.

È il Consiglio comunale - organo di rappresentanza diretta dei cittadini, nel quale si confrontano democraticamente le forze politiche, di maggioranza e di minoranza, investite del mandato popolare attraverso libere elezioni - a farsi interprete dei sentimenti e dei desideri della comunità.

I meccanismi di controllo della concessione della cittadinanza onoraria si esplicano tramite la dialettica politica, dentro e fuori la sede in cui quell'atto è stato assunto.

11. Preme, inoltre, sottolineare che gli attori non hanno introdotto il giudizio a quo per far valere una loro differenziata posizione giuridica soggettiva.

Il sistema di tutela giurisdizionale ha il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa. Fatta eccezione per ipotesi specifiche, non è consentito adire il giudice unicamente al fine di conseguire la legalità e la legittimità dell'azione amministrativa, ove ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone, il quale, a sua volta, deve trovarsi in una situazione differenziata rispetto al resto della collettività e non deve essere un quisque de populo (C.d.S., Sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5830).

Gli attori hanno promosso un'azione popolare, ai sensi dell'art. 9 del testo unico degli enti locali, che si caratterizza per il suo contenuto oggettivo, al fine di tutelare i diritti all'immagine, alla reputazione, all'identità storica e culturale del Comune di Anguillara Veneta.

Sennonché, l'azione popolare comunale consente a ciascun elettore di "far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al Comune". Si tratta di un'azione a carattere sostitutivo e non correttivo: non è utilizzabile al fine di rimuovere errori o irregolarità commessi in danno dell'interesse di cui l'ente è portatore, può essere esperita contro un soggetto terzo e non contro il Comune per far valere l'illegittimità di atti riferibili a detto ente, e risulta quindi ammissibile solo in caso di inerzia dell'ente locale e non qualora esso abbia provveduto. Diversamente opinando, il cittadino si verrebbe a sostituire all'espressa volontà di un ente elettivo rappresentativo della volontà dei cittadini, con un evidente vulnus del principio democratico.

Il presupposto necessario dell'azione popolare di cui al citato art. 9 va rinvenuto soltanto nell'omissione da parte dell'ente dell'esercizio delle proprie azioni o nell'inerzia da vicariare.

L'azione popolare ai sensi dell'art. 9 del testo unico non può essere diretta a contestare la validità degli atti del Comune per conto del quale si dichiara di agire.

Le qualità allegate dai ricorrenti nella premessa in fatto dell'atto introduttivo - l'essere cittadini residenti del Comune di Anguillara Veneta - non costituiscono titolo di accesso alla legittimazione a ricorrere avverso l'atto in questa sede impugnato, perché non connotano in termini di specifica qualificazione e differenziazione la posizione giuridica dei ricorrenti rispetto a quella di altri cittadini residenti nel medesimo Comune, né, sotto l'altro profilo, fanno assurgere a rango di interesse collettivo, che pertiene cioè all'intera comunità territoriale, l'interesse, di natura peraltro squisitamente politica, perseguito dalla Federazione intervenuta ad adiuvandum.

Non può essere invocata la titolarità dell'azione prevista dall'art. 9, perché questa norma, che configura un caso di azione popolare in sostituzione dell'ente locale da parte del cittadino elettore, riguarda azioni di tipo sostitutivo e non correttivo, in cui gli attori si pongano in contrasto con l'ente stesso.

Proprio perché la posizione dell'elettore è quella sin qui descritta, occorre che l'azione e il ricorso siano volti alla tutela di posizioni giuridiche dell'ente locale (cui egli si sostituisce), nei confronti di possibili pregiudizi derivanti da azioni od omissioni di terzi, da fatti od atti compiuti da privati o anche da altre pubbliche amministrazioni.

Non è, invece, possibile che l'elettore insorga, in luogo dell'ente (da lui considerato inadempiente), avverso atti adottati dall'ente medesimo, potendo in tali casi quest'ultimo, ove sussistano i presupposti, agire in autotutela, e non essendo l'azione ex art. 9 cit. (come già chiarito dalla giurisprudenza) di tipo "correttivo".

12. Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:

"La cittadinanza onoraria, essendo un titolo onorifico, con valenza meramente simbolica, non costituisce alcuna posizione soggettiva in capo al destinatario, in termini di status civitatis o anche semplicemente di residenza anagrafica, e neppure incide nella posizione dei cives, venendo essa conferita dal Consiglio comunale - organo di rappresentanza della comunità territoriale di riferimento - nell'ambito di una attività libera ed autonoma, non soggetta ad alcuna normazione e non vincolata ad un fine desumibile dal sistema; ne consegue che il cittadino elettore non ha una pretesa giustiziabile a far valere vizi di legittimità della relativa deliberazione di conferimento, neppure con l'azione popolare di cui all'art. 9 del testo unico sugli enti locali, riguardando essa azioni di tipo sostitutivo e non correttivo, in cui gli attori si pongano in contrasto con l'ente stesso".

13. Il difetto assoluto di giurisdizione fotografa il ritrarsi della giurisdizione da un atto, il conferimento della cittadinanza onoraria, non perimetrato da una disciplina di legge, improduttivo di effetti nella sfera giuridica del beneficiario e di soggetti terzi e disposto sulla base di scelte libere ed autonome da parte di un organo, il Consiglio comunale, rappresentativo della comunità territoriale e investito di funzioni di indirizzo politico.

14. I meccanismi di controllo non passano, dunque, attraverso la giustiziabilità dell'atto, ma sono affidati alla discussione libera e democratica: dentro l'aula del Consiglio comunale, dove si confrontano dialetticamente le forze di maggioranza e di minoranza liberamente elette, portatrici di diversi ideali; fuori del palazzo municipale, sui giornali, nei dibattiti televisivi e nelle piazze, anche virtuali, delle nostre città.

Il cittadino elettore che, sulla base delle proprie convinzioni ideali o della appartenenza politica, dissenta dalla deliberazione del Consiglio comunale attributiva della civica benemerenza ad una personalità che egli ritenga non meritevole dell'onorificenza, ha, a propria disposizione, gli strumenti delle libertà costituzionali, dei diritti fondamentali, della democrazia e del pluralismo, in un contesto che assegna alla loro garanzia, promozione e tutela una dimensione anche internazionale e sovranazionale. Egli ha il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, in un sistema che assicura la libertà di stampa e il pluralismo delle fonti di informazione e delle notizie; può sollecitare, con petizioni o campagne di sensibilizzazione, la revoca del beneficio; ha il diritto di riunirsi ed associarsi con altri per collaborare in vista di uno scopo comune; ha il diritto di partecipare attivamente alla vita di un partito o all'azione politica, per concorrere a determinare la politica nazionale o del Comune in cui vive; ha il diritto di esercitare il diritto di voto, che è anche un dovere civico.

15. Tuttavia, anche a fronte di una benemerenza conferita per operare esclusivamente sul piano simbolico, non può essere esclusa, in casi estremi (si pensi, per esempio, alla cittadinanza onoraria che venisse conferita ad una persona assolutamente indegna perché condannata per gravi crimini), la garanzia della giustiziabilità e dell'intervento del giudice comune: non per esercitare un sindacato su un atto di per sé normalmente improduttivo di effetti nella sfera giudica di soggetti terzi, ma per sanzionare le conseguenze di un fatto illecito, perché offensivo di quel comune sentimento di giustizia rappresentato dal tessuto di principi attraverso i quali si esprimono, secondo la Costituzione, le condizioni della convivenza, in relazione ai valori della persona e delle libertà democratiche.

16. È dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione.

La complessità e la novità della questione trattata giustificano la compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

dichiara il difetto assoluto di giurisdizione e la compensazione delle spese dell'intero giudizio.

A. Contrino e al. (curr.)

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