Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana
Sentenza 16 giugno 2023, n. 421

Presidente: Taormina - Estensore: Ardizzone

FATTO E DIRITTO

1. Con ricorso al T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, i signori Massimiliano I., Giuseppe M., Antonio C., Maria Io., Matteo L.M., Francesco F., Grazia U., Vincenzo Ca. e Salvatore G. hanno proposto il ricorso, n.r.g. 673/2022, avverso il silenzio del Comune di Messina sull'istanza degli interessati del 29 marzo 2021 con cui è stato sollecitato l'avvio di un procedimento, ai sensi dell'art. 10 del d.P.R. n. 327/2001, di imposizione del vincolo preordinato all'esproprio o di imposizione di servitù pubblica a carico di uno dei fondi ricadenti a valle della via Mezzana e ciò ai fini della realizzazione di una strada di accesso al mare o di utilizzazione di altra già esistente e idonea all'uso.

2. Il Comune intimato, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto del ricorso, osservando come fosse insussistente l'obbligo di provvedere sugli atti di pianificazione. Rilevava che il Dipartimento servizi territoriali e urbanistici, con nota n. 133022 del 14 maggio 2021, aveva affermato di non potere riscontrare l'istanza, in quanto occorreva l'avvio da parte dell'organo di «[...] indirizzo politico cui segue una normale progettazione» e che «solo dopo tale avvio [...] e l'acquisizione dei necessari pareri» il medesimo Dipartimento avrebbe potuto attivare «l'iter di adozione dell'atto deliberativo in variante dello strumento urbanistico che conduce alla successiva richiesta di approvazione da parte del competente Assessorato Regionale». Per la difesa del Comune le valutazioni politiche sottese all'adozione di un atto di programmazione generale escludevano che l'Amministrazione potesse essere costretta ad avviare il procedimento per concluderlo negativamente e l'esercizio di potestà discrezionali non sarebbe coercibile in giudizio mediante un ricorso avverso il silenzio, salvo specifiche ipotesi individuate dalla giurisprudenza che nulla avrebbero a che vedere con il caso di specie. Riteneva, ancora, che l'art. 2 della l. n. 241/1990 avrebbe potuto trovare applicazione solo se l'Amministrazione avesse effettivamente inteso avviare il procedimento.

3. Il T.A.R. con la gravata sentenza, in primo luogo, qualificava come «soprassessoria» la nota n. 133022 del 14 maggio 2021, con la quale il Dipartimento servizi territoriali e urbanistici aveva affermato di non potere riscontrare l'istanza, in quanto difettava l'avvio della procedura da parte dell'organo competente e l'acquisizione dei necessari pareri, condizioni indispensabili per l'iter di adozione dell'atto deliberativo in variante allo strumento urbanistico. Il Giudice di prime cure, invero, riteneva che il Dipartimento avesse manifestato la propria incompetenza "interna" a provvedere sull'istanza degli interessati, mentre «tale organo interno dell'Amministrazione» avrebbe dovuto «trasmettere l'istanza di cui trattasi all'organo competente a deliberare in merito all'avvio della procedura». E aggiungeva che «l'obbligo di provvedere, invero, va valutato tenendo conto dell'intero apparato organizzativo del Comune nel suo complesso».

Osservava che «l'art. 2 della legge n. 241/1990 non rientra, in effetti, fra le norme inapplicabili agli atti generali, programmatori e di pianificazione, anche tenuto conto che non appaiono immediatamente comprensibili le concrete difficoltà che impedirebbero al Consiglio Comunale di esprimersi sulla richiesta», pur precisando come, con ciò, «non si» intendesse «affermare che la richiesta degli interessati» dovesse «essere accolta».

Concludeva evidenziando come avrebbe dovuto tenersi «conto che l'art. 2 della legge n. 241/1990 dispone che l'istanza vada esitata, sebbene con motivazione semplificata, anche nel caso in cui essa sia manifestamente infondata o irricevibile, sicché appare al Collegio indispensabile che il competente organo dell'Amministrazione si esprima compiutamente sulla richiesta dei ricorrenti».

E, quindi, statuiva che il ricorso «va accolto e, per l'effetto, deve ordinarsi al Comune di Messina di esprimersi sull'istanza degli interessati nel termine di sessanta giorni, con decorrenza dalla comunicazione in via amministrativa dalla presente decisione», nominando un commissario ad acta per l'ipotesi di ulteriore inadempienza. Condannava il Comune al pagamento delle spese che liquidava in favore dei ricorrenti nella misura di euro 1.250,00 oltre accessori di legge.

4. Il Comune di Messina ha proposto appello deducendo, in primo luogo, «(l')omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di interesse e legittimazione; difetto dei presupposti dell'azione». Al riguardo l'appellante evidenzia di avere dedotto innanzi al T.A.R., all'udienza camerale, l'eccezione che difettava «in capo ai ricorrenti una posizione differenziata rispetto a quisque de populo».

Con un secondo motivo denuncia «(l')erroneità della sentenza; omessa impugnazione dell'atto dirigenziale, inammissibilità del ricorso avverso il silenzio per intervenuta definizione dell'istanza». Per l'appellante le note depositate in primo grado, erroneamente qualificate come «atto soprassessorio», dimostrerebbero, invece, come l'Amministrazione avesse prontamente riscontrato «adeguatamente» l'istanza dei privati.

L'appellante lamenta, infine, «(l')erroneità della sentenza per inconfigurabilità dell'obbligo di procedere», atteso che «il procedimento di apposizione del vincolo di espropriazione necessita di una variante al P.R.G. e non vi è alcun atto normativo che imponga all'Amministrazione di procedere con l'apposizione del vincolo suddetto senza che le circostanze obiettive possano giustificare una scelta in tal senso orientata». Osserva che, anche con riferimento ai procedimenti generali e di pianificazione, potrebbe applicarsi l'invocato art. 2 della l. n. 241/1990 «a condizione che l'azione richiesta sia doverosa nell'an», presupposto che, nel caso di specie, difetterebbe.

4.1. L'appellante, in prossimità dell'udienza camerale, ha depositato una memoria per ribadire le proprie argomentazioni.

5. Gli appellati non si sono costituiti nel presente grado di giudizio.

6. Il Collegio, all'udienza camerale del 1° giugno 2023, previo avviso alle parti presenti che avrebbe valutato anche d'ufficio il difetto di legittimazione in capo agli originari ricorrenti del giudizio di primo grado, ha trattenuto la causa in decisione.

7. Il primo assorbente motivo merita di essere accolto nei termini infra spiegati.

8. L'appellante con il primo motivo lamenta «(l')omessa pronuncia sulla eccezione di difetto di interesse e legittimazione», che il Comune di Messina aveva articolato per la prima volta in sede di udienza camerale di primo grado. Al riguardo il Collegio rileva di potere prescindere dalla tempestività (comunque sussistente, trattandosi di eccezione in senso stretto su presupposto processuale) dell'eccezione poiché sussisterebbe comunque il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado conformemente al principio fissato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 4 del 26 aprile 2018 (e di ciò si è dato avviso a verbale nella odierna camera di consiglio).

8.1. Il Collegio rileva che i ricorrenti non hanno depositato alcuna documentazione a riprova della loro legittimazione al ricorso consistente nella titolarità di una situazione differenziata e giuridicamente rilevante, che valesse a differenziare la loro pretesa da quella del quisque de populo. Nel ricorso originario i ricorrenti assertivamente affermano di essere «tutti proprietari (e/o comunque aventi titolo) di immobili siti nel Comune di Messina, villaggio Acqualadroni, contrada Rena Bianca, prospicenti sulla via Mezzana» e, per avere accesso al mare, «sono costretti a percorrere per oltre 650 metri la via Mezzana, sino al primo accesso all'arenile».

Appare di tutta evidenza che se l'interesse a ricorrere trova il suo fondamento nella titolarità del diritto di proprietà su di un bene, è inammissibile il ricorso qualora la parte non abbia comprovato la sua legittimazione, dando prova di essere proprietario del terreno a favore del quale si chiede l'avvio di un procedimento di imposizione di un vincolo preordinato all'esproprio o in alternativa la costituzione di una servitù pubblica a carico di una delle strade di accesso al mare. Non è sufficiente, infatti, la mera allegazione della parte o del suo procuratore di detta titolarità, qualora questa non trovi riscontro anche negli atti di causa. Difatti la proprietà delle aree che attribuiscono al ricorrente la legittimazione attiva è un elemento che attiene alla piena disponibilità del ricorrente stesso e, quindi, il relativo onere della prova è integralmente a suo carico, così come previsto all'art. 64, comma 1, del c.p.a.

Le perplessità sulla sussistenza della titolarità di alcun diritto che possa configurare una situazione differenziata e giuridicamente rilevante appaiono confermate dagli stessi ricorrenti che, dopo avere asserito, senza darne prova, di essere tutti proprietari, aggiungono «e/o comunque aventi titolo». Peraltro l'eccezione, proposta dal legale del Comune intimato ed oggi appellante all'udienza camerale del primo grado del giudizio, di inammissibilità del ricorso perché difettava «in capo ai ricorrenti una posizione di differenziazione, così come un interesse legittimo all'adozione del provvedimento», appare idonea per ritenere contestato il fatto dell'asserita proprietà o di altro titolo in capo ai ricorrenti e, di conseguenza, il Giudice non può porlo a fondamento della sua decisione.

Né potrebbe questo Collegio supplire all'inerzia della parte odierna appellata ex officio (arg.: secondo T.A.R. Roma, Sez. II, 1° dicembre 2015, n. 13544 «in caso di mancato deposito in giudizio del certificato di residenza o di altro documento da cui risulti lo stabile collegamento con l'area oggetto dell'intervento edilizio di cui al permesso di costruire impugnato, non può essere riconosciuta in capo ai ricorrenti la legittimazione attiva all'impugnazione del permesso di costruire rilasciato alla controinteressata»; secondo T.A.R. Venezia, Sez. III, 15 maggio 2008, n. 1395; C.d.S., Sez. V, 9 gennaio 2019, n. 194 «nel processo amministrativo i termini fissati dall'art. 73 c.p.a. per il deposito in giudizio di memorie difensive e documenti hanno carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice»; secondo C.d.S., Sez. V, 28 settembre 2005, n. 5189, sub dimostrazione della legittimazione financo nel rito elettorale).

8.2. La carenza di legittimazione ad agire dei ricorrenti consente di soprassedere dallo scrutinio delle ulteriori questioni dedotte con il gravame, conseguentemente assorbite.

In conclusione, in riforma della sentenza impugnata, va dichiarata l'inammissibilità del ricorso di primo grado.

9. La complessità delle questioni di diritto e di fatto oggetto della controversia giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara l'inammissibilità del ricorso di primo grado.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.