Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione II
Sentenza 19 giugno 2023, n. 859

Presidente: Amovilli - Estensore: Rinaldi

FATTO E DIRITTO

La ditta ricorrente è proprietaria di un immobile, risalente agli anni '50, da sempre a destinazione mista abitativa e commerciale/terziaria che, nel corso degli anni, ha formato oggetto di plurimi interventi ampliativi.

La ricorrente è subentrata nella titolarità del fabbricato nell'anno 2006 e, constatata una situazione del costruito non conforme a quanto era stato autorizzato nel corso degli anni, ha presentato istanza di sanatoria ex art. 36 t.u. edilizia.

Dalle verifiche svolte è, in particolare, emerso che, nel corso degli anni, è stata edificata una quantità di superficie coperta e di volumetria inferiore rispetto a quella concessionata: i mq complessivi edificati sono, infatti, risultati pari a 2.713, a fronte di 2.731 concessionati, per un volume di mc 9.261 anziché 10.603, con la conseguenza che sono stati costruiti ben 1.342 mc in meno rispetto a quelli assentiti.

Vi è stata, dunque, una minor edificazione rispetto all'autorizzato.

Ciò non di meno, il Comune ha quantificato il contributo di costruzione dovuto per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 t.u.e. (euro 65.592,60) e l'ulteriore somma dovuta per la sanatoria paesaggistica (euro 22.175,21), assumendo come parametro l'autorizzato e non l'edificato.

Con il ricorso all'esame, la ricorrente ha contestato la surriferita quantificazione, deducendone l'illegittimità sotto plurimi profili.

Il Comune di Legnago, benché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

All'udienza straordinaria in epigrafe indicata la causa è passata in decisione.

Il ricorso merita accoglimento.

Ai fini della determinazione del contributo di costruzione e delle somme dovute per l'accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, ciò che conta è l'edificato e non l'autorizzato.

Nel caso di specie, sono stati edificati 1.342 mc, corrispondenti a 805,20 mq, in meno rispetto all'autorizzato: tale circostanza ha generato, in concreto, un minor carico urbanistico rispetto a quello astrattamente previsto.

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il contributo di costruzione, essendo strettamente connesso al concreto esercizio della facoltà di costruire, non è dovuto in caso di rinuncia o di mancato utilizzo del titolo edificatorio e che conseguentemente, «nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell'art. 2033 o dell'art. 2041 c.c., l'obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all'oggetto della costruzione, per cui l'avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata» (C.d.S., Sez. II, 15 giugno 2021, n. 4633; cfr., ex multis, C.d.S., Sez. IV, 15 ottobre 2019, n. 7020; C.d.S., Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 12; C.d.S., Sez. IV, 7 marzo 2018, n. 1475).

In applicazione dei suesposti principi, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati e con l'obbligo per il Comune di rideterminare le somme dovute dalla parte ricorrente, assumendo come parametro l'edificato e non l'autorizzato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna il Comune di Legnago a rifondere alla ricorrente le spese di lite, liquidate in euro 2000, oltre accessori di legge e restituzione del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.