Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia
Sentenza 20 giugno 2023, n. 215
Presidente: Settesoldi - Estensore: Sinigoi
FATTO E DIRITTO
Con atto di costituzione ex artt. 10 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 e 48 c.p.a., il signor Giovanni Leonardo D.P., proprietario dell'immobile sito in via dei Pini n. 25, in Lignano (UD) (contraddistinto catastalmente al F. 56 Mapp. 398 e 955), costituito da un fabbricato ad uso residenziale e dal terreno di pertinenza, ricadente in zona attualmente classificata come B0/a "città consolidata con prevalenza di elementi ordinatori (Pineta) e città a media densità con prevalenza di morfologie complesse (Riviera)", ambito caratterizzato dalla presenza di alberi ad alto fusto e dune, ha riassunto innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale il ricorso originariamente proposto innanzi al Presidente della Repubblica volto all'annullamento del provvedimento in epigrafe compiutamente indicato, con cui il responsabile del Settore urbanistica-edilizia privata del Comune di Lignano Sabbiadoro gli ha ordinato "la messa in pristino della morfologia naturale del terreno, con contestuale demolizione del muro in pietrame e la ripiantumazione di n. 10 alberi, entro il termine perentorio di 90 (novanta giorni) dalla notificazione" del provvedimento stesso e ciò per avere rilevato la realizzazione di opere abusive e, segnatamente, di "manufatti e lavori che hanno comportato la modifica dell'andamento del terreno esistente" ovvero:
«1. A confine con il map. 953 è visibile lo scavo di terreno in quanto si notano le radici affioranti del pino che insiste nel mappale confinante. Nella porzione di terreno spianato sono visibili tubi dell'impianto idrico e radici tranciate;
2. Presenza di un "muro in pietrame", presumibilmente di recente realizzazione, parzialmente addossato al prospetto sud-est del fabbricato, che delimita la differenza di livello tra il terreno sbancato e la restante duna che fiancheggia l'immobile nel lato sud-ovest. Tale "muro" è realizzato con elementi modulari composti ciascuno da una gabbia metallica contenente ciottoli di pietra spaccata di varie dimensioni: sei di questi moduli hanno dimensioni 150 x 100 x 100 cm (larghezza x altezza x profondità), e sono disposti sulle prime due file dal terreno, mentre la terza ed ultima fila è composta da tre moduli aventi dimensioni 150 x 50 x 100 cm (larghezza x altezza x profondità). Le dimensioni totali del "muro" sono lunghezza di circa 452 cm, altezza di 250 cm e profondità di 100 cm. Tra il manufatto e la porzione restante dell'originaria duna si rileva un vuoto parzialmente riempito da pezzi di plotte in cemento e detriti vari e un tubo corrugato innestato nel pluviale. Lateralmente al sopra descritto "muro in pietrame" vi è il preesistente muro di contenimento della duna, che delimitava l'area di ingresso al garage dell'abitazione, realizzato in blocchi di cemento intonacato e calcestruzzo (foto 4). Tale muro presenta lateralmente il segno dell'andamento della duna prima dell'intervento di sbancamento;
3. Nella parte di duna a ridosso della servitù di passaggio si riscontra l'aggiunta del terreno di risulta della duna sbancata del lato sud-ovest. Oltre al terreno sono presenti detriti di varia natura e radici tranciate; Nella servitù di passaggio, posta frontalmente al prospetto sud-est del fabbricato, sono accatastate delle plotte e dei pali in cemento;
4. Da via Dei Pini si rileva che l'ingresso pedonale è posizionato centralmente rispetto alla recinzione, diversamente da quanto autorizzato. Detta modifica ha comportato la variazione dell'andamento naturale del terreno».
Inoltre, gli alberi abbattuti (nulla-osta rilasciati in data 16 ottobre 2017, prot. 38125, per l'abbattimento di n. 6 alberi, e in data 24 novembre 2020, prot. 34090, per l'abbattimento di n. 4 alberi) "non sono stati sostituiti come previsto dall'ordinanza del Dirigente dell'Area Tecnica n. 4 del 25-03-2016 e dall'art. 64 comma 6 del R.E.C.".
Il ricorrente - che espone che nell'anno 2021 decideva di rimuovere un volume di materiale terroso del rilievo pari a circa mc. 3 distribuendolo sul resto della pertinenza, in modo da rendere piano uno spazio da destinare a parcheggio per auto, e che, a protezione di un lato della casa, collocava una massicciata chiusa in reticolo di ferro, meramente appoggiata al terreno, senza uso di cemento o altro materiale compattante rispetto al fabbricato o al terreno, il tutto senza chiedere il rilascio di alcun titolo edilizio da parte del comune, assumendo la riconducibilità degli interventi realizzati nell'ambito di quelli di c.d. "attività edilizia libera" ai sensi dell'art. 16 l.r. 19/2009 - ha affidato la domanda azionata ai seguenti motivi di diritto:
1) "Violazione di legge (art. 27 NTA)", con cui deduce, in estrema sintesi, che la norma di cui il Comune assume la violazione, ovvero l'art. 27 NTA, non sarebbe applicabile all'ambito in questione e agli interventi realizzati, in quanto si riferisce esclusivamente alle zone non edificate o edificabili;
2) "Violazione di legge (art. 27 NTA sotto altro profilo)", con cui deduce che la norma impone il mantenimento della morfologia naturale esistente e non, come ritenuto dal Comune intimato, la morfologia esistente puramente e semplicemente;
3) "Violazione di legge (art. 51 l.r 19/09)", con cui deduce che l'ordine di rimessione in pristino messa in atto nella fattispecie è utilizzabile esclusivamente in caso di lavori non completati laddove il provvedimento impugnato è intervenuto a distanza di circa un anno dalla fine degli stessi;
4) "Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione", con cui - con specifico riferimento a quello che il Comune definisce "muro in pietrame" - deduce che trattasi di opera, che, per come realizzata ("gabbioni in acciaio che imbrigliano, con forma regolare a parallelepipedo, grossi sassi, meramente appoggiati a terra, senza coesione cementante e senza nessuna funzione di tenuta di terrapieno e tantomeno di muri portanti o meno dell'edificio"), non presenta alcuna rilevanza edilizia e meno ancora sismica.
Con memoria ex art. 73 c.p.a., dimessa in vista dell'udienza pubblica del 14 giugno 2023, fissata per la trattazione del ricorso, ha, in parte, ribadito gli assunti già svolti e, in parte, introdotto nuovi profili di censura.
Il Comune di Lignano Sabbiadoro, costituito con memoria di stile, ha, poi, con successiva replica, svolto più compiute difese, anche con riguardo alle deduzioni affidate dal ricorrente all'ultimo atto difensivo dimesso.
Ha, quindi, concluso per la reiezione del gravame ex adverso proposto.
L'affare è stato, quindi, chiamato e discusso, come da sintesi a verbale, all'udienza pubblica del 14 giugno 2023.
In particolare, il ricorrente ha chiesto, preliminarmente, l'espunzione dagli atti di giudizio della memoria di replica del Comune del 23 maggio 2023, in quanto dimessa in assenza e, anzi, in luogo della memoria conclusionale, sì da alterare, compromettendola, la parità processuale tra le parti, essendogli stata preclusa la possibilità di controdedurre per iscritto alle difese dell'ente civico.
Ha, poi, comunque sinteticamente ribadito le argomentazioni già sviluppate e invocato l'accoglimento del ricorso.
Il Comune, dopo avere insistito sull'ammissibilità della memoria dimessa, ha, comunque, svolto diffuse controdeduzioni orali e concluso per la reiezione del ricorso.
L'affare è stato, poi, introitato per la decisione.
Il Collegio ritiene, in primo luogo, di espungere dagli atti di causa la memoria del Comune, in quanto, in effetti, tale da compromettere la parità processuale delle parti, fatta eccezione per quella parte della stessa dedicata ai "motivi introdotti per la prima volta nella memoria d.d. 12.5.2023 e non contenuti nel ricorso trasposto" (pt. 5 - pagg. 9 e 10).
Quando la memoria di replica non è destinata a replicare alle difese svolte dalla controparte, ma tende a surrogare la comparsa conclusionale non depositata nei termini, essa finisce, invero, per violare le garanzie di difesa e contraddittorio, impedendo alla controparte il proprio diritto di difesa, come chiarito dal Consiglio di Stato, che ha, per l'appunto, osservato che "la giurisprudenza del giudice amministrativo ha chiarito che ai sensi dell'art. 73, comma 1, c.p.a., nel testo introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. q), d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195 (c.d. primo correttivo al codice), le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della controparte ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.), atteso che la ratio legis si individua nell'impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell'evitare elusioni dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l'espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica con la conseguente impossibilità per l'avversario di controdedurre per iscritto (C.d.S., Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5676). Né la memoria di replica può essere considerata prima memoria se depositata, come nel caso all'esame del Collegio, oltre il termine di trenta giorni previsto dall'art. 73 c.p.a. (C.d.S., Sez. III, 28 gennaio 2015, n. 390; 4 giugno 2014, n. 2861)" (C.d.S., Sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855; in termini T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 19 novembre 2021, n. 2569).
Sempre, in via preliminare, va precisato che questo giudice si limiterà a scrutinare e decidere le sole questioni prospettate dal ricorrente col ricorso introduttivo, dovendosi convenire con la difesa del Comune che il medesimo ha irritualmente e inammissibilmente introdotto con la memoria ex art. 73 c.p.a. nuovi motivi di impugnazione, non già tempestivamente proposti.
Nel merito, il ricorso non è fondato.
Il Collegio ritiene, invero, che la lettura ed applicazione data dal Comune alla disposizione di cui all'art. 27, comma 2, lett. a), delle NTA ["In area avente dune e/o una pluralità di alberi di alto fusto non costituenti coltura agraria sistematica sono rispettati i criteri seguenti: a) mantenimento della morfologia naturale esistente del terreno non occupato o occupabile da edifici, se non per opere di preminente interesse pubblico"], che qui assume dirimente rilievo, sia esente da censure.
In particolare, avuto riguardo alla precisazione contenuta alla voce "Riferimenti" delle NTA stesse, non pare potersi dubitare che per "mantenimento della morfologia naturale esistente" la norma intenda propriamente fare riferimento alle caratteristiche che hanno da sempre connotato lo stato dei luoghi (n.d.r. "area avente dune e/o una pluralità di alberi di alto fusto...") e che ne costituiscono, per l'appunto, carattere distintivo, ritenuto meritevole di particolare tutela.
Morfologia naturale esistente che, nel caso specifico, risulta, invece, essere stata pacificamente alterata, come, peraltro, evincibile dalla stessa documentazione fotografica dimessa dal ricorrente ove le radici degli alberi a confine recise e il dislivello con il fondo attiguo provocati dallo sbancamento di terreno effettuato ne offrono evidente prova.
Inoltre, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, la norma non si riferisce esclusivamente alle zone non edificate o edificabili, ma è volta ad assicurare particolare tutela alle aree verdi e/o morfologicamente connotate che si trovano in ogni zona del territorio ricompreso nel piano urbanistico comunale, indifferentemente dal fatto che abbia o meno una potenzialità edificatoria.
Senza contare che l'interpretazione della norma in questione proposta dal ricorrente finirebbe col vanificare anche la specifica tutela che le NTA hanno inteso assicurare all'ambito in cui è ubicato l'immobile di proprietà del ricorrente ["zona BO di Pineta e Riviera - ZTO B0/a città consolidata con prevalenza di elementi ordinatori (Pineta) e città a media densità con prevalenza di morfologie complesse (Riviera)"], caratterizzato proprio dagli elementi distintivi su indicati.
Non può trascurarsi, infatti, di considerare che, per espresso disposto dell'art. 6-bis delle NTA, trattasi di ambito di tessuto urbano, caratterizzato "da un elevato valore urbanistico, ecologico e paesaggistico, da salvaguardare e riqualificare" e che la variante n. 48 al PRGC si è prefissa, tra l'altro, di riclassificare gli ambiti di Pineta e Riviera come ZTO B0 di valore paesaggistico e urbano in ragione della loro caratterizzazione di particolare valore storico, paesaggistico-ambientale ed urbanistico.
I primi due motivi di ricorso vanno, pertanto, disattesi.
Privo di pregio è, conseguentemente, anche il terzo motivo di ricorso, atteso che l'art. 51 della l.r. 19/2009 non opera assolutamente il distinguo su cui ha qui insistito il ricorrente (ovvero tra lavori non completati e lavori completati), ma sanziona la radicale violazione alla previsione dello strumento urbanistico comunale, legittimando il Comune ad ingiungere "la rimozione o la demolizione con ripristino dello stato dei luoghi" (comma 1).
Infondato è, infine, anche il quarto e ultimo motivo di ricorso non potendosi in alcun modo dubitare della doverosità - derivante dalla nota prot. 33287 del 7 ottobre 2021, del Servizio lavori pubblici ed edilizia tecnica della Direzione centrale infrastrutture e territorio della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, non impugnata, nemmeno tuzioristicamente, dal ricorrente - della dimostrazione di antisismicità del "muro in pietrame" realizzato, viepiù necessaria in ragione delle dimensioni degli elementi modulari che lo compongono (e del loro intuibile consistente peso) e del fatto che, come ribadito dal ricorrente, sono meramente "appoggiati a terra, senza coesione cementante e senza nessuna funzione di tenuta di terrapieno e tantomeno di muri portanti o meno dell'edificio".
Sicché, in definitiva, gli interventi realizzati dal ricorrente si pongono in violazione di leggi e regolamenti e un tanto anche senza considerare che, a mente dell'art. 16, comma 1, della l.r. 19/2009 non necessitano, tra le altre, di preventivo controllo tecnico-amministrativo unicamente le "opere di scavo e reinterro dirette all'esecuzione di interventi di manutenzione di condotte sotterranee lungo la viabilità esistente, nonché tutte le opere per il raccordo degli utenti alle reti dei servizi esistenti di gas, energia elettrica, telecomunicazioni, acquedotto e fognatura, ivi comprese le relative opere di scavo, posa delle condutture e reinterro" (lett. i), la "pavimentazione di aree pertinenziali degli edifici o unità immobiliari esistenti, anche destinate a parcheggio (...)" (lett. o) e le "recinzioni, muri di cinta o cancellate a chiusura di fondi privati, purché non ricadano in zona (...) B0 (...)" (lett. v), ipotesi che, con tutta evidenza, non ricorrono nel caso di specie, e che il comma 3 facoltizza addirittura, per la zona BO, una più stringente disciplina da parte degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali per la realizzazione degli interventi contemplati dalla norma.
Il ricorso va, pertanto, respinto.
Sussistono, in ogni caso, giusti motivi per compensare per intero tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.