Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 22 giugno 2023, n. 6155

Presidente: Chieppa - Estensore: Francola

FATTO

Con sentenza n. 458/2017, il Tribunale ordinario di Treviso, in funzione di giudice del lavoro, condannava il Ministero dell'istruzione a riconoscere l'anzianità di servizio pretesa dai ricorrenti, con conseguente collocamento degli stessi nel corrispondente livello stipendiale e corresponsione delle differenze retributive dovute dal 2 settembre 2009 per V., dal 12 luglio 2009 per D.R., dal 27 maggio 2009 per N. e dal 2 dicembre 2009 per O., in ragione del termine prescrizionale quinquennale precedentemente maturato.

Al riguardo occorre precisare che i ricorrenti non invocavano la disapplicazione dell'art. 489 d.lgs. n. 297/1994, né il giudice del lavoro la disponeva, limitandosi soltanto ad accertare la fondatezza del preteso diritto al riconoscimento del periodo di lavoro pre-ruolo sia ai fini economici che giuridici.

Il ricorso per ottemperanza in seguito proposto dai ricorrenti veniva accolto dal T.A.R. per il Veneto con sentenza n. 692/2018.

In seguito l'Amministrazione ricostruiva la carriera degli appellanti, disapplicando, a dire degli stessi, l'art. 489 d.lgs. n. 297/1994. Al riguardo veniva interpellato anche il nominato commissario ad acta, sin lì rimasto inerte, che concludeva nel senso di ritenere necessario, per la corretta esecuzione della sentenza in questione, il riconoscimento per intero ai fini giuridici e non solo economici dei servizi già valutati dalla P.A. in forza del combinato disposto degli artt. 489 l. n. 297/1994 e 11, comma 14, l. n. 123/1999. Pertanto, precisava il commissario ad acta, una volta accertato il diritto al pieno riconoscimento del servizio pre-ruolo svolto sia ai fini giuridici che economici, l'applicazione della sentenza di cui in oggetto richiederebbe semplicemente l'adeguamento del calcolo dell'anzianità di servizio, tenendo conto per intero ai fini giuridici di tutta l'anzianità relativa ai servizi pre-ruolo già riconosciuta nel decreto di ricostruzione della carriera.

Ma poiché, nonostante le contestazioni sollevate, il commissario ad acta non rivedeva i criteri di calcolo applicati dal Ministero, gli appellanti proponevano reclamo ai sensi dell'art. 114 c.p.a. che il T.A.R. per il Veneto, con la sentenza n. 1868/2022 pubblicata il 6 dicembre 2022 e non notificata da alcuna delle parti in causa, respingeva poiché, in assenza di criteri ben definiti dal giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, dovevano applicarsi i principi di diritto recentemente enunciati dalla Corte di cassazione secondo cui, in casi similari a quello in esame, non si applicherebbero né l'art. 485, né l'art. 489 d.lgs. n. 297/1994.

I ricorrenti proponevano appello, contestando la decisione di primo grado.

Il Ministero si costituiva con memoria di mera forma.

Alla camera di consiglio del 30 maggio 2023 il Consiglio di Stato, dopo avere udito il procuratore degli appellanti, tratteneva l'appello in decisione.

DIRITTO

La questione di diritto oggetto del giudizio riguarda l'interpretazione del giudicato civile formatosi sulla sentenza pronunciata dal Tribunale ordinario di Treviso e di cui gli appellanti domandano la corretta ed integrale ottemperanza, discutendosi, in particolare, in ordine all'applicabilità o meno dell'art. 489 d.lgs. n. 297/1994 ai fini del corretto computo, sul piano giuridico ed economico, dell'anzianità di servizio maturata nel periodo precedente all'immissione in ruolo.

Secondo il T.A.R. per il Veneto, nel silenzio della sentenza civile, dovrebbero applicarsi i principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione, con conseguente disapplicazione tanto dell'art. 485, quanto dell'art. 489 d.lgs. n. 297/1994.

Il Collegio non condivide siffatta conclusione.

L'art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. prevede l'ottemperanza delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario «al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda al caso deciso, al giudicato».

Pertanto, i momenti di cognizione ammessi nel giudizio di ottemperanza aventi ad oggetto le predette pronunce possono essere soltanto quelli strettamente consequenziali al giudicato o ad essi connessi: vale a dire, la domanda di interessi e rivalutazione maturati dopo il giudicato, la domanda dei danni consequenziali alla non esecuzione o impossibilità di esecuzione del giudicato, i chiarimenti sul giudicato.

Non sono invece concepibili momenti di cognizione autonomi, in relazione a sopravvenienze o lacune caratterizzanti il giudicato, perché diversamente opinando si altererebbero le regole sul riparto di giurisdizione e l'ottemperanza diventerebbe la sede per riconoscere al giudice amministrativo ambiti di cognizione riservati ad altre giurisdizioni (Cass., Sez. un., 19 dicembre 2011, n. 27277).

Il giudice amministrativo dell'ottemperanza, a fronte di statuizioni giudiziali rese dal giudice civile, in funzione del giudice del lavoro, deve, quindi, svolgere un'attività meramente esecutiva senza possibilità d'integrare la sentenza civile in quanto, ove gli si riconoscesse una cognitio piena, con possibilità di modificare ed integrare la sentenza del giudice ordinario, recupererebbe indebitamente il ceduto sindacato sul rapporto sottostante ove difetta di giurisdizione (C.d.S., Sez. V, 2 febbraio 2009, n. 561).

Tale principio si applica sia quando la condanna generica (o la declaratoria sulla sussistenza di un credito) sia stata disposta dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (in termini, C.d.S., Sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 880), sia - e a maggior ragione - quando essa sia stata disposta dal giudice civile del lavoro, che continua ad essere titolare della propria giurisdizione in ordine alle ulteriori questioni sostanziali ancora non decise (C.d.S., Sez. VI, 21 dicembre 2013, n. 6773).

Ne consegue, dunque, che mentre per l'esecuzione delle sentenze pronunciate dal giudice amministrativo è possibile in sede di ottemperanza colmare le eventuali lacune del giudicato e adottare statuizioni simili a quelle del giudizio di cognizione, un analogo potere integrativo non sussiste nel caso di ottemperanza di sentenze del giudice ordinario, non essendo il giudice amministrativo dell'esecuzione fornito di giurisdizione nella materia oggetto di giudicato. In questa ipotesi l'azione del giudice dell'ottemperanza si deve contenere nell'ambito di un'attività meramente esecutiva del disposto del giudice ordinario, che si pone come un limite particolarmente stringente. Non si può, quindi, in alcun modo, in sede di giudizio di ottemperanza, porre in essere quell'attività cognitoria di precisazione e integrazione del giudicato che spesso contraddistingue l'attività di esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo. Il giudizio di ottemperanza nel caso di sentenze del giudice ordinario trova, infatti, un preciso limite nel disposto della pronuncia azionata, non potendosene precisare il contenuto mediante ulteriore attività cognitoria, in termini analoghi a quelli delle pronunce del giudice amministrativo.

I richiamati principi di diritto impongono, dunque, un esame strettamente letterale della pronuncia del giudice del lavoro, non essendo possibili letture integrative, come quella, invece, sostenuta dall'adito T.A.R. in sede di ottemperanza.

Ed invero, nella sentenza del Tribunale di Treviso in questione si precisa soltanto che "ferma la ricostruzione di carriera operata dal Ministero in relazione al periodo precedente il 10.07.2001, a far data dalla medesima data (10.7.2001) va dunque accertato il diritto dei ricorrenti al riconoscimento integrale dell'anzianità maturata in tutti i servizi prestati ai fini della progressione professionale, secondo quanto previsto dalla legge e dal CCNL per il personale di ruolo, e dunque con riconoscimento del periodo lavorato pre-ruolo sia ai fini economici che giuridici".

L'affermazione della necessità di assicurare un riconoscimento "integrale", "secondo quanto previsto dalla legge" depone chiaramente per l'applicazione dell'art. 489 d.lgs. n. 297/1994, posto che, qualora il giudice civile in funzione di giudice del lavoro avesse inteso escluderne l'applicabilità, avrebbe dovuto espressamente precisarlo.

E poiché nella sentenza non vi è menzione alcuna in ordine alla possibile disapplicazione dell'art. 489 d.lgs. n. 297/1994, la predetta disposizione normativa deve integralmente applicarsi.

Il Collegio è consapevole che, secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte, "In tema di riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, il d.lgs. n. 297 del 1994, art. 485, deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dallo stesso decreto, art. 489, come integrato dalla l. n. 124 del 1999, art. 11, comma 14, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato; il giudice del merito, per accertare la sussistenza di tale discriminazione, dovrà comparare il trattamento riservato all'assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare, pertanto, le interruzioni fra un rapporto e l'altro, né applicare la regola dell'equivalenza fissata dal richiamato art. 489, e, in caso di disapplicazione, computare l'anzianità da riconoscere ad ogni effetto al docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per l'assunto a tempo indeterminato" (Cass. civ., Sez. VI, 9 febbraio 2021, n. 3180).

Tuttavia, la disapplicazione di una disposizione normativa, sia essa legislativa o regolamentare, deve sempre essere precisata ed espressamente affermata in sentenza, poiché, diversamente, il principio di efficacia delle norme impone l'applicazione delle stesse.

E poiché, nel caso in esame, nulla è precisato al riguardo, il giudice dell'ottemperanza non può che garantire la corretta e piena applicazione del giudicato civile nella sua interezza, assicurando l'applicazione di una norma primaria di cui non è stata espressamente esclusa l'applicabilità nella fattispecie.

Pertanto, l'appello è fondato e va accolto e, per l'effetto, la sentenza impugnata deve essere riformata, con onere per il nominato commissario ad acta di provvedere ai calcoli necessari, applicando i criteri di cui all'art. 489 d.lgs. n. 297/1994.

Le spese seguono la soccombenza e tenuto conto del valore della controversia e dell'attività difensiva espletata dai ricorrenti in entrambi i gradi di giudizio vanno liquidate nella somma di euro 4.000,00 oltre rimborso forfettario al 15,00%, C.P.A. ed I.V.A., come per legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, riforma la sentenza impugnata e ordina al nominato commissario ad acta di provvedere agli atti necessari alla corretta ottemperanza della sentenza del Tribunale di Treviso applicando i criteri di cui all'art. 489 d.lgs. n. 297/1994.

Condanna il Ministero resistente alla rifusione delle spese processuali sostenute dagli appellanti che liquida per il doppio grado di giudizio nella somma complessiva di euro 4.000,00 oltre rimborso forfettario al 15,00%, C.P.A. ed I.V.A., come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.