Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Brescia, Sezione I
Sentenza 21 agosto 2023, n. 675
Presidente: Gabbricci - Estensore: Limongelli
FATTO
1. Con ricorso notificato il 22 dicembre 2022 e ritualmente depositato, il ricorrente, cittadino del Burkina Faso, ha impugnato il provvedimento in data 3 ottobre 2022, notificatogli il 7 novembre successivo, con cui la Prefettura di Brescia - Sportello unico per l'immigrazione ha respinto l'istanza di emersione dal lavoro irregolare presentata in suo favore dal datore di lavoro connazionale sig. S. Boureima, ai sensi dell'art. 103, comma 1, d.l. 34/2020. Il provvedimento è stato adottato in espressa applicazione dell'art. 103, comma 9, d.l. 34/2020, alla luce del (secondo) parere negativo reso dall'Ispettorato territoriale del lavoro di Brescia in data 1° giugno 2022, sul rilievo che, in occasione di una precedente procedura di ingresso di altro lavoratore straniero attivata dal medesimo datore di lavoro nell'ambito del decreto flussi 2007, la procedura non si sarebbe conclusa per causa imputabile al predetto datore di lavoro, in quanto "risulta consegnato il permesso di soggiorno in data 5 febbraio 2009, ma non risulta l'assunzione da parte dell'odierno richiedente in banca dati".
1.1. Attraverso un unico motivo di ricorso, il ricorrente ha dedotto l'illegittimità del provvedimento impugnato per asserita violazione dell'art. 103, comma 9, d.l. 34/2020, contestando che la mancata assunzione del lavoratore straniero in occasione della pregressa procedura di ingresso potesse essere imputata al datore di lavoro; in particolare, secondo il ricorrente, il datore di lavoro, dopo avere correttamente espletato tutto l'iter amministrativo e avere ritirato, presso gli uffici della Prefettura di Brescia, il nulla-osta al lavoro subordinato, lo aveva immediatamente inviato al lavoratore il quale, dopo avere ottenuto il visto di ingresso, era effettivamente entrato in Italia e con il medesimo datore di lavoro si era presentato allo Sportello unico per l'immigrazione per sottoscrivere il contratto di soggiorno e ritirare il kit postale necessario alla richiesta di rilascio del permesso di soggiorno, salvo poi "sparire" il giorno successivo e non dare più notizie di sé.
1.2. Il ricorrente ha allegato al ricorso una dichiarazione del proprio datore di lavoro nella quale costui ripercorre i fatti accaduti in occasione della precedente procedura di ingresso, riferendo che dopo la sottoscrizione del contratto di soggiorno, egli si era accordato con il lavoratore per recarsi il giorno successivo presso un CAF per procedere alla regolarizzazione del rapporto di lavoro e, quindi, alla assunzione del lavoratore. Il giorno seguente, tuttavia, il lavoratore non si presentava e successivamente il deducente non riusciva a contattarlo neppure telefonicamente; da informazioni ricevute da parte di amici, veniva a sapere che il lavoratore si era trasferito a vivere a Treviso, avendo "usato" il sig. S. unicamente per fare ingresso legalmente in Italia.
1.3. Secondo il ricorrente, il proprio datore di lavoro non avrebbe avuto alcun interesse a non assumere il lavoratore dopo l'esito positivo della procedura di emersione, rischiando peraltro anche una denuncia per favoreggiamento dell'immigrazione.
1.4. Non sussisterebbe pertanto la ratio sottesa all'art. 103, comma 9, d.l. 34/2020 di impedire il "mercimonio" di assunzioni da parte di datori di lavoro "seriali" e senza scrupoli che "trafficano" collaboratori domestici agevolando la loro permanenza sul territorio nazionale e "favorendo" l'immigrazione clandestina. L'unico ad essersi comportato in modo scorretto sarebbe stato il lavoratore, e non certo il datore di lavoro.
2. Il Ministero dell'interno si è costituito in giudizio depositando relazione dello Sportello unico sui fatti di causa con la pertinente documentazione, resistendo al ricorso con atto di stile.
3. Con ordinanza n. 54 del 27 gennaio 2023, la Sezione ha respinto la domanda cautelare proposta dal ricorrente e condannato il medesimo alla rifusione delle spese della fase.
4. L'ordinanza è stata però riformata in appello dal Consiglio di Stato con ordinanza della Terza Sezione n. 1511 del 17 aprile 2023, con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, con la seguente motivazione: «considerato che, nell'ambito della cognizione sommaria propria della presente fase cautelare e fermo restando l'adeguato esame in sede di merito dei motivi di ricorso da parte del Tar, le censure dedotte dalla parte appellante presentano profili di sufficiente fondatezza con riguardo alla contestata imputabilità al datore di lavoro della responsabilità della mancata regolarizzazione di altro lavoratore nell'ambito della procedura "Flussi 2007"; ritenuto sussistente il requisito del periculum in mora; ritenuto che le spese della fase cautelare di primo e secondo grado possano essere compensate tra le parti».
5. In prossimità dell'udienza di merito, nessuna delle parti ha integrato la propria documentazione e le proprie difese.
6. All'udienza pubblica del 12 luglio 2023, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato e debba essere respinto, anche all'esito dell'approfondimento valutativo autorevolmente sollecitato dal giudice di appello.
1. Giova premettere che l'art. 103, comma 9, del d.l. n. 34/2020, applicato dall'Amministrazione con il provvedimento impugnato, prevede che "Costituisce altresì causa di rigetto delle istanze di cui ai commi 1 e 2, limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro, la mancata sottoscrizione, da parte del datore di lavoro, del contratto di soggiorno presso lo sportello unico per l'immigrazione ovvero la successiva mancata assunzione del lavoratore straniero, salvo cause di forza maggiore non imputabili al datore medesimo, comunque intervenute a seguito dell'espletamento di procedure di ingresso di cittadini stranieri per motivi di lavoro subordinato ovvero di procedure di emersione dal lavoro irregolare".
1.1. La norma, in disparte la non agevole intellegibilità dell'inciso "limitatamente ai casi di conversione del permesso di soggiorno in motivi di lavoro", sembra configurare quale causa di rigetto dell'istanza di emersione, non la semplice circostanza che una pregressa procedura di ingresso o di emersione attivata dal medesimo datore di lavoro non sia andata a buon fine per qualsivoglia motivo riferibile alla persona o alla condotta del datore di lavoro, quanto piuttosto la circostanza che, nonostante la pratica fosse andata a buon fine con il positivo riscontro della sussistenza dei requisiti di legge per l'ingresso o per l'emersione e la convocazione delle parti per la sottoscrizione del contratto di soggiorno, quest'ultima non abbia avuto luogo per causa imputabile al datore di lavoro, oppure abbia avuto luogo ma ad essa non abbia poi fatto seguito l'effettiva assunzione del lavoratore.
1.2. In sostanza, la norma non sembra sanzionare con il rigetto della nuova istanza di emersione la mera circostanza che una precedente pratica di ingresso o di emersione attivata dal medesimo datore di lavoro sia stata rigettata per l'assenza dei requisiti di legge in capo al medesimo, quanto la circostanza di non aver coltivato colpevolmente, attraverso la sottoscrizione del contratto di soggiorno o l'assunzione del lavoratore, un'istanza già valutata favorevolmente dagli Uffici in sede istruttoria, in tal modo determinando un inutile dispendio di attività amministrativa e palesando, in definitiva, la strumentalità dell'istanza o, comunque, l'inaffidabilità del richiedente.
2. Nel caso di specie, è pacifico che, in occasione della pregressa procedura di ingresso di lavoratore straniero in base al decreto flussi 2007, sebbene la procedura si fosse conclusa favorevolmente con la sottoscrizione del contratto di soggiorno e il rilascio al lavoratore straniero del permesso di soggiorno, il datore di lavoro non abbia proceduto alla effettiva assunzione del lavoratore.
3. In tale contesto ritiene il Collegio che, nell'ambito della procedura di emersione per cui è causa, sarebbe stato onere del medesimo datore di lavoro richiedente dimostrare le ragioni per le quali quella precedente procedura di ingresso non si era conclusa con l'assunzione del lavoratore. A tal fine, nel presente giudizio il ricorrente ha allegato - come detto - una dichiarazione del datore di lavoro dove si riferiscono circostanze del tutto non documentate e, peraltro, mai portate a conoscenza dell'Amministrazione in concomitanza al loro verificarsi, al fine di consentire a quest'ultima di assumere i provvedimenti conseguenti di autotutela.
4. Come giustamente eccepito dall'Amministrazione resistente nella propria relazione sui fatti di causa, "Nel caso di specie, occorre sottolineare che l'obbligo di comunicazione dell'allontanamento del lavoratore era in capo al datore di lavoro. Prendendo coscienza della mancata assunzione del lavoratore, difatti, questo Ufficio avrebbe provveduto a prendere i necessari provvedimenti. Tacendo, il datore di lavoro ha consentito ad un soggetto irregolare di ottenere un permesso di soggiorno che, diversamente, non avrebbe ottenuto". L'Amministrazione sottolinea che "la positiva conclusione della procedura flussi 2007 era subordinata all'assunzione del lavoratore, a seguito di sottoscrizione del contratto di soggiorno. Fino a quel momento, pertanto, il datore di lavoro risultava ancora soggetto a tutti gli obblighi previsti dalla normativa e la comunicazione dell'allontanamento del lavoratore, oltre che a rivestire rilevanza per questo Ufficio, avrebbe giovato anche all'interesse dello stesso datore di lavoro, che avrebbe potuto così estraniarsi dalla vicenda".
5. Il Collegio ritiene le valutazioni dell'Amministrazione del tutto condivisibili.
Il datore di lavoro, a fronte dell'asserita impossibilità di assumere il lavoratore a causa dell'improvvisa "sparizione" del medesimo, avrebbe dovuto informarne tempestivamente lo Sportello unico per consentire a quest'ultimo di assumere, di concerto con la competente Questura, gli opportuni provvedimenti di autotutela. Non avendolo fatto, egli ha consentito ad uno straniero di permanere sul territorio italiano in virtù di un titolo di soggiorno conseguito, all'insaputa dell'Amministrazione (ma nella consapevolezza del datore di lavoro), in assenza dei presupposti di legge.
6. Appaiono quindi ragionevoli le considerazioni svolte nel provvedimento impugnato in ordine all'imputabilità al datore di lavoro dell'esito negativo della pregressa procedura di ingresso del lavoratore straniero, conclusasi con il rilascio al lavoratore del permesso di soggiorno ma non con la conseguente assunzione del medesimo. Che tale mancata assunzione sia dipesa dall'improvvisa sparizione del lavoratore è circostanza che nel presente giudizio è rimasta affidata alle mere dichiarazioni del datore di lavoro, prive di qualsivoglia riscontro documentale, mentre appare rilevante, ai fini della imputabilità al datore di lavoro della mancata assunzione, che quest'ultimo non ne abbia informato le Autorità competenti, suscitando peraltro dubbi consistenti circa la strumentalità dell'intera operazione.
7. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
8. Quanto alla regolazione delle spese di lite, va osservato che in corso di causa il ricorrente ha chiesto l'ammissione al gratuito patrocinio.
8.1. Con decreto n. 6 del 24 gennaio 2023, la competente Commissione ha dichiarato l'istanza "inammissibile", sul rilievo che "non risulta che il ricorrente abbia effettuato quanto possibile per dimostrare l'impossidenza di redditi all'estero; invero, dal momento della presentazione della richiesta al Consolato del Burkina Faso per ottenere il rilascio del certificato di impossidenza di redditi all'estero ad oggi, non risulta presentato alcun sollecito".
8.2. Il ricorrente ha depositato in data 24 gennaio 2023 reclamo al Collegio avverso tale decisione, evidenziando:
- che, in base alla normativa applicabile, non sussisterebbe alcun obbligo del richiedente di inviare alla rappresentanza diplomatica competente, «dopo un primo interpello "tracciabile" (invio effettuato a mezzo PEC in data 21 dicembre 2022), anche una serie di "solleciti"»;
- che, in ogni caso, dopo la pubblicazione del decreto della Commissione, il proprio difensore ha inviato nuovamente, con pec del 24 gennaio 2023, una nuova richiesta all'Ambasciata del Burkina Faso di Roma di rilascio dell'attestazione in parola (doc. 2).
8.3. Successivamente, in data 17 febbraio 2023, il ricorrente ha depositato la risposta dell'Ambasciata del Burkina Faso di Roma, pervenuta con nota del 27 gennaio 2023, dove si dichiara che il ricorrente "non possiede alcun bene mobile o immobile, né altri mezzi finanziari o fonti di reddito in Burkina Faso", "e non ha mai percepito alcuna forma di sussidio in Burkina Faso".
8.4. Alla luce di quanto dedotto e documentato dalla parte ricorrente, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per l'ammissione del medesimo al patrocinio a spese dello Stato, sia in ordine ai requisiti reddituali (già in parte accertati dalla competente Commissione e successivamente integrati in corso di causa nelle parti ritenute deficitarie), sia ordine alla non manifesta infondatezza della domanda, tenuto conto che, nonostante la presente decisione di rigetto del ricorso, lo stesso non è stato definito dalla Sezione con sentenza in forma semplificata ed è stato oggetto di diverse valutazioni da parte del giudice di appello nella fase cautelare.
8.5. Essendo la parte ricorrente ammessa al patrocinio a spese dello Stato, con separato provvedimento presidenziale saranno liquidate le spese spettanti al suo difensore; le spese di lite con l'Amministrazione resistente vanno compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Ammette la parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, rimettendo a successivo decreto presidenziale la liquidazione del compenso spettante al suo difensore.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.