Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 8 agosto 2023, n. 7690
Presidente: Chieppa - Estensore: Sestini
FATTO E DIRITTO
1. La sig.ra D.V. Clementina è titolare delle concessioni demaniali marittime n. 13, n. 14 e n. 15 dell'anno 2008, nonché di autorizzazione demaniale n. 5 del 2010 per l'esercizio di attività d'impresa all'interno del complesso turistico-balneare denominato "Lido delle Sirene", sito in via Domitiana al Km. 39,300 presso Castel Volturno.
2. In data 16 febbraio 2012 otteneva permesso di costruire n. 23 del 16 febbraio 2012 per la realizzazione di lavori di "ammodernamento e riqualificazione del complesso balneare Lido delle Sirene" sito in località Ischitella e in data 20 aprile 2016 otteneva la sua proroga. Inoltre in data 27 maggio 2014, con nota prot. n. 27118 inoltrava al Comune di Castel Volturno S.C.I.A. per la realizzazione di opere in variante al permesso di costruire.
3. In data 4 luglio 2018 veniva redatto dai tecnici incaricati dal Comune di Castel Volturno verbale di sopralluogo prot. n. 33767, con il quale riscontravano molteplici difformità rispetto al permesso di costruire n. 23 del 2012, consistenti in modifiche prospettiche, incrementi volumetrici, mancate demolizioni, "ritenendo erroneamente l'interessata di aver assolto ad ogni obbligo di legge con la presentazione della S.C.I.A. Edilizia prot. gen. 27118 del 27 maggio 2014, priva del successivo e necessario parere favorevole della Soprintendenza per i BB.AA. di Caserta".
4. Pertanto in data 26 luglio 2018 il Comune di Castel Volturno notificava alla sig.ra D.V. Clementina l'ordinanza di demolizione n. 79 del 6 luglio 2018, e ingiungeva la "messa in pristino dello stato preesistente dei luoghi, comunque in conformità ai contenuti di cui ai grafici di progetto allegati al Permesso di Costruire", considerato che "in zona sottoposta a vincolo paesistico ambientale non è ammessa mai la sanatoria paesaggistica, soprattutto nei casi di avvenuta costituzione di volumetrie aggiuntive e/o situazioni diverse tali da non poter essere ricomprese tra quelle previste dall'art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, come per il caso di specie, situazione ampiamente deducibile dalla relazione di servizio prot. gen. 33767 del 4 luglio 2018 sottoscritta dai Tecnici Comunali all'uopo incaricati dal Comune".
5. Avverso l'ordinanza n. 79 del 6 luglio 2018 e la relazione di servizio prot. gen. n. 33767 del 4 luglio 2018, la sig.ra D.V. Clementina proponeva ricorso al TAR, deducendo plurimi motivi di censura riguardanti:
a) la violazione dell'art. 167, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004, atteso che l'intervento oggetto di SCIA avrebbe riguardato "lievi modifiche ed una rimodulazione degli ambienti rispetto al titolo originario, lievi variazioni per le parti non ancora realizzate inserite nella struttura principale... modifiche marginali e di dettaglio rispetto al titolo originario, senza alcuna rilevanza paesaggistica, non riguardando variazioni esteriori essenziali e quindi rientranti nella casistica di cui all'art. 22, comma 2, del d.P.R. 380/2001 e s.m.i. sotto il profilo edilizio e dell'art. 1 del Decreto del Presidente della repubblica 9 luglio 2010, n. 139, applicabile ratione temporis", così come da disciplina sopravvenuta, contenuta nell'art. 2 del d.P.R. n. 31 del 2017;
b) l'assenza di motivazione in ordine alle opere oggetto di SCIA per le quali sarebbe asseritamente richiesto un nuovo parere favorevole secondo le procedure dettate dall'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, in considerazione della mancata "indicazione dei parametri di riferimento in forza dei quali è stata operata la predetta valutazione di necessità di sottoposizione a nuova autorizzazione paesaggistica";
c) la violazione dell'art. 19, commi 3 e 4, della l. n. 241 del 1990, nella parte in cui si prevede l'obbligo per l'Amministrazione competente di adottare, nel caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti per la presentazione della SCIA e nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento della suddetta segnalazione, provvedimenti motivati con i quali vieta all'interessato di proseguire nell'attività già iniziata e contestualmente gli impone di rimuovere gli eventuali effetti dannosi che da essa sono derivati, di modo che al decorso del termine perentorio di sessanta giorni, l'Amministrazione può intervenire (comma 4) solo in presenza di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e comunque previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare gli interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente;
d) la violazione dell'art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, degli artt. 19 e 19-bis della l. 241 del 1990, degli artt. 146 e 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, atteso che secondo l'appellante il Comune di Castel Volturno avrebbe dovuto d'ufficio avviare il procedimento teso al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica sulla SCIA in variante;
e) la contraddittorietà rispetto al provvedimento prot. n. 22121 del 2016 (di proroga al permesso di costruire n. 23 del 2012) nel quale non era stata rilevata nessuna illegittimità nell'attività svolta dalla ricorrente;
f) la violazione del legittimo affidamento della ricorrente, per essere trascorsi al momento dell'adozione del provvedimento impugnato quattro anni dalla presentazione della SCIA e due anni dalla concessione della proroga e dopo la ultimazione dei lavori, nel pieno della stagione balneare;
g) la violazione dell'art. 7 della l. 241 del 1990, per la mancata comunicazione dell'avvio del procedimento.
6. Si costituiva in giudizio il Comune di Castel Volturno, chiedendo il rigetto del ricorso e della richiesta di sospensione cautelare per mancanza del fumus boni iuris e del periculum in mora.
7. Con ordinanza n. 5488 del 13 settembre 2018 il TAR disponeva una verificazione, ai sensi dell'art. 66 del codice del processo amministrativo "per accertare la reale consistenza delle opere contestate rispetto ai titoli abilitativi rilasciati alla ricorrente". Con successiva ordinanza n. 522 del 28 marzo del 2019, il TAR respingeva l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
8. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima) con l'appellata sentenza n. 5461/2021 respingeva infine il ricorso, condannando la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore del Comune di Castel Volturno nella misura di euro 2.500,00. Poneva, inoltre, a carico della parte ricorrente il compenso del verificatore,
9. Con atto di appello notificato in data 28 febbraio 2022, la sig.ra D.V. Clementina impugnava la predetta sentenza deducendo, sotto vari profili, i seguenti motivi di censura: "Error in iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione dell'art. 146 del d.lgs. n. 42/2004. Violazione dell'art. 10 del d.P.R. n. 380/2001. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere giurisdizionale".
10. Il Comune di Castel Volturno si costituiva per chiedere l'integrale rigetto dell'appello, rilevando che lo stabilimento balneare è stato dichiarato, con decreto ministeriale del 19 maggio 1965, di notevole interesse pubblico ai sensi della l. 29 giugno 1939, n. 1497 sulla protezione delle bellezze naturali e ricade, altresì, nell'area di rispetto di 300 metri della linea di battigia costiera del mare tutelata ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. a), del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004). A tale riguardo, riferisce il Comune resistente che dalla disposta verificazione emerge che le demolizioni previste nel progetto del p.d.c. non più eseguite, le opere di tamponatura laterale delle tettoie e la trasformazione di una parte di tettoia in un organismo edilizio autonomo avrebbero contribuito a determinare una variazione della volumetria edilizia e attribuito una diversa caratterizzazione funzionale ai manufatti originari.
11. In primo luogo, rileva il Collegio che l'appellante, dopo aver ottenuto nel 2012 un regolare permesso di costruzione poi prorogato nel 2016, ha presentato una S.C.I.A. per varianti in corso di realizzazione nel 2014, e che l'ordinanza impugnata di demolizione del 2018 si fonda sull'unico presupposto che talune delle opere effettuate e non previste dal permesso di costruire non erano assentibili con S.C.I.A. e richiedevano il parere favorevole della Soprintendenza per i BB.AA. di Caserta.
12. Tuttavia l'Amministrazione non è tempestivamente intervenuta in autotutela come previsto dall'art. 19 della citata l. n. 241 del 1990, né ha interpellato la competente Soprintendenza, e neppure ha individuato le eventuali opere difformi dalla S.C.I.A. presentata (neppure rilevate in sede di proroga del permesso di costruire), né ha individuato gli eventuali specifici profili di rilevanza paesaggistica tali da giustificare l'impugnato intervento in autotutela.
La verificazione disposta in primo grado ha accertato la necessità di ottenere un permesso di costruire per le opere realizzate, ma non ha affrontato la questione giuridica degli effetti della presentazione di una S.C.I.A. e delle modalità con cui l'Amministrazione sarebbe potuta intervenire (la verificazione, peraltro, si pone in parziale contrasto con una verificazione disposta in altro giudizio tra le stesse parti, utilizzabile nel giudizio di appello ai sensi dell'art. 104, comma 2, c.p.a.).
Risultano pertanto fondate le censure relative alla condivisione acritica del contenuto della relazione del verificatore e alla violazione dell'affidamento del privato sugli effetti della presentazione della S.C.I.A., che l'Amministrazione avrebbe potuto mettere in discussione non con la diretta adozione di provvedimenti repressivi del presunto abuso, come avvenuto nel caso di specie, ma con il necessario e preliminare esercizio dei poteri di autotutela (cfr. C.d.S., VI, n. 3044/2016; II, n. 782/2022). Un ordine diretto di ripristino avrebbe potuto riguardare unicamente le opere difformi anche rispetto alla S.C.I.A. presentata, ma nel provvedimento impugnato manca un riferimento a tale profilo.
13. Parimenti, fondata è la censura della violazione dell'art. 7 della l. n. 241/1990, applicabile anche in presenza di attività vincolata, in quanto la partecipazione al procedimento del privato avrebbe consentito allo stesso di rappresentare quanto poi dedotto con il ricorso e il contenuto del provvedimento sarebbe stato diverso da quello in concreto adottato.
Per completezza, si ricorda che l'art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990 non esonera l'Amministrazione dal consentire la partecipazione del privato al procedimento, ma comporta solo la possibilità che, nonostante la violazione dell'art. 7 della l. n. 241/1990, il provvedimento non sia annullato se il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (fattispecie che non ricorre nel caso in esame).
14. L'appello risulta pertanto fondato in relazione alle precedenti considerazioni e deve essere accolto nei sensi e nei limiti sopraindicati, discendendone per l'effetto l'accoglimento, in riforma dell'appellata sentenza, del ricorso di primo grado, con il conseguente annullamento degli atti impugnati salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione.
15. La complessità e la non univocità delle questioni controverse giustificano infine la compensazione fra le parti delle spese del doppio grado di giudizio, comprese quelle relative alla disposta verificazione, il cui costo va ripartito in parti uguali tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti ivi impugnati.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.