Consiglio di Stato
Sezione VII
Sentenza 21 agosto 2023, n. 7882

Presidente: Contessa - Estensore: Zeuli

FATTO E DIRITTO

1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante ha domandato l'annullamento del provvedimento del 26 febbraio 2016 prot. 1619 recante convalida, ex art. 21-nonies l. 241/1990, dell'ordinanza di demolizione d'ufficio, disposta con atto sindacale prot. 6648/2012 del 26 settembre 2012 e degli atti connessi, conseguenti e presupposti relativamente ad abusi commessi dal sig. R., su fondo in sua proprietà.

Avverso la decisione sono sollevati i seguenti motivi di appello, così rubricati:

A) Sulla nullità della sentenza di primo grado per difetto del contradditorio.

Violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a. in combinato disposto con l'art. 105, comma 1, c.p.a. - Violazione degli artt. 24, 103 e 111 Cost. e art. 6 Cedu - Violazione del diritto di difesa, del principio del contradditorio e del principio di effettività della tutela giurisdizionale - Violazione del diritto al doppio grado - Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato - Violazione del principio c.d. iura novit curia - Erronea, arbitraria e abnorme applicazione del potere giudiziale di riqualificazione giuridica dell'atto impugnato - Difetto di motivazione - Motivazione apparente.

B) In subordine: sulla riforma della sentenza di primo grado per erroneità della riqualificazione dell'atto impugnato.

Violazione degli artt. 24 e 103 Cost. - Erronea, arbitraria e abnorme applicazione del potere giudiziale di riqualificazione giuridica dell'atto impugnato - Difetto di motivazione - Motivazione apparente - Difetto dei presupposti - Errore di fatto.

Violazione dell'art. 132 c.p.c. in combinato disposto con l'art. 39 c.p.a. - Difetto di motivazione - Error in iudicando per errato inquadramento della fattispecie - Difetto dei presupposti - Contraddittorietà e perplessità - Irragionevolezza e ingiustizia manifesta.

La parte ha infine riproposto i motivi già sollevati a supporto del ricorso di primo grado.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Giussago, in provincia di Pavia, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

In via gradata, la parte appellata sollevava appello incidentale relativamente alla parte di sentenza nella quale il giudice di prime cure aveva riqualificato il provvedimento impugnato quale rinnovazione dell'esercizio del potere, invece che convalida, secondo la dicitura da esso riportata nell'intestazione.

3. Ai fini di una piena comprensione dei fatti di causa, va in premessa ricostruita la vicenda giuridico-amministrativa di cui alla controversia.

Il contenzioso di cui al processo inizia con l'ordinanza n. 81 del 2008 con cui il Comune di Giussago diffidava il sig. Giannantonio R. a demolire opere abusive realizzate sul fondo identificato al fg. 6, mappale 782, del catasto terreni, su di un'area in proprietà della parte appellante, ammonendolo che, in caso di mancata acquisizione, avrebbe acquisito l'area al patrimonio comunale.

Con il successivo provvedimento n. 91 del 2008, l'ente locale emetteva analogo provvedimento nei confronti della proprietaria, odierna parte appellante, ritenendola responsabile in solido per la demolizione.

Entrambe le ordinanze venivano impugnate innanzi al T.A.R. anche dalla parte appellante, oltre che, per quanto concerne la prima dal prefato R., il cui ricorso era rigettato.

Il ricorso proposto dalla parte appellante avverso il secondo provvedimento veniva invece accolto dal T.A.R. Lombardia, sede di Milano, limitatamente alla parte in cui il provvedimento n. 81 del 2008 (quello n. 91 veniva ritenuto dal T.A.R. una semplice ripetizione del primo, non avente efficacia costitutiva) aveva previsto l'acquisizione dell'area di sedime al patrimonio comunale, in caso di inottemperanza.

Nelle more, considerato che la parte relativa alla diffida a demolire non era stata toccata dalla pronuncia giurisdizionale, l'Amministrazione concludeva il procedimento per l'accertamento dell'inottemperanza, conclusosi con il provvedimento n. 6648 del 2012 con cui disponeva la demolizione d'ufficio delle opere.

Anche quest'ultimo provvedimento veniva impugnato dalla parte appellante, che contestava il vizio di incompetenza del Sindaco ad adottare l'atto impugnato, oltre che, nel merito, l'addebito dei costi per la demolizione, che le era stato - a suo dire - impropriamente posto a carico, sebbene in solido con il responsabile degli abusi.

Dopo la presentazione del ricorso, l'ente locale, riscontrando la sussistenza del denunciato vizio di incompetenza in capo al Sindaco, emetteva un nuovo provvedimento, quello n. 2115/2013 col quale disponeva la convalida della precedente ordinanza n. 6648 del 2012.

Questo provvedimento era impugnato con motivi aggiunti dalla parte appellante dinanzi al T.A.R. Milano che, avendo riscontrato il difetto di partecipazione al procedimento della società appellante, disponeva l'annullamento dell'ordinanza n. 6648 del 2012, nonché della successiva ordinanza di convalida, seppure limitatamente alla parte in cui condannavano la ricorrente a pagare le spese di demolizione, congiuntamente al sig. R.

In attuazione di questa sentenza, il Comune avviava un nuovo procedimento, di cui dava comunicazione anche alla parte appellante, instaurando con essa il contraddittorio procedimentale, al fine di porre rimedio al vizio riscontrato in sentenza.

Alla fine del procedimento la parte appellata emetteva il provvedimento di convalida dell'ordinanza n. 6648/2012, provv. prot. 1619/2016 che è oggetto del ricorso ricordato in premessa, respinto dalla sentenza impugnata che, dopo aver riqualificato quale nuovo esercizio del potere la convalida impugnata, ha ritenuto che la società appellante, in quanto nella disponibilità dell'opera abusiva, fosse tenuta a provvedere al ripristino dello status quo ante nel caso in cui il responsabile dell'abuso resti inerte.

4. Tanto premesso, il primo motivo d'appello contesta alla sentenza impugnata di avere indebitamente riqualificato il provvedimento prot. 1619/2016 emesso dal Comune di Giussago, da atto di convalida a atto di rinnovazione dell'esercizio del potere.

In sostanza, il giudice avrebbe erroneamente reinterpretato, secondo la parte appellante, la volontà dell'amministrazione, ritenendo impropriamente tuttora sussistente il potere di porre a carico della parte appellante le spese di demolizione.

A parte l'improprietà di simile riqualificazione, che avrebbe arbitrariamente inciso su quella che era stata data all'atto dal suo autore, la parte appellante sottolinea il vulnus che questa re-interpretazione, peraltro non preceduta dall'avviso ex art. 73, comma 3, c.p.a. avrebbe recato alle sue prerogative defensionali, facendola trovare di fronte ad un nuovo fatto giuridico, che non era prevedibile al momento in cui ebbe a rassegnare le sue conclusioni in primo grado.

4.1. Il secondo motivo di appello sottolinea che, nel caso di specie, la ridetta qualificazione sarebbe stata vieppiù interdetta al giudice amministrativo, perché i due poteri esercitati, quello in autotutela, secondo l'originaria qualificazione e quello di amministrazione attiva, secondo la riattribuzione del giudice, sarebbero del tutto diversi, basati su presupposti diversi. Questo avrebbe comportato la configurazione di un inedito potere di rinnovazione dell'atto da parte dell'amministrazione, che quest'ultima non aveva inteso esercitare.

4.2. Il terzo motivo di appello censura, poi, nel merito la detta riqualificazione, ritenendo che tutto il procedimento che aveva preceduto l'atto impugnato, aveva avuto ad oggetto una convalida, che ha, come detto, un contenuto decisamente differente da quello di rinnovazione di un procedimento annullato, che è quello per come ridefinito dal giudice di primo grado e che anche questo avrebbe "spiazzato" le prerogative procedimentali ed il diritto a contro-dedurre della parte appellante.

5. I tre motivi, che attesa la loro omogeneità, possono essere congiuntamente trattati, sono infondati.

5.1. Innanzitutto, si osserva, al giudice è sempre consentito riqualificare il provvedimento, ri-attribuendo un diverso nomen iuris rispetto a quello prescelto dall'autorità procedente.

Se così non fosse, finanche un mero errore materiale commesso dall'amministrazione nell'intestazione del provvedimento, impedirebbe al giudice amministrativo di avere una completa cognizione dell'oggetto del processo, in contrasto con quanto previsto sia dall'art. 1 del c.p.a. che, indirettamente, dallo stesso art. 21-octies, comma 2, della l. 241 del 1990.

Nel caso di specie, poi, essendo stato emesso un precedente provvedimento, viziato per incompetenza, ritiene il Collegio che, indifferentemente l'amministrazione avrebbe potuto ricorrere ai poteri di autotutela, in funzione sanante, ponendo rimedio alla rilevata incompetenza, come pure alla riedizione dell'esercizio di un nuovo potere.

Per questa seconda possibilità - come correttamente rilevato dal giudice di prime cure - sussistevano ancora i presupposti dal momento che l'abuso non era stato rimosso, e, trattandosi di illecito permanente, era dunque intatto il potere dell'amministrazione di provvedere in merito, anche con riferimento all'addebito delle spese a carico del proprietario dell'area.

5.2. Del resto, in nulla si sarebbero modificati gli effetti dei relativi atti, a prescindere dal nomen iuris utilizzato, perché l'originario provvedimento con cui l'amministrazione aveva addebitato le spese alla parte appellante era stato annullato, con effetti ex tunc. A tutto voler concedere pertanto, il debito gravante sulla parte, sia se il provvedimento fosse stato qualificato, seguendo l'opzione dell'amministrazione, quale convalida, sia se fosse stato da interpretare quale nuovo provvedimento, sarebbe rimasto debito "di valuta" e giammai sarebbe divenuto debito di valore, dunque la differente qualificazione non ha concretamente inciso sulle pretese patrimoniali della parte, ferma la dovutezza dell'addebito delle spese alla stessa, in quanto proprietaria dell'area dove sono stati realizzati gli abusi.

5.3. Quanto alla contestazione del non avere il giudice di prime cure notiziato le parti del processo della sussistenza di una questione rilevabile d'ufficio che avrebbe potuto essere posta a fondamento della sua decisione si osserva che "La riqualificazione d'ufficio del provvedimento gravato non può essere considerata una «una questione rilevata d'ufficio», in relazione alla quale occorre dare avviso alle parti ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., ma costituisce una legittima deduzione del giudice avvenuta sulla base della semplice interpretazione testuale del provvedimento impugnato ed alla luce di tutte le argomentazioni delle parti; ed invero, il dovere del giudice amministrativo, di cui all'art. 73, comma 3, c.p.a., non tutela un inesistente diritto delle parti di essere previamente informate su come egli valuterà, in termini di qualificazione giuridica, i fatti portati alla sua attenzione, ma costituisce un meccanismo di garanzia del contraddittorio diretto ad evitare pronunce su profili che esplicano una influenza decisiva sul giudizio quali, ad esempio, la perenzione del giudizio; in ogni caso tale dovere non può essere invocato per ogni e qualsiasi valutazione, che il giudice compia sugli atti e scritti di causa posti in essere nell'esercizio del suo potere di valutazione della causa" (C.d.S., Sez. III, 22 novembre 2021, n. 7828; 15 gennaio 2018, n. 165; Sez. IV, 7 luglio 2015, n. 3364).

6. Il quarto motivo di appello riproponendo, in modo cumulativo i motivi già proposti in primo grado, contesta innanzitutto la violazione dell'art. 21-nonies l. 241 del 1990.

Sotto questo profilo la parte appellante sostiene che l'annullamento disposto con sentenza 1071/2015 del provvedimento 6648/2012, avrebbe travolto l'intera statuizione, comprensiva dell'originaria ordinanza demolitoria, anch'essa annullata perché anch'essa emessa dal Sindaco in violazione del principio di cui all'art. 107 t.u.e.l.

In connessione con questo motivo, è contestata anche la violazione dell'art. 21-septies della l. 241/1990 al provvedimento impugnato che, viceversa, ha ritenuto che solo la parte relativa alle spese di demolizione sia stata incisa dall'annullamento disposto dal T.A.R.

A voler diversamente opinare, secondo la parte ci si troverebbe di fronte ad un secondo atto che ha solo integrato il primo, ma che sarebbe irrimediabilmente in contrasto col giudicato di cui alla citata sentenza 1071 del 2015.

In parte qua, or dunque, il provvedimento impugnato sarebbe irrimediabilmente viziato.

6.1. Il primo ed il secondo sub-motivo al quarto motivo d'appello, come appena descritti, possono essere trattati congiuntamente perché affrontano, come si vede, profili omogenei. Essi sono, ciò nondimeno, infondati.

Entrambe le doglianze omettono infatti di considerare che la sentenza del T.A.R. Lombardia n. 2109 del 2011, che si è pronunciata sul ricorso n. 2068 del 2008 proposto dalla parte appellante, ha annullato la diffida a demolire per la sola parte relativa alla prevista acquisizione in danno del proprietario incolpevole, ma non ha inciso sull'ordinanza di demolizione n. 81 del 2008, né tanto meno su quella n. 91 del 2008, entrambe gravate dalla società appellante col ricorso conclusosi con la citata sentenza 2109.

Or bene, anche a voler ritenere che l'ordinanza n. 91/2008 fosse la mera riedizione di quella n. 81/2008, ciò non toglie che l'ordine demolitorio di che trattasi è divenuto inoppugnabile all'esito del passaggio in giudicato della sentenza 2109 citata.

Questo significa che, diversamente da quanto opinato dalla parte, giammai la sentenza n. 1071 del 2015 - che ha accolto il motivo di incompetenza per violazione dell'art. 107, comma 3, lett. g), del d.lgs. 267 del 2000 - avrebbe potuto travolgere anche l'originario ordine di demolizione; dunque quel provvedimento giurisdizionale era necessariamente riferibile, come correttamente ritenuto dal provvedimento impugnato, alla sola parte dell'ordinanza di demolizione n. 6648/2012 ed al provvedimento di convalida n. 2115/2013, relativa alle spese sostenute per la demolizione poste a carico della parte appellante, in solido con l'autore dell'abuso.

Il che dequota le doglianze in esame.

7. Il terzo sub-motivo al quarto motivo di appello contesta la violazione del termine ragionevole di cui all'art. 21-nonies della l. 241 del 1990, essendo l'atto impugnato, emesso in data 26 febbraio 2016, intervenuto ad una considerevole distanza di tempo rispetto all'atto convalidato, emesso il 26 settembre del 2012.

Il motivo è infondato innanzitutto perché, come si è visto, è sostanzialmente indifferente qualificare il potere esercitato nell'occorso dall'amministrazione, perché esistevano i presupposti sia per l'autotutela che per la rinnovazione dell'esercizio del potere. E, in questo secondo caso, non avrebbe senso sostenere vi sia stata una violazione del termine ragionevole per provvedere.

In secondo luogo, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017 ha precisato che la doverosità nell'applicazione della sanzione esonera l'amministrazione da uno specifico onere motivazionale, persino quando sia intercorso un notevole lasso di tempo tra la realizzazione dell'illecito e l'ordine di demolizione. Circostanza che, nel caso di specie, comunque non ricorre, atteso che le prime ordinanze, come visto, risalgono al 2008 e sono state annullate nei confronti della sola parte appellante, e nelle parti del contenuto di dettaglio.

8. Il quarto sub-motivo al quarto motivo di appello denuncia l'incongruenza dell'atto impugnato che pretende di addebitare l'inottemperanza all'ordine di demolizione, accertata solo a carico del soggetto responsabile, al proprietario dell'area, malgrado costui non fosse stato legittimamente diffidato, e nonostante fosse scaduto il termine di novanta giorni, di cui ai commi 3 e 5 dell'art. 31 del t.u. edilizia.

Quest'ultimo fatto giuridico, secondo la parte, avendo fatto acquisire il bene al patrimonio comunale, renderebbe irrilevante l'inottemperanza contestata al proprietario non responsabile.

8.1. Il motivo è infondato.

Come detto, infatti, le ordinanze di demolizione n. 81 e n. 91 del 2008 erano divenute inoppugnabili ed erano ben note alla parte appellante, che le aveva tempestivamente gravate.

È rispetto a queste ultime pertanto (rectius: alla data della loro emissione) che deve essere individuata l'inottemperanza, giuridicamente rilevante, che giustifica l'addebito delle spese anche a suo carico, in solido con il responsabile. Inottemperanza - che peraltro era già stata accertata con il provvedimento n. 2115 del 2013 - che dunque risale a quella data, e non a date successive.

8.2. Quanto alla configurabilità di una responsabilità a carico della parte, quale proprietaria dell'area, l'unanime giurisprudenza di questo plesso ritiene che "il proprietario incolpevole di abuso edilizio commesso da altri, che voglia sfuggire all'effetto sanzionatorio di cui all'art. 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia», della demolizione o dell'acquisizione, come effetto della inottemperanza all'ordine di demolizione, deve provare la intrapresa di iniziative che, oltre a rendere palese la sua estraneità all'abuso, siano però anche idonee a costringere il responsabile dell'attività illecita a ripristinare lo stato dei luoghi nei sensi e nei modi richiesti dall'autorità amministrativa" (ex multis, C.d.S., Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2211).

Mancando qualsivoglia elemento di prova addotto in tal senso dalla parte, la statuizione di addebito delle spese a suo carico è dunque da ritenersi immune dai vizi indicati nei motivi di appello.

9. Conclusivamente questi motivi inducono al rigetto dell'appello. Non vi è di conseguenza la necessità di valutare l'appello incidentale condizionato, presentato dalla parte appellata.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellata, che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 (euro tremila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.