Corte di giustizia dell'Unione Europea
Terza Sezione
Sentenza 21 settembre 2023

«Rinvio pregiudiziale - Spazio di libertà, sicurezza e giustizia - Politica comune in materia di asilo - Condizioni per poter beneficiare dello status di rifugiato - Direttiva 2011/95/UE - Articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2 - Motivi di persecuzione - "Opinione politica" - Nozione - Opinioni politiche sviluppate nello Stato membro ospitante - Articolo 4 - Valutazione del timore fondato di persecuzione a causa di tali opinioni politiche».

Nella causa C-151/22, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), con decisione del 16 febbraio 2022, pervenuta in cancelleria il 2 marzo 2022, nel procedimento S, A contro Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie, con l'intervento di: Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) .

[...]

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di due controversie tra, da un lato, S, quanto alla prima e A, quanto alla seconda, e, dall'altro, lo Staatssecretaris van Veiligheid en Justitie (Segretario di Stato per la sicurezza e la giustizia, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito al rifiuto da parte di quest'ultimo di concedere loro lo status di rifugiato.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3. L'articolo 1, sezione A, punto 2, primo comma, della convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»), dispone che il termine «rifugiato» si applica a chiunque, «nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato».

Diritto dell'Unione

4. I considerando 4, 12 e 16 della direttiva 2011/95 enunciano quanto segue:

«(4) La convenzione di Ginevra e il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

(...)

(12) Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall'altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

(...)

(16) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l'applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 di detta Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza».

5. L'articolo 2 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d) "rifugiato": cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l'articolo 12;

e) "status di rifugiato": il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

(...)

h) "domanda di protezione internazionale": una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell'ambito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

i) "richiedente": qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non sia stata ancora adottata una decisione definitiva;

(...)».

6. L'articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», ai paragrafi da 3 a 5 dispone quanto segue:

«3. L'esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a) di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d'origine al momento dell'adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d'origine e le relative modalità di applicazione;

b) delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni (...)

c) della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l'estrazione, il sesso e l'età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione (...)

d) dell'eventualità che le attività svolte dal richiedente dopo aver lasciato il paese d'origine abbiano mirato esclusivamente o principalmente a creare le condizioni necessarie alla presentazione di una domanda di protezione internazionale, al fine di stabilire se dette attività espongano il richiedente a persecuzione (...) in caso di rientro nel paese;

(...)

4. Il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni (...) o minacce dirette di siffatte persecuzioni (...) costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni (...), a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni (...) non si ripeteranno.

5. Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a) il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

(...)

e) è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

7. Ai sensi dell'articolo 6 della stessa direttiva:

«I responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere:

a) lo Stato;

b) i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio;

(...)».

8. L'articolo 9 della direttiva 2011/95 fissa le condizioni affinché un atto possa essere considerato un «atto di persecuzione» ai sensi dell'articolo 1, sezione A, della Convezione di Ginevra. A tal fine, esso contiene un elenco non esaustivo di forme che possono assumere gli atti di persecuzione e richiede che tra tali atti e i motivi di persecuzione di cui all'articolo 10 della suddetta direttiva possa essere stabilito un collegamento.

9. L'articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Motivi di persecuzione», prevede quanto segue:

«1. Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:

(...)

b) il termine "religione" include, in particolare, le convinzioni teiste, non teiste e ateiste, la partecipazione a, o l'astensione da, riti di culto celebrati in privato o in pubblico, sia singolarmente sia in comunità, altri atti religiosi o professioni di fede, nonché le forme di comportamento personale o sociale fondate su un credo religioso o da esso prescritte;

(...)

d) si considera che un gruppo costituisce un particolare gruppo sociale in particolare quando:

- i membri di tale gruppo condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata oppure condividono una caratteristica o una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi, e (...)

e) il termine "opinione politica" si riferisce, in particolare, alla professione di un'opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all'articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti.

2. Nell'esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall'autore delle persecuzioni».

10. L'articolo 13 di detta direttiva, intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato», è così formulato:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all'apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III».

Diritto dei Paesi Bassi

11. Il capo C2 della Vreemdelingencirculaire 2000 (circolare del 2000 sugli stranieri), del 2 marzo 2001 (Stcrt. 2001, n. 64), nella versione applicabile ai procedimenti principali, al paragrafo 3.2 prevede quanto segue:

«(...)

Opinioni politiche

La circostanza che il cittadino straniero non possa esprimere le proprie opinioni politiche nel suo paese di origine nello stesso modo in cui lo fa nei Paesi Bassi non è sufficiente per concedergli un permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo (...)

In ogni caso, nella valutazione della richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo, l'[Immigratie- en Naturalisatiedienst (IND) (servizio per l'immigrazione e la naturalizzazione)] prende altresì in considerazione:

a. se si tratta di opinioni politiche essenziali. L'IND valuta se tali opinioni politiche siano particolarmente importanti per il cittadino straniero per mantenere la propria identità o coscienza;

b. il modo in cui ha espresso le proprie opinioni politiche, a prescindere dal fatto che tali attività si siano svolte nel suo paese di origine, nei Paesi Bassi o altrove, e il modo in cui intende (continuare a) esprimerle dopo il suo rientro;

c. se, in passato, abbia incontrato problemi da parte delle autorità a causa o meno delle sue opinioni politiche;

d. se il modo in cui ha espresso le sue opinioni politiche o intende esprimerle in caso di rientro comporterà atti di persecuzione ai sensi dell'articolo 3.36 del Voorschrift Vreemdelingen 2000 [(regolamento del 2000 sugli stranieri), del 18 dicembre 2000 (Stcrt. 2001, n. 10)]; e

e. se è probabile che le autorità siano venute a conoscenza di precedenti manifestazioni delle sue opinioni politiche.

In caso di opinioni politiche essenziali, l'IND non richiede che sia mantenuto un ritegno se le attività (che il cittadino straniero intende svolgere) sono collegate a tali opinioni politiche essenziali. Se non si tratta di opinioni politiche essenziali, allora l'IND richiede effettivamente che sia mantenuto un ritegno.

L'IND valuta se le misure e le sanzioni che saranno adottate nei confronti del cittadino straniero in caso di rientro nel paese di origine a causa di tali manifestazioni o atti che sono una conseguenza di opinioni politiche essenziali siano sufficientemente gravi da costituire persecuzione.

Anche quando non si tratta di opinioni politiche essenziali, l'IND valuta se le attività politiche del cittadino straniero o le sue manifestazioni di opinioni politiche nel suo paese di origine, nei Paesi Bassi o altrove siano giunte o giungeranno a conoscenza delle autorità e se, di conseguenza, giustifichino in misura sufficiente l'esistenza di un timore fondato di persecuzione, in caso di rientro, a causa delle opinioni politiche che gli sono attribuite.

(...)».

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

Primo procedimento principale

12. S, cittadina sudanese, è arrivata nei Paesi Bassi il 21 gennaio 2012. Nella sua quarta domanda di asilo presentata al Segretario di Stato, ella ha affermato che, in caso di rientro nel suo paese di origine, sarebbe stata perseguitata dalle autorità sudanesi a causa delle attività politiche svolte nei Paesi Bassi a favore, da un lato, del partito Umma, che apparteneva all'Alleanza «Forze per la libertà e il cambiamento» e ha coordinato la rivoluzione sudanese del 2019, e, dall'altro, della Darfur Vereniging Nederland (associazione per il Darfur nei Paesi Bassi).

13. S ha anche affermato di aver partecipato ad oltre una decina di manifestazioni organizzate nei Paesi Bassi contro il governo sudanese, nel corso delle quali aveva scandito slogan contro il regime sudanese, di aver informato altre donne sulle attività del partito Umma, incitandole a partecipare a tali manifestazioni, e di aver criticato il governo sudanese nei suoi account Facebook e Twitter.

14. In nessuna delle sue domande di asilo S ha sostenuto che, quando era ancora in Sudan, aveva espresso opinioni politiche che l'avevano costretta a lasciare tale paese, né ha affermato che le opinioni politiche che ha espresso dopo la sua partenza siano giunte a conoscenza delle autorità sudanesi.

15. Con decisione del 30 agosto 2019, il Segretario di Stato ha respinto la richiesta di permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo presentata da S, ritenendo che, nonostante l'attendibilità delle sue dichiarazioni riguardanti le proprie attività nei Paesi Bassi, queste ultime non derivassero da opinioni politiche meritevoli di tutela. Secondo il Segretario di Stato, S non aveva identificato in modo chiaro tali opinioni, né aveva rilevato che queste fossero per lei di fondamentale importanza, né aveva precisato quali attività concrete intendeva svolgere in futuro sulla base di dette opinioni.

16. Con sentenza del 20 maggio 2020, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell'Aia, Paesi Bassi) ha accolto il ricorso proposto da S e ha annullato tale decisione, dichiarando che l'interessata aveva sufficientemente dimostrato di avere un'«opinione politica», ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95. Secondo detto giudice, la questione se tale opinione fosse meritevole di tutela dovrebbe essere valutata alla luce dei punti 80, 82 e 86 del Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato e linee guida sulla protezione internazionale ai sensi della convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, redatto dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), nella versione ristampata nel mese di febbraio del 2019 (HCR/1P/4/FRE/REV.4; in prosieguo: il «Manuale sulle procedure»). Detto giudice ha altresì ritenuto che il criterio enunciato dalla circolare del 2000 sugli stranieri, in forza del quale le opinioni politiche devono essere «essenziali», fosse ambiguo e si confondesse con i criteri applicabili al motivo di persecuzione attinente alla religione.

17. Il Segretario di Stato ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi), giudice del rinvio, facendo valere che il giudice di primo grado ha erroneamente dichiarato che i motivi di persecuzione basati rispettivamente su opinioni politiche e su convinzioni religiose hanno diversa natura. Infatti, entrambi dovrebbero essere valutati verificando se le opinioni o le convinzioni addotte dal richiedente siano così determinanti per la sua identità o coscienza che egli non può essere obbligato a rinunciarvi o a celarle in caso di rientro nel suo paese di origine.

18. Da parte sua, S, che ha proposto appello incidentale contro la sentenza del 20 maggio 2020, menzionata al punto 16 della presente sentenza, ha contestato al giudice di primo grado di aver dichiarato che la valutazione delle condizioni che un richiedente deve soddisfare per poter ottenere lo status di rifugiato dipende dall'importanza e dalla forza delle sue opinioni politiche. Né la direttiva 2011/95 né il Manuale sulle procedure richiederebbero che dette opinioni siano «essenziali» per essere meritevoli di tutela.

Secondo procedimento principale

19. A, cittadino sudanese, è arrivato nei Paesi Bassi il 20 luglio 2011. Nella sua seconda domanda di asilo ha affermato che, in caso di rientro nel proprio paese di origine, sarebbe stato perseguitato dalle autorità sudanesi a causa delle sue prese di posizione critiche nei Paesi Bassi sulla situazione politica in Sudan e delle sue iniziative a favore dei diritti della tribù Al-Gimir dell'ovest del Darfur.

20. Dalla decisione di rinvio emerge che gli elementi forniti da A nella sua prima domanda di asilo per dimostrare che, prima della sua partenza dal Sudan, sarebbe stato arrestato e torturato perché sospettato di aver aderito a un partito politico di opposizione sono stati ritenuti inattendibili. Inoltre, A è diventato politicamente attivo nei Paesi Bassi solo dopo il rigetto di tale prima domanda di asilo.

21. Con decisione del 18 giugno 2020, il Segretario di Stato ha respinto la domanda di permesso di soggiorno temporaneo a titolo di asilo presentata da A e gli ha imposto un divieto di ingresso nel territorio, adducendo che A non aveva sufficientemente dimostrato che le sue attività nei Paesi Bassi erano la conseguenza di opinioni politiche essenziali.

22. Con sentenza del 28 agosto 2020, il rechtbank Den Haag (Tribunale dell'Aia) ha respinto il ricorso proposto da A contro la decisione del Segretario di Stato. Tale giudice ha dichiarato che quest'ultimo aveva giustamente ritenuto inattendibile l'ipotesi che le attività politiche esercitate da A nei Paesi Bassi fossero la conseguenza di opinioni politiche essenziali. Detto giudice ha sottolineato che A non aveva precisato l'oggetto delle manifestazioni alle quali avrebbe partecipato né lo scopo che avrebbe perseguito partecipandovi.

23. A ha interposto appello avverso tale sentenza contestando al giudice di primo grado di non aver constatato, in particolare, l'assenza di uniformità nella prassi decisionale del Segretario di Stato riguardo alla nozione di «opinione politica», ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95. In ogni caso, né da tale direttiva né dal Manuale sulle procedure risulterebbe che dette opinioni debbano essere «essenziali» per essere meritevoli di tutela.

24. Nell'ambito delle due suddette controversie, il Raad van State (Consiglio di Stato) si chiede, in particolare, se, per rientrare nella nozione di «opinione politica» ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95, in una situazione in cui il richiedente non sia stato ancora oggetto di interesse ostile da parte dei potenziali persecutori del suo paese di origine, le opinioni di cui trattasi debbano rivestire «una certa forza». Tale giudice si chiede anche se e in che misura una siffatta circostanza sia pertinente per valutare la fondatezza di una domanda di protezione internazionale.

25. In tali circostanze, nelle due controversie principali, il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che il motivo di persecuzione per l'opinione politica può essere invocato anche da richiedenti che fanno valere soltanto di avere e/o di esprimere una convinzione politica, senza che durante il loro soggiorno nel paese d'origine e a partire dal loro soggiorno nel paese di accoglienza siano stati oggetto di interesse ostile da parte di un responsabile della persecuzione.

2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, e dunque se una convinzione politica sia già sufficiente per essere considerata come un'opinione politica, quale ruolo si debba attribuire alla forza di detta opinione, pensiero o convinzione e all'importanza per lo straniero delle attività che ne derivano nell'esame e nella valutazione di una domanda di asilo, ossia nell'esame dell'aspetto di quanto sia realistico l'asserito timore di persecuzione di detto straniero.

3) In caso di risposta negativa alla prima questione, se il criterio sia che detta opinione politica debba essere profondamente radicata e, in caso contrario, quale sia il criterio da applicare e come debba essere applicato.

4) Qualora il criterio sia che detta opinione politica deve essere profondamente radicata, se ci possa attendere da un richiedente, che non dimostra di avere un'opinione politica profondamente radicata, che al rientro nel paese di origine rinunci a esprimere la sua convinzione politica, per non suscitare l'interesse ostile di un responsabile della persecuzione».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulle questioni prima, terza e quarta

26. Con la prima, terza e quarta questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, affinché l'opinione, il pensiero o la convinzione di un richiedente che non sia stato ancora oggetto di interesse ostile da parte dei potenziali persecutori nel suo paese di origine possano rientrare nella nozione di «opinione politica», è sufficiente che tale richiedente affermi di avere o di esprimere detta opinione, pensiero o convinzione.

27. Ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95, «il termine "opinione politica" si riferisce, in particolare, alla professione di un'opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all'articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti». In base all'articolo 10, paragrafo 2, della stessa direttiva, «[n]ell'esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche (...) politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall'autore delle persecuzioni».

28. Secondo una costante giurisprudenza, le esigenze inerenti sia all'applicazione uniforme del diritto dell'Unione sia al principio di uguaglianza comportano che una disposizione di diritto dell'Unione, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, deve di regola essere oggetto, nell'intera Unione europea, di un'interpretazione autonoma e uniforme. Quest'ultima deve essere effettuata tenendo conto non solo dei termini, ma anche del contesto della disposizione e dell'obiettivo perseguito dalla normativa in parola [sentenze del 18 gennaio 1984, Ekro, 327/82, EU:C:1984:11, punto 11, nonché del 2 giugno 2022, T.N. e N.N. (Dichiarazione riguardante la rinuncia all'eredità), C-617/20, EU:C:2022:426, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

29. In primo luogo, dalla formulazione stessa dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95 emerge che la nozione di «opinione politica» deve essere interpretata in senso ampio. Ciò si evince, anzitutto, dall'elenco non esaustivo degli elementi che possono identificare tale nozione, quale risulta dall'uso della locuzione avverbiale «in particolare». Inoltre, sono menzionati non solo l'«opinione», ma anche il «pensiero» e la «convinzione», in questioni inerenti ai potenziali persecutori nonché in quelle riguardanti le loro «politiche» e «metodi», senza che sia necessario che tale opinione, pensiero o convinzione si siano tradotti in atti concreti del richiedente. Infine, si pone l'accento sulla percezione della natura politica di tale opinione, pensiero o convinzione da parte dei potenziali persecutori piuttosto che sui motivi personali del richiedente [v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, Migracijos departamentas (Motivi di persecuzione basati su opinioni politiche), C-280/21, EU:C:2023:13, punto 26].

30. Ne consegue che la formulazione dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95, indipendentemente dalla versione linguistica considerata, non fornisce alcuna indicazione nel senso che, per rientrare nella nozione di «opinione politica» a norma di tali disposizioni, l'opinione, il pensiero o la convinzione che il richiedente afferma di avere o di esprimere debbano denotare un certo grado di convincimento di tale richiedente, o addirittura essere così profondamente radicati in lui che quest'ultimo, in caso di rientro nel suo paese di origine, non potrebbe astenersi dal manifestarli per non suscitare un interesse ostile nei potenziali persecutori in tale paese.

31. In secondo luogo, tale ampia interpretazione della nozione di «opinione politica» è corroborata dal contesto generale in cui si inserisce la nozione di «opinione politica», ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95. Infatti, i principi guida che figurano nel Manuale sulle procedure, al quale è opportuno fare riferimento data la sua rilevanza particolare per il ruolo che la convenzione di Ginevra attribuisce all'UNHCR (v, in tal senso, sentenza del 23 maggio 2019, Bilali, C-720/17, EU:C:2019:448, punto 57), sottolineano che la nozione di «opinione politica» può comprendere qualsiasi opinione o questione che coinvolga l'apparato statale, il governo, la società o la politica, a prescindere dalla sua forza o dal suo radicamento nel richiedente [v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, Migracijos departamentas (Motivi di persecuzione basati su opinioni politiche), C-280/21, EU:C:2023:13, punto 27].

32. Per quanto concerne il contesto specifico della direttiva 2011/95, occorre ricordare che l'«opinione politica» costituisce, conformemente all'articolo 1, sezione A, punto 2, primo comma, della convenzione di Ginevra, uno dei cinque «motivi di persecuzione» elencati nell'articolo 10 della direttiva 2011/95, insieme a razza, religione, nazionalità e appartenenza a un particolare gruppo sociale. Ciascuno di tali «motivi di persecuzione», in quanto nozione propria e distinta, è oggetto di una definizione autonoma nelle cinque lettere del paragrafo 1 del suddetto articolo 10.

33. Tenuto conto degli interrogativi sollevati dal giudice del rinvio, si deve rilevare, in particolare, da un lato, che il motivo di persecuzione relativo alla «religione» e quello riguardante l'«opinione politica», previsti rispettivamente alle lettere b) ed e) di detto articolo 10, paragrafo 1, mirano, come affermato nel considerando 16 della direttiva 2011/95, a promuovere l'applicazione di diritti fondamentali distinti, di contenuto e portata differenti. Nel primo caso, si tratta della libertà di pensiero, di coscienza e di religione, garantita all'articolo 10, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali. Nel secondo caso, si tratta della libertà di espressione, garantita all'articolo 11 di quest'ultima, la quale include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Ne consegue che detti due «motivi di persecuzione» non dovrebbero, in linea di principio, essere valutati senza prendere in considerazione tale differenza.

34. Dall'altro lato, occorre sottolineare che è solo in relazione al motivo di persecuzione collegato all'«appartenenza a un particolare gruppo sociale», prevista all'articolo 10, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2011/95, che si fa menzione di «una caratteristica o [di] una fede che è così fondamentale per l'identità o la coscienza che una persona non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi». Esigere tale elemento, ai fini della definizione della nozione di «opinione politica» ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva in parola, equivarrebbe pertanto a restringere indebitamente la portata che occorre dare a quest'ultima nozione.

35. In terzo luogo, un'ampia interpretazione della nozione di «opinione politica», a norma di tali disposizioni, è avvalorata dall'obiettivo di detta direttiva, che consiste, in particolare, come afferma il suo considerando 12, nell'identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale sulla base di criteri comuni.

36. Infatti, come rilevato dall'UNHCR nelle sue osservazioni scritte, anche nell'ipotesi in cui le opinioni politiche fatte valere da un richiedente non denotino un certo grado di convincimento, o non siano «essenziali» o profondamente radicate in tale richiedente, quest'ultimo potrebbe essere esposto, in caso di rientro nel suo paese di origine, al rischio effettivo di essere perseguitato a causa di tali opinioni politiche o di quelle che potrebbero essergli attribuite dai potenziali persecutori in tale paese, tenuto conto della situazione personale del richiedente e del contesto generale di detto paese. In tale prospettiva, solo un'ampia interpretazione della nozione di «opinione politica» in quanto motivo di persecuzione può garantire l'obiettivo menzionato nel punto precedente.

37. Per tutti i motivi sopra esposti, si deve rispondere alla prima, alla terza e alla quarta questione dichiarando che l'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che, affinché l'opinione, il pensiero o la convinzione di un richiedente, che non sia ancora stato oggetto di interesse ostile da parte dei potenziali persecutori nel suo paese di origine, possano rientrare nella nozione di «opinione politica», è sufficiente che tale richiedente affermi di avere o di esprimere tale opinione, pensiero o convinzione. Ciò non pregiudica la valutazione della fondatezza del timore, da parte del richiedente, di essere perseguitato per le sue opinioni politiche.

Sulla seconda questione

38. Nel quadro della procedura di cooperazione prevista dall'articolo 267 TFUE, la Corte può essere chiamata a fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi interpretativi del diritto dell'Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che tale giudice vi abbia fatto o meno riferimento nel formulare le proprie questioni. Spetta alla Corte ricavare dall'insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, e segnatamente dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di detto diritto che richiedono un'interpretazione in considerazione dell'oggetto della controversia di cui al procedimento principale [v., in tal senso, sentenze del 12 dicembre 1990, SARPP, C-241/89, EU:C:1990:459, punto 8, nonché del 1° agosto 2022, TL (Mancanza di interprete e di traduzione), C-242/22 PPU, EU:C:2022:611, punto 37].

39. Nel caso di specie, nel formulare la seconda questione, il giudice del rinvio non si riferisce ad alcuna disposizione precisa. Tuttavia, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge che tale giudice intende determinare i criteri ai fini della valutazione del motivo di persecuzione di cui all'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95. Una siffatta valutazione è disciplinata dalle disposizioni dell'articolo 4 della medesima direttiva, relative all'esame dei fatti e delle circostanze e, più precisamente, da quelle dei paragrafi da 3 a 5 di quest'ultimo articolo.

40. In tali circostanze, si deve considerare che, con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 4, paragrafi da 3 a 5, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, nel valutare la fondatezza del timore, da parte di un richiedente, di essere perseguitato a causa della sue opinioni politiche, le autorità competenti degli Stati membri devono tener conto del grado di convinzione di tali opinioni e, segnatamente, verificare se dette opinioni siano così profondamente radicate in lui che quest'ultimo, in caso di rientro nel suo paese di origine, non potrebbe astenersi dal manifestarle, esponendosi così al rischio di subire atti di persecuzione ai sensi dell'articolo 9 della direttiva in parola.

41. Occorre anzitutto ricordare in proposito che, anche se le disposizioni dell'articolo 4 della direttiva 2011/95 sono applicabili a tutte le domande di protezione internazionale, a prescindere dai motivi di persecuzione addotti a sostegno di tali domande, spetta alle autorità competenti adeguare le loro modalità di valutazione delle dichiarazioni e degli elementi di prova documentali o di altro tipo in funzione delle caratteristiche proprie di ciascuna categoria di domanda di protezione internazionale, nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali (sentenza del 25 gennaio 2018, F, C-473/16, EU:C:2018:36, punto 36).

42. Nel sistema istituito dalla direttiva 2011/95, la valutazione della fondatezza del timore da parte di un richiedente di essere perseguitato a causa della sua «opinione politica», ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, di tale direttiva, deve, conformemente all'articolo 4, paragrafo 3, di quest'ultima, avere carattere individuale ed essere effettuata caso per caso. Le autorità nazionali competenti, quando procedono a una siffatta valutazione, devono determinare se le circostanze accertate rappresentino una minaccia tale da far fondatamente temere alla persona interessata, alla luce della sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione. Tale determinazione, che, in ogni caso, deve essere effettuata con vigilanza e prudenza, deve fondarsi unicamente su una valutazione concreta dei fatti e delle circostanze conformemente alle disposizioni enunciate, segnatamente, all'articolo 4, paragrafi da 3 a 5, di detta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z, C-71/11 e C-99/11, EU:C:2012:518, punti 76 e 77).

43. L'articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 elenca, nelle sue lettere da a) ad e), gli elementi che devono essere presi in considerazione a tal fine, tra i quali figurano, in particolare, tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese di origine del richiedente al momento dell'adozione della decisione in merito alla sua domanda, le informazioni e i documenti che consentano di determinare se il richiedente abbia già subito o rischi di subire persecuzioni, nonché la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente. L'articolo 4, paragrafo 4, della stessa direttiva precisa che il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o minacce dirette di siffatte persecuzioni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni non si ripeteranno.

44. Infine, l'articolo 4, paragrafo 5, di detta direttiva fissa, qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, le condizioni cumulative richieste affinché tali aspetti non necessitino di una conferma. Tra tali condizioni figurano la coerenza e la plausibilità delle dichiarazioni del richiedente e l'attendibilità generale di quest'ultimo.

45. Da quanto precede si evince che le autorità competenti degli Stati membri devono effettuare un esame esaustivo ed approfondito di tutte le circostanze pertinenti relative alla situazione personale specifica di tale richiedente e del contesto più generale del suo paese di origine, in particolare nei suoi aspetti politici, giuridici, giudiziari, storici e socioculturali, per determinare se sia fondato il timore di detto richiedente di essere personalmente perseguitato a causa delle sue opinioni politiche, e segnatamente di quelle che potrebbero essergli attribuite dai potenziali persecutori nel suo paese di origine [v., in tal senso, sentenza del 12 gennaio 2023, Migracijos departamentas (Motivi di persecuzione basati su opinioni politiche), C-280/21, EU:C:2023:13, punti 33 e 38].

46. In tale contesto, il grado di convincimento del richiedente quanto alle opinioni politiche fatte valere nonché l'esercizio di eventuali attività volte a promuovere tali opinioni costituiscono elementi pertinenti ai fini della valutazione individuale della sua domanda, conformemente all'articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95. Infatti, tali elementi assumono rilievo per la valutazione del rischio che essi abbiano potuto o possano suscitare un interesse ostile nei potenziali persecutori nel paese di origine del richiedente e che, in caso di rientro in tale paese, il richiedente possa essere perseguitato.

47. La circostanza che un richiedente, per le opinioni politiche che ha espresso o per le attività che ha eventualmente svolto al fine di promuovere tali opinioni durante il suo soggiorno nel paese di origine o dopo la sua partenza da tale paese, abbia già suscitato un interesse ostile nei potenziali persecutori di detto paese costituisce, anch'essa, un elemento pertinente per la valutazione individuale imposta dall'articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95.

48. Ne consegue che, in una situazione in cui il richiedente afferma di avere o di esprimere opinioni, pensieri o convinzioni acquisiti dopo la sua partenza dal paese di origine, senza dimostrare di aver suscitato un interesse ostile nei potenziali persecutori in tale paese che possa comportare atti di persecuzione da parte loro qualora egli dovessi farvi rientro, le autorità competenti degli Stati membri devono prendere in considerazione, ai fini della valutazione individuale della domanda che sono tenute ad effettuare, in particolare, il grado di convincimento del richiedente quanto alle opinioni politiche fatte valere nonché l'eventuale esercizio da parte di quest'ultimo di attività volte a promuovere dette opinioni. Dette autorità non possono tuttavia esigere che tali opinioni politiche siano così profondamente radicate nel richiedente che quest'ultimo, al suo ritorno nel paese di origine, non potrebbe astenersi dal manifestarle per non suscitare un interesse ostile nei potenziali persecutori in detto paese tale da indurli a commettere atti di persecuzione, ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 2011/95.

49. Alla luce di quanto precede, si deve rispondere alla seconda questione dichiarando che l'articolo 4, paragrafi da 3 a 5, della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che, nel valutare la fondatezza del timore, da parte di un richiedente, di essere perseguitato per le sue opinioni politiche, le autorità competenti degli Stati membri devono tener conto del fatto che tali opinioni politiche, per il grado di convincimento che esprimono o per l'eventuale esercizio da parte di tale richiedente di attività volte a promuovere dette opinioni, abbiano potuto o possano suscitare un interesse ostile nei potenziali persecutori nel paese di origine di tale richiedente. Tuttavia, non si richiede che le stesse opinioni siano così profondamente radicate nel richiedente che quest'ultimo, in caso di rientro nel suo paese di origine, non potrebbe astenersi dal manifestarle, esponendosi in tal modo al rischio di subire atti di persecuzione ai sensi dell'articolo 9 di detta direttiva.

Sulle spese

50. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.
la Corte (Terza Sezione) dichiara:

1) L'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, deve essere interpretato nel senso che, affinché l'opinione, il pensiero o la convinzione di un richiedente, che non sia ancora stato oggetto di interesse ostile da parte dei potenziali persecutori nel suo paese di origine, possano rientrare nella nozione di «opinione politica», è sufficiente che tale richiedente affermi di avere o di esprimere tale opinione, pensiero o convinzione. Ciò non pregiudica la valutazione della fondatezza del timore, da parte del richiedente, di essere perseguitato per le sue opinioni politiche.

2) L'articolo 4, paragrafi da 3 a 5, della direttiva 2011/95 deve essere interpretato nel senso che, nel valutare la fondatezza del timore, da parte di un richiedente, di essere perseguitato per le sue opinioni politiche, le autorità competenti degli Stati membri devono tener conto del fatto che tali opinioni politiche, per il grado di convincimento con cui si esprimono o per l'eventuale esercizio da parte di tale richiedente di attività volte a promuovere dette opinioni, abbiano potuto o possano suscitare un interesse ostile nei potenziali persecutori nel paese di origine di tale richiedente. Tuttavia, non si richiede che le stesse opinioni siano così profondamente radicate nel richiedente che quest'ultimo, in caso di rientro nel suo paese di origine, non potrebbe astenersi dal manifestarle, esponendosi in tal modo al rischio di subire atti di persecuzione ai sensi dell'articolo 9 di detta direttiva.