Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 16 ottobre 2023, n. 9014
Presidente: De Felice - Estensore: Maggio
FATTO E DIRITTO
Il Comune di San Massimo ha constatato che in una struttura adibita a rifugio, denominata "Rifugio Iezza", di proprietà dell'Ente Provinciale del Turismo (E.P.T.), erano stati eseguiti i seguenti lavori abusivi:
al primo livello
a) modifica alla distribuzione interna, mediante demolizione e ricostruzione di tramezzature, con conseguente diverso utilizzo dei singoli ambienti;
b) chiusura e apertura di nuovi vani porta, sia nelle tramezzature che nella struttura portante in muratura;
c) chiusura di una finestra o piano terreno sul lato nord dell'immobile;
d) trasformazione di parte del porticato ubicato a lato nord mediante la realizzazione di un vano in muratura, della superficie di circa mq. 9,18 (circa ml. 3,40 X ml. 2,70), destinato a centrale termica;
al secondo livello
a) modifica alla distribuzione interna, mediante la demolizione e ricostruzione di tramezzature, con conseguente diverso utilizzo degli ambienti (da "camerone" a camere da letto e servizi);
b) trasformazione di un "soffitto non praticabile" in camere da letto e depositi, accessibili a mezzo di una nuova scalinata in muratura;
c) chiusura e apertura di nuovi vani porta, sia nelle tramezzature che nella struttura portante in muratura;
d) apertura di tre finestre esterne, a lato nord dell'immobile, a servizio delle camere ricavate nel "soffitto non praticabile" di cui innanzi.
Il Comune ha, quindi, adottato l'ordinanza 13 luglio 2009, n. 21, con la quale ha ingiunto al commissario straordinario dell'E.P.T. e al sig. Gerardo M., gestore della detta struttura, la demolizione delle opere contestate.
Ritenendo il provvedimento illegittimo, il sig. M. lo ha impugnato con ricorso la T.A.R. Molise, di fronte al quale ha sostenuto di aver, in sostanza, eseguito, sull'immobile, unicamente interventi di miglioramento, igienico-sanitario e di sicurezza (impermeabilizzazione del tetto, adeguamento degli impianti elettrico, idrico e di riscaldamento, pavimentazione del locale cucina e ristorazione) non incidenti sulla sagoma, sulla superficie o sul volume.
L'adito Tribunale, con sentenza 28 ottobre 2016, n. 442, ha respinto il gravame.
Avverso la sentenza hanno proposto appello i sig.ri Annamaria L., Lauretta M., Sergio Antonio M. e Salvatore M., subentrati, quali eredi, all'originario ricorrente, nelle more del giudizio di primo grado.
Con ordinanza 17 febbraio 2023, n. 1680, questa Sezione ha chiesto al Comune di San Massimo di depositare in giudizio il verbale di sopralluogo prot. n. 4616 del 3 giugno 2009, su cui si basa l'ordinanza di demolizione gravata.
In esecuzione dell'ordinanza l'amministrazione appellata ha depositato una verbale diverso da quello richiesto (ovvero il verbale 19 giugno 2009, n. 4618).
La Sezione ha, pertanto, reiterato la richiesta con ordinanza 19 maggio 2023, n. 4998, in adempimento della quale il Comune ha nuovamente prodotto il medesimo verbale già precedentemente depositato.
Con successiva memoria la parte appellante ha, ulteriormente, argomentato le proprie tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 12 ottobre 2023 la causa è passata in decisione.
Col primo motivo parte appellante denuncia l'errore commesso dal Tribunale nel ritenere che gli interventi posti in essere dal sig. Gerardo M. (tutti eseguibili senza necessità di titolo abilitativo) avessero comportato un cambio di destinazione d'uso (da rifugio ad albergo) in assenza di permesso di costruire e che sarebbe gravato su costui l'onere di dimostrare che non fossero a lui addebitabili gli abusi contestati.
Difatti, contrariamente a quanto affermato dal giudice di prime cure, le opere a cui l'ordinanza si riferisce non sarebbero state poste in essere dal sig. M., bensì dai precedenti gestori.
Peraltro, che la struttura fosse adibita ad albergo già da epoca precedente alla gestione del sig. M. risulterebbe da atti (una cartolina degli anni '70) non considerati nell'appellata sentenza.
In ogni caso le opere a cui fa riferimento la gravata ordinanza sarebbero sanzionabili solo con una pena pecuniaria.
La doglianza così sinteticamente riassunta merita accoglimento.
E invero, occorre premettere che, come recentemente affermato da questa Sezione, il mero possessore o gestore di un bene immobile altrui, interessato da opere edilizie abusive, non può essere destinatario dell'ingiunzione di demolizione, quando non sia accertato che l'abuso sia a lui ascrivibile (C.d.S., Sez. VI, 9 giugno 2023, n. 5707).
Si deve, invero, considerare, da una parte, che la mera utilizzazione di un'opera edilizia abusiva non costituisce in sé illecito punibile, anche se vi sia consapevolezza della natura abusiva dell'opera; dall'altra che il mero gestore di un bene, di regola, non ha titolo per disporne, mentre il fatto di indirizzare l'ingiunzione di demolizione al mero possessore o detentore, sul mero presupposto che ha la disponibilità materiale dell'immobile su cui insistono gli abusi e che perciò ne trae vantaggio, significa, in pratica, rendere l'utilizzatore responsabile per un fatto a lui non ascrivibile. L'art. 31, comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, del resto, stabilisce che l'ingiunzione di demolizione va indirizzata al proprietario o al responsabile: e se il legislatore avesse voluto porre in posizione di garanzia qualsiasi utilizzatore di un'opera edilizia abusiva, ancorché non proprietario né responsabile, l'avrebbe esplicitato in altro modo. In tal senso, la giurisprudenza si è recentemente pronunciata ritenendo che, ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, "la demolizione o la rimozione dell'opera abusiva va ingiunta al proprietario e al responsabile dell'abuso" e che "il fatto di utilizzare un'opera edilizia abusiva non può considerarsi sufficiente a fondare il titolo di responsabilità e, conseguentemente, la legittimazione passiva all'ingiunzione di demolizione, ben potendo essere l'utilizzatore un terzo completamente estraneo alla realizzazione dell'opera abusiva ed alla relativa proprietà" (C.d.S., Sez. VI, 20 giugno 2022, n. 5031).
La questione, poi, non è priva di rilevanza, in quanto l'art. 31, comma 4-bis, del d.P.R. n. 380/2001, prevede che sia irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria al destinatario dell'ingiunzione di demolizione che non abbia ottemperato: pertanto la censura è di interesse anche nel caso in cui l'ingiunzione sia stata legittimamente adottata nei confronti di altro destinatario.
Erroneamente, pertanto, il giudice di prime cure ha addossato sul sig. M. l'onere di provare di non essere lui l'autore dell'illecito, incombendo, invece, sull'amministrazione, giusta quanto più sopra rilevato, il dovere di accertare che l'illecito fosse al medesimo imputabile.
Al fine di verificare se un tale accertamento fosse stato condotto, la Sezione, per ben due volte, ha ordinato, al Comune appellato, di depositare il verbale di sopraluogo su cui si basa l'ordinanza di demolizione, ma l'incombente è rimasto ineseguito, avendo il Comune depositato in giudizio un verbale differente da quello richiesto e, comunque, da cui non si trae alcuna prova che l'illecito fosse ascrivibile al sig. M.
D'altra parte, il sig. M. si è limitato a riconoscere di aver eseguito interventi di miglioramento igienico-sanitario e di sicurezza, i quali, contrariamente a quanto affermato nella gravata sentenza, non sono, di per sé, idonei a determinare il ravvisato mutamento di destinazione d'uso.
L'appello va, pertanto, accolto.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della gravata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e, conseguentemente, annulla l'ordinanza di demolizione n. 21/2009, nella parte in cui è rivolta contro l'originario ricorrente di primo grado, sig. Gerardo M.
Condanna il Comune appellato al pagamento delle spese processuali in favore della parte appellante, liquidandole, forfettariamente, in complessivi euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.