Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 18 ottobre 2023, n. 9056

Presidente: De Felice - Estensore: La Greca

FATTO E DIRITTO

1. Con istanza inoltrata al Comune di Asti in data 10 dicembre 2004 l'originaria ricorrente chiedeva il rilascio del titolo abilitativo ai sensi dell'art. 32 d.l. n. 269 del 2003, in relazione alle opere abusive di sua dichiarata proprietà su area identificata al foglio 107 AT, particella n. 976.

2. Il Comune di Asti negava l'accesso al richiesto condono poiché l'immobile ricadrebbe in area soggetta a vincoli ambientali e, segnatamente, nella fascia di rispetto del fiume Tanaro, a elevata pericolosità geomorfologica, inidonea a subire un ulteriore carico urbanistico il quale sarebbe pure precluso dal vigente strumento urbanistico comunale.

3. A sostegno della domanda di annullamento veicolata con il ricorso di primo grado la ricorrente deduceva:

- di aver chiesto ed ottenuto dalla Regione Piemonte un parere favorevole in merito all'accertamento della compatibilità paesaggistica dei manufatti abusivi, in tal modo riconoscendo, in tesi, la loro compatibilità con il bene tutelato; ne sarebbe derivata la applicabilità della sola sanzione pecuniaria;

- che la circostanza della realizzazione dei manufatti abusivi in area di classe IIIC sarebbe del tutto irrilevante ai fini del condono edilizio, dal momento che tale classificazione non consentirebbe di ricomprendere la zona in area a vincolo idrogeologico, tali essendo solo le aree delimitate ai sensi della l.r. 45 Piem. del 1989 alle quali quella di specie sarebbe estranea;

- che l'amministrazione avrebbe omesso di motivare il rigetto delle osservazioni presentate dopo il preavviso di diniego.

4. Il T.A.R. per il Piemonte rigettava il ricorso così articolando il proprio iter argomentativo:

- la circostanza che la ricorrente avrebbe ottenuto dalla Regione Piemonte il parere di compatibilità paesaggistica in relazione ai manufatti abusivi di cui trattasi non sarebbe stata documentata in giudizio, come pure la circostanza che la ricorrente avrebbe presentato domanda di condono ambientale;

- il «condono ambientale» avrebbe l'unica finalità di estinguere il connesso illecito penale, ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative correlate all'abuso edilizio;

- poiché non sarebbe contestata l'inclusione dell'area di proprietà della ricorrente nella classe IIIC e III.b.4 di rischio idrogeologico, così come individuata negli elaborati cartografici allegati al PRGC, correttamente il Comune avrebbe fatto applicazione dell'art. 11 delle norme tecniche di attuazione del PRGC, contenente un espresso divieto di nuove edificazioni in tali aree.

5. Avverso la predetta sentenza ha interposto appello, chiedendone la riforma, la parte privata la quale ha dedotto che:

- avrebbero errato i primi giudici nel ritenere l'immobile non sanabile sia perché la disciplina del condono edilizio del 2003 deve essere letta congiuntamente a quella del c.d. condono ambientale ex l. n. 308 del 2004, sia perché la Regione Piemonte avrebbe espresso parere favorevole in merito all'accertamento della compatibilità paesaggistica; allorché la parte provvede al pagamento della sanzione amministrativa prevista dalla disciplina del c.d. condono ambientale l'Amministrazione non potrebbe dar luogo al diniego di condono edilizio;

- quanto alla realizzazione delle opere in area di classe IIIC, il T.A.R. avrebbe errato nel non considerare le stesse estranee al perimetro di cui alla l.r. n. 45 del 1989, nel quale il rilascio del titolo edilizio in sanatoria è pure precluso;

- erroneamente il provvedimento sarebbe stato ritenuto immune dal dedotto difetto di motivazione.

6. Si è costituito in giudizio il Comune di Asti il quale, non senza revocare in dubbio l'inammissibilità dell'appello per la parte in cui sono state veicolate censure generiche, ha concluso per l'infondatezza dell'appello e ne ha chiesto il rigetto.

7. All'udienza pubblica del 21 settembre 2023 l'appello è stato trattenuto in decisione.

8. L'appello, alla stregua di quanto si dirà, è infondato. Tale esito, per evidenti ragioni di economia processuale, esonera il Collegio dallo scrutinio delle questioni in rito sollevate dalla parte pubblica.

9.1. Va preliminarmente rilevato che la presenza di un pregresso vincolo paesaggistico preclude il rilascio del titolo abilitativo ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269 del 2003: tale disposizione «attribuisce "carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l'inedificabilità assoluta" (Corte cost. n. 117 del 2015; in senso conforme, sentenze n. 181 del 2021, n. 225 del 2012, n. 290 e n. 54 del 2009 e n. 196 del 2004). Fra questi, ma non solo, come prescrive la citata lettera d), vi sono "i vincoli imposti a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di tali opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici"» (da ultimo, Corte cost. n. 252 del 2022).

La giurisprudenza (cfr. C.d.S. n. 1664 del 2016, n. 735 del 2016, n. 2518 del 2015) ha, infatti, costantemente affermato che, ai sensi dell'art. 32, comma 27, lett. d), citato, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni - e cioè che le opere siano realizzate prima della imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria).

Ne deriva che un abuso, quale quello oggetto del presente giudizio, comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo (fascia di rispetto acque pubbliche), non può essere sanato, indipendentemente da ogni ulteriore rilievo sollevato con l'appello (C.d.S., Sez. VI, n. 8781 del 2022).

9.2. In tal senso diviene irrilevante la questione del conseguimento del parere favorevole ad opera della Regione Piemonte, circostanza, peraltro, non provata.

10. In relazione all'asserita rilevanza del c.d. condono ambientale nel rapporto con il vincolo paesaggistico preclusivo del condono edilizio, va, per un verso, rilevato che parte appellante non ha offerto un principio di prova circa la mancata ricomprensione dell'area di cui trattasi tra quelle per le quali lo strumento urbanistico - a seguito di variante di adeguamento al PAI (cfr. scheda istruttoria produzione di parte pubblica in primo grado in data 28 maggio 2019) - precludeva l'edificazione; per altro verso, va ribadito come siano distinti i beni giuridici tutelati: mentre in tema di reati edilizi l'interesse protetto è sia quello formale della realizzazione della costruzione nel rispetto del titolo abilitativo sia quello della tutela sostanziale del territorio, il cui sviluppo deve avvenire in conformità alle previsioni urbanistiche (cfr. in tal senso per tutte Cass. pen., Sez. III, n. 6671 del 1998), in tema di illeciti paesaggistici viene tutelato il paesaggio e l'armoniosa articolazione e sviluppo dell'ambiente (Cass. pen., Sez. III, n. 29979 del 2019).

La domanda di compatibilità paesaggistica ex art. 1, commi 37 ss., l. 15 dicembre 2004, n. 308 rileva ai soli fini del conseguimento di un condono penale, con effetti di estinzione del reato ambientale, ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative; ciò si desume dalla lettera stessa della legge (cfr. art. 1, comma 37, cit.), la quale ha riguardo ai soli effetti penali, senza menzionare in alcun modo quelli amministrativi, sia dalla mancanza di norme di coordinamento con la disciplina in materia di condono edilizio, che è la risultante di un complesso bilanciamento di interessi, con plausibile limitazione dell'operatività del condono, nelle aree vincolate, alle sole opere conformi alle previsioni urbanistiche (cfr., ex aliis, C.d.S., Sez. VI, n. 2843 del 2016).

11. Da ultimo, è infondata la doglianza circa la carenza di motivazione del provvedimento impugnato, risultando lo stesso ampiamente sorretto dalla esplicitazione delle ragioni logico-giuridiche che ne hanno costituito il presupposto, del tutto congrue rispetto alla natura spiccatamente vincolata del provvedimento.

12. Conclusivamente, l'appello poiché infondato deve essere rigettato, con conseguente integrale conferma della sentenza impugnata.

13. Le spese del grado seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo rigetta e, per l'effetto, conferma l'impugnata sentenza.

Condanna la parte appellante alla rifusione, in favore del Comune di Asti, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.