Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 23 ottobre 2023, n. 9159

Presidente: Caputo - Estensore: Ponte

FATTO

La società Baia Serena a r.l. (in seguito la società), in quanto proprietaria dell'area sita in Comune di S. Marinella, località "Tenuta Chiaruccia - Semaforo di Fosso Chiuso" della superficie fondiaria di mq 232.000, distinta in Catasto terreni del Comune al Foglio n. 5, particelle nn. 275 e 330 (ex 7), ed ubicata a monte dell'abitato di S. Marinella e a confine con l'autostrada Roma-Civitavecchia, presentava al Comune di S. Marinella un progetto di lottizzazione convenzionata (prot. 12132 del 4 giugno 2015) consente insediamenti turistico-residenziali con indice territoriale di 0,20 mc/mq.

La "Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio per l'Area Metropolitana di Roma, la Provincia di Roma e l'Etruria Meridionale" esprimeva parere contrario, così motivando:

"l'area interessata dal progetto è sottoposta al vincolo archeologico con D.M. 3.11.1953 ai sensi del Titolo II del d.lgs. n. 42/2004 per la presenza del sito etrusco della Castellina e delle sue pertinenze";

l'area "è altresì tutelata anche ai sensi del Titolo III del medesimo d.lgs. (...) come chiaramente rappresentato nella cartografia del PTPR della regione Lazio (...), qualificandosi quale bene paesaggistico di interesse archeologico, ai sensi degli artt. 134 e 142, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004";

il progetto di lottizzazione "prevede un impatto notevolissimo in un territorio fragile sia da un punto di vista della conservazione dei resti archeologici, ben documentati nella bibliografia archeologica anche in lavori recentissimi (...), sia del consumo del territorio, costituendo il lotto in oggetto l'ultimo lembo conservato di quello che era il paesaggio agrario tipico di questa parte del Lazio costiero".

Contro il parere negativo della Soprintendenza la società muoveva in primo grado plurime censure:

i) eccesso di potere, irrilevanza dei presupposti per travisamento dei fatti, errata istruttoria e conseguente errore nella motivazione, violazione della l. 1089/1939, del d.lgs. 42/2004, parte II, e del PTPR Lazio; ii) violazione del principio di adeguatezza e proporzionalità, eccesso di potere per contraddittorietà con altri interventi, illogicità della motivazione; iii) violazione degli artt. 3 e 21 della l. 1089/1939 per omessa notifica e per difetto di emergenze archeologiche; iv) violazione dell'art. 10-bis della l. 241/1990.

Si costituiva in primo grado il MIBAC chiedendo il rigetto del ricorso.

Il T.A.R. adito, con l'impugnata sentenza, rigettava il ricorso.

La sentenza veniva così appellata dalla società, la quale lamentava una serie di doglianze con cui, criticando le argomentazioni del T.A.R., reiterava i motivi di primo grado.

Si costitutiva il MIBAC anche nel secondo grado di giudizio chiedendo la reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza di smaltimento del 16 ottobre 2023 la causa passava in decisione.

DIRITTO

Assume rilievo assorbente il profilo dedotto con il quarto motivo di appello.

L'appellante società ritiene la sentenza affetta da vizi dell'error in judicando e procedendo in quanto il giudice di prime cure avrebbe applicato erroneamente le disposizioni di cui all'art. 21-octies comb. disp. 10-bis l. 241/1990, ponendo a carico della stessa l'onere probatorio dell'utilità della comunicazione del preavviso di diniego, nella fattispecie omesso. Inoltre l'art. 21-octies sarebbe applicabile solo in caso di scriminante "palese" e correlata ad atti vincolati, mentre il parere impugnato in primo grado era espressione del tipico potere discrezionale in materia di vincoli solo relativi, e comunque non v'era alcun carattere "palese" della scriminante.

Il motivo è fondato.

Se per un verso è pacifica la mancata osservanza nel caso di specie della doverosa comunicazione preventiva ai sensi e per gli effetti dell'art. 10-bis cit., per un altro verso il carattere discrezionale del potere esercitato esclude la sanatoria processuale.

A quest'ultimo proposito, il parere della Soprintendenza è espressione di un potere discrezionale. Come osservato dal primo giudice "il vincolo di inedificabilità connesso alla presenza di testimonianze archeologiche non è astrattamente qualificabile come assoluto, non potendosi teoricamente escludere un'attività edificatoria che non snaturi né pregiudichi la conservazione e l'integrità dei reperti archeologici". Quindi il potere esercitato assume connotati di discrezionalità, avendo la p.a. l'obbligo di valutare caso per caso la compatibilità di un determinato intervento con il vincolo oggetto di tutela.

Per ciò che concerne la guarentigia procedimentale invocata, va ribadito che un'applicazione corretta dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 esige, non solo che l'Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall'interessato nell'ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall'adempimento procedurale in questione (C.d.S., Sez. I, 25 marzo 2015, n. 80); solo tale modus procedendi permette che la disposizione di riferimento assolva la sua funzione di consentire un effettivo ed utile confronto dialettico con l'interessato prima della formalizzazione dell'atto negativo, evitando che si traduca in un inutile e sterile adempimento formale.

Nel caso di specie, inoltre, parte appellante ha indicato gli elementi che avrebbe potuto evidenziare, con particolare riferimento alla specificazione tesa a chiarire l'oggetto della propria istanza.

Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello va accolto sotto l'assorbente profilo predetto; per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto in parte qua il ricorso di primo grado, con conseguente onere di riattivazione del procedimento attraverso il rispetto dei principi di garanzia procedimentale sopra richiamati.

Le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Condanna parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.