Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 6 novembre 2023, n. 9566
Presidente: Maggio - Estensore: Mathà
FATTO E DIRITTO
1. Ad esito di procedimento istruttorio (n. PS9769) avviato il 28 ottobre 2014 a seguito di segnalazioni pervenute da parte di consumatori e loro associazioni rappresentative, con provvedimento adottato all'adunanza dell'4 novembre 2015 n. 25697, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito anche AGCM) ha accertato che la Enel Energia s.p.a. (di seguito anche Enel Energia), società operante nella vendita al dettaglio di energia elettrica e gas naturale a clienti domestici e non domestici di piccole dimensioni, avrebbe posto in essere pratiche commerciali "scorrette", ai sensi degli artt. 20, comma 2, 24, 25, lett. d), e 26, lett. f), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (di seguito anche codice del consumo).
2. Con il medesimo provvedimento l'Autorità ha, altresì accertato che la Enel Energia avrebbe tenuto una condotta violativa degli artt. 49, comma 1, lett. h), 51, comma 6, 52, comma 2, lett. c), e 54 del medesimo codice del consumo concludendo, dopo la data del 13 giugno 2014 di entrata in vigore del d.lgs. n. 21 del 2014 (concernente la "Attuazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, recante modifica delle direttive 93/13CEE e 1999/44/CEE e che abroga le direttive 85/577/CEE e 97 luglio CE") contratti a distanza e fuori dai locali commerciali senza l'osservanza dei requisiti di forma prescritti dalla legge.
3. Nel dettaglio l'AGCM ha accertato che la predetta società avrebbe:
a) attivato forniture non richieste di energia elettrica in assenza di una corrispondente manifestazione di volontà, diffuso informazioni ingannevoli o omissive al fine di effettuare attivazioni di forniture non richieste, nonché ostacolato il diritto di recesso dei consumatori, in violazione degli artt. 20, comma 2, 24, 25, lett. d), e 26, lett. f), del codice del consumo;
b) attivato forniture non richieste di gas naturale in assenza di una corrispondente manifestazione di volontà, diffuso informazioni ingannevoli o omissive al fine di effettuare attivazioni di forniture non richieste, nonché ostacolato il diritto di recesso dei consumatori, in violazione degli artt. 20, comma 2, 24, 25, lett. d), e 26, lett. f), del codice del consumo;
c) posto in essere dal 13 giugno 2014 le seguenti condotte: mancata acquisizione del consenso espresso ed informato del consumatore ad effettuare le conferme su supporto durevole, non messo nella piena disponibilità di tutti i consumatori la registrazione della telefonata in modo che questi ultimi potessero conservarla e accedervi in futuro per un congruo periodo di tempo, né ottenuto la sottoscrizione del contratto o l'accettazione scritta da parte del consumatore prima di considerarlo vincolato; non messo il consumatore in condizione di individuare con certezza il dies a quo dal quale decorreva la possibilità di esercitare il diritto di recesso e, infine, mancata consegna al consumatore del modulo per l'esercizio del diritto di recesso, in violazione degli artt. 49, comma 1, lett. h), 51, comma 6, 52, comma 2, lett. c), e 54 del codice del consumo.
4. Ha, quindi, irrogato a Enel Energia una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 1.600.000 in riferimento alla pratica commerciale descritta al punto a), di euro 400.000 in riferimento alla pratica commerciale descritta al punto b) e di euro 250.000 (100.000 e 50.000) con riferimento alle condotte descritte al punto c), vietando altresì l'ulteriore continuazione delle medesime condotte.
5. Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per il Lazio - sede di Roma Enel Energia ha chiesto l'annullamento, previa sospensione, del suddetto provvedimento. In subordine ha, poi, chiesto la riduzione della sanzione irrogata.
6. A sostegno del ricorso ha dedotto i seguenti motivi di gravame:
a) l'incompetenza dell'AGCM ad adottare il provvedimento, in quanto la competenza spetterebbe esclusivamente ad AEEGSI (Autorità di settore);
b) in subordine, la società ha evidenziato l'incompetenza dell'AGCM ad intervenire in relazione ai fatti avvenuti prima del 13 giugno 2013 (l'entrata in vigore del d.lgs. n. 21/2014);
c) infine, sempre in merito alla competenza dell'AGCM, ha eccepito che in presenza di una disciplina dettata dall'Autorità di settore era solo quella a sanzionare le rispettive violazioni;
d) nel merito venivano criticate le conclusioni dell'AGCM in relazione alle modalità di vendita adottate nel primo contatto con il cliente, sia tramite agenzia che nel c.d. teleselling, ritenendo che mancassero elementi oggettivi, di scorrettezza, e, soggettivi, di colpevolezza della società;
e) la società riferiva che avendo aumentato medio tempore la tutela degli utenti (in accordo con l'AGCM), l'Autorità sarebbe incorsa nella violazione del principio del legittimo affidamento e della certezza del diritto;
f) a prosieguo, la società, sottolineando la competenza regolatoria (e sanzionatoria) dell'AEEGSI in materia di reclami su forniture non richieste (derivante dall'applicazione delle direttive nn. 2009/72/CE e 2009/73/CE), ha affermato che per quanto riguarda la modalità di vendita tramite teleselling ed il termine troppo breve per il ripensamento tale contestazione sarebbe solo ipotetica ed indimostrata;
g) sarebbe anche errata la lettura dell'art. 12 della delibera AEEGSI n. 153/12 e dell'art. 66-quinquies del codice del consumo, che l'AGCM aveva proposto nel provvedimento gravato per applicare l'art. 25, comma 1, lett. d), e l'art. 26, comma 1, lett. f), del medesimo codice; i rimedi di cui ai richiamati artt. 12 e 66-quinquies sarebbero alternativi, in virtù del principio di specialità del codice di consumo. Conseguentemente si dovrebbe accertare la violazione di queste norme, del principio di certezza del diritto e, in subordine, quella dell'art. 3 l. n. 689/1981 (condotta non colpevole in quanto conforme ai canoni di diligenza imposti dalla normativa di settore);
h) sarebbe anche errata l'estensione oggettiva del procedimento, in relazione alla asserita violazione di una norma entrata in vigore solo dal 13 giugno 2014, mai esplicitamente comunicata in modo da consentire una piena difesa su tale argomento;
i) infine, la società ha censurato anche la misura della sanzione, in relazione alla durata, la gravità, l'intensità dell'elemento soggettivo ed al peso percentuale delle attenuanti.
7. Nel successivo svolgimento del giudizio di primo grado, all'esito della pubblica udienza del 25 gennaio 2017, il T.A.R. per il Lazio - sede di Roma adito, con ordinanza collegiale n. 2551 del 17 febbraio 2017, ha rimesso alla Corte di giustizia dell'Unione europea i seguenti quesiti pregiudiziali:
«1) Se la ratio della direttiva "generale" n. 2005/29/CE, intesa quale "rete di sicurezza" per la tutela dei consumatori, nonché, nello specifico, il "Considerando n. 10", l'art. 3, paragrafo 4, e l'art. 5, paragrafo 3, della medesima direttiva ostino a una norma nazionale che riconduca la valutazione del rispetto degli obblighi specifici previsti dalle direttive settoriali n. 2009/72/CE e n. 2009/73/CE a tutela dell'utenza nell'ambito di applicazione della direttiva generale n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette, escludendo, per l'effetto, l'intervento dell'autorità di settore - nel caso di specie AEEGSI - a reprimere una violazione della direttiva settoriale in ogni ipotesi che sia suscettibile di integrare altresì gli estremi di una pratica commerciale scorretta o sleale;
2) Se il principio di specialità di cui all'art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE deve essere inteso quale principio regolatore dei rapporti tra ordinamenti (ordinamento generale e ordinamenti di settore), ovvero dei rapporti tra norme (norme generali e norme speciali) ovvero, ancora, dei rapporti tra autorità indipendenti preposte alla regolazione e vigilanza dei rispettivi settori;
3) Se la nozione di "contrasto" di cui all'art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE possa ritenersi integrata solo in caso di radicale antinomia tra le disposizioni della normativa sulle pratiche commerciali scorrette e le altre norme di derivazione europea che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali, ovvero se sia sufficiente che le norme in questione dettino una disciplina difforme dalla normativa sulle pratiche commerciali scorrette, tale da determinare un concorso di norme in relazione a una stessa fattispecie concreta;
4) Se la nozione di norme comunitarie di cui all'art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE abbia riguardo alle sole disposizioni contenute nei regolamenti e nelle direttive europee, nonché alle norme di diretta trasposizione delle stesse, ovvero se includa anche le disposizioni legislative regolamentari attuative di principi di diritto europeo;
5) Se il principio di specialità, sancito al "Considerando 10" e all'art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE e gli artt. 37 della direttiva 2009/72/CE e 41 della direttiva 2009/73/CE ostino a una interpretazione delle corrispondenti norme di trasposizione nazionale per cui si ritenga che, ogni qualvolta si verifichi in un settore regolamentato, contenente una disciplina "consumeristica" settoriale con attribuzione di poteri regolatori e sanzionatori all'autorità del settore, una condotta riconducibile alla nozione di "pratica aggressiva", ai sensi degli articoli 8 e 9 della direttiva 2005/29/CE, o "in ogni caso aggressiva" ai sensi dell'Allegato I della direttiva 2005/29/CE, debba sempre trovare applicazione la normativa generale sulle pratiche scorrette, e ciò anche qualora esista una normativa settoriale, adottata a tutela dei (medesimi) consumatori e fondata su previsioni di diritto dell'Unione, che regoli in modo compiuto le medesime "pratiche aggressive" e "in ogni caso aggressive" o, comunque, le medesime "pratiche scorrette/sleali"».
8. In data 21 maggio 2019 è stata depositata l'ordinanza della Decima Sezione della Corte di giustizia dell'Unione europea del 14 maggio 2019, resa nell'ambito delle cause riunite da C-406/17 a C-408/17 e C-417/17, con la quale la stessa ha dichiarato che "L'articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97 luglio CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché l'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97 luglio CE del Parlamento europeo e del Consiglio, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale determinate condotte, come quelle controverse nei procedimenti principali, consistenti nella stipulazione di contratti di fornitura non richiesti dai consumatori o di contratti a distanza e di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in violazione dei diritti dei consumatori, devono essere valutate alla luce delle rispettive disposizioni delle direttive 2005/29 e 2011/83, con la conseguenza che, conformemente a tale normativa nazionale, l'autorità di regolamentazione di settore, ai sensi della direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva 2003/54/CE, e della direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio 2009, relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale e che abroga la direttiva 2003/55/CE, non è competente a sanzionare siffatte condotte".
9. Ad esito del giudizio di primo grado il T.A.R. per il Lazio - sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha quindi respinto il ricorso.
10. Con ricorso notificato il 22 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio 2021 Enel Energia ha proposto appello avverso la suddetta decisione chiedendone la riforma.
11. A sostegno del gravame ha dedotto le censure così rubricate:
1) Violazione dello standard judicial review di "piena giurisdizione" richiesto dall'art. 6 CEDU in materia penale. Carenza di motivazione: In spregio allo standard judicial review richiesto in materia penale (art. 6 CEDU) - specie in presenza di un'autorità, quale l'AGCM, che non garantisce l'adeguata separazione tra funzione accusatoria e funzione giudicante (Corte cost., n. 13 del 2019).
2) Sulle Pratiche A e B. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27, comma 1-bis, codice del consumo; 11 preleggi; 1 l. n. 689/1981; 3, 24, 25, comma 2, 27, 102, 111 e 117, comma 1, Cost.; 49, § 1, della Carta di Nizza; 6 e 7, § 1, CEDU. Motivazione apparente.
3) Sulle Pratiche A e B. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27, comma 1-bis, codice e 4 del protocollo d'intesa AGCM-ARERA del 23 ottobre 2014. Violazione dei principi di legalità, determinatezza, tipicità e conoscibilità della fattispecie sanzionatoria (art. 1 l. n. 689/1981). Arbitrarietà ed illogicità manifeste. Violazione dei principi del giusto procedimento e del giusto processo. Omessa pronuncia. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 l. n. 241/1990. Motivazione apparente.
4) Sulle Pratiche A e B. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18, comma 1, lett. h), 20, comma 2, 24 e 25 del codice del consumo. Contraddittorietà interna, travisamento del fatto e illogicità manifesta. Irragionevolezza. Omessa pronuncia. Motivazione apparente.
5) Sulle Pratiche A e B. Violazione dei principi di legittimo affidamento, legalità, certezza del diritto e proporzionalità dell'azione amministrativa. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27, comma 13, del codice del consumo e 3 della l. n. 689/1981. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 14, comma 2, della l. n. 287/1990 e 8, comma 2, del d.P.R. n. 217/1998, cui rinvia l'art. 27, comma 3, del codice del consumo e conseguente difetto di istruttoria. Irragionevolezza. Disparità di trattamento. Motivazione apparente.
6) Sulle Pratiche A e B. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18, comma 1, lett. d), e 25, comma 1, lett. d), del codice del consumo. Travisamento del fatto e difetto d'istruttoria. Illogicità. Omessa pronuncia. Motivazione apparente.
7) Sulle Pratiche A e B. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 12 delibera ARERA 153/12 e del combinato disposto degli artt. 25, comma 1, lett. d), 26, comma 1, lett. f), e 66-quinquies del codice del consumo. Travisamento del fatto e difetto di istruttoria. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 19, comma 3, e 46, comma 2, del codice del consumo. Violazione dei principi di legalità, determinatezza, e conoscibilità della sanzione amministrativa ex artt. 1 e 4 della l. n. 689/1981. Violazione dell'art. 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 7, § 1, CEDU e 49 Carta di Nizza. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 689/1981. Difetto di motivazione. Omessa pronuncia.
8) Sulla Pratica C. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 51, commi 6 e 7, del codice del consumo. Violazione dei principi di legalità, determinatezza, e conoscibilità della sanzione amministrativa (art. 1 della l. n. 689/1981). Omessa pronuncia. Difetto di motivazione.
9) Sulla quantificazione della sanzione. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27, comma 13, del codice del consumo, 11 della l. n. 689/1981 e 134, comma 1, lett. c), c.p.a. Sproporzionalità, travisamento dei fatti, difetto d'istruttoria, contraddittorietà, irragionevolezza, ingiustizia manifesta. Omessa pronuncia. Difetto di motivazione.
12. Nelle date, rispettivamente, dell'8 gennaio 2021 e del 10 febbraio 2022, l'Associazione Codici - Centro per i diritti del cittadino e l'AGCM si sono costituite in giudizio per resistere avverso l'appello.
13. Il 5 ottobre 2023 l'appellante ha depositato memorie ex art. 73 c.p.a. insistendo per l'accoglimento del gravame.
14. In data 10 ottobre 2023 l'Autorità ha depositato una memoria conclusionale chiedendo il rigetto dell'appello.
15. Il 13 ottobre 2023 l'appellante ha depositato una memoria in replica.
16. All'udienza pubblica del 26 ottobre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
17. L'appello è infondato e va respinto.
18. Con il primo motivo l'appellante afferma che il T.A.R. Lazio avrebbe solo sommariamente esaminato le censure articolate nel ricorso introduttivo, con motivazione solo apparente e senza un approfondimento di tutti gli argomenti, in fatto come in diritto.
19. La censura, così come veicolata nel presente ricorso, è inammissibile, in quanto troppo generica. Avendo il T.A.R. affrontato effettivamente tutti i vizi dedotti, motivando i propri ragionamenti (in parte sommariamente, ma in parte anche ampiamente) l'appellante avrebbe dovuto, onde poter apprezzare una violazione della standard judicial review, su questo specifico motivo, illustrare più dettagliatamente le rispettive doglianze. Ciò non è avvenuto.
20. Con il secondo ordine di doglianze si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto non fondata la censura riguardante l'incompetenza dell'AGCM per i fatti verificatisi prima del 26 marzo 2014 (entrata in vigore dell'art. 27, comma 1-bis, del codice del consumo). Secondo parte appellante la questione, diversamente da quanto affermato dal T.A.R., non sarebbe mai stata prospettata come nel giudizio di primo grado.
21. La doglianza non merita alcuna condivisione. Il Supremo Consesso della giustizia Amministrativa, con la pronuncia richiamata dal primo giudice, ha accertato che è "indubbia la competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ad applicare la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette nel caso oggetto del presente giudizio già in base alla normativa antecedente che l'art. 1, comma 6, lett. a), d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 si è limitato, per quanto qui rileva, soltanto a confermare". L'art. 27, comma 1-bis, del codice del consumo non riguarda i rapporti tra diverse discipline, ma fonda la competenza dell'AGCM. I rapporti sono (ed erano) regolati dall'art. 19, comma 3, del medesimo codice, rimasti sostanzialmente gli stessi. Alcun contrasto si può apprezzare sul punto con il diritto europeo in quanto la stessa Corte di giustizia si è già pronunciata in favore della compatibilità dell'art. 27, comma 1-bis, al diritto dell'Unione europea riconoscendo la competenza dell'Autorità ad applicare il codice del consumo, anche nelle materie oggetto di regolazione nel settore dell'energia elettrica e del gas da parte dell'Autorità settoriale (AEEGSI, ora ARERA). Ciò che è stato autorevolmente affermato dai giudici di Lussemburgo all'esito della rimessione è la non sovrapponibilità tra discipline settoriali e quella generale del codice del consumo, e che "determinate condotte, come quelle controverse nei procedimenti principali, consistenti nella stipulazione di contratti di fornitura non richiesti dai consumatori o di contratti a distanza e di contratti negoziati fuori dei locali commerciali in violazione dei diritti dei consumatori, devono essere valutate alla luce delle rispettive disposizioni delle direttive 2005/29 e 2011/83", ma non della regolamentazione settoriale. Il rapporto tra le due discipline non è di specialità e le stesse possono trovare applicazione parallela. Il contrasto secondo quanto previsto dall'art. 3, paragrafo 4, della direttiva 2005/29/CE e dal recepimento nazionale (art. 19, comma 3, del codice) deve consistere in "una complessiva divergenza di contenuti [tra norme] che non ne consenta neanche l'astratta coesistenza" (cfr. C.d.S., n. 7699/2019). Per poter rilevare l'ambito di applicazione della norma è però necessario l'esame tra singole «norme generali e di settore, con applicazione di queste ultime soltanto qualora esse contengano profili di disciplina incompatibili con quelle generali di disciplina delle pratiche commerciali scorrette. Sicché competente ad intervenire in presenza di una pratica commerciale scorretta è di regola l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. La competenza delle altre Autorità di settore è residuale e ricorre soltanto quando la disciplina di settore regoli "aspetti specifici" delle pratiche che rendono le due discipline incompatibili (in termini C.d.S., Sez. VI, n. 8620/2021, 7699/2019)». La Sezione ha inoltre già rilevato - e questo Collegio non può apprezzare alcun motivo per discostarsi neanche nel caso oggetto di questo giudizio - sulle pratiche commerciali scorrette nel settore del teleselling, che «nelle pronunce citate, la Corte di giustizia ha chiarito che la formula dell'art. 3, comma 4, della direttiva, secondo la quale "In caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici", si applica anzitutto al solo caso di contrasto fra norme europee, e non al caso di contrasto fra norme europee e norme nazionali ed ha poi nella sostanza un campo di applicazione molto limitato, ristretto al caso in cui "disposizioni estranee" alla direttiva disciplinino "aspetti specifici" delle pratiche commerciali sleali, in modo da imporre "ai professionisti, senza alcun margine di manovra, obblighi incompatibili" con quelli stabiliti dalla direttiva stessa. Al di fuori da questo caso, che nella specie pacificamente non si configura, la normativa europea non osta ad una normativa nazionale, come quella in esame, per cui la competenza a sanzionare le pratiche commerciali aggressive spetta all'Autorità generalmente competente in materia di concorrenza e mercati, e non all'Autorità specifica di settore. Alla luce di quanto affermato dalla Corte di giustizia, la regola generale è che, in presenza di una pratica commerciale scorretta, la competenza è dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. La competenza delle altre Autorità di settore è residuale e ricorre soltanto quando la disciplina di settore regoli "aspetti specifici" delle pratiche che rendono le due discipline incompatibili (cfr. C.d.S. 7296/2019 e 4357/2019)» (C.d.S., Sez. VI, n. 665/2021).
22. Con il terzo motivo dell'appello Enel ribadisce l'insussistenza dell'illecito in quanto le condotte sanzionate sarebbero rispettose della disciplina di settore e deduce l'erroneità del capo della sentenza che ha invece respinto tale affermazione. In particolare:
a) il parere endoprocedimentale dell'ARERA avrebbe confermato che i processi di vendita implementati da Enel Energia sarebbero sostanzialmente conformi alla regolazione dettata dal codice di condotta commerciale;
b) la delibera n. 153/12 avrebbe imposto ai venditori adempimenti aggiuntivi a quelli già disciplinati dal codice di condotta commerciale e disciplinerebbe le modalità e le tempistiche per la presentazione di un reclamo in caso di contratto o attivazione non richiesta e avrebbe istituito una procedura di verifica documentale dei rigetti dei reclami trasmessi allo Sportello per il consumatore dai venditori e dei reclami trasmessi dai clienti finali in caso di mancata risposta da parte del venditore entro i termini. ARERA non avrebbe riscontrato violazioni delle predette regole organizzative da parte di Enel Energia;
c) nel protocollo d'intesa siglato tra ARERA ed AGCM del 2014 emergerebbe l'auto-vincolo di garantire che il rispetto della regolazione vigente da parte del professionista escluda, limitatamente a tale profilo, la configurabilità di una condotta contraria alla diligenza professionale ai sensi dell'art. 20, comma 2, codice del consumo. Sarebbe pertanto evidente che, a fronte di condotte, quali quelle in esame, regolate, non vi potrebbero essere progressione mancando l'illecito regolatorio, in quanto, diversamente opinando, il quid pluris dell'aggressività non troverebbe una base su cui poggiare;
d) l'AGCM sarebbe quindi stata tenuta a fornire una motivazione rafforzata, illustrando le ragioni per cui il comportamento, ancorché in linea con la normativa di settore, debba considerarsi contrario a diligenza professionale.
Il T.A.R. invece avrebbe deciso in base ad una massima che atterrebbe alla questione del radicamento della competenza, ma la censura di Enel Energia avrebbe mirato a denunciare l'interpretazione errata della disciplina sostanziale di riferimento. Quando interviene all'interno di mercati regolati, l'Autorità sarebbe tenuta ad applicare anche le rilevanti norme settoriali, che integrano e specificano le previsioni codicistiche. Non sarebbe stato dunque provato che Enel Energia avesse violato la regolazione di settore e non sarebbero stati resi evidenti le ragioni per cui, pur a fronte del formale rispetto della regolazione, i comportamenti dovrebbero ritenersi scorretti e aggressivi.
23. Il motivo non è fondato.
23.1. Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Sezione, l'art. 20, comma 2, del codice del consumo, nel fornire la nozione di pratica commerciale scorretta "individua chiaramente due distinti connotati dell'elemento oggettivo dell'illecito, consistenti nella contrarietà della pratica alla diligenza professionale, da un lato, e nella sua idoneità a coartare l'autonomia negoziale del consumatore medio cui è destinata, dall'altro" (così C.d.S., Sez. VI, 22 gennaio 2021, n. 665). Proprio con riguardo al settore dei contratti energetici è stato anche rimarcato che, ai fini della verifica della sussistenza dei prefati requisiti, devono essere prese in considerazione le caratteristiche specifiche del mercato di riferimento e che, nel caso in cui questo sia "di recente liberalizzazione", andrà tenuto presente che «la scelta del consumatore risulta influenzata da calcoli legati anche a variabili tecniche ed economiche "nuove" e di non facile comprensione» sicché potrà legittimamente richiedersi l'adibizione di «uno standard di diligenza "rafforzato" in capo al professionista» nel rapportarsi con questi (sempre C.d.S., Sez. VI, 22 gennaio 2021, n. 665). Ebbene, nel caso di specie, come ampiamente illustrato nel provvedimento impugnato, viene in rilievo un mercato di fornitura di beni essenziali che vive una fase di liberalizzazione (di passaggio al mercato "libero") che si atteggia a mass market in cui:
- i consumatori agiscono in condizioni di "razionalità limitata" e subiscono una forte inerzia dovuta a elevati costi di ricerca e di cambiamento percepiti;
- sono presenti un elevato livello di disinformazione e uno scarso livello di comprensione delle offerte, anche tra coloro i quali hanno abbandonato il regime di "tutela";
- i nuovi potenziali clienti vengono contattati singolarmente e convinti mediante mezzi di comunicazione particolari (quali, appunto, vendite a domicilio o teleselling) che, per le loro caratteristiche intrinseche, sono maggiormente idonei a vincolare consumatori non pienamente consapevoli o anche indotti in errore riguardo all'effettivo momento di instaurazione di un vincolo contrattuale (il c.d. mercato push).
23.2. Ne discende che le condotte oggetto di contestazione nel provvedimento gravato in prime cure si inseriscono in un contesto fattuale caratterizzato da una notevole asimmetria informativa tra professionista e consumatore a cui deve fare, secondo la disciplina del codice del consumo, da controbilanciamento un atteggiamento particolarmente accorto del primo. Gli elementi raccolti dall'Autorità nel corso dell'istruttoria (così come analiticamente riassunti ed analizzati anche dal T.A.R.) rivelano, per contro, nel caso di specie, la tenuta da parte della società appellante di pratiche particolarmente aggressive di vario genere. Il primo giudice ha accertato che Enel Energia ha beneficiato di plurime attivazioni non richieste di fornitura di energia elettrica e di gas naturale ed in base a numerose segnalazioni (documenti 4-7, 13-14, 16-19 del fascicolo di primo grado) volte a denunciare le condotte emergeva che la società continuava a pretendere il pagamento dei servizi di fornitura di energia e gas nonostante i segnalanti avessero esercitato tempestivamente e secondo le modalità previste dalla legge il diritto di recesso. La gravità era motivata nell'attivazione dei servizi in assenza di sottoscrizione o in virtù di firme disconosciute, nella comunicazione di informazioni ingannevoli ed incomplete (che hanno poi condotto all'attivazione non richiesta di servizi) e nell'imposizione di ostacoli all'esercizio del diritto di sciogliersi da un vincolo non richiesto. Tanto restituisce, all'evidenza, un fenomeno di sicura consistenza che denota ex post una gestione certamente non in linea con i canoni di diligenza qualificata richiesti dalla natura del mercato. Anche la varietà e le caratteristiche delle condotte rilevate (par. 48-111 del provvedimento impugnato) rivelano una prassi negoziale dell'operatore che non solo non rispecchia il parametro della buona fede oggettiva ma che si è colorata, a tratti, anche di carattere decettivo. In particolare sono emersi plurimi episodi di attivazione della fornitura da parte di Enel Energia in assenza di una corrispondente manifestazione di volontà o di sottoscrizione da parte del consumatore ovvero in base a firme disconosciute o di altri familiari (spesso riconducibili a persone anziane o malate e, quindi, particolarmente vulnerabili). È anche emersa l'attivazione di forniture nei confronti di utenti deceduti o, addirittura, in totale assenza di contatto telefonico o a fronte di espresso rifiuto del consumatore ovvero di mera disponibilità di questi a ricevere per posta ulteriori informazioni al fine di valutare la proposta. Né può assumere valore esimente la circostanza che l'operatore sanzionato abbia predisposto una serie di accorgimenti intesi a confermare la volontà dei possibili nuovi clienti in sede di trattative. Al di là del rilievo che l'inadeguatezza di quest'ultimi è apprezzabile proprio alla luce della mole di ripensamenti e disconoscimenti operati dai consumatori, non sembra si possa obliterare la circostanza per cui la stessa Enel Energia, avvedutasi di talune carenze, abbia modificato, in corso di procedimento, le procedure seguite in precedenza (anche nel corso del periodo oggetto di accertamento), così assumendo un contegno sostanzialmente ammissivo di quelli che sono stati gli addebiti elevati a conclusione dell'istruttoria.
23.3. Le prescrizioni recate dalla regolazione di settore, non costituiscono poi "l'unico parametro cui riferire la diligenza richiesta dal professionista ai sensi del codice del consumo, non mirando le previsioni di settore alla tutela specifica del consumatore ed al perseguimento delle finalità sottese al codice del consumo" (C.d.S., n. 3511/2011). Sulla motivazione dell'Autorità in merito alla contrarietà alla diligenza professionale è stato evidenziato che «il legislatore ha inoltre analiticamente individuato una serie di specifiche tipologie di pratiche commerciali (le c.d. "liste nere") da considerarsi sicuramente ingannevoli e aggressive (art. 23 e 26, cui si aggiungono le previsioni "speciali" di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 21 e all'art. 22-bis), senza che si renda necessario accertare la sua contrarietà alla "diligenza professionale" nonché la sua concreta attitudine "a falsare il comportamento economico del consumatore"» (C.d.S., Sez. VI, n. 2414/2020). Non è neanche fondata la tesi della difformità con la disciplina settoriale, ma invece è evidente la complementarietà degli strumenti: in tal senso si esprime proprio il parere endoprocedimentale di AEEGSI (par. 156-158 del provvedimento).
24. Esaminando il quarto motivo dell'appello si deve scrutinare la doglianza che il comportamento sarebbe anche rispettoso dei paradigmi comportamentali espressi dal codice del consumo, che prevedono, qualora il professionista esternalizzi, in tutto o in parte, i processi di vendita, di mantenere un'elevata diligenza sia nella selezione e formazione dei partner sia nel controllo del relativo operato. Inoltre, secondo l'appellante, il T.A.R. avrebbe dovuto accertare il mancante pregiudizio ai consumatori, atteso che i controlli precedevano il momento in cui la somministrazione energetica acquisiva efficacia giuridica. Il T.A.R. avrebbe erroneamente convalidato la responsabilità ascritta ad Enel Energia, che invece avrebbe i) attuato un sistema di organizzazione, gestione e monitoraggio dei propri partner di vendita idoneo a prevenire comportamenti illeciti da parte degli stessi, ii) prima dell'effettivo dispacciamento e iii) con buona fede.
25. Anche questa doglianza non è fondata. Come più volte accertato da questo Consiglio di Stato "il professionista è responsabile dell'attività svolta anche dai suoi agenti/promotori, sia qualora gli possa essere attribuita una culpa in eligendo, sia qualora gli possa essere imputata una culpa in vigilando, ovvero qualora non dimostri di avere posto in essere un sistema di monitoraggio effettivo e preventivo sui contenuti delle iniziative promo-pubblicitarie realizzate e diffuse da soggetti terzi, anch'essi interessati alla pratica commerciale, o non si sia dotato nell'ambito della propria organizzazione di un sistema di monitoraggio idoneo a consentire il puntuale adempimento del dettato legislativo" (C.d.S., Sez. VI, nn. 3896 e 3897 del 2014). Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di questo giudizio la tesi che l'Autorità avrebbe dovuto estendere soggettivamente il procedimento anche ai soggetti terzi è completamente infondata. La responsabilità da illecito amministrativo nel settore della tutela del consumatore deve essere riferita, in via diretta, al soggetto tenuto al rispetto dei menzionati obblighi e l'interposizione di uno o più soggetti nel rapporto fra l'operatore commerciale e la clientela non esclude la responsabilità dell'operatore, né attribuisce alla stessa natura oggettiva. Emerge dal provvedimento gravato che il coinvolgimento di altri soggetti nel procedimento non avrebbe potuto derivare alla ricorrente alcun vantaggio, considerata la piena legittimità dell'accertamento della condotta illecita dalla stessa posta in essere. È stato provato da AGCM che il professionista non ha adottato un adeguato sistema di monitoraggio, non essendo in grado di arginare le condotte dei promotori che facevano sì che i consumatori fossero indotti, sin dal primo contatto, a una scelta commerciale non voluta o sufficientemente meditata. Si deve confermare su tale punto l'assunto del T.A.R. che non rileva che la fornitura era attivata successivamente, dato che la buona fede del professionista deve essere sempre sussistente e verificabile anche nella fase di relazione prodromica al contratto. L'accertamento svolto dall'Autorità ha portato alla luce che Enel Energia (consapevole dell'esistenza delle condotte degli agenti lamentate dai segnalanti) ha implementato un sistema di monitoraggio carente, sia in relazione al canale di vendita indiretta tramite agenti che in relazione al canale teleselling. Il Collegio può accertare a tal fine che, in merito al canale porta a porta, nelle procedure di quality call il professionista prima aveva deciso di effettuare solo un certo numero di tentativi di contatto telefonico, mentre dopo (fino al mese di agosto 2015) qualora non riusciva a contattare il cliente (per l'eventuale conferma o la revoca del contratto) riteneva comunque a procedere con l'esecuzione del contratto. Nell'altro caso del canale teleselling emerge dall'istruttoria richiamata nel provvedimento gravato che le verifiche realizzate dal professionista sulle acquisizioni operate dagli agenti erano esclusivamente finalizzate alla qualità commerciale, solo per finalità interna, e svolte su un campione di telefonate (par. 181-188 della delibera contestata). Non si può dunque non essere d'accordo con il T.A.R. che accertava l'assenza di un effettivo ed efficace controllo sulle procedure dei propri agenti. In riferimento all'indice di vendor rating emerge (par. 186 e 209 della delibera) risulta che AGCM ha provato come le sanzioni non venissero applicate quando l'agente aveva un elevato indice, raggiungendo anche solo un buon risultato commerciale, senza che fosse necessariamente raggiunto un buon risultato in termini di correttezza verso il consumatore. Per quanto riguarda un adeguato sistema di verifica ex ante, è sufficiente rilevare che ciò non risulta né in fase di acquisizione contrattuale e né nei rapporti con la rete agenziale, ed in tal senso incidono sicuramente i corsi di formazione che sembrano necessari a erudire i propri agenti sugli strumenti psicologici da utilizzare per migliorare i risultati di vendita adottando strategie basate sulla economia comportamentale, volte a sfruttare - con tecniche di comunicazione avanzate - alcuni errori sistematici (bias cognitivi) che incidono sulle modalità decisionali dei consumatori (par. 204 del provvedimento). Mentre è necessario rendere pienamente edotto il consumatore in merito alla conclusione del contratto, con uno standard di diligenza particolarmente elevato non riconducibile ai soli canoni civilistici di valutazione della condotta ed esteso ad una fase antecedente rispetto all'eventuale conclusione del contratto.
26. A prosieguo Enel Energia eccepisce che il T.A.R. abbia sbagliato e ritenere infondata la censura della carenza dell'elemento soggettivo della colpa e la violazione del legittimo affidamento, nonché la contraddittorietà con decisioni precedenti dell'AGCM.
27. La tesi attorea non convince.
27.1. Per quanto riguarda l'elemento soggettivo della colpa è sufficiente richiamare quanto già ampiamente rilevato supra sub 25 per confermare la legittimità della sentenza sul punto. Anzitutto occorre rilevare che l'adibizione da parte del professionista di una diligenza qualificata è richiesta dalla giurisprudenza di questa Sezione "anche in riferimento alla doverosa attività di controllo sulla condotta dei propri agenti" (sempre C.d.S., Sez. VI, 22 gennaio 2021, n. 665). E, infatti, secondo costante insegnamento pretorio, nei casi in cui vi è l'interposizione di soggetti terzi nell'attività di vendita del professionista, il canone della diligenza richiesta obbliga a monitorare il comportamento dell'attività dei singoli agenti e, ciò, al fine di evitare che il ricorso al contratto di agenzia possa costituire il presupposto idoneo a consentire una facile esimente da responsabilità per le condotte che egli stesso volesse assumere non riconducibili al fatto proprio (così sin da C.d.S., Sez. VI, 7 dicembre 2012, n. 4753). Più di recente è stato pure precisato che, laddove i vantaggi della condotta siano comunque riconducibili al "professionista", non rileva che l'attività sanzionata sia stata posta in essere materialmente da terzi, considerato che la mancata predisposizione di adeguati strumenti di controllo rappresenta comunque una condotta non conforme al normale grado della specifica diligenza, competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista (C.d.S., Sez. VI, 25 giugno 2019, n. 4357).
27.2. Invece in merito all'asserita illegittimità della sentenza nella parte in cui non avrebbe opportunamente valutato il legittimo affidamento della parte nella prassi seguita dall'Autorità nel caso IP49B è evidente che tale caso non è comparabile con quello oggetto del giudizio. Per quanto riguarda invece la contestata parità di trattamento nel caso PS2216 (riguardante il professionista ENI) il T.A.R. Lazio aveva in primis accertato la mancante identità di situazioni. Orbene, risulta anche a questo Collegio che il caso è diverso da quello che occupa la Sezione, anche alla luce del fatto che il sistema di verifica e controllo adottato da ENI già precedentemente all'avvio aveva "prodotto effetti tangibili portando il fenomeno delle forniture non richieste, calcolato sul numero dei nuovi contratti, a risultati in percentuale nel corso del 2012, prossimi allo zero" e che, pertanto, "i sistemi attivati dal professionista comunque soggetti a verifiche ed ulteriori implementazioni al fine di prevenire il fenomeno di cui trattasi, sono in grado di assicurare che l'attivazione di forniture asseritamente non richieste sia limitato a casi sporadici, del tutto fisiologici in un'azienda con milioni di clienti da gestire, e non assurga a pratica commerciale" (delibera AGCM del 6 settembre 2012, n. 23865, par. 43-45).
28. Con il sesto motivo di gravame, Enel Energia critica la parte della sentenza che, a suo dire, non avrebbe adeguatamente preso in considerazione le sue condotte pienamente rispettose della regolazione in ordine agli ostacoli non contrattuali al diritto di recesso. L'appellante afferma che la sentenza impugnata non avrebbe prestato adeguata attenzione ai profili di diligenza professionale connessi alla gestione dei reclami. Sarebbe invece da accertare la congruità del termine di 20 giorni lavorativi accordato per l'esercizio dello ius poenitendi, mentre l'inadeguatezza dipenderebbe da un'errata individuazione del momento di perfezionamento del contratto. Errato sarebbe anche il richiamo del T.A.R. della nozione di illecito di pericolo, evidenziando l'omessa pronuncia sul motivo dedotto in primo grado. I reclami sarebbero stati archiviati, gestiti e lavorati secondo le modalità stabilite dall'Autorità di settore, ma semmai sarebbe inadeguata la regola (e non il comportamento rispettoso di ciò), con conseguente indebita invasione di campo dell'AGCM (che allora avrebbero richiesto una motivazione rafforzata da parte dell'Autorità, mancante nel caso di specie). La sentenza impugnata non avrebbe neanche esaminato tali profili.
29. La censura è infondata. È il caso di notare che, nell'ottica di un pieno adempimento dei doveri qualificati di diligenza esistenti in capo al professionista, questi deve predisporre strumenti efficienti non solo in chiave di prevenzione delle pratiche scorrette dei propri agenti (come la previsione di corsi di formazione specifica in loro favore) ma anche di successiva reazione alle stesse. In questo senso il fatto che fosse prevista la risoluzione del rapporto, lo storno delle provvigioni con applicazione di una penale in caso di disconoscimento da parte dei consumatori costituisce la fisiologica evoluzione di un qualunque rapporto di agenzia non adempiuto, non potendo pertanto rappresentate un utile strumento specificatamente volto alla prevenzione delle pratiche abusive (in termini C.d.S., Sez. VI, 22 gennaio 2021, n. 665). Inoltre, preme evidenziare che il rimedio della risoluzione dei contratti di agenzia interviene quando il pregiudizio al consumatore si è già concretizzato e non ne elimina le conseguenze. Dal provvedimento risulta con chiarezza come il professionista non abbia fornito tempestivi riscontri o comunque dato risposte negative a fronte dei reclami per attivazioni non richieste di servizi e delle richieste di vedersi riconoscere il diritto al recesso. Dall'istruttoria (par. 216-223 della delibera) è emerso che il titolare di una fornitura si era reso conto di essere diventato cliente di Enel Energia troppo tardi per le procedure dallo stesso adottate, anche se dal suo punto di vista stava esercitando il proprio diritto di recesso immediatamente dopo essersi reso conto di essere stato annoverato fra i suoi clienti. Inoltre - per poter accertare l'infondatezza della censura ed al contrario la correttezza dell'assunto del T.A.R. - depone che il professionista anche nei casi in cui accertava che il reclamo fosse qualificabile come reclamo per attivazione non richiesta, non lo aveva considerato fondato in base alla mera verifica del rispetto di alcuni adempimenti regolatori. Ciò è ancora più grave se si considera che dalle medesime sue verifiche risultava che effettivamente lo stesso non aveva prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto. Nei contratti conclusi con il canale teleselling il termine di venti giorni lavorativi dal momento della conclusione del contratto adottato dalla Società per stabilire l'accoglibilità o meno del ripensamento del consumatore non garantiva che il consumatore venisse a conoscenza di tale realtà prima dello scadere del termine stabilito dal codice del consumo per l'esercizio del diritto di ripensamento. La società, come accertato dall'AGCM, non si era assunta una responsabilità delle tempistiche di stampa e postalizzazione che la welcome letter sconta prima di arrivare al consumatore. Neanche la prassi di gestione delle denunce di ripensamento non corrisponde ad un'adeguata diligenza professionale. Ciò in quanto Enel Energia ha classificato come ripensamenti anche i reclami per attivazioni non richieste non presentati secondo certi requisiti formali, ma comunque qualificabili come dei disconoscimenti, atteso che il cliente rappresentava non già la decisione di sciogliersi dal vincolo contrattuale validamente concluso quanto piuttosto l'esistenza di elementi perturbatori intervenuti nel processo formativo della volontà. È logica la conclusione dell'Autorità a ritenere tali elementi perturbativi a comportare la deviazione della volontà dal suo corso normale, fino a farla diventare diversa da quella che ci sarebbe stata senza questi elementi.
30. Non colgono minimamente nel segno neanche le censure che appellante solleva con il settimo motivo, secondo cui il giudice di prime cure avrebbe omesso di valutare l'incompatibilità tra l'art. 66-quinquies del codice e la delibera ARERA n. 153/2012. Non risulta al Collegio che l'Autorità abbia forzato o disapplicato l'art. 12 della delibera: con il provvedimento gravato infatti non è stata accertata alcuna violazione dell'art. 66-quinquies del codice del consumo, né si è basato su tale disposizione per costruire l'accertamento di scorrettezza. I richiami che risultano nel provvedimento a tale articolo attengono ai rimedi che il consumatore ha a sua disposizione, in caso di attivazione non richiesta.
31. Con l'ottavo motivo, Enel Energia contesta la sentenza nella parte che non ha avallato la sua doglianza sulla violazione dei requisiti di forma prescritti per il teleselling dall'art. 51, commi 6 e 7, del codice del consumo. A dire dell'appellante la legge non avrebbe stabilito che la conferma scritta di cui all'art. 51, comma 7, del codice determini il perfezionamento del contratto, che si dovrebbe verificare nella fase, precedente, della registrazione del vocal order. L'interpretazione fornita dall'AGCM sarebbe contraddittoria rispetto agli indirizzi dettati dall'AGCOM con la delibera 520/15/CONS, recante gli "Orientamenti per la conclusione per telefono di contratti relativi alla fornitura di servizi di comunicazione elettroniche". La contestazione non sarebbe stato presente nell'atto di estensione oggettiva, mentre gli uffici avrebbero illegittimamente esplicitato tale tesi solo con la CRI.
32. Il motivo non è fondato, alla luce dei seguenti ragionamenti:
- secondo il primo giudice il richiamo all'art. 51, comma 6, del codice del consumo era intervenuto in una fase procedimentale in cui era comunque consentito alla ricorrente di esprimere le sue difese sul punto;
- emerge dalla comunicazione di avvio della procedura (doc. 1 di primo grado), depositato in primo grado, che le contestazioni prospettate erano precise in punto di fatto e di diritto;
- il professionista ha esercitato (sin dall'inizio della procedura) concretamente e pienamente il suo diritto di difesa sui profili contemplati dall'art. 51, commi 6 e 7, del codice del consumo, come rilevabile dalle memorie, dai verbali di audizione e dalle risposte alle richieste di informazioni (doc. 27-29 del fascicolo di primo grado);
- l'interpretazione dell'AGCM della disciplina di recepimento della direttiva 2011/83/UE appare del tutto condivisibile, atteso che oggetto delle contestazioni era il mancato rispetto della tutela dei consumatori durante il processo di conclusione del contratto (d.lgs. 21/2014). Il contratto si conclude al telefono mediante la registrazione telefonica con il consumatore, durante la quale il professionista si è limitato ad acquisire il consenso del consumatore alla registrazione della telefonata, mentre la documentazione cartacea inviata al domicilio del consumatore rappresenta la mera conferma del contratto già concluso al telefono, ai sensi dell'art. 51, comma 7, cod. cons. e la registrazione della telefonata viene inviata al consumatore solamente su sua richiesta. Tale condotta non è conforme al dettato legislativo. L'art. 51, comma 6, del codice (recependo l'art 8, par. 6, della direttiva 2011/83/UE) prevede che "Quando un contratto a distanza deve essere concluso per telefono, il professionista deve confermare l'offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver firmato l'offerta o dopo averla accettata per iscritto; in tali casi il documento informatico può essere sottoscritto con firma elettronica ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni. Dette conferme possono essere effettuate, se il consumatore acconsente, anche su un supporto durevole". Il vincolo contrattuale si completa e nasce a seguito dell'accettazione e della sottoscrizione per iscritto dell'offerta, l'alternativa permette al professionista (ma solo previo consenso del consumatore) di poter formalizzare la dichiarazione confermativa del professionista e la successiva dichiarazione di conferma del consumatore tramite supporto durevole. La forma scritta è quindi la regola, l'alternativa è valida solo qualora ci siano precise condizioni, e precisamente l'informazione preliminarmente del consumatore in merito alle modalità alternative di conclusione del contratto e alle conseguenze giuridiche che ne discendono. Pertanto è solo logico che la mera richiesta di un generico consenso alla registrazione non soddisfa il requisito di cui al predetto art. 51, comma 6. Come è stato evidenziato in maniera convincente dalla difesa erariale, l'art. 45, lett. l), del codice del consumo chiede che il supporto durevole sia uno strumento che permetta al consumatore di conservare le informazioni che gli sono personalmente indirizzate in modo da potervi accedere in futuro per un periodo di tempo adeguato alle finalità cui esse sono destinate e che permetta la riproduzione identica delle informazioni memorizzate, garantendo l'assenza di alterazione del loro contenuto nonché la loro accessibilità per un congruo periodo e offra al consumatore la possibilità di riprodurle identiche (CGUE, sentenza 5 luglio 2012, causa C-49/11). Non è quindi sufficiente la registrazione vocale della telefonata conservata dall'operatore e comunicata al consumatore, tra l'altro solo su sua richiesta, mancando la "piena" disponibilità di fatto del supporto da parte del consumatore;
- ne discende che, diversamente da quanto sostenuto da parte appellante, non pare sufficiente ad assicurare il rispetto della normativa consumeristica la mera registrazione vocale della telefonata che sia conservata dall'operatore stesso e che venga comunicata al consumatore solo su sua richiesta (a mezzo e-mail), in quanto manca in tal caso la piena e tempestiva disponibilità di fatto del supporto da parte del consumatore. E, infatti, l'appena evocato comma 7 dell'art. 51 prescrive expressis verbis che sia il professionista, di propria iniziativa, a fornire, entro un termine, la conferma del contratto concluso su un mezzo durevole e, quindi, vi è da ritenere, anche il supporto durevole medesimo sul quale essa è stata effettuata. Non ha, per converso, pregio distinguere, come suggerisce formalisticamente parte appellante, tra "conferma" (per la quale varrebbe quanto stabilito dal comma 7 dell'art. 51 del codice del consumo) e "supporto durevole", atteso che quest'ultimo è solo una modalità di documentazione peculiare della conferma medesima.
33. Nell'ultima doglianza [l]'appellante contesta la valutazione del T.A.R. circa l'entità della sanzione, affermando che questa sarebbe iniqua e sproporzionata. Il T.A.R. avrebbe erroneamente disatteso le censure sulla durata dell'illecito ed omesso di svolgere un'analisi sugli effetti delle pratiche accertate (estremamente contenuti, a dire dell'appellante), oltre ad essere mancante l'analisi sull'intensità dell'elemento soggettivo. Si dovrebbero invece considerare la sostanziale conformità dei comportamenti contestati alla disciplina di settore, l'ascrivibilità delle carenze accertate a soggetti rimasti estranei all'istruttoria, l'impegno profuso del professionista per ridurre al minimo eventuali devianze comportamentali, la tenuità degli effetti, l'assenza dell'elemento soggettivo e la maturazione di un legittimo affidamento in ordine alla liceità dei processi aziendali implementati e la non conoscibilità ex ante della regola di condotta.
34. La censura non merita positivo apprezzamento. La quantificazione complessiva delle sanzioni irrogate dall'Autorità appare congrua e ragionevole nonché supportata da adeguata motivazione. In sede di dosimetria della sanzione l'Autorità ha preso in considerazione congiuntamente una pluralità di aspetti operando, nell'esercizio dell'ampia discrezionalità riconosciutale dalla legge (e, segnatamente, dall'art. 11 l. n. 689 del 1981, richiamato dall'art. 27, comma 13, del codice del consumo), una valutazione sintetica e globale, concedendo plurime attenuanti. In particolare, ha valorizzato tanto la gravità ed il numero delle infrazioni (di cui si è detto supra con riguardo al rapporto tra ipotesi di disconoscimento e ripensamento) quanto le dimensioni e l'importanza del professionista nell'ottica di assicurare, come richiesto dalla giurisprudenza, una funzione deterrente e dissuasiva alla sanzione (così C.d.S., Sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6036 e, più di recente, C.d.S., Sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 253 che riprendono gli insegnamenti di C.G.U.E., 16 aprile 2015, C-388/13). Deve osservarsi, peraltro, che l'Autorità ha irrogato una sanzione finale che si colloca, per tutte le condotte contestate, ben al di sotto della metà del massimo edittale (la cui cornice prevista dal comma 9 dell'art. 27 del codice del consumo va da 5.000,00 euro a 5.000.000,00 euro). Inoltre è il caso di rilevare che l'appellante ha eccepito l'omessa considerazione delle circostanze rilevate nei motivi 3, 4, 5 e 7 dell'appello, che però la Sezione ha respinto: a cascata cade nel nulla anche questa censura. Questa Sezione ha, del resto, già avuto modo di affermare, con orientamento che si condivide (in termini C.d.S., Sez. VI, 16 agosto 2017, n. 4011) che:
- "indice dell'effettiva condizione economica del professionista è il fatturato complessivamente realizzato nell'ultimo anno, in quanto esso fornisce un indice della specifica dimensione economica";
- "diversamente, il dato dei soli ricavi introitati per il settore o per la vendita del prodotto interessato dalla condotta ingannevole è indicativo della mera condizione economica strettamente connessa alla condotta illecita e dipendente dalla buona riuscita o meno della pratica commerciale scorretta";
- "attribuire rilevanza al fatturato quale parametro di commisurazione del quantum sanzionatorio consente il dispiegarsi dell'effetto deterrente e dissuasivo della sanzione medesima che deve, infatti, essere adeguata ed efficace per disincentivare condotte qualificabili come pratiche commerciali scorrette";
- "viceversa, 'ancorare' l'ammontare della sanzione ai ricavi realizzati attraverso la vendita del prodotto oggetto della pratica commerciale scorretta potrebbe non dissuadere dal reiterare la condotta anti-consumeristica, laddove gli utili derivanti dal settore o prodotto rappresentino una minima parte di un fatturato complessivo ben più ampio ed esteso".
35. Per le ragioni sopra esposte l'appello è infondato e deve essere respinto con conferma della sentenza appellata.
36. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono, ex artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c., nei rapporti tra l'appellata AGCM (l'unica che abbia svolto difese complete tra le parti intimate) e la società appellante, la soccombenza e sono da porre a carico di quest'ultima. Sussistono, invece, nei rapporti tra l'appellante e le altre parti intimate, anche alla luce del comportamento processuale di queste, giustificati motivi per disporre l'integrale compensazione delle spese processuali del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante Enel Energia al pagamento, a titolo di spese processuali, in favore dell'appellata AGCM, in persona del legale rappresentante pro tempore, della somma complessiva di euro 8.000,00 (ottomila/00) oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.