Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 21 settembre 2023, n. 42124

Presidente: Miccoli - Estensore: Scarlini

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell'11 gennaio 2023, la Corte di appello di Catanzaro, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lamezia Terme, rideterminava la pena (da mesi quattro di reclusione ad euro 1.000 di multa) inflitta a Luigi De Magistris per il delitto di cui all'art. 595 c.p., per avere, nel corso della trasmissione televisiva "Piazza pulita" andata in onda il 9 marzo 2017, offeso la reputazione di Salvatore Murone, all'epoca Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro - estensore di quella relazione al Procuratore generale facente funzioni presso la Corte d'appello di Catanzaro, Dolcino Favi, che aveva contribuito a determinare l'avocazione del fascicolo noto come "Why not", già assegnato all'imputato - lamentando che tale indagine gli era stata "scippata" da "un sistema criminale fatto di pezzi di politica, pezzi di magistratura, pezzi di istituzioni".

1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, per quanto qui di interesse, la Corte territoriale osservava quanto segue.

Non vi era alcun dubbio sul fatto che la parte civile fosse uno dei destinatari dell'invettiva dell'imputato, pronunciata nel corso della trasmissione televisiva, posto che l'Avvocato generale facente funzioni presso la Corte d'appello di Catanzaro, Dolcino Favi, aveva deciso l'avocazione del procedimento "Why not", già affidato al De Magistris, proprio sulla scorta delle irregolarità segnalate in una relazione da Salvatore Murone, all'epoca Procuratore aggiunto della Procura della Repubblica presso il Tribunale della medesima città.

In relazione a tale avocazione, Favi e Murone erano stati, infatti, sottoposti a giudizio penale: assolti dal Tribunale di Salerno (competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p.) dal delitto di corruzione in atti giudiziari, erano stati poi (in epoca successiva anche alla trasmissione televisiva per cui è processo) prosciolti, dalla Corte di appello di Salerno, per l'intervenuta prescrizione del delitto di abuso d'ufficio, così derubricata l'originaria imputazione. Questa Corte di cassazione aveva, poi, annullato, senza rinvio, la sentenza della Corte territoriale, agli effetti penali per l'intervenuta reformatio in peius (l'appello era stato proposto dalla sola parte civile) e, agli effetti civili, per il difetto di correlazione fra l'accusa e la decisione.

Era pertanto evidente il collegamento, di pubblico dominio, fra il provvedimento di avocazione e la persona del Murone.

Concretavano poi un'indubbia offesa alla reputazione del Murone le frasi pronunciate, in quella occasione, dall'imputato circa le indagini (a lui) "scippate" da "un sistema criminale fatto di pezzi di politica, pezzi di magistratura, pezzi di istituzioni", difettando, quanto all'invocato diritto di critica, il requisito della continenza verbale (Cass. n. 12186/2022), dovendosi anche considerare che l'imputato le aveva pronunciate non contestualizzandole all'interno della trasmissione ove di altro si stava discutendo (della vicenda Consip).

2. Ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del proprio difensore, articolando le proprie censure in due motivi.

2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla identificabilità del querelante nel novero delle persone la cui condotta era stata stigmatizzata dall'imputato nel suo intervento televisivo.

I giudici del merito - affermando che la parte civile era perfettamente riconoscibile, almeno nel contesto catanzarese, come uno dei responsabili dell'avocazione dell'indagine - avevano omesso di considerare il contenuto del medesimo provvedimento di avocazione e della sentenza del Tribunale di Salerno del 20 aprile 2016.

Quanto al primo, nel testo non vi era alcun riferimento alla presunta persona offesa né all'ufficio dal medesimo ricoperto, risultando citata, impersonalmente, la sola nota del Procuratore della Repubblica. Non era stato pertanto palesato, nel provvedimento di avocazione, alcun intervento dell'allora Procuratore aggiunto.

Neppure nella sentenza del Tribunale di Salerno, già ricordata, si era negato che l'avocazione fosse da ricondursi all'iniziativa del solo Procuratore generale.

Né poteva avere rilievo alcuno la sentenza della Corte di appello di Salerno (del 9 novembre 2018) che pure aveva sottolineato le patenti illegittimità del procedimento di avocazione - espressamente citando il Murone - dato che la stessa era stata pronunciata in epoca successiva alla messa in onda della trasmissione incriminata.

2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in riferimento al mancato riconoscimento della causa di giustificazione del diritto di critica, per non essere stato rispettato il requisito della continenza verbale.

Requisito che però avrebbe dovuto essere parametrato all'opinione critica manifestata (Cass. n. 12186/2022). L'espressione "indagine scippata" era congruente con i motivi di appello presentati contro la sentenza assolutoria del Tribunale di Salerno, volti a ottenerne la riforma o dichiarando gli imputati (Favi e Murone) colpevoli del delitto di corruzione in atti giudiziari o derubricando la condotta in abuso d'ufficio, ipotesi, quest'ultima, che si era, poi, effettivamente concretata, pur con il successivo annullamento della Cassazione (per ragioni formali).

Anche il citato "sistema criminale fatto di pezzi di politica, pezzi di magistratura e pezzi di istituzioni" era congruente a quanto sottoposto al giudizio del Tribunale e della Corte di appello di Salerno.

Quanto, infine, all'inerenza dell'intervento al tema della trasmissione televisiva, appariva evidente come l'imputato, chiamato a commentare gli sviluppi della vicenda "Consip" (anch'essa di particolare rilievo mediatico, coinvolgendo personaggi politici e uomini delle forze dell'ordine), avesse comprensibilmente richiamato quel, non dissimile, caso "Why not" che l'aveva personalmente riguardato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso presentato nell'interesse dell'imputato merita accoglimento, risultando fondato il secondo motivo in tema di ricorrenza della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, il diritto di critica.

1. Il primo motivo è, invece, privo di concreto fondamento posto che risulta per tabulas che l'imputato, proferendo le frasi riportate in imputazione e nella superiore narrativa del fatto, abbia inteso stigmatizzare anche la condotta dell'odierna parte civile, Salvatore Murone.

Nello stesso ricorso, infatti, si ricollega quanto dal De Magistris affermato a coloro che erano coinvolti nel provvedimento di avocazione dell'indagine detta "Why not" e nel conseguente processo - per corruzione in atti giudiziari, proprio a seguito di tale avocazione - celebrato in prime cure dal Tribunale di Salerno (al momento della messa in onda della trasmissione televisiva, si era giunti alla sola pronuncia della sentenza del Tribunale; le sentenze della Corte d'appello e di questa Corte di cassazione interverranno in epoca successiva).

Se è vero, allora, che nel provvedimento di avocazione non compare il nome del Murone, è, invece, altrettanto vero e certo che nel processo - da poco conclusosi in prime cure con la sentenza del Tribunale di Salerno - era ampiamente e dettagliatamente descritta l'ipotizzata corresponsabilità del Murone nell'avocazione disposta dall'Avvocato generale facente funzioni, Dolcino Faci.

Si legge, infatti, al capo B dell'imputazione, laddove si descrivono i passaggi processuali che avevano determinato l'avocazione del procedimento "Why not", come proprio la relazione redatta dal Murone il 19 ottobre 2007 avesse costituito il presupposto anche contenutistico del provvedimento dell'Avocato generale ("sulla base della relazione del Procuratore aggiunto - l'Avvocato generale - disponeva l'avocazione del procedimento" si legge a pag. 6 dell'imputazione).

Non vi è pertanto dubbio alcuno che da un atto di pubblico dominio come la sentenza del Tribunale di Salerno e prima ancora dalla vocatio in iudicium dello stesso processo (su un episodio delittuoso di particolare risonanza anche mediatica) fosse perfettamente deducibile il pieno coinvolgimento del Murone in quel provvedimento giudiziale che De Magistris aveva commentato come uno "scippo" della indagine al lui affidata, ad opera di "sistema criminale fatto di pezzi di politica, pezzi di magistratura, pezzi di istituzioni".

2. Il secondo motivo, si è detto come sia, invece, fondato.

Non discutendosi del rilievo pubblico di quanto affermato nella trasmissione televisiva dall'imputato, che risulta pacifico (per la notorietà del ricorrente e del procedimento "Why not"), resta da verificare la continenza delle frasi pronunciate e l'inerenza di tali espressioni al tema trattato in quel momento nella trasmissione televisiva.

Fin dalla sentenza delle Sezioni unite Galiero (n. 37140 del 30 maggio 2001) si è affermato come, in tema di diffamazione, nel giudizio sulla condotta dell'imputato si deve tener conto del più generale contesto, con riguardo particolare alle caratteristiche dei soggetti coinvolti e alle vicende concrete interessate dalla discussione.

Tanto che si è, più di recente, affermato come:

- in tema di diffamazione, l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, ma non vieta l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (Sez. 5, n. 17243 del 19 febbraio 2020, Lunghini, Rv. 279133);

- in tema di diffamazione a mezzo stampa, il requisito della continenza, dovendo essere contestualizzato, può risultare sussistente anche nel caso in cui siano utilizzate espressioni che, per quanto più aggressive e disinvolte di quelle ammesse nel passato, risultino ormai accettate dalla maggioranza dei cittadini, per effetto del mutamento della sensibilità e della coscienza sociale (Sez. 5, n. 39059 del 27 giugno 2019, Fiorato, Rv. 276961);

- il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, costituendo l'unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell'esercizio di una rilevante attività istituzionale, che viene esercitata nel nome del popolo italiano da soggetti che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione, godono di ampia autonomia ed indipendenza; ne deriva che il limite della continenza può ritenersi superato soltanto in presenza di espressioni che, in quanto inutilmente umilianti, trasmodino nella gratuita aggressione verbale del soggetto criticato (Sez. 5, n. 19960 del 30 gennaio 2019, Giorgetti, Rv. 276891);

- in tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall'agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere (Sez. 5, n. 32027 del 23 marzo 2018, Maffioletti, Rv. 273573).

3. Nell'odierno caso di specie, il contesto era il seguente.

L'imputato, Luigi De Magistris, la cui notorietà (derivante inizialmente dalle indagini dal medesimo condotte, fra cui spiccava proprio il procedimento "Why not" ma che, nel marzo 2017, quando aveva pronunciato le frasi riportate in imputazione, aveva da anni intrapreso una carriera politica di rilievo nazionale, trovandosi a ricoprire, dal 2011, e quindi già da sei anni, la carica di sindaco della città di Napoli) al momento della trasmissione era indubbia, tanto da essere invitato in una nota trasmissione televisiva di discussione ed inchiesta, come "Piazza pulita", ove l'argomento trattato erano, appunto, i riflessi di una inchiesta giudiziaria di rilevante richiamo mediatico, come quella denominata "Consip", in cui, proprio in quei giorni, era stato coinvolto il padre di quel Presidente del Consiglio dei ministri che pochi mesi prima (nel dicembre 2016) si era dimesso dalla carica.

Nel contempo, Luigi De Magistris aveva presentato appello, come parte civile, avverso la già citata sentenza del Tribunale di Salerno al fine di ottenere, agli effetti civili (non vi era stata impugnazione da parte dei pubblici ministeri), la riforma della pronuncia assolutoria, sostenendo, pertanto, come l'avocazione del procedimento "Why Not" trovasse ragione in un accordo corruttivo conclusosi fra i due magistrati interessati - Dolcino Favi e l'odierna parte civile Salvatore Murone - e uomini politici ed imprenditori della zona.

Così che le frasi pronunciate dall'imputato dovevano essere collocate in tale inquietante contesto, in cui, appunto, si era giunti ad ipotizzare (secondo l'appello dell'imputato ma anche, e soprattutto, a detta dell'originaria imputazione, rispetto alla quale la pronuncia assolutoria non era, in allora, definitiva) che l'avocazione di "Why not" fosse l'illecito portato di un accordo criminale raggiunto fra i magistrati interessati e personaggi del mondo politico ed imprenditoriale.

Ne deriva, alla luce del ricordato orientamento giurisprudenziale, che le espressioni, indubbiamente forti e certamente polemiche, rilasciate in quella occasione dall'imputato, non trasmodando in meri insulti personali, dovevano considerarsi giustificate dal complessivo contesto in cui si erano inserite (anche considerando che chi le aveva pronunciate ne era stato, dell'ipotizzato accordo corruttivo, la vittima).

Risulta pertanto rispettato il requisito, dell'esimente del diritto di critica, della continenza delle espressioni, altrimenti offensive.

4. Né si può fondatamente affermare che l'intervento dell'imputato, in quella trasmissione, si ponesse fuori dal complessivo contesto, risultando evidente come De Magistris, chiamato ad intervenire sugli sviluppi di un'inchiesta giudiziaria di tale portata politica e mediatica come, in quel momento, "Consip", avesse inteso, anche per creare un parallelo dialettico, riferirsi alla vicenda giudiziaria che lo riguardava direttamente, allora in pieno corso giudiziario, proferendo le frasi incriminate, in cui peraltro non aveva fatto immediato riferimento ad alcun soggetto in particolare, tantomeno all'odierna parte civile.

5. In conclusione, la sentenza impugnata va annullata, senza rinvio (non potendosi certo presumere ulteriori sviluppi in un eventuale giudizio di rinvio), perché il fatto non costituisce reato.

Non si procede così alla liquidazione delle spese richieste dalla parte civile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Depositata il 16 ottobre 2023.