Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 10 novembre 2023, n. 9661

Presidente: De Felice - Estensore: Poppi

FATTO E DIRITTO

Con ricorso iscritto al n. 1197/2018 r.r. gli odierni appellanti impugnavano dinnanzi al T.A.R. per la Campania l'ordinanza n. 903 del 9 ottobre con la quale il Comune di Torre del Greco ingiungeva ai sensi dell'art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 la demolizione delle opere abusive realizzate su un immobile sito alla via Sopra i Camaldoli n. 34/C, unitamente alla relazione tecnica di sopralluogo del 29 settembre 2017, non comunicata o notificata, ma richiamata nel provvedimento ripristinatorio.

A sostegno dell'illegittimità della misura adottata invocavano, in estrema sintesi, l'effetto sospensivo dei procedimenti sanzionatori determinato dalla presentazione dell'istanza di condono (primo motivo), nonché, la mancata considerazione del pregiudizio cui le demolizioni ingiunte esporrebbero le parti conformi del fabbricato con conseguente «riduzione del livello di sicurezza dell'intero edificio» (secondo e terzo motivo).

Il T.A.R., con sentenza n. 1291 del 30 marzo 2020, rigettava il ricorso sul rilievo che:

a) l'invocato effetto sospensivo non si determina in relazione ad opere realizzate successivamente alla presentazione dell'istanza di condono;

b) l'estraneità al giudizio delle censure riferite ai procedimenti di condono in atto posto che il provvedimento impugnato riguarda interventi ulteriori;

c) l'art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 esclude la possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione in relazione ad interventi realizzati in area vincolata.

La sentenza veniva impugna con appello depositato il 28 dicembre 2020 deducendo:

A) l'illegittimità della «mancata ammissione della richiesta consulenza d'ufficio. Contraddittorietà della decisione. Omessa pronuncia su richiesta istruttoria ritenuta rilevante pertinente e decisiva ai sensi dell'art. 67 c.p.a.»;

B) la «illegittimità della gravata sentenza per inesistenza dei motivi posti a supporto della decisione»;

C) la «mancata pronuncia del T.A.R. Napoli in merito al motivo di ricorso relativo alla illegittimità dell'ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Torre del Greco in pendenza della domanda di condono avanzata dai ricorrenti. Violazione di legge, art. 10-bis l. 241/1990. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti. Difetto di istruttoria. Violazione art. 97 Cost.».

Il Comune di Torre del Greco si costituiva in giudizio il 22 giugno 2022 eccependo l'infondatezza delle avverse censure.

All'esito della pubblica udienza del 9 novembre 2023 la causa veniva trattenuta in decisione.

Come rilevato dal T.A.R., con il provvedimento impugnato in primo grado, l'amministrazione contestava ai proprietari i seguenti abusi:

«1) posizionamento di una copertura in lamiere grecate sorretta da una struttura in ferro e con pavimentazione in massetto, su una superficie di circa mq. 44,50 e per un'altezza di circa m. 3,30 (su parte dell'area già occupata da un locale-deposito, oggetto di antecedenti provvedimenti di demolizione per la parte abusiva, rimossa nel 2007);

2) difformità della parte del manufatto non demolito rispetto alle domande di condono edilizio prot. n. 11915 e n. 11916 del 17 febbraio 1995, ex l. n. 724/1994, relativamente a:

a) diverso posizionamento, con il distacco di circa m. 4,80 nell'angolo lato Vesuvio;

b) maggiori dimensioni, pari a circa ml. 5,60 x 6,15 per un'altezza di circa m. 3,30, in luogo di quanto risulta dai grafici della domanda di condono (ml. 4,20 x 7,05 per un'altezza media di m. 2,85);

c) differente struttura muraria in lapil-cemento con 3 infissi esterni, laddove dalle foto allegate alla domanda di condono risulta un manufatto in lamiera;

3) ulteriore difformità del manufatto destinato a unità abitative, rispetto alle stesse domande di condono edilizio, con:

a-b) due ampliamenti (circa mq. 25 e mq. 25,50), con 2 finestre e una porta;

c) rimozione della scala presente nei grafici allegati all'istanza di condono (conducente dal terrazzo comune al giardino), sostituendovi due rampe di scale poste lateralmente al terrazzo;

d) chiusura delle aperture carrabili dei garage seminterrati, con cambio di destinazione d'uso a deposito;

e) porticato adiacente ai due lati del manufatto, con pavimentazione in massetto rivestita di mattonelle;

4) pavimentazione esterna dall'abitazione al muro di confine, in parte piastrellato, sul lato Torre Annunziata;

5) tendocopertura di circa mq. 52 sul terrazzo lato mare;

6) pavimentazione di cemento per i due accessi carrabili al fondo».

L'ordinanza impugnata precisava che non venivano sanzionate le opere oggetto delle pregresse istanze di condono presentante dai proprietari ai sensi della l. n. 47/1985 e della l. n. 724/1994 «atteso che la presentazione delle predette istanze comporta la momentanea sospensione dell'efficacia del correlato ordine di demolizione», con ciò palesando che oggetto di contestazione erano le sole opere edilizie eseguite successivamente.

Per completezza di esposizione si rileva ulteriormente che, come specificato nel provvedimento impugnato, l'area sulla quale insiste l'immobile, sotto il profilo urbanistico, ricade:

- in «zona omogenea: A2 = fascia pedemontana» del P.R.G.

- in zona «P.I.R. = Protezione Integrale con Restauro Paesistico-Ambientale» del Piano territoriale paesistico dell'area del Vesuvio, approvato, in data 4 luglio 2002, con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio;

- all'interno della «Perimetrazione del Parco nazionale del Vesuvio - Zona di paesaggio C2».

Sul territorio comunale gravano, inoltre, i seguenti vincoli e tutele;

- vincolo idrogeologico ex art. 1 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267 «per le parti di bacino idrogeologico dei lagni vesuviani»;

- dichiarazione di «notevole interesse pubblico» apposto con d.m. 20 febbraio 1964 ai sensi della l. n. 1497/1939 (con esclusione della sola zona portuale), riproposto con d.m. 28 marzo 1985;

- tutele di cui al «Piano Territoriale Paesistico dell'area del Vesuvio» approvato con d.m. del Ministro per i beni e le attività culturali di concerto con il Ministro dell'ambiente e la tutela del territorio del 4 luglio 2002;

- vincolo sismico di grado S = 9, ex d.m. del 7 marzo 1981;

- vincolo di cui al d.m. del 25 maggio 1981, con il quale è stato «dichiarato, a seguito degli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, "gravemente danneggiato"»;

- vincoli derivanti dalla perimetrazione del Parco nazionale del Vesuvio, definita con d.m. del 4 dicembre 1992 ai sensi della l. n. 394/1991;

- disciplina del «Piano Stralcio per l'Assetto Idrogeologico per il territorio di competenza dell'Autorità di Bacino del Sarno» adottato con delibera del Comitato istituzionale n. 2 del 4 aprile 2002.

Passando ora allo scrutinio del merito dell'appello, con il primo capo d'impugnazione gli appellanti censurano la decisione del T.A.R. di disattendere la propria istanza istruttoria tesa a accertare «in via documentale l'esatta consistenza dell'immobile al fine di distinguere le opere abusive da eliminare da quelle lecite e preesistenti da conservare».

La censura è infondata.

Sul punto non può che rilevarsi come, per giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (v. da ultimo C.d.S., Sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063), sia pacifico che nel procedimento giurisdizionale la consulenza tecnica di ufficio sia un mezzo istruttorio rimesso al potere discrezionale del giudice al quale in alcun caso può ricorrersi per supplire al dovere delle parti, sulle quali grava l'onere probatorio, di allegare i fatti e di introdurli nel processo.

È, infatti, pacifico che l'esperimento della CTU/Verificazione non possa costituire un mezzo per colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa una delle parti sollevandola dall'onere di «fornire in giudizio un principio di prova a sostegno delle proprie deduzioni, conformemente a quanto previsto per il processo civile dall'art. 2697 c.c. e dall'art. 115 c.p.c.» (C.d.S., Sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906; nei medesimi sensi Cass. civ., Sez. III, ord. 18 settembre 2020, n. 19631) posto che tali accertamenti delegati non sono qualificabili come mezzo di prova in senso proprio (C.d.S., Sez. IV, 27 dicembre 2021, n. 8627).

In ogni caso l'esigenza di individuare le «opere abusive da sanare» distinguendole da quelle «lecite e preesistenti da conservare», poste a fondamento della censura (pag. 6 dell'appello), è soddisfatta dalla analitica descrizione contenuta nell'ordinanza di demolizione che è limitata, come precisato dal giudice di prime cure, a quanto realizzato successivamente alla presentazione delle istanze di sanatoria (che non può essere non noto agli autori degli abusi).

Con il secondo capo di impugnazione gli appellanti lamentano che la sentenza sarebbe erronea «per inesistenza dei motivi posti a supporto della decisione» specificando la censura nei seguenti termini: «il Comune di Torre del Greco si sarebbe effettivamente espresso sull'istanza di ripristino presentata dal ricorrente. Ciò non corrisponde al vero. Il Comune di Torre del Greco ha erroneamente considerato tale istanza identica alle precedenti rigettandola senza nemmeno averla esaminata. Il T.A.R. Napoli ha quindi motivato la propria decisione richiamando un fatto mai accaduto».

La censura, formulata nei sopra trascritti sintetici e non univoci termini, è inammissibile non consentendo di percepire il concreto profilo di illegittimità fatto valere né lo specifico capo di sentenza oggetto di contestazione.

Con il terzo motivo di appello gli appellanti lamentano che il T.A.R. non avrebbe scrutinato un «ulteriore importante motivo di ricorso proposto in primo grado» specificando l'omissione nella mancata esposizione delle ragioni di interesse pubblico all'adozione della misura ripristinatoria e nella mancata considerazione del «lunghissimo lasso di tempo intercorso tra l'epoca della effettiva realizzazione del manufatto originario, molto risalente nel tempo rispetto alla domanda di condono e la data della misura repressiva assunta dalla P.A.» (pag. 8 dell'appello) che avrebbero richiesto una motivazione «rinforzata».

In merito alla censura in disamina si rendono necessarie alcune precisazioni.

In primo grado gli appellanti deducevano (in estrema sintesi):

- l'illegittimità dell'adozione di un provvedimento ripristinatorio precedentemente alla definizione dei pendenti procedimenti di condono (1° motivo);

- la mancata valutazione della possibilità di procedere alle demolizioni ingiunte senza pregiudizio per le porzioni di fabbricato conformi 2° e 3° motivo).

Alcuna delle suddette censure (che, contrariamente a quanto sostenuto in appello, venivano scrutinate dal giudice di prime cure) è conferente con quanto dedotto con il presente capo d'impugnazione con il quale vengono introdotti profili di illegittimità inediti, come tali inammissibili.

Inconferente è, altresì, la rubrica del capo di impugnazione laddove postula una violazione dell'art. 10-bis della l. n. 242/1990 senza che la doglianza trovi successivo sviluppo nelle narrative dell'appello.

In ogni caso, per completezza di trattazione, non può che rilevarsi la manifesta infondatezza tanto delle censure già formulate in primo grado (non riproposte) quanto quelle di nuova formulazione (ferma restando la loro inammissibilità).

Quanto alle censure formulate con il presente capo d'impugnazione, si rileva che, per pacifica e costante giurisprudenza, l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (ex multis, C.d.S., Sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4319) senza necessità di specificare l'interesse pubblico sotteso all'intervento ripristinatorio «essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore» (C.d.S., Sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 8808).

La natura vincolata della misura repressiva dell'abuso edilizio determina la legittimità della relativa misura anche nelle ipotesi «in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino» (C.d.S., Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9).

Le illustrate posizioni trovano conferma nella più recente giurisprudenza che consolida principi precedentemente affermati ribadendo che «l'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l'interessato non può dolersi del fatto che l'amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi» (C.d.S., Sez. II, 11 gennaio 2023, n. 360).

Quanto alle censure formulate in primo grado non può che affermarsi la loro infondatezza poiché, sotto un primo profilo, è pacifico che la pendenza dell'istanza di condono non incida sulla legittimità della misura demolitoria ma determini una situazione di inefficacia della misura impugnata solo temporanea, destinata a cessare una volta definito il procedimento di sanatoria (C.d.S., Sez. II, 19 febbraio 2020, n. 1260).

Sotto altro profilo, in presenza di una non conformità parziale, non è viziante l'omessa valutazione, sin dal momento dell'adozione della misura ripristinatoria, dell'impatto delle demolizioni ingiunte sulle parti legittime del fabbricato poiché, come già affermato in giurisprudenza, è in fase esecutiva che «le parti possono dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato, presupposto per l'applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, con la conseguenza che tale valutazione non rileva ai fini della legittimità del provvedimento di demolizione (C.d.S., Sez. II, 2 dicembre 2020, n. 7637; 23 gennaio 2020, n. 561; 30 ottobre 2020, n. 6653; 3 giugno 2020, n. 3476; Sez. VI, 15 giugno 2020, n. 3805)» (C.d.S., Sez. II, 17 febbraio 2021, n. 1452).

Per quanto precede l'appello deve essere respinto con condanna degli appellanti al pagamento in solido delle spese del presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.