Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 6 dicembre 2023, n. 10583

Presidente: Sabbato - Estensore: Addesso

FATTO E DIRITTO

1. Le odierne appellanti, rispettivamente titolare e affittuaria di una licenza di vendita su area pubblica di generi alimentari nel posteggio isolato ubicato nel Comune di Firenze, Piazza Pier Vettori, chiedono la riforma della sentenza del T.A.R. Toscana, sezione seconda, n. 610 del 7 maggio 2018 nella parte in cui ha respinto i motivi di ricorso avverso l'ordinanza comunale n. 557 del 3 novembre 2014 avente ad oggetto la regolamentazione degli "orari di vendita dei commercianti alimentaristi su area pubblica che operano su posteggi isolati fuori mercato".

1.1. Il T.A.R. adito, in particolare, accoglieva i motivi di ricorso avverso il provvedimento di sospensione dell'attività di vendita per violazione del principio di partecipazione procedimentale, mentre respingeva le censure avverso l'ordinanza sindacale che limitava l'orario di vendita alle ore 2.00, rilevando che rientra nel potere del sindaco fissare gli orari di apertura degli esercizi commerciali ai sensi dell'art. 50, comma 7, d.lgs. 267/2000 e nei limiti previsti dall'art. 31, comma 2, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201.

2. Le appellanti chiedono la riforma della sentenza di primo grado, riproponendo, in via devolutiva, il secondo e il terzo motivo di ricorso respinti dal T.A.R. (pagg. 3 e ss. del ricorso in appello).

3. Si è costituito il Comune di Firenze che, con successiva memoria, ha eccepito l'inammissibilità e l'infondatezza del gravame, chiedendone la reiezione.

4. Con ordinanza n. 574 del 7 febbraio 2019 la Sezione prendeva atto della rinuncia all'istanza cautelare proposta dalle appellanti.

5. In vista dell'udienza di trattazione le parti hanno depositato, insistendo nelle rispettive difese.

6. All'udienza di smaltimento del 28 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. L'appello è infondato, circostanza che consente di prescindere dall'esame delle eccezioni di inammissibilità formulate dal Comune appellato.

8. Gli appellanti chiedono la riforma dei capi della sentenza di primo grado con cui sono stati respinti il secondo e terzo motivo del ricorso relativi all'illegittimità dell'ordinanza comunale per violazione dell'art. 31 d.l. 201/2011, dell'art. 56 TFUE, dell'art. 50 d.lgs. 267/2000, della direttiva Bolkestein 123/2006, della normativa italiana di recepimento di cui al d.lgs. 59/2010 e del giudicato costituzionale. Deducono che il T.A.R. ha errato nel richiamare il proprio precedente n. 1592/2017 in quanto relativo alla diversa questione della possibilità, per le delibere comunali, di prevedere una disciplina limitativa dell'insediamento di nuove attività commerciali nel centro storico di Firenze, gravato dal c.d. vincolo UNESCO. Per contro, la Corte costituzionale, nelle sentenze nn. 239/2016 e 104/2014, ha sancito che le Regioni e gli enti locali non possono incidere sulla normativa afferente agli orari, essendo questa materia di competenza esclusiva dello Stato: di qui la nullità per incostituzionalità dell'ordinanza impugnata nella parte in cui introduce la limitazione degli orari. Sarebbe errato pure il riferimento all'art. 50, comma 7, t.u.e.l., inteso come legittimante l'ordinanza sindacale in esame, in quanto tale norma risulta superata dalla sopravvenuta liberalizzazione operata dal citato decreto Bersani. Peraltro, tra i motivi imperativi di interesse generale che la Corte di giustizia e il d.lgs. 59/2010 (art. 12), di recepimento della c.d. direttiva Bolkestein, pongono alla liberalizzazione delle attività economiche non figurano le limitazioni di orario.

8.1. I motivi sono infondati.

8.2. La liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, ivi inclusi quelli di somministrazione di alimenti e bevande, sancita dall'art. 3, comma 1, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 non è ostativa all'introduzione, ad opera dell'amministrazione comunale, di specifiche limitazioni o puntuali regolamentazioni degli orari medesimi in modo da garantire un equo bilanciamento tra l'interesse alla tutela della concorrenza e della libertà di impresa, da un lato, e il mantenimento della sicurezza pubblica, la tutela dell'ambiente e della salute, dall'altro.

8.3. La possibilità di introdurre limitazioni e deroghe necessarie per la salvaguardia di interessi ritenuti di preminente rilievo trova espresso fondamento sia nella disciplina eurounitaria che in quella nazionale.

8.4. Al riguardo, rilevano:

i) il considerando n. 40 della direttiva 123/2006 CE che indica, tra i motivi di interesse generale che possono giustificare restrizioni a libero esercizio delle attività, l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica, la protezione dell'ambiente e dell'ambiente urbano, compreso l'assetto territoriale in ambito urbano e rurale;

ii) gli artt. 10 e 12 d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (quest'ultimo citato anche dagli appellanti) che nel sancire la libertà di accesso e di esercizio delle attività di servizi fanno salve le limitazioni imposte da motivi imperativi di interesse generale;

iii) il comma 2 del citato art. 31 d.l. 201/2011 che, nel puntualizzare che costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, fa salvi i limiti e i vincoli "connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano e i beni culturali";

iv) il comma 13 dell'art. 28 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, come modificato dall'art. 70, comma 3, d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, che sancisce che le regioni, al fine di assicurare il servizio più idoneo a soddisfare gli interessi dei consumatori ed un adeguato equilibrio con le altre forme di distribuzione, possono introdurre discipline regolatorie "limitatamente ai casi in cui ragioni non altrimenti risolvibili di sostenibilità ambientale e sociale, di viabilità rendano impossibile consentire ulteriori flussi di acquisto nella zona senza incidere in modo gravemente negativo sui meccanismi di controllo, in particolare, per il consumo di alcolici e senza ledere il diritto dei residenti alla vivibilità del territorio e alla normale mobilità".

8.5. Come chiarito dalla giurisprudenza, il principio della concorrenza, come si ricava dal contenuto del secondo comma dell'art. 31 del citato d.l. 211, non è sottratto a qualsivoglia limitazione, dovendo essere applicato e coordinato con la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali: sotto tale profilo la (sola) liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali non può costituire di per sé un vulnus agli altri beni e valori costituzionali diversi dalla concorrenza, tutti insieme tale principi potendo, e anzi dovendo, essere coordinati e resi coerenti tra loro, al fine di assicurare il corretto ed ordinato sviluppo economico e sociale della collettività in generale e dei cittadini singolarmente, trattandosi di principi che non si trovano in una condizione di reciproca esclusione (C.d.S., Sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746).

8.6. La liberalizzazione degli orari di esercizio, pertanto, non è incompatibile con l'introduzione ad opera dell'amministrazione comunale di alcune limitazioni all'orario di somministrazione, ai sensi dell'art. 50, comma 7, d.lgs. 267/2000, ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica (C.d.S., Sez. V, 26 agosto 2020, n. 5225).

8.7. In linea con la giurisprudenza amministrativa, la Corte di cassazione ha chiarito che le amministrazioni comunali possono regolare l'attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, a termini dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 (nel testo applicabile ratione temporis), graduando, in funzione della tutela dell'interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico. La circostanza che il regime di liberalizzazione degli orari sia applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione non preclude all'amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica (Cass. civ., Sez. II, 30 luglio 2018, n. 20073).

8.8. I principi espressi dalla giurisprudenza civile e amministrativa trovano conferma in quelli della giurisprudenza costituzionale, la quale ha sancito che, anche successivamente alla liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali ad opera del d.l. 201/2011, il sindaco conserva il potere, ai sensi dell'art. 50, comma 7, t.u.e.l., di disciplinare gli orari di apertura per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale (Corte cost., 18 luglio 2014, n. 220, con riferimento agli orari di apertura delle sale da gioco).

8.9. Dalle sopra esposte considerazioni discende la manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale "della normativa comunale posta alla base dei provvedimenti gravati per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost." (pag. 5 della memoria del 27 ottobre 2023), in disparte l'ulteriore profilo del difetto di rilevanza della questione per mancata indicazione della disposizione di legge della cui illegittimità costituzionale le appellanti si dolgono, non potendo la questione investire direttamente l'ordinanza comunale.

9. Nel caso di specie, il provvedimento impugnato risulta congruamente motivato in ordine all'esigenza, da un lato, di salvaguardare il decoro dei complessi monumentali e degli altri immobili del demanio culturale, al fine di evitare che lo stazionamento degli avventori sul suolo pubblico si trasformi in occasione di vagabondaggio, atti vandalici sui monumenti e imbrattamento delle aree dai rifiuti, e, dall'altro lato, di tutelare il diritto alla quiete e al riposo degli abitanti durante le fasce notturne.

9.1. Le finalità che l'ordinanza mira a soddisfare mediante la limitazione dell'orario notturno consistono, in definitiva, nella salvaguardia dell'ordine e della sicurezza pubblica, della salute pubblica (sub specie di riposo notturno degli abitanti) e dell'ambiente urbano, integrando quei motivi imperativi di interesse generale che costituiscono un limite legittimo alla liberalizzazione.

9.2. Come osservato dal T.A.R., anche a seguito della liberalizzazione degli orari di vendita, continua a sussiste[re] la possibilità astratta per il sindaco di fissare i limiti di apertura degli esercizi commerciali, sulla base dell'attribuzione di competenza prevista dall'art. 50, comma 7, d.lgs. 267/2000 (nella versione ratione temporis vigente), disposizione della quale non può essere predicata alcuna implicita abrogazione, come sostenuto dall'appellante (pag. 10 dell'appello).

10. Per le sopra esposte ragioni l'appello è infondato e deve essere respinto.

11. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le appellanti al pagamento a favore del Comune di Firenze delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre a spese generali e accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.