Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 15 dicembre 2023, n. 10871

Presidente: Tarantino - Estensore: Fasano

FATTO

1. Stefano G., Barbara G. e Laura G., in qualità di eredi di Elsa B., propongono appello avverso la sentenza n. 756 del 2019 del T.A.R. per il Veneto che ha respinto il ricorso proposto da Elsa B. per l'annullamento dell'ordinanza n. 124 prot. n. 29333 del 2 ottobre 2003, con la quale il coordinatore del Settore pianificazione del territorio e sviluppo economico del Comune di Mogliano Veneto ha ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa, in luogo del ripristino, di euro 30.872,00, per opere edilizie realizzate in parziale difformità dalla concessione edilizia n. 92 del 12 aprile 2001, rilasciata per la ristrutturazione di un immobile sito in via Bonisiolo.

2. Elsa B. aveva chiesto al Comune di Mogliano Veneto la variante in sanatoria, che era stata respinta con ordinanza prot. n. 0136 del 26 marzo 2002. In parziale accoglimento dell'istanza di riesame dalla stessa presentata, l'Amministrazione aveva rilasciato la concessione edilizia in sanatoria n. 147 del 12 luglio 2002, con cui aveva assentito le opere interne e la modifica della forometria, negando invece la possibilità di innalzamento del tetto e la modifica di un camino perché in contrasto con lo strumento urbanistico.

Con la gravata ordinanza n. 124 prot. n. 29333 del 2 ottobre 2003, l'ente municipale, vista la stima del valore venale dell'immobile relativamente alla porzione realizzata in parziale difformità dalla concessione edilizia e concernente sia l'innalzamento del tetto che l'ingrandimento del camino per un totale di mq. 68, ingiungeva il pagamento della sanzione amministrativa di euro 30.872,00 ai sensi dell'art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001.

3. Con il ricorso introduttivo Elsa B. aveva denunciato: i) la violazione dell'art. 93 l.r. n. 61 del 1985 per omessa acquisizione del previo parere della Commissione edilizia comunale; ii) la violazione dell'art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001 e dell'art. 93 l.r. n. 61 del 1985, e l'omessa notifica dell'intimazione alla demolizione; iii) la violazione dell'art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001, dell'art. 93 l.r. n. 61 del 1985, nonché della l.r. n. 21 del 1996 ed eccesso di potere per difetto di motivazione, poiché la sanzione non risultava correttamente commisurata all'incremento del valore dell'immobile quale derivante dall'abuso, deducendo in particolare che, diversamente da quanto assunto dall'Amministrazione, nella fattispecie non vi era stato alcun aumento del volume dell'immobile.

4. Il T.A.R. per il Veneto, con sentenza n. 756 del 2019, aveva respinto il ricorso.

Il Collegio di prima istanza riteneva che l'art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non richiedeva il parere della Commissione edilizia comunale prima dell'emissione della sanzione pecuniaria in luogo del ripristino, evidenziando che la ricorrente non aveva un interesse concreto ed attuale a dolersi della mancata previa notifica dell'ordine di demolizione, essendo la sanzione pecuniaria irrogatale meno afflittiva rispetto alla demolizione, in ogni caso, l'art. 34 del t.u.e. non prevedeva che l'irrogazione della sanzione pecuniaria, in luogo del ripristino, dovesse essere preceduta dalla notifica dell'ordinanza di demolizione. La ricorrente, inoltre, non poteva contestare la natura abusiva dell'opera realizzata, non avendo gravato entro il termine di decadenza il diniego di sanatoria.

5. Stefano G., Barbara G. e Laura G., in qualità di eredi di Elsa B., hanno appellato la suddetta pronuncia e chiesto la riforma, denunciando: "1. Eccesso di potere per difetto di motivazione ed erroneità del presupposto. Violazione dell'art. 34 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell'art. 83 l.r. 27 giugno 1985, n. 61. Violazione della l.r. 21 luglio 96, n. 21; 2. Violazione dell'art. 93 l.r. 27 giugno 1985, n. 61. Eccesso di potere per difetto di motivazione".

6. Si è costituito in resistenza il Comune di Mogliano Veneto, chiedendo il rigetto dell'appello.

7. All'udienza straordinaria del 18 settembre 2023 la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

8. Con il primo motivo, gli appellanti lamentano che il Collegio di prima istanza avrebbe completamente omesso di pronunciarsi sul terzo motivo di ricorso introduttivo, con il quale Elsa B. aveva contestato la quantificazione della sanzione amministrativa pecuniaria, sostenendo e dimostrando che quest'ultima non risultava correttamente commisurata all'incremento del valore dell'immobile quale derivante dall'abuso. La ricorrente in primo grado, a tale riguardo, aveva fatto riferimento anche alle risultanze della perizia tecnica redatta dall'arch. Zandomeneghi, secondo cui, in sede di esecuzione delle opere assentite, al fine di ottemperare a quanto stabilito dall'art. 55 del regolamento edilizio (secondo cui i locali al piano terra devono essere sopraelevati di almeno 30 cm. rispetto al piano di campagna) si era alzata la quota del pavimento del piano terra con conseguente leggera sopraelevazione anche in linea di gronda. L'innalzamento del piano terra, secondo il consulente, era stato ottenuto attraverso la posa di un pacchetto isolante di complessivi 13 cm. di spessore, non computabile quale volume urbanistico, sicché l'altezza interna dell'immobile non era stata invece in alcun modo modificata. Pertanto, gli appellanti rilevano che: i) l'innalzamento del tetto era dipeso dall'innalzamento della quota del piano terra, realizzato in ottemperanza all'art. 55 del regolamento edilizio (ed escluso dal computo del volume urbanistico in base alla l.r. n. 21/1996) senza che il volume complessivo dell'immobile risultasse modificato; ii) l'ingrandimento del camino (preesistente) non poteva essere ritenuto rilevante sotto il profilo edilizio, trattandosi di volume tecnico. Ne consegue che la motivazione resa dal T.A.R. nella sentenza impugnata non sarebbe corretta, in quanto il giudicante avrebbe frainteso le doglianze prospettate in ricorso, posto che si era inteso non certo contestare la natura abusiva dell'intervento, ma l'entità della sanzione da applicarsi a tale intervento abusivo. Anche al fine di valutare correttamente l'eventuale incremento volumetrico suscettibile di sanzione, gli appellanti propongono al Collegio di effettuare una consulenza tecnica.

8.1. Il mezzo è infondato, per i rilievi di seguito enunciati.

Va premesso che, come precisato dal T.A.R., la ricorrente aveva proposto una richiesta di sanatoria delle opere interne ed esterne realizzate senza titolo abilitativo, oggetto di diniego che è rimasto inoppugnato, pertanto non è più in discussione l'abusività e la consistenza dei manufatti.

La statuizione della sentenza impugnata va letta anche in relazione a tale profilo, in quanto gli appellanti, benché non mettano in discussione il fatto che siano stati realizzati degli abusi, contestano che tali abusi abbiano prodotto l'incremento volumetrico assunto a parametro della quantificazione della sanzione amministrativa, anche sulla base di una perizia tecnica di parte, quando in realtà, come si è avuto modo di chiarire, l'istanza di sanatoria ha riguardato proprio l'incremento volumetrico di mc. 68, su cui il Comune di Mogliano Veneto si è espresso con un diniego, non impugnato.

Nella specie, la ricorrente si è attivata per ottenere il pagamento di una sanzione pecuniaria per l'impossibilità di provvedere alla demolizione senza pregiudizio per le parti conformi, ex art. 34 d.P.R. n. 380 del 2001, domanda che ha come presupposto il riconoscimento dell'abusività dell'opera in termini di difformità dal permesso di costruire, sicché con la domanda di sanatoria, da un lato, si riconosce il carattere abusivo delle opere, in quanto esso è l'unico presupposto che giustifica la sanatoria, e, dall'altro, si avvia una attività amministrativa, caratterizzata da distinte e autonome istruttoria e valutazione, volta alla verifica delle condizioni di sanabilità dell'abuso (C.d.S., Sez. VI, n. 189 del 2022).

Ciò premesso, tenuto conto che il Collegio di primo grado non si è pronunciato nel merito sul motivo di ricorso, questa Sezione ritiene che parte appellante non ha fornito elementi di prova idonei a confutare l'accertamento operato dall'ente municipale, ai fini della contestazione della quantificazione della sanzione, tenuto conto che la perizia tecnica, non asseverata, depositata in atti, effettua solo un calcolo globale della volumetria del manufatto, e comunque si pone in contraddizione con altra perizia, questa asseverata, dell'arch. Frassoni, redatta per sostenere che la demolizione delle parti difformi sarebbe stata causa di pregiudizio per la rimanente parte conforme del fabbricato. Orbene, l'arch. Frassoni, nell'evidenziare la pericolosità dell'eventuale abbassamento del tetto in sede di demolizione, in sostanza accerta un aumento in altezza del fabbricato di circa 20 cm., e una consistenza volumetrica del camino (la cui demolizione potrebbe causare un danno all'immobile), che contrasta con l'accertamento effettuato dall'arch. Zandomeneghi, il quale sostiene, invece, l'assenza dell'incremento volumetrico ricollegabile all'intervento.

Vanno condivise, inoltre, le obiezioni illustrate in memoria dell'ente comunale, il quale contesta la perizia dell'arch. Zandomeneghi in quanto non fidefaciente, assertiva con riferimento al pacchetto isolante non riscontrabile nei documenti progettuali (anche in ragione del fatto che il camino non può essere considerato un volume tecnico), e comunque non idonea a superare le valutazioni effettuate dall'Amministrazione ed a spiegare le ragioni per le quali il computo fatto dall'Ufficio tecnico provinciale debba essere considerato errato.

Ne consegue che appare congrua, e priva di vizi logici, la determinazione della sanzione amministrativa effettuata sulla base della valutazione eseguita ai sensi dell'art. 93, comma 1, della l.r. n. 61 del 1985, come modificato con l.r. n. 9 del 1986, dall'Ufficio provinciale per la pianificazione e, per tale ragione, non si ritiene necessario effettuare una consulenza tecnica d'ufficio, tenuto conto delle chiare emergenze processuali.

La documentazione esaminata dall'Amministrazione ha riguardato il conteggio della volumetria difforme dichiarata dal responsabile del Servizio edilizia privata, giusta attestazione del 24 settembre 2002 P.E. 475/00, da cui è emerso che le porzioni di fabbricato realizzate in parziale difformità dalla C.E. n. 92/2001 risultano pari a complessi mc. 68,00 così suddivisi: metri cubi 56,00 relativi all'innalzamento della copertura, e metri cubi 12,00 relativi all'ingrandimento della "vallesana".

Orbene, il valore del bene è stato determinato con procedimento sintetico, attraverso la comparazione diretta ed analogica dello stesso, con i prezzi medi correnti di altri beni aventi medesime caratteristiche in situazioni consimili.

L'Ufficio ha concluso, correttamente, ritenendo che il valore unitario medio della volumetria dei locali aventi caratteristiche simili per destinazione e tipologia è pari ad euro 227,00 per metro cubo.

9. Con la seconda censura, gli appellanti deducono l'error in iudicando in cui sarebbe incorso il Tribunale adito, nella parte in cui ha ritenuto infondato il primo motivo ricorso, relativo alla omessa acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale.

Ciò in quanto, l'art. 93 della l.r. n. 16 del 2003, vigente all'epoca dei fatti, prevedeva che qualsiasi provvedimento repressivo di abuso, fosse esso l'ordine di demolizione ovvero l'applicazione della sanzione pecuniaria, dovesse essere preceduto dal parere della Commissione edilizia comunale.

9.1. La doglianza è infondata.

A tale proposito è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, secondo cui il parere reso dalla Commissione edilizia sulla domanda di condono è un atto meramente endoprocedimentale non necessario, tanto da non essere considerato, in quanto tale, oggetto di autonoma impugnazione (C.d.S., Sez. IV, n. 4208 del 2016). In ogni caso, laddove non acquisito, la mancanza dello stesso non vizia l'adozione di atti repressivi di abusi edilizi, neppure ai fini del rigetto di istanze di condono o sanatoria, non essendo un atto presupposto ai fini dell'adozione (C.d.S., Sez. IV, n. 4962 del 2016). Pertanto, nel procedimento per la concessione in sanatoria, il parere della Commissione edilizia comunale non è obbligatorio (essendo al più facoltativo), tenuto conto dell'assenza di una specifica previsione al riguardo e della specialità del procedimento in questione rispetto a quello ordinario di rilascio della concessione edilizia, sicché la mancanza di tale parere non è censurabile (C.d.S., Sez. VI, n. 6042 del 2013; n. 2038 del 2012). Né si può predicare che il giudicante abbia omesso di tenere conto della peculiarità della normativa regionale veneta, tenuto conto che l'art. 4 d.P.R. n. 380 del 2001, nel rendere per i comuni facoltativa l'istituzione della Commissione edilizia, ha introdotto un principio fondamentale in materia di governo del territorio, al quale deve sottostare la normativa regionale, ai sensi dell'art. 117 Cost. (C.d.S., Sez. IV, n. 4783 del 2008). Al riguardo è già stato affermato che le norme regionali in materia devono essere interpretate in senso costituzionalmente coerente con i principi generali introdotti dal predetto testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia n. 380 (C.d.S., Sez. IV, n. 4793 del 2008), per cui la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la norma legislativa regionale, laddove prevede l'obbligatorietà del parere della Commissione edilizia, deve intendersi implicitamente abrogata (C.d.S., Sez. VI, n. 6042 del 2013).

Nondimeno, l'Amministrazione ha osservato che la Commissione edilizia comunale, come evidenziato nella relazione del funzionario comunale ing. Curti, rilasciata in ossequio all'ordinanza del T.A.R. Veneto n. 847 del 2018, si è in effetti pronunciata in due occasioni sulla sanzione poi irrogata alla ricorrente, e nella seduta del 2 maggio 2002 si è espressa dando: "parere favorevole" alla sanatoria ordinaria "limitatamente alle varianti interne e spostamenti di volumetria", mentre ha espresso "parere non favorevole per quanto riguarda l'innalzamento della struttura di copertura e della valesana, in quanto in contrasto con l'art. 11 N.T.A. P.R.G."; la Commissione edilizia comunale, infatti, ha concluso "vista la perizia asseverata prodotta dalla Ditta, dalla quale si evince la compromissione della parte conforme nel caso di demolizione della parte difforme, ritiene di procedere all'irrogazione della sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 93 l.r. 61/85".

10. In definitiva, l'appello va respinto.

11. La risalenza nel tempo delle questioni trattate e la peculiarità della vicenda processuale, giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite del grado tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.