Corte di cassazione
Sezione II penale
Sentenza 26 ottobre 2023, n. 50426

Presidente: Rago - Estensore: Aielli

RITENUTO IN FATTO

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d'Aosta propone ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale per i minorenni di Torino ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., con la quale è stato dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.J. in ordine al reato a lei ascritto "per mancata conoscenza della pendenza del processo".

Assume il Pubblico Ministero che la sentenza è affetta da illogicità e contraddittorietà manifesta della motivazione, avendo il giudice dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputata ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p. in carenza dei presupposti di legge, avendo la S.J. chiesto il giudizio abbreviato e formulato richiesta di ammissione all'istituto di cui all'art. 168-bis c.p., dimostrando così di essere a conoscenza del procedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Preliminare al vaglio di ammissibilità del ricorso proposto dal Pubblico Ministero è la questione riguardante la natura della sentenza di non doversi procedere di cui all'art. 420-quater c.p.p.

La norma, come modificata dall'art. 23 d.lgs. 150/2022, al primo comma, prevede che "Fuori dei casi previsti dagli articoli 420-bis e 420-ter, se l'imputato non è presente, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato".

La sentenza è quindi ex lege sottratta all'appellabilità.

Tuttavia, avendo riguardo alla struttura della norma si comprende come detta sentenza sia, altresì, insuscettibile di ricorso per cassazione.

Il comma 2 dell'art. 420-quater c.p.p. indica i requisiti essenziali della sentenza (intestazione, generalità dell'imputato, imputazione, esito delle notifiche e data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare la persona, data e sottoscrizione del giudice); al comma 3 è specificato che fino a quando, per tutti i reati contestati, non è superato [il] termine previsto dall'ultimo comma dell'art. 159 c.p. (e cioè il doppio dei termini di prescrizione di cui all'art. 157 c.p.), la persona dovrà continuare ad essere ricercata e, nel caso in cui sia rintracciata, è prevista la notifica della sentenza di non doversi procedere la quale contiene anche l'indicazione del giorno e del luogo in cui si terrà l'udienza in prosecuzione, con avviso che, nel caso in cui l'imputato non compaia, si procederà in sua assenza (comma 4).

Al comma 6 è specificato che, decorso il termine di cui al comma 3, la sentenza non sarà più revocabile.

Il comma 7, infine, dispone: "In deroga a quanto disposto dall'articolo 300, le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere perdono efficacia solo quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6. In deroga a quanto disposto dagli articoli 262, 317 e 323, gli effetti dei provvedimenti che hanno disposto il sequestro probatorio, il sequestro conservativo e il sequestro preventivo permangono fino a quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6".

A corredo del sistema l'art. 420-quinquies c.p.p. stabilisce che, fino a quando sono in corso le ricerche della persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p., il giudice, su richiesta di parte, assume le prove non rinviabili.

All'art. 420-sexies c.p.p. è previsto che, se la persona viene rintracciata, la polizia giudiziaria gli notifica la sentenza di non doversi procedere contenente anche gli avvisi dell'udienza in prosecuzione e il giudice, con decreto, revoca la sentenza.

2. Dalla lettura coordinata delle norme poc'anzi illustrate e dal testo della relazione illustrativa della legge-delega 134/2021 risulta che la sentenza "è del tutto sui generis, in quanto destinata nella sua fisiologia ad essere revocata, tanto che nella stessa sentenza sono disposte le ricerche che dovranno condurre alla sua revoca" (pag. 119 della relazione illustrativa).

Questo consente al Collegio di affermare che si tratta di una sentenza totalmente nuova, dai tratti peculiari (autorevole dottrina l'ha definita sentenza "bifronte"), la cui natura decisoria, in senso stretto, è da escludersi tenuto conto, innanzi tutto, del fatto che essa non contiene alcun accertamento di merito.

A ciò deve aggiungersi che detta sentenza contiene disposizioni circa la prosecuzione delle ricerche della persona nei cui confronti è pronunciata, ne fissa il termine e contiene anche la vocatio in iudicium, il che la rende assimilabile ad un atto di impulso processuale come tale insuscettibile di passare in giudicato.

Ulteriore peculiarità della sentenza di non doversi procedere è costituita dal suo effetto derogatorio della previsione di cui all'art. 300 c.p.p. La sua pronuncia, infatti, non determina la perdita di efficacia delle misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere. Tale effetto consegue infatti solo alla sopravvenuta non revocabilità della medesima a seguito del decorso del tempo indicato nel comma 3, inoltre, come detto, l'art. 420-quater, comma 6, stabilisce che anche i provvedimenti che hanno disposto il sequestro probatorio, conservativo e preventivo conservano i loro effetti fino a quando la sentenza non è più revocabile.

Si comprende allora come la sentenza di cui all'art. 420-quater c.p.p., diversamente da quanto previsto dall'impianto della l. 103/2014, che imponeva, nel caso non ricorressero le condizioni dell'assenza in senso stretto o in senso lato, il rinvio dell'udienza e il tentativo di notificazione dell'atto di citazione a giudizio a mezzo della polizia giudiziaria (art. 420-bis, comma 5, c.p.p.), introduca un sistema che, solo potenzialmente, porterà alla definizione del processo. Fino a quando non è spirato il termine di cui al comma 3 dell'art. 420-quater c.p.p., il provvedimento adottato, infatti, è suscettibile di revoca con conseguente prosecuzione del procedimento davanti allo stesso giudice che l'ha emesso e non impedisce, in pendenza del termine, lo svolgimento di atti urgenti, né le misure cautelari (personali o reali) adottate perdono efficacia (come invece previsto per l'ipotesi di sentenza di non doversi procedere "ordinaria" ex art. 300 c.p.p.).

Da quanto premesso consegue che il provvedimento de quo, pur avendo formalmente il nome di sentenza, è destinato ad assumerne i caratteri allo spirare del termine di cui all'art. 420-quater, comma 3, c.p.p., con la conseguenza che fino a quel momento, in applicazione del principio generale di tassatività dei mezzi di impugnazione di cui all'art. 568, comma 1, c.p.p., essendo revocabile, non è suscettibile di ricorso per cassazione.

È da escludersi, inoltre, che nel novero delle categorie di provvedimenti di cui all'art. 568, comma 2, c.p.p., secondo il quale il ricorso per cassazione può essere sempre proposto nei confronti dei provvedimenti sulla liberta personale e delle sentenze quando non sono altrimenti impugnabili, rientri il provvedimento in questione.

Tale conclusione non si pone altresì in contrasto con il parametro fissato dall'art. 111, comma 7, Cost., secondo cui "Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge", dovendosi rimarcare che la garanzia costituzionale riguarda i provvedimenti giurisdizionali che abbiano carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su situazioni giuridiche di diritto soggettivo producendo, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale e processuale sul piano contenzioso della composizione di interessi contrapposti (Sez. un., n. 25080 del 28 maggio 2003, Rv. 224610).

La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo manca di tali requisiti e dunque, pur essendo formalmente una sentenza, esula dalla ricorribilità ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., sul rilievo che essa ha una natura sostanzialmente interlocutoria.

Nel caso di specie, all'erronea dichiarazione di assenza potrà porsi rimedio chiedendo la revoca della sentenza emessa ex art. 420-quater c.p.p., innanzi al giudice che l'ha pronunciata, poiché, come nell'ipotesi in cui la persona assente che non abbia conoscenza della pendenza del processo sia successivamente rintracciata, allo stesso modo, nel caso si dimostri che l'imputato era, ab origine, a conoscenza del processo, la sentenza dovrà essere revocata mancando in radice il presupposto per l'adozione del provvedimento.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Depositata il 18 dicembre 2023.