Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 12 gennaio 2024, n. 411

Presidente: Neri - Estensore: Carrano

FATTO E DIRITTO

La sig.ra Gina P., in qualità di proprietaria di diversi fondi nel Comune di Castro dei Volsci, ha subìto tre procedure espropriative, azionate nei suoi confronti negli anni '80, le quali però non si sono mai concluse con l'adozione di un decreto di esproprio.

In tutti e tre i casi, la sig.ra P. ha agito dinanzi al giudice ordinario per l'ottenimento delle relative indennità di occupazione legittima, i cui giudizi si sono conclusi in senso favorevole alla stessa con conseguente condanna del Comune al pagamento delle suddette indennità (cfr. Corte di appello di Roma, sentenze n. 2334/2004 - doc. 2; n. 4936/2003 - doc. 3; n. 4534/2002 - doc. 4 del ricorso).

Successivamente, stante il perdurare dell'occupazione illegittima, la ricorrente ha agito dinanzi al TAR per ottenere la cessazione della condotta abusiva, nonché il risarcimento dei danni, anche con riferimento ad una usurpazione di un'ulteriore superficie.

Con sentenza n. 778 del 5 novembre 2015, il TAR Lazio, sezione staccata di Latina, in accoglimento del ricorso, ha condannato il Comune di Castro dei Volsci al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., dettando i relativi criteri.

In particolare, ha ordinato al Comune di ottenere, nel termine di 90 giorni, dall'Agenzia del territorio la stima dei terreni di proprietà della ricorrente e dal Comune illegittimamente occupati e conseguentemente di procedere, nei successivi 30 giorni, ad offrire alla medesima, ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., il correlativo importo risarcitorio, corrispondente agli interessi legali sul valore dei beni (come sopra determinato) per ogni anno, o frazione di esso, di abusiva occupazione (e sino alla sua cessazione), con rivalutazione annua della complessiva somma così calcolata e maggiorazione degli interessi legali.

In esecuzione di tale sentenza, il Comune ha provveduto a quantificare la somma dovuta in euro 59.678,82, la quale però è stata poi contestata dalla ricorrente che, a sua volta, ha quantificato il dovuto nel maggiore importo di euro 144.082,53, come da consulenza tecnica di parte.

Pertanto, la sig.ra P., ha adìto nuovamente il TAR in sede di ottemperanza, il cui giudizio si è concluso con l'impugnata sentenza n. 364/2022 pubblicata il 23 aprile 2022.

Con tale ultima sentenza, il TAR ha dichiarato il ricorso inammissibile per le seguenti ragioni:

a) la contestazione della stima dei terreni effettuata dall'Ufficio provinciale del territorio presso l'Agenzia delle entrate di Frosinone rientra nella giurisdizione della Corte di appello in unico grado;

b) la richiesta di ordinare al Comune di provvedere all'acquisizione sanante dei fondi occupati o alla loro restituzione esula dal giudicato della sentenza che, invece, ha ad oggetto solo pretese risarcitorie.

Infine, ha disposto che nulla sia dovuto per le spese di lite.

Con l'atto di appello, la ricorrente ha espressamente limitato l'impugnazione con riferimento al solo primo capo di sentenza relativo al difetto di giurisdizione.

All'odierna camera di consiglio, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è fondato.

In via preliminare, occorre precisare che la domanda proposta dalla parte appellante nel giudizio di primo grado è costituita da una azione avente senz'altro natura risarcitoria e non già indennitaria.

Infatti, lo stesso TAR Lazio, sezione staccata di Latina, con sentenza n. 778 del 5 novembre 2015, divenuta definitiva, ha qualificato l'azione in termini risarcitori ed ha, conseguentemente, condannato il Comune di Castro dei Volsci al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 34, comma 4, c.p.a., dettando i relativi criteri.

Ciò risulta, peraltro, anche dalla stessa sentenza impugnata resa in sede di ottemperanza alla precedente pronuncia (come espressamente previsto dall'art. 34, comma 4, c.p.a., nel caso di mancato raggiungimento di un accordo tra le parti in ordine al quantum), laddove è stato ribadito che il giudicato in questione ha ad oggetto esclusivamente pretese risarcitorie.

Ciò posto, deve essere innanzitutto richiamato l'art. 133, lett. g), c.p.a., secondo il quale spettano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti, riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità, ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per quelle riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa".

Alla luce di tale disposizione normativa, deve quindi ribadirsi che la giurisdizione del giudice ordinario sussiste solo con riferimento alla domanda di indennizzo da occupazione legittima, non proposta nella specie in quanto già oggetto di precedenti giudizi (cfr. Corte di appello di Roma, sentenze n. 2334/2004 - doc. 2; n. 4936/2003 - doc. 3; n. 4534/2002 - doc. 4 del ricorso), mentre con riguardo alla domanda risarcitoria da occupazione illegittima derivante dall'aver subìto diverse procedure espropriative, mai concluse con l'adozione di un decreto di esproprio, quale è quella effettivamente azionata nella specie, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo.

Sul punto, deve essere ribadito il costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione secondo il quale l'esame delle domande dirette all'accertamento del mancato legittimo perfezionarsi del procedimento di esproprio, alla pronuncia sulla retrocessione del fondo e alla condanna al risarcimento dei danni lamentati per effetto del protrarsi dell'occupazione al di là del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, oltre che in conseguenza delle trasformazioni poste in atto sul bene di sua proprietà, è devoluto alla cognizione del giudice amministrativo (tra le tante, cfr. Cass. civ., Sez. un., ord. 1° marzo 2023, n. 6099).

In particolare, la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste allorquando il comportamento della P.A., cui si ascrive la lesione, sia la conseguenza diretta di un assetto di interessi conformato da un originario provvedimento ablativo, legittimo o illegittimo, ma comunque espressione di un potere amministrativo (in concreto) esistente cui la condotta successiva si ricollega in senso causale (Cass., Sez. un., 5 giugno 2018, n. 14434; 16 aprile 2018, n. 9334; 11 luglio 2017, n. 17110).

Sono, quindi, devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie nelle quali si faccia questione, a fini risarcitori, di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti a una dichiarazione di pubblica utilità, ancorché il procedimento nel cui ambito tali attività sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo atto traslativo o sia caratterizzato da atti illegittimi (Cass., Sez. un., 29 gennaio 2018, n. 2145). Vanno parimenti portate avanti al giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto la mancata retrocessione di un bene, acquisito mediante decreto di esproprio, nonostante la sopravvenuta decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che tale domanda è ricollegabile, in parte, direttamente ad un provvedimento amministrativo, venendo in rilievo il concreto esercizio di un potere ablatorio culminato nel decreto di espropriazione, e, per il resto, ad un comportamento della P.A. ad esso collegato, consistito nell'omessa retrocessione del bene malgrado il verificarsi della suddetta decadenza (Cass., Sez. un., 18 gennaio 2017, n. 1092; in tema pure Cass., Sez. un., 19 novembre 2021, n. 32688).

In conclusione, quindi, deve essere affermata la giurisdizione del giudice amministrativo.

Pertanto, in accoglimento dell'appello in esame, deve essere annullata la sentenza impugnata, con la conseguente rimessione della causa al primo giudice.

Ai sensi dell'art. 105, comma 3, c.p.a. le parti devono riassumere il processo con ricorso notificato nel termine perentorio di novanta giorni dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente sentenza.

Le spese di lite devono essere compensate attesa la peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla la sentenza impugnata e, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, rimette la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, Latina, sez. I, sent. n. 364/2022.