Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 19 gennaio 2024, n. 638
Presidente: Montedoro - Estensore: Cordì
FATTO E DIRITTO
1. La sig.ra Michela C. ha proposto appello avverso la sentenza n. 709/2019 con la quale il TAR per la Toscana - Sezione Terza - ha respinto il ricorso proposto avverso l'ordinanza del 9 aprile 2015, n. 306, del dirigente del Servizio governo del territorio e edilizia privata del Comune di Pistoia, con la quale era stata ordinata la demolizione del manufatto in legno di mq. 38 circa (oltre porticato di mq. 11), realizzato sul terreno di cui al foglio 182, particella 596.
2. In punto di fatto l'appellante ha dedotto: i) di essere proprietaria di un fabbricato adibito a civile abitazione in Pistoia, Via Collegigliato, inserito in un più ampio complesso immobiliare che comprende terreni agricoli corredati da annessi rurali e rimesse; ii) di aver realizzato, per esigenze temporanee di ricovero di un automezzo agricolo, un piccolo manufatto totalmente realizzato in legno, non saldamente infisso al suolo, sul terreno rappresentato al N.C.T. del Comune di Pistoia nel foglio 182, particella 596 di sua proprietà; iii) di aver ricevuto la nota prot. 4 febbraio 2013, n. 8491, del Comune di Pistoia, con cui è stata data notizia dell'avvio di procedimento amministrativo diretto a disporre la demolizione del suddetto fabbricato; iv) di aver ricevuto copia del sequestro penale di tale fabbricato; v) di aver ricevuto dal Comune l'ordinanza n. 306 del 9 aprile 2015, adottata dal dirigente del Servizio governo del territorio e edilizia privata del Comune di Pistoia, con la quale è stato ordinato "il ripristino alla conformità urbanistica dei luoghi allo stato ante opere e pertanto la demolizione della costruzione realizzata ex novo dimensionata in mq. 38,00 circa" in quanto realizzata in assenza di titolo edilizio; vi) di aver proposto ricorso al TAR per la Toscana che, con la sentenza appellata, ha respinto il ricorso.
3. La sentenza di primo grado ha respinto il ricorso osservando come: i) il manufatto realizzato dall'appellante non fosse qualificabile come opera precaria (rientrante nell'edilizia libera), in quanto saldamente ancorata al suolo e oggetto di un utilizzo continuativo come autorimessa; ii) la circostanza che l'immobile era stato sottoposto a sequestro penale fosse stata non rilevante e, comunque, non incidente sulla legittimità del provvedimento impugnato, in quanto l'appellante non aveva dimostrato l'impossibilità di ottemperare all'ordine di demolizione, non essendosi attivata per ottenere il dissequestro.
4. La sig.ra Michela C. ha proposto appello affidato a due motivi.
4.1. Con il primo motivo ha dedotto l'erroneità della sentenza nella parte in cui ha negato la natura precaria del manufatto. Ad avviso dell'appellante, il TAR avrebbe apoditticamente affermato che il manufatto era stato stabilmente ancorato al terreno nonostante il Comune non avesse fornito alcuna prova in tal senso; dalla documentazione fotografica e dalla relazione tecnica in atti sarebbe emerso, invero, che si era trattato di un fabbricato in legno non saldamente infisso al suolo, per la mancanza di ancoraggi quali cordoli di fondazione o plinti e, pertanto, precario e di facile rimozione. L'opera pertanto sarebbe rientrata fra quelle contemplate dall'art. 80, 2° comma, lett. d-bis), della l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1, vigente ratione temporis, che ammetteva quale attività edilizia libera la realizzazione di "manufatti precari, le serre temporanee e le serre con copertura stagionale previsti e disciplinati dal regolamento di attuazione dell'articolo 41, comma 8". Ad avviso dell'appellante, la precarietà dell'opera andrebbe dedotta dalle sue caratteristiche strutturali e non dalla sua destinazione. In ogni caso il TAR avrebbe errato anche nel ritenere che l'opera fosse utilizzata per esigenze permanenti in quanto, in realtà, il manufatto era destinato, per brevi periodi, al rimessaggio dei mezzi occorrenti per la scorta e per la coltivazione dei fondi agricoli circostanti. Infine il Comune non avrebbe indicato i profili di contrarietà dell'opera con gli strumenti urbanistici, come richiesto dall'art. 201 l.r. Toscana 10 novembre 2014, n. 65 (e, prima, dall'art. 135-bis della l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1).
4.2. Con il secondo motivo ha dedotto l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto rilevante la circostanza che l'immobile fosse sottoposto a sequestro penale. Ad avviso dell'appellante, tale circostanza comporterebbe la nullità dell'ordine di demolizione, essendo impossibile la sua esecuzione materiale.
5. Si è costituito in giudizio il Comune di Pistoia chiedendo di respingere il ricorso in appello.
6. Con ordinanza n. 5683/2023 la Sezione ha dichiarato l'interruzione del giudizio, stante il decesso della sig.ra C. In data 1° settembre 2023, si è costituito il sig. Fouad W.H., in asserita qualità di erede della defunta sig.ra Michela C., riassumendo il giudizio interrotto.
7. All'udienza del 18 gennaio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
8. Preliminarmente il Collegio rileva come il sig. Fouad W.H. abbia riassunto il giudizio deducendo la qualità di erede della sig.ra C. ma limitandosi a depositare la dichiarazione di successione presentata all'Agenzia delle entrate e copia di comparsa di costituzione e risposta (e relativa procura), depositata in un giudizio civile pendente dinanzi al Tribunale di Pistoia.
8.1. Osserva, tuttavia, il Collegio come la Corte di cassazione (Sez. II, 17 giugno 2005, n. 13738) abbia osservato, in ordine al valore da attribuire alla denuncia di successione, che, in tema di legitimatio ad causam, colui che promuove l'azione (o specularmente vi contraddica) nell'asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all'onere di cui all'art. 2697 c.c., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perché, altrimenti, resterebbe indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o a contraddire); per quanto concerne la delazione dell'eredità, tale onere - che non è assolto con la produzione della denuncia di successione - è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione ai sensi dell'art. 565 c.c. e ss.; d'altra parte, con riguardo all'accettazione dell'eredità, poiché ai sensi dell'art. 476 c.c. l'accettazione tacita può desumersi dall'esplicazione di un'attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi (e, quindi, con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale), l'accettazione è implicita nell'esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, se queste però non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'art. 460 c.c., travalicando il semplice mantenimento della stato di fatto quale esistente al momento dell'apertura della successione. In ultimo, quanto al valore da attribuire alla dichiarazione di successione, va evidenziato come, sebbene questa non comporti ex se l'accettazione tacita dell'eredità, in quanto atto preordinato a fini essenzialmente fiscali, non di meno, in presenza di un'attività costituente prova d'accettazione implicita, a sua volta assume valore d'elemento indiziario che nella prova stessa trova supporto ed al contempo nel medesimo senso la rafforza (v. Corte di cassazione, Sez. VI, 16 gennaio 2017, n. 868).
8.2. Alla luce dei principi sopra richiamati, deve ritenersi insussistente la prova certa dell'acquisizione della qualità di erede, in difetto degli elementi documentali richiesti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che il Collegio condivide.
9. In ogni caso, il Collegio osserva come l'appello proposto dalla sig.ra C. sia infondato.
10. In ordine al primo motivo di appello si osserva come, in base all'art. 3, comma 1, lett. e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, sia qualificabile come nuova costruzione "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee (...)". Il successivo art. 6, comma 2, lett. b), del medesimo articolato normativo include invece nell'attività edilizia libera "le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni". Da tali previsioni la giurisprudenza ha desunto la nozione di opera precaria, non soggetta a titolo abilitativo. In particolare, si è affermato che: "in ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie" (così C.d.S., Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776). È pertanto necessario un titolo edilizio - secondo la sentenza ora richiamata - per la realizzazione di "tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, [...] ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato". Da ciò la conclusione che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo. Nello stesso senso, è stato chiarito che "la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.5), d.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante" (C.d.S., Sez. VII, 12 dicembre 2022, n. 10847). Nel caso di specie il manufatto oggetto dell'ordine di demolizione non può ritenersi opera precaria nei termini sopra precisati in quanto adibito ad autorimessa e stabilmente presente sul terreno di proprietà dell'appellante. Correttamente, dunque, il Comune ne ha ordinato la demolizione in quanto sprovvisto del permesso di costruire.
11. Parimenti infondato è il secondo motivo. Osserva, infatti, il Collegio che, sugli effetti del sequestro dell'immobile abusivo disposto dall'Autorità giudiziaria in sede penale sul procedimento amministrativo di repressione dell'abuso, si registrino in giurisprudenza tre distinti orientamenti. Secondo il primo di essi, sostenuto in passato, il sequestro sarebbe privo di rilievo sul procedimento amministrativo, perché in sintesi l'autore dell'abuso, destinatario dell'ordinanza di demolizione, avrebbe sempre la possibilità di conformarvisi richiedendo il dissequestro all'Autorità giudiziaria competente (cfr. C.d.S., Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 283; Sez. IV, 23 gennaio 2012, n. 282). Tale orientamento è stato sottoposto più di recente a critica, posto che: i) imporrebbe al responsabile dell'abuso un obbligo di presentare l'istanza di dissequestro che non è previsto dalla legge; ii) pregiudicherebbe il suo diritto, costituzionalmente garantito, alla difesa nel procedimento penale, che potrebbe avere seguito, del tutto legittimamente, una strategia incompatibile con l'istanza stessa (cfr. C.d.S., Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2337). Secondo questo orientamento, inoltre, l'ordine di demolizione adottato in costanza di sequestro è da considerarsi nullo per mancanza di un elemento essenziale dell'atto, in quanto l'oggetto sarebbe impossibile. Secondo un diverso orientamento (condiviso dal Collegio) occorre individuare un punto di equilibrio fra l'interesse pubblico alla tutela del territorio e quello privato alla difesa penale di cui si è detto (cfr. C.d.S., Sez. VI, 23 marzo 2022, n. 2122; 2 ottobre 2019, n. 6592; 20 luglio 2018, n. 4418). Il sequestro penale dell'immobile non influenza la legittimità dell'ordinanza di demolizione, il che appare logico se si considera che diversamente la tutela del territorio verrebbe a dipendere da circostanze non nel dominio dell'amministrazione istituzionalmente preposta, che anzi potrebbe esserne all'oscuro. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza infatti in altro modo, ovvero ritenendo che il termine assegnato dall'ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorra sin quando l'immobile rimane sotto sequestro, restando all'autonoma iniziativa della difesa ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che al dissequestro possono condurre. Deve pertanto ritenersi che la sussistenza di un provvedimento di sequestro non incida sulla validità dell'ordinanza di demolizione ma comporti, esclusivamente, il differimento del termine per provvedere dal momento in cui il bene risulta dissequestrato.
12. Il ricorso in appello deve essere, quindi, respinto.
13. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. Fouad W.H. a rifondere al Comune di Pistoia le spese di lite del presente grado di giudizio, che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Toscana, sez. III, sent. n. 709/2019.