Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 24 gennaio 2024, n. 752

Presidente: Simonetti - Estensore: Lamberti

FATTO E DIRITTO

1. Il ricorrente Lionel C. ha acquistato dalla Bastogi s.p.a. il busto marmoreo "Socconius Nedymus", soggetto a prelazione (non esercitata) da parte della Soprintendenza archeologica di Roma, in quanto vincolato con decreti in data 23 febbraio 1915 e in data 7 settembre 1943, con il numero di catalogo generale 12/00121246.

1.1. La Soprintendenza, con note in data 22 novembre 1996 e in data 24 dicembre 1996, ha comunicato alla Bastogi s.p.a. che il predetto busto sarebbe appartenuto ad una "collezione", composta da alcuni ulteriori reperti tra quelli rinvenuti nell'eseguire gli scavi di fondazione di una casa di proprietà dell'Istituto romano di beni stabili, vale a dire un sarcofago con girali, catalogato con il n. 12/00121245, un'ara cineraria, catalogata con il n. 12/12001247, e un sarcofago con festoni, catalogato con il n. 12/00121248, dalla quale non avrebbe potuto essere separato.

2. Il ricorrente ha impugnato tali note avanti il T.A.R. per il Lazio, lamentando che tutti gli atti instaurativi del vincolo (dell'11 dicembre 1914, del 23 febbraio 1915 e del 7 settembre 1943) non consideravano il busto in questione come componente di una collezione o come complesso costituente una serie di oggetti di eccezionale interesse artistico e storico, ai sensi dell'art. 5 della l. 1089/1939.

2.1. Il T.A.R. adito, con la sentenza n. 8683 dell'8 ottobre 2013, ha accolto il ricorso.

2.2. Tale pronuncia è stata riformata, in accoglimento dell'appello proposto dal Ministero, con la sentenza di questo Consiglio indicata in epigrafe, che ha confermato gli atti impugnati, rilevando che dagli elementi testuali degli originari provvedimenti di vincolo fosse possibile inferire la volontà dell'amministrazione di imprimere un vincolo su un complesso di beni, avente quindi carattere unitario, con conseguente divieto legale di scomposizione.

3. Il ricorrente ha proposto ricorso per la revocazione di quest'ultima pronuncia, basato "sul rinvenimento di un documento decisivo ai sensi dell'art. 106 c.p.a. e dell'art. 395, comma 1, numero 3, c.p.c.".

A tal fine, il ricorrente riferisce di essere venuto a conoscenza, il 28 gennaio 2022 e, successivamente e definitivamente, il 25 febbraio 2022, della esistenza di documenti decisivi ai fini della revocazione della sentenza del Consiglio di Stato e precisamente: a) della comunicazione datata 28 gennaio 2022, con la quale il patrono della Bastogi s.p.a. informava il ricorrente dell'avvenuta vendita a terzi di quei reperti che erano stati impropriamente qualificati quali facenti parte di una collezione comprendente anche il busto (vale a dire, due sarcofagi e un'ara cineraria), vendita con riferimento alla quale la Soprintendenza archeologica di Roma aveva dichiarato di non esercitare il diritto di prelazione accordatole dalla legge; b) la comunicazione del 25 febbraio 2022, con la quale il patrono della Bastogi s.p.a. trasmetteva copia della documentazione attestante l'avvenuta vendita dei tre reperti, della notizia che ne era stata data al Ministero e della determinazione di quest'ultimo di prestare acquiescenza alla cessione.

3.1. Secondo parte ricorrente, la rinuncia all'esercizio della prelazione da parte della Soprintendenza avrebbe una duplice rilevanza ai fini del presente giudizio:

- da una parte, confermerebbe che i beni sopramenzionati sono stati scientemente qualificati dalla stessa Soprintendenza non come un complesso unitario ed inscindibile (e, quindi, una collezione), ma come entità suscettibili di essere vendute singolarmente e, comunque, indipendentemente dalla inclusione del busto;

- dall'altra, confermerebbe che la Soprintendenza fosse perfettamente consapevole, a decorrere dalla data di offerta in prelazione di quei reperti, vale a dire sin dal 31 marzo 2006, che non esistesse una collezione, e che, anche se fosse esistita, ne aveva comunque autorizzato lo smembramento; nonché che la Bastogi s.p.a., dalla data di mancato esercizio della prelazione, non fosse più proprietaria, per averli regolarmente alienati a terzi, dei reperti ai quali avrebbe dovuto teoricamente ricongiungersi il busto.

3.2. Parte ricorrente prospetta che tali circostanze smentiscono la pronunzia del Consiglio di Stato impugnata, precisando che la documentazione sulla sorte dei reperti, proveniente dalla stessa Pubblica Amministrazione, è preesistente alla pronunzia della sentenza del Consiglio di Stato del 27 novembre 2020 ed era ben nota al Ministero, che non ne ha fatto menzione nelle sue difese.

4. Il ricorso è inammissibile.

Il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 3, c.p.c. presuppone l'esistenza di un documento relativo all'oggetto della controversia rinvenuto dopo la decisione avente il carattere della decisività ai fini della sua risoluzione.

È pertanto inammissibile il ricorso per revocazione ove i documenti recuperati fatti valere siano privi dell'attributo della decisività ai fini della causa (cfr. C.d.S. 3828/2007).

In base alla giurisprudenza «Per proporre l'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, primo comma, n. 3, c.p.c., deve ritenersi "decisivo" il documento che, oltre ad essere stato ritrovato dopo la sentenza, sia astrattamente idoneo, se acquisito agli atti, a formare un diverso convincimento del giudice, e perciò a condurre ad una decisione diversa da quella revocanda, attenendo a circostanze di fatto risolutive che il giudice non abbia potuto esaminare» (Cass. n. 29385 del 28 dicembre 2011).

4.1. La sentenza di cui si chiede la revocazione ha ad oggetto le note n. 31579 del 24 dicembre 1996 e n. 28477 del 22 novembre 1996, con le quali la Soprintendenza archeologica di Roma aveva preteso l'osservanza del divieto di smembramento di una collezione, in relazione alla vendita del predetto busto romano fatta dalla Bastogi s.p.a. al ricorrente, evidenziando il fatto che il busto era stato rinvenuto insieme ad altri oggetti nell'eseguire scavi di fondazione di una casa di proprietà dell'Istituto romano di beni stabili.

La prospettazione coltivata dal ricorrente in tale giudizio era volta a sostenere che gli atti instaurativi del vincolo (dell'11 dicembre 1914, del 23 febbraio 1915 e del 7 settembre 1943) non consideravano il busto in questione come componente di una collezione o come complesso costituente una serie di oggetti di eccezionale interesse artistico e storico, ai sensi dell'art. 5 della l. 1089/1939.

L'impugnata decisione ha disatteso tale tesi, rilevando che: «il nuovo atto instaurativo del vincolo (del 7 settembre 1943) richiama espressamente le previsioni di cui alla legge n. 1089/1939 ed al contempo le modalità di rinvenimento dei beni ai quali il vincolo si riferisce ("Not. Scavi, 1906-p-300") che, come detto, denotano non solo la contestualità del rinvenimento dei beni, ma anche la loro comune provenienza dal medesimo contesto familiare, avvalorato dalle scritte epigrafiche che gli antichi manufatti presentano. Da tali elementi testuali del provvedimento è dato quindi agevolmente inferire che la volontà dell'Amministrazione era quella di imprimere un vincolo su un complesso di beni avente quindi carattere unitario, con conseguente divieto legale di scomposizione... è dato quindi rilevare che sui beni in questione è stato impresso dal Ministero un vincolo unitario, come del resto esplicitato con la nota del 21 agosto 1996, indirizzata alla società Bastogi s.p.a., in cui si afferma: "i quattro reperti archeologici, già in possesso dell'Istituto Romano di Beni Stabili, ora Bastogi (vedi schede allegate) provengono tutti da Roma, dal medesimo sito nei pressi della via Trionfale (v. bibliografia relativa alle opere, nelle singole schede); pertanto costituiscono un contesto unitario e di conseguenza non si ritiene opportuno che vengano smembrati"; tale nota, appunto risalente al 21 agosto 1996 ha costituito un tempestivo intervento chiarificatore del Ministero, ove se ne avvertisse il bisogno, in quanto antecedente alla lettera dell'antiquario signor Orsi, del 16 ottobre 1996, con la quale comunicava di aver ricevuto "un'offerta d'acquisto di lire 7.000.000 per la suddetta opera da parte dello Studio dell'Avvocato Lionel C."».

Come evidente dai passaggi motivazionali innanzi citati, la decisione impugnata si basa sulla lettura ed interpretazione degli originari provvedimenti di vincolo che hanno interessato i beni, valutandone la portata e giungendo alla conclusione che era stato impresso un vincolo su un complesso di beni avente carattere unitario, con conseguente divieto legale di scomposizione.

Non è mai intervenuto alcun successivo provvedimento atto a modificare la portata del vincolo derivante dagli atti dell'11 dicembre 1914, del 23 febbraio 1915 e, soprattutto dopo quello del 7 settembre 1943 con il quale si era fatta applicazione dell'art. 5 della l. 1089/1939, così come accertato dall'impugnata sentenza di questo Consiglio.

4.2. Tale conclusione - e cioè la portata del vincolo - non è suscettibile di essere incisa dalle vicende, successive all'apposizione del vincolo, che di fatto possono aver riguardato la circolazione dei singoli beni; né può incidere sulla portata del vincolo la condotta serbata dall'amministrazione competente relativa al mancato esercizio della prelazione.

Invero, l'istituto della prelazione e la portata del vincolo che caratterizza un bene operano su piani distinti, essendo il primo volto a permettere l'acquisizione della proprietà pubblica del bene culturale, senza che ciò possa in alcun modo incidere - con il suo esercizio e, specularmente, con il suo mancato esercizio - sulla portata del provvedimento di vincolo.

Di conseguenza, sotto il profilo giuridico, non appare possibile sostenere che il mancato esercizio della prelazione legale possa in qualche modo incidere sulle caratteristiche del vincolo apposto sul bene o su come questo era stato inteso dall'amministrazione e in precedenza chiaramente esplicitato nelle note impugnate risalenti al 1996, potendo al più rivelare una discutibile condotta dell'amministrazione, all'apparenza non in sintonia con la portata del vincolo, nel momento in cui la vendita dei beni dovesse portare allo smembramento del complesso unitario.

4.3. Da un altro punto di vista, deve rilevarsi che già nella sentenza impugnata si dà esplicitamente atto che l'attuale ricorrente aveva svolto difese scritte, tra l'altro, "alla luce di quanto documentato in ordine all'effettuazione delle previste comunicazioni alla Soprintendenza per consentire l'esercizio della prelazione", in questo caso riferite proprio al busto per cui è causa. Anche per il busto la prelazione non era stata esercitata, dovendosi per l'effetto ritenere che l'aspetto del mancato esercizio della prelazione - in riferimento al busto - fosse già stato ritenuto non risolutivo dalla revocanda sentenza, non potendosi per coerenza ritenere che lo stesso - riferito agli altri reperti - possa invece assumere un valore decisivo per dare luogo alla revocazione della sentenza che, come detto, verte sulla portata del vincolo che caratterizza i beni in questione, rispetto ai quali, con le note impugnate e confermate dalla revocanda sentenza, l'amministrazione, pur non esercitando la prelazione, si era inequivocabilmente espressa nel senso della sussistenza di una collezione.

Al riguardo, giova richiamare la giurisprudenza in base alla quale "La decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, c.p.c., postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza. Ne consegue che una siffatta decisività va negata quando l'atto ritrovato possa offrire semplici elementi indiziari, utilizzabili per dimostrare quei fatti esclusivamente nel concorso con altri dati" (Cass. 28389/2023).

4.4. Una diversa soluzione implicherebbe di rivalutare inammissibilmente la questione sottesa al giudizio di merito e non, invece, di valorizzare un documento nuovo e decisivo come tenta di prospettare il ricorrente.

Tale esito è evidentemente incompatibile con la finalità della fattispecie di revocazione azionata, che non può essere volta a provocare una rivalutazione delle questioni di merito già decise, ma a valorizzare evidenze probatorie sopravvenute, a condizione che queste siano immediatamente determinanti ai fini della decisione (cfr. Cass. 8202/2004: "Il requisito della decisività dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l'impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, c.p.c., ne postula la diretta attinenza ad un fatto risolutivo per la definizione della controversia e, pertanto, va esclusa, con riguardo all'atto che sia in grado di offrire meri elementi indiziari, utilizzabili solo per una revisione del convincimento espresso dalla sentenza revocanda in esito ad un riesame complessivo del precedente quadro probatorio coordinato con il nuovo dato acquisito").

In altri termini, la valorizzazione della documentazione di cui parte ricorrente è venuta a conoscenza solo ad inizio 2022 (nonostante la datazione della stessa risalga al 2006) più che determinante ai fini della decisione, appare invece un mero strumento per rimettere in discussione la decisione impugnata, la quale, come già evidenziato, si basa sulla lettura ed interpretazione dei provvedimenti di vincolo che hanno interessato i beni in questione e rispetto ai quali, come già spiegato, sono giuridicamente ininfluenti le successive vicende relative alla vendita dei singoli beni, se del caso suscettibili di rilevare ad altri fini.

5. In definitiva, il ricorso risulta inammissibile e per l'effetto devono essere rigettate anche le istanze istruttorie contenute nel ricorso.

La complessità della controversia giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) dichiara il ricorso inammissibile e compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto CdS, sez. VI, sent. n. 363/2021.