Corte di cassazione
Sezione IV civile (lavoro)
Ordinanza 12 marzo 2024, n. 6521

Presidente: Manna - Relatore: Tricomi

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d'appello di Roma, con la sentenza n. 527 del 2018, ha rigettato l'appello proposto da Iolanda D.L. nei confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Roma.

La lavoratrice aveva adito il Tribunale assumendo di essere dirigente del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con incarico di responsabile della Divisione 4 "Regolazione e monitoraggio dei lavori pubblici", e di aver svolto dal 2010 al 2013 l'ulteriore incarico di dirigente della Divisione 2 "Contratti pubblici e normativa comunitaria", senza percepire alcuna retribuzione aggiuntiva, come invece stabilito dagli artt. 60 e 61 del CCNL.

2. Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che nella specie non potessero trovare applicazione le disposizioni contrattuali invocate in quanto riferibili ad incarichi per conto terzi e ad incarichi ad interim conferiti formalmente.

3. La Corte d'appello rilevava la mancanza di censure rispetto alla suddetta interpretazione delle norme contrattuali ed escludeva che il compenso potesse essere dovuto ex art. 2099 c.c. o ai sensi dell'art. 36 Cost., in ragione del principio di onnicomprensività della retribuzione del dirigente.

La sentenza impugnata veniva confermata anche in relazione al rigetto della domanda di corresponsione degli stessi importi a titolo di risarcimento del danno, atteso che la ricorrente non poteva vantare alcun diritto di conferimento formale dell'incarico ad interim di responsabile della Divisione 2 "Contratti pubblici e normativa comunitaria"; pertanto, nessun inadempimento contrattuale poteva attribuirsi all'Amministrazione e non vi era danno risarcibile. Anche la domanda di arricchimento senza causa doveva essere rigettata, in quanto la stessa ha carattere sussidiario, ed era pertanto inammissibile qualora.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando tre motivi di ricorso, assistiti da memoria.

5. Resiste con controricorso l'Amministrazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 421 c.p.c., rilevanti ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: la sentenza impugnata ha omesso ogni statuizione in ordine alle istanze istruttorie della ricorrente volte a dimostrare l'effettivo svolgimento dell'incarico dirigenziale ulteriore (e vacante) per cui è causa, rigettando implicitamente la loro ammissione.

1.1. Il motivo è inammissibile in quanto non censura adeguatamente la ratio decidendi della sentenza di appello. Il giudice di secondo grado non ha escluso lo svolgimento dell'attività, ma che per la stessa vi fosse un'ulteriore retribuzione, in quanto ciò era precluso dall'onnicomprensività della retribuzione dell'incarico dirigenziale già ricoperto dalla lavoratrice.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché degli artt. 1173, 1175, 1218, 1226, 1374, 1375, 2087, 2099 c.c., nonché degli artt. 2 e 36 Cost., rilevanti ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

Assume la ricorrente che la sentenza impugnata afferma erroneamente che la stessa non potrebbe veder remunerata l'attività lavorativa connessa all'ulteriore incarico alla luce del c.d. principio di onnicomprensività della retribuzione dei dirigenti, sancito dall'art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché per assenza del provvedimento formale di conferimento dell'incarico de quo, nonostante il principio generale di buona fede e correttezza di cui agli artt. 2099 c.c. e 36 Cost.

2.1. Il motivo non è fondato.

Nel pubblico impiego privatizzato vige il principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, in virtù del quale il trattamento economico remunera tutte le funzioni e i compiti attribuiti secondo il contratto individuale o collettivo, nonché qualsiasi incarico conferito dall'Amministrazione di appartenenza o su designazione della stessa o che sia riconducibile a funzioni e poteri connessi all'ufficio ricoperto (v. Cass., n. 6021 del 2023).

In forza del principio di onnicomprensività, di cui all'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001, al dirigente pubblico cui siano attribuiti incarichi che possano impegnare anche oltre l'orario "normale" stabilito dalla contrattazione collettiva non spetta, salvo espressa diversa previsione della contrattazione collettiva medesima, alcuna ulteriore remunerazione a carico del datore di lavoro a titolo di compenso per lavoro straordinario (v. Cass., n. 32617 del 2022).

Peraltro, questa Corte ha già affermato che nell'ipotesi della reggenza di un ufficio dirigenziale della Pubblica Amministrazione temporaneamente vacante da parte di un dirigente, escluso l'esercizio di mansioni superiori, la pretesa a percepire ulteriori compensi è ricollegabile soltanto alla avvenuta stipula del contratto individuale (Cass., n. 32505 del 2021).

Né, in caso di conferimento illegittimo di tale incarico, può trovare applicazione l'art. 2126 c.c., riferibile alle ipotesi in cui la prestazione lavorativa sia eseguita in assenza di titolo per la nullità del rapporto di lavoro e non a quelle in cui i compiti attribuiti, sia pure sulla base di determinazioni amministrative illegittime, siano comunque riconducibili alla qualifica posseduta (v. Cass., n. 3094 del 2018).

La Corte d'appello ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati di talché la sentenza si sottrae a censura.

3. Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c., rilevanti ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

È censurata la statuizione con la quale la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile la richiesta subordinata di indennizzo, per ingiustificato arricchimento, in ragione dell'assenza del provvedimento di conferimento dell'incarico quale titolo giustificativo della prestazione lavorativa resa.

Nella memoria viene richiamata la recente sentenza delle Sezioni unite civili n. 33954 del 2023.

3.1. Il motivo non è fondato.

Nella specie, correggendo sul punto la motivazione della sentenza di appello ex art. 384, ultimo comma, c.p.c., si osserva che il trattamento economico chiesto dalla lavoratrice non è dovuto in ragione del carattere onnicomprensivo della retribuzione del dirigente, secondo lo statuto giuridico di quest'ultimo, di talché non è configurabile un arricchimento senza causa dell'Amministrazione, da poter far valere con l'azione sussidiaria di indebito arricchimento.

4. La Corte rigetta il ricorso.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.