Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 11 marzo 2024, n. 2343

Presidente: Sabatino - Estensore: Masaracchia

FATTO E DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio di appello è la sentenza del T.A.R. Lazio, meglio individuata in epigrafe, che ha respinto il ricorso presentato dall'odierna appellante, G.M.G. s.r.l., contro il provvedimento di "revoca" del contratto di locazione che era stato stipulato, nel 2014, tra di essa e il Comune di Guidonia Montecelio (RM). Con tale contratto, il Comune aveva concesso in locazione all'appellante un'area da adibirsi, in parte, ad uso commerciale (bar e caffetteria) e, in parte, a giardino aperto al pubblico. Il contratto prevedeva l'obbligo della locataria di provvedere alla manutenzione ordinaria del giardino (pulizia, taglio dell'erba, potatura) e all'apertura al pubblico del medesimo in orari prestabiliti della giornata.

L'atto di revoca (prot. n. 5836, del 18 gennaio 2019) è stato adottato ai sensi dell'art. 9 del contratto ed è stato motivato in ragione dell'inadempienza della locataria rispetto alle obbligazioni dedotte in contratto; l'amministrazione, in particolare, ha rilevato la mancata apertura del giardino al pubblico, con riguardo alla sezione ubicata lungo via Girasoli (oggetto di precedente ordinanza n. 288 del 10 agosto 2017, rimasta inadempiuta), e il mancato rispetto sia degli obblighi di manutenzione ordinaria, pulizia giornaliera, taglio erba e potatura stagionale, come prescritti dall'art. 5 del contratto, sia delle prescrizioni in ordine all'apertura e alla chiusura delle sezioni del giardino ubicate lungo via Girasoli e lungo via delle Ginestre, intersezione via Rosata.

Il T.A.R. Lazio, che ha argomentato sulla sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ha respinto le censure di legittimità sollevate dalla GMG, ritenendo che l'amministrazione, di fronte alle accertate inadempienze contrattuali della controparte, abbia fatto corretta applicazione della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 5 del contratto stesso, secondo la quale "nel caso di non effettuazione [dei] ... servizi, previa diffida, il contratto si intenderà risolto". Il T.A.R., inoltre, ha parimenti respinto anche i motivi aggiunti presentati da GMG in corso di causa, con i quali era stata impugnata la sopravvenuta nota prot. n. 34891, del 15 aprile 2019, con la quale il Comune di Guidonia Montecelio aveva apportato una "Integrazione motivi di risoluzione" (che contestava alla locataria un'ulteriore violazione contrattuale, legata questa volta al previsto divieto di sublocazione del bene, di cui all'art. 3 del contratto).

1.1. L'appello è affidato a quattro motivi, con i quali - previa domanda cautelare di sospensione degli effetti della decisione - si è dedotta l'erroneità della sentenza del T.A.R. sia in punto di giurisdizione del giudice amministrativo (primi due motivi di appello e parte del terzo: a giudizio dell'appellante, infatti, il provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo di primo grado assumerebbe le fattezze di un atto di risoluzione civilistico, per il quale sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario), sia per quanto riguarda il merito della decisione.

Sotto quest'ultimo aspetto, l'appellante ha dedotto, con il terzo motivo, i vizi di violazione e falsa applicazione dell'art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990, inquadrando dunque l'atto gravato nella categoria del potere di autotutela dell'amministrazione e sostenendo che l'iter amministrativo del Comune non troverebbe sostegno in alcun interesse pubblico, neanche indicato dall'atto di revoca; ciò, fermo restando che il relativo potere pubblicistico avrebbe dovuto previamente considerare l'esistenza, nella specie, di un vincolo di natura privatistica. Con l'ultimo motivo di appello (numerato sub "a"), infine, l'appellante ha dedotto i vizi di violazione e falsa applicazione dell'art. 22 della l. n. 241 del 1990, sostenendo la violazione dell'obbligo di trasparenza e di "tempestività" da parte dell'amministrazione comunale e lamentando, altresì, la "infondatezza, strumentalità, tardività e difetto di contradditorio del verbale dei VV.UU del 07.01.2019".

2. Nel presente giudizio si è costituita la Città di Guidonia Montecelio, in persona del Sindaco pro tempore, insistendo per il rigetto dell'appello, non senza eccepire l'inammissibilità delle censure con le quali l'appellante ha revocato in dubbio, per la presente controversia, la giurisdizione del giudice amministrativo.

3. Con ordinanza 19 dicembre 2019, n. 6289, la Sezione ha respinto la domanda cautelare dell'appellante, non ritenendo sussistente il requisito del fumus boni iuris, sia quanto alle contestazioni attinenti alla giurisdizione, sia in punto di qualificazione del rapporto sostanziale intercorrente tra le parti.

4. In vista della pubblica udienza di discussione, il solo Comune appellato ha svolto difese, con memoria depositata il 26 ottobre 2023, ribadendo la correttezza dell'operato dell'amministrazione e concludendo per la reiezione dell'appello, anche in rito.

Alla pubblica udienza del 30 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. L'appello non è fondato e deve essere integralmente respinto.

5.1. Vanno anzitutto disattesi i primi due motivi di appello, che - per la comunanza di argomento - possono essere trattati congiuntamente, anche insieme alla parte del terzo motivo che ha insistito sul difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Come già rilevato dall'ordinanza cautelare della Sezione, la parte vittoriosa sulla specifica questione di giurisdizione, trattata ed esaminata dalla sentenza di primo grado, non è legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo. Ciò, in applicazione dell'ormai pacifico principio per cui una siffatta eccezione non può essere sollevata nel giudizio di appello da chi abbia in primo grado egli stesso adito il giudice amministrativo, e solo all'esito sfavorevole del giudizio ne contesti la giurisdizione, situazione che integra una forma di abuso del processo (cfr., in tal senso, ex plurimis, C.d.S., Sez. II, sentenza n. 7813 del 2019; Ad. plen., n. 4 del 2017).

I motivi in esame, pertanto, vanno dichiarati inammissibili, ivi compreso in parte qua il terzo motivo, in accoglimento della specifica eccezione sollevata dalla parte pubblica appellata.

5.2. I restanti motivi di appello non sono fondati nel merito.

Il terzo motivo, come visto, invoca i principi sull'autotutela amministrativa e, in particolare, quelli ex art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990. Tale richiamo, tuttavia, si svela inconferente di fronte alla fattispecie da decidere, nella quale l'amministrazione - lungi dall'esercitare i poteri di secondo grado nelle forme indicate e disciplinate dalla richiamata disposizione di legge - si è limitata ad avvalersi della clausola risolutiva espressa che, per l'evenienza di inadempimenti alle obbligazioni contrattuali, era stata prevista dall'art. 5 del contratto di locazione, sottoscritto dalle parti in data 29 aprile 2014. Sul punto, va confermata la sentenza del T.A.R. che ha rilevato come "l'utilizzo della clausola risolutiva espressa sia del tutto legittimo ai sensi dell'art. 1456 c.c., avendo il Comune fatto uso di una delle ipotesi di risoluzione di diritto, con l'osservanza di tutte le condizioni di legge".

Non vi era, dunque, necessità che fosse evidenziato l'interesse pubblico sotteso al provvedimento di "revoca" della concessione - interesse che, peraltro, nella fattispecie appare auto-evidente - e rimangono fuori fuoco le lagnanze dell'appellante incentrate su una presunta indebita "incisione" dei poteri amministrativi sul vincolo contrattuale intercorrente tra le parti; al contrario, risulta evidente che è proprio tale vincolo a giustificare l'esercizio del potere risolutivo, come disciplinato dal contratto.

Con l'ultimo motivo, infine, l'appellante ha dedotto la violazione delle proprie prerogative di partecipazione al procedimento amministrativo, lamentando che il verbale di sopralluogo del 7 gennaio 2019 (dal quale sono emerse, in special modo, le inadempienze della parte locataria legate al totale stato di abbandono dell'area) non è stato redatto in contraddittorio: situazione che il T.A.R. avrebbe omesso di considerare. Tali censure non possono essere positivamente apprezzate, posto che - come il T.A.R. non ha mancato di osservare - la locataria era da tempo a conoscenza delle rimostranze del Comune, che le aveva inviato ben due diffide, nel corso del 2018 (e, dunque, in un'epoca anteriore allo svolgimento del sopralluogo), che lamentavano già lo stato di degrado dell'area e che sono rimaste prive di riscontro. Del tutto ininfluente, in tale prospettiva, è la formazione di tale verbale in un momento successivo all'instaurazione del giudizio di primo grado, così come ininfluente è il fatto che lo stato di degrado ivi descritto fosse da ricondurre - a dire dell'appellante - ai lavori in corso per la riqualificazione dell'area: ciò che conta, infatti, è che quello stato, e la connessa responsabilità contrattuale della locataria, fossero sussistenti ormai da diverso tempo, ben prima di quel sopralluogo, e che l'amministrazione avesse già manifestato alla controparte il proprio intendimento di procedere alla risoluzione, come correttamente ritenuto dal T.A.R.

Lo stato di degrado, efficacemente ricavato ed argomentato dal primo giudice sulla base degli atti versati in giudizio, assurge peraltro a ragione di per sé sufficiente ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, anche a prescindere dall'ulteriore ragione fatta valere dall'amministrazione, riguardante - come da nota del 15 aprile 2019 - la violazione del divieto di sublocazione. Anche su tale punto la sentenza del T.A.R. è corretta e non incorre nei vizi denunziati dalla parte appellante.

Infine, la sentenza gravata non è viziata neppure nella parte in cui essa non ha statuito sulla domanda di risarcimento dei danni, avanzata dalla ricorrente in primo grado: ciò, per l'evidente ragione della insussistenza del presupposto oggettivo dell'invocata responsabilità civilistica, costituito dall'illegittimità dell'operato dell'amministrazione.

6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono da liquidarsi in euro 3.000,00 (tremila/00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello, nei sensi di cui in motivazione.

Condanna parte appellante alla refusione delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II-bis, sent. n. 10823/2019.