Corte di cassazione
Sezione II civile
Sentenza 19 marzo 2024, n. 7280
Presidente: Di Virgilio - Estensore: Bertuzzi
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 2018 il Tribunale di Catania respinse la domanda avanzata da C. Santa e da A. Salvatore, Giovanna, Carla e Massimiliano diretta ad ottenere la condanna di S. Angelo al rilascio di un'unità immobiliare che aveva formato oggetto nel 1999 di un contratto preliminare di compravendita da parte di A. Mario, a cui essi erano subentrati come eredi, poi mai perfezionato in un contratto definitivo e divenuto ormai inefficace per il tempo trascorso, con la corresponsione dei frutti civili sull'immobile nel frattempo detenuto.
Proposto gravame da parte di C. Santa e dei germani A., con sentenza non definitiva n. 966 del 5 giugno 2020 la Corte di appello di Catania riformò completamente la decisione impugnata, condannando il convenuto S. al rilascio del bene immobile detenuto e gli attori appellanti alla restituzione del prezzo riscosso e rimettendo la causa sul ruolo per il prosieguo del giudizio in ordine alla quantificazione dell'indennità di occupazione del bene. A fondamento della sua decisione, la Corte territoriale esaminò in via preliminare la questione della tempestività dell'appello, dichiarando che esso non poteva considerarsi tardivo in quanto la sua notifica, sia pure una prima volta tentata senza successo ad un indirizzo diverso da quello dello studio del procuratore della controparte, ove questa aveva eletto domicilio, era stata poi subito dopo eseguita con esito positivo all'indirizzo corretto, sia pure oltre il termine per appellare, ma con effetto per l'appunto sanante rispetto alla prima tentata notifica. Nel merito affermò che, diversamente da quanto riten[u]to dal giudice di primo grado, la scrittura privata intervenuta nel 1999 tra A. Mario e S. Angelo costituiva un contratto preliminare e non un contratto definitivo di compravendita e che la domanda del convenuto di esecuzione specifica dello stesso ex art. 2932 c.c. non poteva essere accolta stante l'eccepita prescrizione del relativo diritto di credito. Condannò pertanto il convenuto S. al rilascio dell'immobile e gli attori alla restituzione della somma ricevuta a titolo di prezzo ricevuto dal loro de cuius, rinviando al prosieguo del giudizio la quantificazione e liquidazione della indennità per l'occupazione dell'immobile chiesta dagli attori.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 9 ottobre 2020, ha proposto ricorso S. Angelo, affidato a due motivi.
A. Massimiliano e C. Santa hanno notificato controricorso, mentre A. Salvatore, Giovanna e Carla non hanno svolto attività difensiva.
Avviato il ricorso in decisione in camera di consiglio, a norma dell'art. 380-bis c.p.c. ratione temporis vigente, con ordinanza interlocutoria n. 9090 del 21 marzo 2022 ne è stata disposta la discussione in pubblica udienza.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 325 e 326 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto tempestivo l'atto di appello nonostante esso fosse stato notificato oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado, sull'erroneo presupposto che l'insuccesso della prima notifica, tentata presso il difensore domiciliatario della controparte e non andata a buon fine per irreperibilità del destinatario, era addebitabile non al notificante ma al pubblico ufficiale giudiziario che vi aveva proceduto, il quale avrebbe potuto individuare l'esatto indirizzo del destinatario mediante una rapida consultazione dell'albo professionale. L'insuccesso della notifica, sostiene il ricorrente, andava invece interamente addebitato agli appellanti, che avevano confuso l'indirizzo dello studio del procuratore con quello personale di residenza dell'appellato.
Il motivo è fondato.
Dagli atti di causa risulta che la sentenza di primo grado fu notificata a cura del convenuto il 20 giugno 2018 e che, dopo un primo tentativo non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario in data 18 luglio 2018, l'atto di appello fu notificato il 26 luglio 2018, oltre pertanto il termine di trenta giorni stabilito, a pena di inammissibilità dell'impugnazione, dall'art. 325 c.p.c. Risulta altresì che la prima notifica non aveva avuto successo per irreperibilità del destinatario nell'indirizzo ivi indicato, essendo esso diverso da quello in cui aveva sede lo studio del procuratore presso cui la parte convenuta aveva eletto domicilio, come indicato nella sua costituzione in giudizio.
Ora, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, in tema di notifica degli atti processuali, l'atto notificato oltre il termine previsto dalla legge in forza di una seconda notificazione, può considerarsi idoneo ad evitare la decadenza soltanto nel caso in cui la prima notificazione non sia andata a buon fine per cause non imputabili al notificante, fermo il suo onere di riattivare il procedimento di notificazione entro un termine ragionevole (Cass. n. 115 del 2022; Cass. n. 23876 del 2022; Cass. n. 17336 del 2019; Cass. n. 16943 del 2018; Cass. n. 4842 del 2012; Cass., Sez. un., n. 3818 del 2009; Cass., Sez. un., n. 17352 del 2009). La condizione per la ripresa del procedimento notificatorio quale attività volta a superare il termine di decadenza fissato dalla legge è pertanto che la prima notificazione non abbia avuto successo per un impedimento di forza maggiore o a causa di un fatto non imputabile ad errore o negligenza del notificante.
Nel caso di specie la prima e tempestiva notificazione dell'atto di appello non ha avuto successo per irreperibilità del destinatario, in quanto rivolta correttamente nei confronti del procuratore della controparte, ma ad un indirizzo diverso da quello dichiarato. Al riguardo la parte interessata non appare aver fornito alcuna ragione di tale erronea indicazione, non corrispondente alle risultanze degli atti, la quale pertanto non può che imputarsi alla parte stessa.
La sentenza della Corte di appello riconosce un tale errore da parte dell'appellante, ma ne attribuisce le conseguenze negative in termini di insuccesso della notifica al pubblico ufficiale notificante, rilevando che da parte sua "sarebbe, invero, bastata una rapida compulsione dell'albo professionale - certamente riconducibile a detto onere di normale collaborazione esigibile dall'ufficiale giudiziario nella esecuzione della notifica - per individuare prontamente l'esatto indirizzo del professionista destinatario".
Questa conclusione non può essere condivisa. Deve infatti ritenersi che il pubblico ufficiale incaricato della notifica di un atto abbia il dovere, ai sensi dell'art. 148 c.p.c., nell'eseguire la notificazione, di fare ricerche al fine di superare eventuali incertezze o errori nelle indicazioni dell'indirizzo o del destinatario, ma soltanto nella misura in cui esse siano in concreto superabili con indagini da svolgere nel luogo della notifica. Per contro non è sostenibile un dovere del pubblico ufficiale di ricercare il corretto indirizzo anche sulla base di fonti esterne, quale è l'albo professionale da cui risulti lo studio del procuratore destinatario della notifica. Trattasi invero di un dovere, questo, che incombe professionalmente sul solo notificante e la cui mancata osservanza non può essere addebitata al pubblico ufficiale. Questi infatti è tenuto a svolgere indagini concrete in loco, al fine di appurare la corrispondenza tra l'indirizzo indicato nella relata e la presenza della residenza o del domicilio della persona cui la notifica è diretta ovvero la sua concreta irreperibilità, ma non anche di svolgere ricerche in ordine al suo effettivo indirizzo (Cass. n. 32444 del 2021). Gli stessi precedenti di questa Corte richiamati nel controricorso (Cass. n. 2174 del 2017 e Cass. n. 8638 del 2017) confermano tale conclusione, atteso che nei casi trattati l'insuccesso della notificazione non era stato imputato al notificante in ragione del rilievo che esso dipendeva da errori materiali e incompletezze del nome del destinatario ovvero dalle mancate ricerche in loco che di per sé non impedivano la notifica in quanto facilmente emendabili dall'ufficiale giudiziario. Per contro, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che è onere del notificante accertare anche il trasferimento dello studio del procuratore della controparte, negando che in tal caso l'errore compiuto nel notificare l'atto al precedente recapito possa costituire un errore scusabile (Cass. n. 17336 del 2019; Cass. n. 23760 del 2020; Cass. n. 28712 del 2017). Nel caso di specie peraltro l'indirizzo dello studio del procuratore della controparte non era mutato e la notifica non ha avuto esito positivo soltanto per l'erronea indicazione dell'indirizzo del destinatario.
Ne discende che non avendo la prima notifica dell'atto di appello avuto esito positivo per errore imputabile agli appellanti, l'appello avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, in quanto notificato solo il 26 luglio 2018, oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado, avvenuta il 20 giugno 2018.
Il secondo motivo, che denuncia violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., espressamente proposto in via subordinata, si dichiara assorbito.
In accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza è cassata senza rinvio, ai sensi dell'art. 382, comma 3, c.p.c., dovendosi l'appello proposto essere dichiarato inammissibile.
Le spese di giudizio, comprensive di quelle di secondo grado, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e dichiara l'appello proposto avverso la sentenza di primo grado inammissibile. Condanna gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, che liquida in euro 5.000,00 e d i soli controricorrenti al pagamento di quelle del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte degli appellanti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'atto di appello, se dovuto.