Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione II
Sentenza 6 maggio 2024, n. 871
Presidente ed Estensore: Passoni
FATTO E DIRITTO
Premette l'odierna ricorrente sig.ra Fulvia Z. di essere comproprietaria di un'area sita in zona agricola nel comune di Monte di Malo (foglio 5 mappali 444, 445, 506, 562, 563, 569).
In data 30 agosto 2011, la ricorrente e la figlia Deborah C., titolare quest'ultima dell'azienda "Allevamento cani il Quadrifoglio", presentavano al predetto Comune un'istanza volta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione delle opere edilizie necessarie all'insediamento di un centro cinofilo. L'Amministrazione resistente rilasciava il titolo richiesto con provvedimento 18 luglio 2012, salvo tuttavia procedere al suo successivo annullamento in via di autotutela mediante il provvedimento 19 febbraio 2013.
Avverso quest'ultimo veniva proposto ricorso al T.A.R. Veneto 25 marzo 2013, poi respinto con sentenza n. 202/2014 del 14 febbraio 2014.
Seguiva quindi l'ordinanza civica n. 12 del 23 aprile 2014 mediante la quale veniva intimato all'odierna ricorrente il ripristino dello stato dei luoghi con la rimozione di tutte le opere realizzate in difformità dalla DIA del 29 dicembre 2009 e con la demolizione di tutte le opere previste nel permesso di costruire eseguite precedentemente al suo annullamento.
In data 16 settembre 2014 il Comune effettuava un sopralluogo dal quale emergeva che:
- relativamente ai lavori eseguiti a seguito di DIA del 29 dicembre 2009 era stata rimossa la casetta in legno ed erano altresì stati rimossi alcuni tratti della recinzione costituita da pali in legno e rete metallica plastificata; mentre il cancello carraio sull'ingresso della proprietà risultava invece ancora presente;
- quanto ai lavori eseguiti a seguito del rilascio del permesso di costruire poi autoannullato, la platea di cemento di circa 200 mq. di superficie, sulla quale avrebbero dovuto essere posate le strutture edilizie dell'allevamento non risultava essere stata demolita ma completamente interrata mediante terreno vegetale presente in loco.
Con provvedimento del 8 gennaio 2014 il Comune accertava quindi la mancata ottemperanza all'ingiunzione nel termine intimato ai sensi dell'art. 92 della l.r. 61/1985 e dell'art. 31 del d.P.R. 380/2001, precisando che tale accertamento costituiva titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari del bene, dell'area di sedime e di quella pertinenziale: in particolare quanto a quest'ultima, veniva acquisita l'intera proprietà della ricorrente.
Avverso quest'ultimo provvedimento insorge la ricorrente richiamando in primis l'illegittimità della presupposta ordinanza di demolizione 12/14 che - oltre a non aver debitamente individuato le opere da demolire - avrebbe erroneamente applicato l'art. 31 t.u.ed. in luogo delle fattispecie più "miti" collegate ad interventi difformi dalla DIA e a lavori eseguiti sulla base di un permesso poi annullato (artt. 37 e 38 t.u.ed.).
Quanto ai vizi propri del provvedimento acquisitivo, viene contestato il mancato ripristino della platea in cemento, nonostante il suo avvenuto interramento.
Si lamenta inoltre la mancata applicazione dell'art. 31, comma 3, t.u.ed. che vieta acquisizioni di pertinenze superiori a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente acquisita; a questo proposito si deduce che "a fronte di alcuni tratti di recinzione non rimossi e di una platea di cemento interrata di circa 200 mq. di superficie è stata acquisita dal Comune l'intera proprietà della ricorrente, per oltre 12.600 mq. di superficie complessiva".
In ogni caso viene dedotto difetto di istruttoria e di motivazione in ordine ad una tale sproporzionata acquisizione, estesa ben oltre l'area di sedime collegata all'abuso.
Viene inoltre avanzata una (generica) richiesta di risarcimento danni.
Non si è costituito in giudizio il comune intimato.
All'udienza di smaltimento del 30 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
Vanno in primo luogo dichiarate inammissibili le censure dedotte a carico dell'ordinanza di demolizione del 23 aprile 2014, trattandosi di provvedimento da tempo ormai consolidato per mancata impugnativa. Né - per giurisprudenza costante oltreché per univoche regole processuali - il suo carattere di atto presupposto rispetto all'ordinanza di acquisizione consente il recupero di scrutini di legittimità in occasione del vaglio giudiziario sull'atto conseguenziale.
In particolare l'impugnativa dell'acquisizione gratuita non preceduta dal ricorso avverso l'ordinanza di demolizione relativa ad un'opera abusiva consolida gli effetti dell'atto presupposto, facendo sì che non possano essere denunciati eventuali vizi di tale atto in sede di gravame avverso l'atto applicativo che lo richiami, fatto salvo ovviamente il sindacato sui vizi propri dell'accertamento di inottemperanza e di acquisizione (cfr. da ultimo C.d.S., sent. 24 gennaio 2023, n. 755).
A proposito di questi ultimi il collegio disattende l'argomentazione della ricorrente secondo cui - diversamente da quanto affermato dal Comune - l'interramento della platea di cemento avrebbe determinato il rispetto dell'ordine demolitorio. Un conto è rimuovere l'opera abusiva altro conto è nasconderla mediante copertura di terreno, operazione quest'ultima non solo diversa dal comando dell'autorità edilizia, ma anche pericolosa, irriguardosa per l'ambiente e comunque priva di qualsiasi connotato di effettivo ripristino dello stato dei luoghi.
Vanno invece accolte le doglianze sulla manifesta sproporzione dell'area pertinenziale acquisita.
In proposito il collegio premette in diritto che:
- l'effetto legale della perdita del diritto di proprietà ai danni del privato e la sua contestuale acquisizione a favore dell'ente pubblico riguarda esclusivamente l'area di insistenza delle opere (e le conseguenti opere ivi realizzate per effetto dell'accessione), ma non l'eventuale ulteriore area, entro i limiti del decuplo, la cui acquisizione è oggetto dell'esercizio di un potere tecnico-discrezionale attribuito dal legislatore all'amministrazione - da esercitare nel pieno rispetto degli oneri motivazionali - per le finalità indicate nel medesimo art. 31, comma 3, del d.P.R. 380/2001 (T.A.R. Campania, Sez. II, 19 aprile 2022, n. 2684);
- in ogni caso comunque il Comune non può acquisire, oltre alle opere abusive e alla relativa area di sedime, un suolo superiore a dieci volte la superficie utile da esse occupata, a prescindere dalla motivazione eventualmente allegata a sostegno di scelte più gravose (ad es. richiamo al basso indice di edi[f]icabilità fondiaria per la realizzazione di opere analoghe ex art. 31, comma 3, d.P.R. 380/2001). Sul punto da ultimo T.A.R. Lazio, Sez. II, n. 5955 del 26 marzo 2024.
Applicando i suesposti principi al caso di specie appare evidente l'illegittimità della disposta acquisizione dell'intera proprietà della ricorrente (oltre 12.600 mq.), in relazione ad una recinzione non rimossa e ad una platea di cemento interrata di circa 200 mq. Il provvedimento in particolare si limita a disporre l'acquisizione "delle opere e dell'area pertinenziale sita in Monte di Malo", con riferimenti catastali della proprietà della ricorrente.
Al di là di ogni difetto di proporzionalità e di motivazione, il Comune è comunque incorso nella violazione del precetto di legge relativo ai limiti di quota massima di terreno da poter confiscare a titolo di pertinenze dell'abuso.
Nella riedizione del potere, conseguente all'annullamento dell'atto nella presente sede, l'amministrazione è pertanto chiamata a conformarsi agli illustrati criteri dimensionali e motivazionali.
Non vi è luogo a provvedere sulla domanda risarcitoria, solo preannunciata nel ricorso con riserva di puntualizzarne i contenuti nel prosieguo del giudizio, circostanza poi non avvenuta.
In conclusione il ricorso va in parte dichiarato inammissibile, in parte va respinto e in parte va accolto, nei sensi precedentemente chiariti.
Le spese di lite sono liquidate a carico del Comune non costituito nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), in parte dichiara inammissibile, in parte respinge e in parte accoglie il ricorso in epigrafe.
Spese a favore della ricorrente e a carico del Comune non costituito liquidate nella misura di euro 1.000,00 (euro mille/00), oltre agli accessori di legge
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.