Corte di cassazione
Sezione IV penale
Sentenza 5 aprile 2024, n. 15624

Presidente: Ferranti - Estensore: Serrao

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile la ricusazione dei giudici dott. Carlo C. (presidente) e dott.ssa Pia V. (giudice relatore), magistrati del Tribunale di Lecce. La dichiarazione di ricusazione, fondata sul fatto che i predetti magistrati compongono il collegio chiamato a decidere in fase di rinvio a seguito di sentenza della Corte di cassazione che ha annullato l'ordinanza del riesame ai sensi dell'art. 309 c.p.p. nei confronti di D.P. Daniele, è stata ritenuta inammissibile perché, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, nell'ipotesi in cui la Corte di cassazione annulla con rinvio l'ordinanza pronunciata dal Tribunale del riesame, non sussiste alcuna incompatibilità dei magistrati che abbiano adottato la precedente decisione a comporre il collegio chiamato a deliberare in fase di rinvio. La prospettata questione di illegittimità costituzionale è stata ritenuta manifestamente infondata richiamando una pronuncia della Corte di legittimità che ha sottolineato come la funzione asseritamente pregiudicata non riguardi la delibazione dell'innocenza o della colpevolezza dell'imputato, bensì i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari; inoltre, la Corte costituzionale, con ord. n. 91 del 2023, ha affermato con riferimento al procedimento di riesame in generale e poi, più specificamente, con riferimento a quello concernente le misure cautelari reali, che tale procedimento si pone quale fase incidentale eventuale all'interno della quale il collegio giudicante adotta decisioni rebus sic stantibus, essendo la situazione di fatto esaminata suscettibile di cambiamenti per il naturale evolversi degli esiti delle indagini preliminari e della fase del giudizio; in assenza di valutazioni sul merito dell'ipotesi accusatoria, essendo la questione manifestamente infondata per tale ragione.

2. Daniele D.P. propone ricorso per cassazione censurando l'ordinanza, con il primo motivo, per violazione dell'art. 41 c.p.p. per mancata fissazione dell'udienza camerale ex art. 127 c.p.p. in ragione della non manifesta infondatezza dei motivi addotti a sostegno della dichiarazione di ricusazione, nonché per illogicità della motivazione sulla causa di incompatibilità. Il ricorrente sostiene che la dichiarazione di ricusazione si fondasse sul fatto che i magistrati indicati avevano composto il collegio che si era pronunciato in fase di rinvio con riferimento al coimputato D.P. Massimo, ossia con riguardo al fratello dell'odierno ricorrente, avente una posizione processuale identica. La Corte di appello ha, invece, fondato la sua decisione sul fatto che i giudici ricusati si fossero pronunciati con riguardo al provvedimento oggetto di annullamento con rinvio. I giudici ricusati si erano, in altre parole, già espressi con riguardo a situazione analoga. Non essendo, dunque, la questione manifestamente infondata, difettavano i presupposti per una decisione priva di contraddittorio camerale di cui all'art. 127 c.p.p., tanto più che si sono utilizzate argomentazioni di merito basate su un errore di percezione del motivo fondante la dichiarazione di ricusazione.

Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 34, 37, comma 1, lett. a), e 623, comma 1, lett. a), c.p.p., illegittimità costituzionale degli artt. 34 e 623, comma 1, lett. a), c.p.p. perché in contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio del giudice il quale abbia concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento ovvero di rigetto della richiesta di riesame ai sensi dell'art. 309 c.p.p. annullata dalla Corte di cassazione. La difesa aveva segnalato come tra i casi di incompatibilità previsti dal codice di rito e dall'art. 34 c.p.p. non è previsto quello in esame considerato che, a mente dell'art. 623, comma 1, lett. a), c.p.p., se è annullata un'ordinanza la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che la ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento. La questione, oltre a essere rilevante, era non manifestamente infondata in quanto finalizzata a evitare incompatibilità endoprocessuali. Il semplice fatto di aver svolto determinate attività nel corso del medesimo procedimento penale, indipendentemente dal contenuto che tali attività possono avere assunto, determina l'incompatibilità. Decisivo appare, secondo la difesa, il riferimento testuale alle argomentazioni contenute nella recentissima sentenza emessa dalla Corte costituzionale n. 91 del 2023, con la quale sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a), c.p.p. nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità a partecipare al rito di rinvio del giudice il quale abbia concorso a pronunciare l'ordinanza di accoglimento ovvero di rigetto della richiesta di riesame ai sensi dell'art. 324 c.p.p., annullata dalla Corte di cassazione. Sulla base di tale pronuncia, la difesa aveva sottolineato la peculiarità della fattispecie in esame, essendovi perfetta sovrapposizione tra la decisione da assumere e quella precedentemente assunta nel giudizio di rinvio nei confronti del coimputato D.P. Massimo; inoltre, per effetto del tempo necessario alla celebrazione del giudizio di rinvio, nel parallelo procedimento di cognizione principale sono intervenuti avviso di conclusione delle indagini preliminari, richiesta di rinvio a giudizio e ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato, cosicché il contenuto degli atti a disposizione del tribunale del riesame è totalmente sovrapponibile a quello nella disponibilità del giudice del giudizio abbreviato, essendo quindi difficile poter discernere tra valutazione della gravità indiziaria e delibazione della responsabilità penale rispetto al reato previsto dall'art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, oggetto del giudizio di rinvio in sede cautelare. Appare difficile, secondo la difesa, poter affermare che il Tribunale del riesame, a indagini concluse e a giudizio abbreviato ammesso, si pronunci in sede di riesame ex art. 309 c.p.p., ma nei tempi del giudizio di rinvio, con valutazioni «incidentali, provvisorie e limitate». Si contesta anche la sentenza emessa dalla Corte di legittimità richiamata nell'ordinanza impugnata in quanto priva di confronto con la sentenza della Corte costituzionale n. 91 del 2023, segnatamente nella parte in cui il giudice costituzionale ha tracciato la differenza tra riesame reale e riesame personale, nel senso che le valutazioni compiute dal giudice in relazione all'adozione di una misura cautelare personale comportano un pregiudizio sul merito dell'accusa.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio per nuovo esame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Giova premettere che lo scrutinio in tema di ricusazione investe un profilo processuale, in relazione al quale la Corte di cassazione è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla; con la conseguenza che il Collegio può e deve prescindere dalla motivazione addotta dal giudice di merito e, anche accedendo agli atti, deve valutare la correttezza in diritto della decisione adottata, quand'anche non correttamente giustificata (Sez. 5, n. 19970 del 15 marzo 2019, Girardi, Rv. 27563601; Sez. 5, n. 17979 del 5 marzo 2013, Iamonte, Rv. 255515-01).

2.1. Con riguardo al primo motivo di ricorso, occorre ribadire che l'inammissibilità della richiesta di ricusazione per manifesta infondatezza deve essere dichiarata con procedura camerale de plano, senza sentire le parti interessate in camera di consiglio, previa fissazione di udienza e avviso, in quanto l'art. 41, comma 1, c.p.p. prescrive che il Collegio provveda «senza ritardo» e non richiama, al contrario del successivo comma terzo, relativo alla decisione di merito della ricusazione, le forme dell'art. 127 c.p.p. (Sez. 4, n. 42024 del 6 luglio 2017, Ventrici, Rv. 270770-01).

2.2. La difesa sostiene che una più attenta lettura dei motivi di impugnazione avrebbe dovuto condurre a seguire diversa procedura. Si tratta di argomento non condivisibile. L'argomento difensivo si sostanzia nel fatto che la motivazione sia fondata su un'errata lettura dei presupposti sui quali si fondava l'istanza di ricusazione. Ma, a prescindere dall'incompletezza della motivazione, l'argomento non è tale da inficiare la legittimità del giudizio di manifesta infondatezza dell'istanza che è alla base della procedura seguita.

2.3. È sufficiente, a tale proposito, considerare che secondo la giurisprudenza di legittimità non sussiste alcuna valida causa di ricusazione neppure del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente procedimento nei confronti di alcuni coimputati e che successivamente concorra a pronunciare in separato processo altra sentenza nei confronti di altro concorrente nel medesimo reato associativo, qualora la posizione di quest'ultimo, e, dunque, la sua responsabilità penale, non sia stata oggetto di valutazione di merito nel precedente processo (Sez. 6, n. 39367 del 15 giugno 2017, Suarino, Rv. 270848-01). E anche con riferimento alla fase dell'udienza preliminare si è affermato che è inammissibile la dichiarazione di ricusazione proposta nei confronti del giudice dell'udienza preliminare sul rilievo di una sua presunta incompatibilità, determinata dall'avere egli già trattato in precedenza altro procedimento nei confronti di coimputati per fatti basati su identici elementi di prova per i quali si proceda contro l'imputato ricusante (Sez. 2, n. 2819 del 20 novembre 2008, dep. 2009, Marabiti, Rv. 242652-01).

2.4. La situazione non avrebbe potuto in ogni caso essere ricondotta ad alcuna delle cause di incompatibilità previste dall'art. 34 c.p.p., né può essere nuovamente sottoposta all'esame della Consulta la relativa questione di legittimità costituzionale.

Come sancito ripetutamente dalla Corte costituzionale (ex multis, sentenza n. 86 del 7 maggio 2013, ordinanza, n. 490 del 6 novembre 2002, ordinanza n. 367 del 18 giugno 2002, ordinanza n. 441 del 7 novembre 2001, sentenza n. 186 del 13 aprile 1992), al di là delle ipotesi limite affrontate dalle sentenze della Consulta n. 371 del 17 ottobre 1996 e n. 241 del 9 giugno 1999, l'art. 34, comma 2, c.p.p., come in genere l'istituto dell'incompatibilità, si riferisce a situazioni di pregiudizio per l'imparzialità del giudice che si verificano all'interno del medesimo procedimento e concernono la medesima regiudicanda. In particolare, la sentenza n. 86 cit. (come già sostenuto nell'ordinanza n. 441 del 2001) ha sancito che non vi è questione di incompatibilità quando il Giudice, dopo aver disposto il rinvio a giudizio di alcuni imputati, procede con il rito abbreviato nei confronti dei coimputati del medesimo reato (nel caso di specie associativo). Lo stesso la Consulta ha sostenuto (nell'ordinanza n. 367 cit.) per l'ipotesi in cui il giudice, chiamato a celebrare l'udienza preliminare nei confronti di alcuni imputati di reato a concorso necessario, abbia già emesso sentenza in esito a giudizio abbreviato nei confronti di altri imputati concorrenti nel medesimo reato. Il principio da cui hanno preso le mosse le pronunzie appena citate è che, alla comunanza dell'imputazione, fa riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, tali da formare oggetto di autonome valutazioni, scindibili l'una dall'altra, salve le ipotesi estreme, nelle quali vi sia un pregiudizio sulla posizione del medesimo soggetto ricusante, che giustificano l'operatività dell'istituto dell'incompatibilità anche quando le funzioni pregiudicante e pregiudicata si collochino in procedimenti diversi. Come già più volte affermato dalla Corte di cassazione, i principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale possono essere applicati a fortiori nelle ipotesi in cui la valutazione in tesi pregiudicante riguardi la transizione alla fase dibattimentale piuttosto che l'affermazione di penale responsabilità dell'imputato ex art. 438 c.p.p.

2.5. Se, dunque, non sussiste incompatibilità nei casi sopra menzionati con riguardo a procedimenti per i quali si procede nei confronti di soggetti coimputati nel medesimo reato, ne consegue che ogni allegazione concernente la partecipazione del medesimo giudice a diverse fasi del giudizio cautelare relativo ai coimputati, in cui non si tratta del merito dell'accusa, a fortiori non potrà che considerarsi manifestamente infondata.

3. Per analoghi motivi deve ribadirsi la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a), c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 24, 111, 117 Cost., sia nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità del giudice che ha emesso l'ordinanza cautelare annullata dalla Corte di cassazione a comporre il collegio in sede di rinvio, sia a maggior ragione nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità del giudice che ha partecipato al giudizio di rinvio in fase cautelare nei confronti di un coimputato, in quanto la funzione asseritamente pregiudicata non riguarda la delibazione dell'innocenza o della colpevolezza dell'imputato, bensì i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari (Sez. 1, n. 46935 dell'11 luglio 2023, Nerini, Rv. 285409-01).

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Depositata il 16 aprile 2024.