Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 13 maggio 2024, n. 4277
Presidente: Simonetti - Estensore: Vitale
FATTO
1. Con il ricorso di primo grado Google Ireland Limited (di seguito "Google" o "società") ha impugnato la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito "Autorità" o "AGCOM") n. 541/20/CONS del 22 ottobre 2020 con cui la società è stata sanzionata per la violazione dell'art. 9 del d.l. n. 87 del 12 luglio 2018 conv. dalla l. n. 96 del 9 agosto 2018 (c.d. "decreto dignità").
2. I fatti oggetto di contestazione da parte dell'Autorità sono i seguenti: il 14 e il 15 novembre 2019, digitando le parole chiave "Casinò online", compariva su Google Web Search, come annuncio pubblicitario, il link al sito internet http://sublime-casino.com con la seguente descrizione "Unisciti Ora Al Nuovissimo Casinò Online Italiano. Gioca Subito A Oltre 400 Giochi - Iscriviti Ora E Registrati In Meno Di 30 Secondi! Nessun download. Sicuro e Protetto" e tale sito conteneva una lista di link ad ulteriori siti web che, in alcuni casi, consentivano di giocare a pagamento online.
3. Con il ricorso di primo grado, Google ha articolato sette motivi di ricorso deducendo quanto segue:
- nullità dell'ordinanza per carenza assoluta di attribuzione, non essendo la ricorrente, in qualità di "società dell'informazione" estera, soggetta alla "giurisdizione" dell'Autorità rispetto al servizio Google Ads (motivo n. 1);
- difetto di notifica del medesimo Decreto dignità alla Commissione europea ai sensi delle direttive servizi tecnici e e-commerce (motivo n. 2);
- applicabilità a Google dell'esenzione disposta per gli hosting provider ricavabile dalla nozione di "proprietario del sito di diffusione o destinazione" prevista dall'art. 3, lett. t), delle linee-guida di cui alla delibera AGCOM n. 132/19/CONS (motivo n. 3);
- violazione del regime di responsabilità riservata agli hosting provider, anche in considerazione del fatto che Google, pur non essendovi obbligata, pone in essere tutte le azioni necessarie per evitare la violazione del decreto dignità da parte degli inserzionisti e che l'annuncio contestato era lecito (motivi nn. 4-6);
- erroneità nel quantum della sanzione (motivo n. 7).
4. Costituitosi il contraddittorio, il primo giudice ha accolto in parte il ricorso ritenendo fondati, nei sensi esposti in motivazione, i motivi di ricorso nn. 3-6.
In particolare, il T.A.R., richiamando la distinzione elaborata dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale tra hosting provider attivo e hosting provider passivo, ha fondato la propria motivazione sulle disposizioni di cui all'art. 16 del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, di recepimento della direttiva 2000/31/CE, che, pur non essendo ritenuta una disciplina direttamente applicabile al caso di specie, sarebbe espressione di principi generali laddove prevede un regime più favorevole di responsabilità per gli hosting provider passivi.
Secondo il T.A.R., tali regole portano, nel caso di specie, ad escludere la sussistenza dell'illecito ascritto a Google dal momento che «la mera valorizzazione degli indici presenti nel provvedimento impugnato (strumentalità alla diffusione del messaggio ed elaborazione di quest'ultimo dal sistema utilizzato dal servizio di posizionamento) non [è] di per sé sufficiente, alla luce del riportato ampio e costante quadro giurisprudenziale, a fondare, nel caso di specie, la responsabilità del gestore della piattaforma per la violazione del "Decreto dignità"».
5. Con l'odierno appello l'Autorità impugna la sentenza di primo grado articolando tre motivi di appello.
Con il primo motivo («Error in iudicando e illogicità della motivazione in relazione alla portata normativa dell'art. 9, comma del "Decreto dignità"») la difesa erariale sostiene che:
- ai fini dell'imputazione dell'illecito previsto dall'art. 9 del decreto dignità, non occorre una verifica di soggettiva rimproverabilità della condotta;
- la valutazione circa la illegittimità dell'inserzione pubblicitaria è svolta, a monte, dal legislatore che pone un complessivo divieto di ogni forma di pubblicità di giochi a pagamento con vincite in denaro non venendo in rilievo, dunque, la distinzione tra hosting provider attivo e passivo elaborata dalla giurisprudenza;
- Google, stante l'attività di cernita e riordino dei contenuti pubblicizzati, nel caso di specie è configurabile quale hosting provider attivo con conseguente inapplicabilità dell'esimente prevista dall'art. 14 della direttiva n. 2000/31/CE, come recepita dall'art. 16 del d.lgs. n. 70 del 2003.
Con il secondo motivo ["Contraddittorietà ed illogicità in ordine all'applicazione del c.d. principio di esenzione di responsabilità sancito dalla medesima direttiva per i soggetti (asseritamente) passivi"] l'Autorità deduce che la direttiva 2000/31/CE, e conseguentemente il d.lgs. n. 70/2003, non sono applicabili al caso di specie dal momento che la normativa in materia di giochi d'azzardo non rientra nel campo di applicazione della citata direttiva potendo gli Stati, in tale ambito, prevedere norme più restrittive rispetto a quelle dettate dal legislatore comunitario a tutela dell'"ordine pubblico".
Con il terzo motivo ["Erroneità e contraddittoria nell'applicazione della disciplina in materia di (ir)responsabilità degli intermediari online di cui alla direttiva 2000/31/CE"] l'Autorità, infine, deduce che, anche laddove fosse astrattamente applicabile l'art. 16 del d.lgs. n. 70/2003, comunque nel caso di specie non ricorrerebbero i presupposti del regime di responsabilità ivi previsto dal momento che Google era a conoscenza dell'illiceità del messaggio pubblicitario, avendolo preventivamente approvato, e non lo ha tempestivamente rimosso poiché ancora oggi digitando la medesima parola chiave "casino online" su Google Search è possibile raggiungere siti attraverso i quali è possibile giocare a giochi con vincite in danaro, oggetto di promozione diffusa tramite Google Ads.
6. Google si è costituita in giudizio al fine di resistere all'avverso appello principale nonché ha proposto appello incidentale condizionato articolando i seguenti due motivi:
"II. Sulla totale estraneità di Google Ireland agli annunci pubblicitari degli inserzionisti e sulla liceità dell'annuncio contestato e del sito di destinazione - Erroneità in fatto e in diritto della sentenza per i seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.l. 87/2018 (conv. in l. 96/2018), dell'art. 14 della direttiva 2000/31/CE (direttiva e-commerce), degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 70/2003, dell'art. 1 l. 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Falsa applicazione delle linee-guida. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, certezza e legalità delle sanzioni amministrative. Difetto di motivazione. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto. Omessa pronuncia".
Con tale mezzo Google deduce:
- di essere totalmente estranea ai contenuti degli annunci pubblicitari;
- che l'annuncio contestato ed il sito di destinazione erano leciti - non contenendo alcun linguaggio che facesse riferimento ad attività di gioco d'azzardo o a premi in denaro - e che non può di per sé essere vietato lo svolgimento di qualsiasi pubblicità a determinati soggetti quali, ad esempio, i casinò;
- che il sito di destinazione non consentiva di giocare d'azzardo ma che era possibile effettuare tale gioco solo in ulteriori siti i cui link erano presenti nel sito di destinazione.
"III. Sull'applicabilità della direttiva e-commerce al caso di specie - Erroneità in fatto e in diritto della sentenza per i seguenti motivi: Violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.l. 87/2018 (conv. in l. 96/2018), degli artt. 1 e 14 della direttiva 2000/31/CE (direttiva e-commerce), degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 70/2003, dell'art. 1 l. 689/1981, degli artt. da 56 a 62 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, degli artt. 11 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e degli artt. 21 e 41 Cost. Falsa applicazione delle linee-guida. Violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, certezza e legalità delle sanzioni amministrative. Difetto di motivazione. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Carenza dei presupposti di diritto e di fatto".
Con tale mezzo Google, "per scrupolo difensivo", contesta le affermazioni della sentenza che hanno ritenuto non applicabili al caso di specie le previsioni del d.lgs. n. 70/2003.
Google, infine, ripropone la censura, già articolata in primo grado e rimasta assorbita nella pronuncia del T.A.R., circa l'erronea quantificazione della sanzione (VII motivo del ricorso di primo grado).
7. All'udienza del 4 aprile 2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio ritiene di dover in primo luogo esaminare i primi due motivi dell'appello principale, tra loro connessi, con cui l'Autorità contesta l'applicabilità al caso di specie del regime "privilegiato" di responsabilità previsto dall'art. 16 del d.lgs. n. 70/2003 - in quanto ritenuta disciplina non applicabile al settore dei giochi e delle scommesse e perché, comunque, non applicabile al c.d. hosting provider attivo quale sarebbe Google - e deduce che la disciplina dell'illecito amministrativo per cui è causa andrebbe rinvenuta esclusivamente nell'art. 9 del decreto dignità, i cui presupposti sarebbero nel caso di specie integrati.
Questioni speculari sono veicolate dai due motivi dell'appello incidentale di Google con cui si sostiene l'applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 70/2003 (motivo III) nonché si deduce l'estraneità di Google rispetto all'inserzione pubblicitaria contestata che, comunque, sarebbe lecita e, pertanto, non sarebbe configurabile la violazione ascritta a Google (motivo II).
1.1. I primi due motivi dell'appello principale dell'Autorità, nei sensi e nei limiti che di seguito si espongono, sono fondati mentre sono infondati i due motivi dell'appello incidentale di Google.
1.2. L'art. 9 del decreto dignità pone un divieto di realizzare pubblicità, anche indiretta, comunque effettuata e su qualunque mezzo, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo, e prevede la comminazione di una sanzione pecuniaria per la violazione di tale divieto.
L'art. 16 d.lgs. n. 70/2003, (rubricato "Responsabilità nell'attività di memorizzazione di informazioni - hosting") prevede al comma 1 che "[n]ella prestazione di un servizio della società dell'informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso".
Tale disposizione è sostanzialmente riproduttiva dell'art. 14 direttiva 2000/31/CE [si esamina qui la disciplina ratione temporis vigente, con la precisazione che la disciplina comunitaria della materia è oggi rinvenibile negli artt. 6 e 8 del regolamento (UE) 2022/2065, relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE e, conseguentemente, gli artt. 14-17 del d.lgs. n. 70/2003 sono stati abrogati dall'art. 3, comma 4, del d.lgs. 25 marzo 2024, n. 50].
Detta disciplina, comunitaria e nazionale, ha quindi previsto una deroga rispetto agli ordinari regimi di responsabilità - sia nei rapporti di diritto privato che di diritto pubblico - degli hosting provider, ossia di quei prestatori di servizi della società dell'informazione che "ospitano" contenuti forniti da terzi, a condizione che il prestatore di servizi non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita (ovvero, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione) e, non appena a conoscenza dei fatti, dietro comunicazione delle autorità competenti, si attivi immediatamente per la rimozione delle informazioni.
Tale regime di responsabilità "privilegiato", così come interpretato dalla giurisprudenza, deve applicarsi al solo hosting provider c.d. passivo e non anche all'hosting provider c.d. attivo.
Difatti, la giurisprudenza comunitaria ha affermato sul punto che «[d]al quarantaduesimo "considerando" della direttiva 2000/31 risulta, a tal proposito, che le deroghe alla responsabilità previste da tale direttiva riguardano esclusivamente i casi in cui l'attività di prestatore di servizi della società dell'informazione sia di ordine "meramente tecnico, automatico e passivo", con la conseguenza che detto prestatore non conosce né controlla le informazioni trasmesse o memorizzate» (Corte di giustizia, Grande sezione, 23 marzo 2010, n. 236, Google France e Google, cause da C-236/08 a C-238/08, punto 113; cfr. anche Grande sezione, 12 luglio 2011, L'Oréal e a., C-324/09, punto 113; Terza sezione, 7 agosto 2018, Coóperative Vereniging SNBREACT U.A. c. Deepak Mehta, C-521/17, punto 47; Grande sezione, 22 giugno 2021, YouTube, cause C-682/18 e C-683/18, punto 115-116).
La giurisprudenza europea assegna a tal fine un ruolo rilevante anche all'eventuale attività svolta dall'internet provider nell'ottimizzare le vendite online dei propri clienti: "... la mera circostanza che il gestore di un mercato online memorizzi sul proprio server le offerte in vendita, stabilisca le modalità del suo servizio, sia ricompensato per quest'ultimo e fornisca informazioni d'ordine generale ai propri clienti non può avere l'effetto di privarlo delle deroghe in materia di responsabilità previste dalla direttiva 2000/31... Laddove, per contro, detto gestore abbia prestato un'assistenza consistente segnatamente nell'ottimizzare la presentazione delle offerte in vendita di cui trattasi e nel promuovere tali offerte, si deve considerare che egli non ha occupato una posizione neutra tra il cliente venditore considerato e i potenziali acquirenti, ma che ha svolto un ruolo attivo atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei dati relativi a dette offerte. In tal caso non può avvalersi, riguardo a tali dati, della deroga in materia di responsabilità di cui all'art. 14 della direttiva 2000/31" (Corte di giustizia, 12 luglio 2011, C-324/09, cit., punti 115-116; 7 agosto 2018, C-521/17, cit., punto 48).
La comunicazione della Commissione europea COM (2017) 555 del 28 settembre 2017, intitolata «Lotta ai contenuti illeciti online. Verso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme online», ha preso parimenti atto dell'orientamento della Corte di giustizia, secondo cui la deroga alla responsabilità di cui all'art. 14 della direttiva cit. è disponibile solo per i prestatori di servizi di hosting "che non rivestono un ruolo attivo".
Parallelamente, la giurisprudenza nazionale ha interpretato l'art. 16 d.lgs. n. 70 del 2003, nel senso di ritenere che il c.d. hosting provider attivo resta sottratto al regime "privilegiato" di responsabilità ivi previsto e deve essere "individuato come quel prestatore dei servizi della società dell'informazione che svolge un'attività che esula da un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, e pone in essere una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell'illecito... gli elementi idonei a delineare la figura o indici di interferenza, da accertare in concreto ad opera del giudice del merito, sono - a titolo esemplificativo e non necessariamente tutte compresenti - le attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione o promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare e arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati" (Cass. civ., Sez. I, 13 dicembre 2021, n. 39763; cfr. anche 19 marzo 2019, 7708; nella giurisprudenza amministrativa si vedano C.d.S., Sez. VI, 17 febbraio 2020, n. 1217; 18 maggio 2021, n. 3851; 5 dicembre 2023, n. 10510).
Il diritto vivente, pertanto, esclude "a monte" che il regime "agevolato" di responsabilità di cui all'art. 16 cit. possa operare a favore degli hosting provider c.d. attivi che, in ragione del più pregnante ruolo svolto, rispondono degli eventuali illeciti secondo le regole generali.
1.3. Tanto premesso in ordine all'interpretazione dell'art. 16 d.lgs. n. 70/2003, occorre stabilire se tale disciplina possa applicarsi anche con riguardo alla responsabilità amministrativa di cui all'art. 9 del decreto dignità.
Il Collegio ritiene che l'art. 16 cit. non possa applicarsi alla fattispecie per cui è causa perché, come correttamente rilevato dal T.A.R., la direttiva 2000/31/CE esclude testualmente dal proprio ambito di applicazione (art. 1, comma 5) "i giochi d'azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse".
Tale esclusione non riguarda solamente l'attività che ha ad oggetto lo svolgimento on line del gioco d'azzardo a pagamento, come sostenuto da Google, ma anche l'attività diretta alla pubblicizzazione dei giochi medesimi. Difatti, l'ambito di applicazione della direttiva cit. ordinariamente riguarda "l'informazione in linea, la pubblicità in linea, la vendita in linea, i contratti in linea" (cfr. ventunesimo considerando) e, pertanto, avendo il legislatore escluso tout court i giochi d'azzardo dal perimetro di applicazione della direttiva, deve ritenersi che abbia inteso lasciare fuori dal campo di regolamentazione tutte le attività riguardanti tale settore, ivi inclusa la loro pubblicizzazione on line.
La materia, pertanto, è disciplinata dal solo diritto nazionale non essendovi "vincoli" comunitari posti al riguardo dalla disciplina euro-unitaria.
Il d.lgs. n. 70/2003, nel recepire la direttiva europea, per quanto qui rileva, non ha inteso estendere il campo oggettivo di applicazione della disciplina oltre quanto previsto dal diritto europeo, avendo escluso dal proprio perimetro applicativo "i giochi d'azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria, i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse i concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente, nonché quelli nei quali l'elemento aleatorio è prevalente" [art. 1, comma 2, lett. g), d.lgs. n. 70/2003].
Deve, quindi, escludersi un'applicabilità diretta dell'art. 16 d.lgs. n. 70/2003 alla fattispecie in esame.
1.4. Rimane da esaminare, quindi, il profilo relativo alla possibile applicabilità delle regole di cui all'art. 16 cit. non in via diretta bensì in via indiretta.
1.4.1. Il T.A.R. ha in proposito ritenuto tali regole applicabili in quanto espressione di un principio generale ed è quindi ricorso ad un procedimento ermeneutico che fa leva su una analogia iuris.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che non ricorrano nel caso di specie i presupposti per il ricorso all'analogia, mancando in proposito una lacuna nell'ordinamento: la disciplina di cui all'art. 16 cit. rappresenta una deroga rispetto alle regole generali in materia di responsabilità (nel caso di specie di natura) amministrativa e, pertanto, avendo il legislatore escluso l'applicabilità di tale deroga alla fattispecie de qua, si applicano tali regole generali.
1.4.2. Google propone, altresì, un'ulteriore ipotesi ricostruttiva, ritenendo che il regime di cui all'art. 16 cit. sia richiamato dalle linee-guida predisposte dall'Autorità per l'applicazione dell'art. 9 del decreto dignità (allegato A alla delibera n. 132/19/CONS del 18 aprile 2019) le quali, all'art. 3, lett. t), contengono la definizione di "proprietario del sito di diffusione o destinazione" rappresentato dal «gestore del sito internet e il gestore della pagina web secondo le definizioni contenute nella delibera n. 680/13/CONS recante il "Regolamento in materia di tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70» e tale ultimo regolamento, a propria volta, rinvia agli artt. 14, 15 e 16 del d.lgs. n. 70/2003. Di contro, l'Autorità sostiene che Google rientrerebbe nella diversa nozione di "proprietario del mezzo di diffusione o destinazione", di cui al par. 3.1, lett. s), delle linee-guida cit.
Posto che il legislatore, come si è sopra detto, ha escluso che nel caso di specie possa operare il regime "speciale" di responsabilità di cui all'art. 16 d.lgs. n. 70/2003, ritiene il Collegio che le linee-guida cit. debbano essere interpretate conformemente alla disciplina introdotta dalla fonte di rango primario, non potendo intervenire sul perimetro soggettivo di applicazione di tale disciplina.
A conferma di ciò, può osservarsi che le medesime linee-guida stabiliscono espressamente un'esclusione per i soli "servizi gratuiti di indicizzazione mediante algoritmo forniti direttamente dai motori di ricerca o dai marketplace (es. Apple Store, Google Play)" (art. 5, comma 7) e tale previsione sarebbe inutile laddove fossero esclusi "a monte" dal perimetro della disciplina tutti i servizi di indicizzazione, sia gratuiti che a pagamento.
1.5. Per completezza, infine, il Collegio osserva che comunque, nel caso di specie, Google non rientrerebbe nel perimetro soggettivo di applicazione di tale art. 16 dal momento che opera quale hosting provider attivo.
Come affermato dalla medesima Google, mentre l'ordinario motore di ricerca (Google Web Search) fornito dalla società consente agli utenti di ricercare su internet contenuti pubblicati da terze parti, il servizio Google Ads, tramite il quale è stato pubblicato l'annuncio oggetto di contestazione, è un servizio di posizionamento pubblicitario online che consente agli operatori economici di pubblicare "link sponsorizzati" verso determinati siti (cosiddetti "siti di destinazione") associati a determinate parole o chiavi di ricerca, che Google deduce essere scelte dall'inserzionista. Al momento in cui l'utente inserisce nel motore di ricerca la parola o le chiavi di ricerca, appariranno all'utente gli annunci corrispondenti sul lato destro o nella parte superiore dei risultati, preceduti dalla parola "annuncio" o da espressioni analoghe, in modo da essere maggiormente visibili rispetto ai risultati "ordinari" restituiti dal motore di ricerca, e ciò anche a non voler considerare l'incidenza dell'attività di profilazione degli utenti nella promozione degli annunci, che AGCOM imputa a Google con un'allegazione che la seconda contesta.
L'attività promozionale svolta da Google è confermata dalla circostanza per cui gli inserzionisti remunerano il servizio in modo proporzionale rispetto alle effettive visualizzazioni che il messaggio pubblicitario riceve.
Ritiene il Collegio che tale servizio pubblicitario non vede Google quale mero hosting provider passivo, dal momento che la società svolge, mediante una gestione imprenditoriale, un servizio di indicizzazione e promozione di contenuti di terze parti non rimanendo, pertanto, "neutrale" rispetto a detti contenuti ma promuovendoli sul mercato e avendo al riguardo un proprio interesse economico alla buona riuscita di tale promozione. Google, nei sensi anzidetti, realizza quindi un "controllo" delle informazioni pubblicate e consente ai suoi clienti di "ottimizzare la loro vendita online".
Risultano, quindi, integrati i presupposti richiesti dalla giurisprudenza, comunitaria e nazionale, sopra richiamata per poter qualificare un operatore quale hosting provider attivo.
Alla luce di quanto esposto, emerge che l'illecito amministrativo discendente dalla violazione del divieto di cui all'art. 9 del decreto dignità è disciplinato dalle ordinarie regole in materia di illeciti amministrativi, senza potersi fare applicazione, nel caso di specie, del regime privilegiato di responsabilità riservato agli hosting provider c.d. passivi.
1.6. Può quindi passarsi ad esaminare la questione relativa alla esistenza, nel caso di specie, dell'illecito amministrativo di cui all'art. 9 cit. che pone un divieto di realizzare "qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo".
Nel caso di specie, la condotta realizzata da Google si pone in contrasto con tale previsione dal momento che è stata pubblicata dalla società la pubblicità di un sito che a sua volta conteneva una lista di link ad ulteriori siti web che, in alcuni casi, consentivano di giocare a pagamento online.
Quindi, sebbene le parole chiave ("casino online") cui era associato l'annuncio nel motore di ricerca e le parole dell'annuncio medesimo non contenevano di per sé riferimenti a giochi a pagamento, la pubblicazione di tale annuncio rappresenta una violazione, da parte di Google, del precetto di cui all'art. 9 cit. in quanto, attraverso le parole utilizzate ed i link ivi presenti, ha promosso il raggiungimento, da parte dell'utente, di siti di giochi con vincite in denaro. Si è in presenza, quantomeno, di una forma di pubblicità indiretta, anch'essa vietata e consistente in "ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, a prescindere all'esplicita induzione del destinatario ad acquistare il prodotto o servizio offerto" [art. 3, par. 1, lett. d), linee-guida cit.].
Da quanto esposto, discende l'infondatezza delle deduzioni di Google (II motivo di appello incidentale) circa la liceità dell'annuncio.
1.7. Accertata l'esistenza di una condotta vietata, deve verificarsi la presenza dell'elemento soggettivo dell'illecito.
Difatti, diversamente da quanto sembra prospettare la difesa erariale nell'ambito del primo motivo di appello, come si evince dal richiamo, presente al secondo e terzo comma dell'art. 9 cit., alla l. n. 689/1981, la responsabilità amministrativa non viene ascritta al trasgressore in via oggettiva, per la mera pubblicazione della pubblicità vietata. Devono seguirsi, invece, le ordinarie regole in materia di sanzioni amministrative, potendo il soggetto sottoposto al procedimento sanzionatorio provare l'assenza di colpevolezza che, laddove si tratti di persone giuridiche, si atteggia in chiave normativa e non meramente psichica.
Il Collegio osserva, anzitutto, che la condotta richiesta dall'art. 9 cit. non è di per sé inesigibile, anche laddove si sia in presenza, come nel caso che ci occupa, di intermediari di dimensioni mondiali che pubblicano giornalmente un massivo quantitativo di annunci pubblicitari, dal momento che proprio tali grandi numeri impongono a detti soggetti di dotarsi di adeguati sistemi organizzativi, anche di tipo automatizzato e con ricorso a strumenti di intelligenza artificiale, per prevenire, nei limiti di quanto esigibile, le prescrizioni poste dal legislatore nazionale a tutela di un interesse pubblico ritenuto particolarmente rilevante (id est il contrasto alla ludopatia). L'alternativa, a quanto appena osservato, non potrebbe essere rivendicare un regime di esenzione sempre e comunque ma, piuttosto, rinunciare agli (o ridurre il numero degli) inserzionisti.
Google deduce di essersi attivata in tal senso e di utilizzare un software automatico per impedire agli inserzionisti di pubblicare annunci pubblicitari in violazione di tali norme e che detto strumento nel caso di specie non ha potuto funzionare a causa dell'impiego da parte dell'inserzionista di un meccanismo fraudolento, c.d. cloaking, che consiste nel mostrare al software di verifica di Google una pagina di destinazione dell'annuncio conforme alla normativa e differente da quella che effettivamente compare agli utenti.
Google, tuttavia, non ha provato l'avvenuta effettiva realizzazione di tale sistema fraudolento da parte del proprio inserzionista, essendosi limitata a produrre, sia in sede procedimentale che processuale, una relazione firmata dal responsabile del proprio dipartimento Trust & Safety Ads Content & Investigation (doc. 23 depositato da Google in primo grado) ove viene solo affermata l'avvenuta verificazione di tale episodio, senza alcun documento, anche di natura tecnica, che consenta di comprovarlo.
Anche a fronte delle specifiche contestazioni mosse al riguardo dall'Autorità, sia nel provvedimento impugnato che nel corso del giudizio, deve ritenersi che Google non abbia provato la verificazione a suo danno di tale sistema di cloaking e, pertanto, non ha provato la sussistenza di elementi idonei ad escludere la propria colpa.
1.8. Alla luce di quanto esposto, devono ritenersi integrati tutti i presupposti dell'illecito amministrativo ascritto a Google e, pertanto, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo dell'appello principale mentre devono essere rigettati i due motivi dell'appello incidentale di Google.
2. Il terzo motivo dell'appello principale deve essere assorbito in quanto con tale mezzo l'Autorità, con deduzioni implicitamente subordinate all'eventuale rigetto dei precedenti due motivi articolati, muove dal presupposto, non fondato per le ragioni esposte, per cui sarebbe applicabile al caso di specie l'art. 16 d.lgs. n. 70/2003, e deduce la violazione di tale norma.
3. Deve, infine, esaminarsi il motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello da Google, circa l'erronea quantificazione della sanzione.
Google, anzitutto, contesta il provvedimento dell'Autorità laddove, in considerazione dei due giorni in cui è stato pubblicato l'annuncio (14 e 15 novembre 2019), ha ritenuto essere avvenute "due distinte violazioni per ciascuna giornata" applicando il "concorso materiale di illeciti" dovendosi, invece, secondo la tesi di Google, rilevare un'unica condotta sanzionabile. Altresì, Google contesta l'applicazione che è stata data ai parametri di quantificazione della sanzione di cui all'art. 11 l. n. 689/1981.
La censura è fondata nei sensi che di seguito si espongono.
L'annuncio pubblicitario oggetto di contestazione è stato pubblicato per due giorni consecutivi e, pertanto, deve considerarsi integrata un'unica violazione del precetto di cui all'art. 9 del decreto dignità che prescrive un obbligo di non facere. Nel caso di specie, tale obbligo è stato violato da Google con un'unica azione, consistente nella pubblicazione dell'annuncio vietato, integrandosi così un illecito istantaneo (perfezionatosi al momento della pubblicazione) con effetti che si sono protratti per due giorni.
Soccorrono in proposito anche le "linee-guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrorate dall'autorità per le garanzie nelle comunicazioni" (allegato A alla delibera AGCOM 265/15/CONS), secondo cui «per la qualificazione dell'azione come "unica", è ininfluente che essa possa essersi tradotta in una pluralità di atti, in quanto ciò che rileva è che questi siano preordinati ad un unico obiettivo o effetto... una pluralità di atti materialmente posti in essere dal trasgressore integra un'unica condotta... se unico è lo scopo che governa tali atti o l'effetto materiale che essi determinano, e se tali atti si susseguono nel tempo senza apprezzabile interruzione».
Pertanto, è errata la violazione dell'Autorità che ha ritenuto integrate più condotte, una per ciascuna giornata, dal momento che - essendo il medesimo l'annuncio, unico il contesto spazio-temporale in cui la pubblicazione è avvenuta ed unico il fine realizzatosi con detta pubblicazione - deve di ritenersi integrata un'unica violazione del precetto di cui all'art. 9 del decreto dignità.
Le restanti deduzioni dell'appellata sono, invece, infondate.
Il legislatore ha previsto che la sanzione sia "pari al 20 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000".
Nel caso in oggetto, come riportato nella delibera impugnata, il 20 per cento del valore dell'inserzione pubblicitaria è inferiore al minimo edittale e, pertanto, la sanzione deve essere commisurata a tale valore, non trovando applicazione i criteri di cui all'art. 11 l. 689/1981.
Alla luce di quanto esposto, in accoglimento parziale del VII motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello, la sanzione deve essere rideterminata in euro 50.000.
4. In conclusione, devono essere accolti il primo ed il secondo motivo dell'appello principale dell'Autorità, con assorbimento del terzo motivo; devono essere respinti i due motivi dell'appello incidentale di Google nonché deve essere accolto, nei sensi esposti, il VII motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello. Per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado deve essere accolto limitatamente al VII motivo, con conseguente rideterminazione della sanzione in euro 50.000.
Le spese del doppio grado di giudizio, stante la novità della questione e la soccombenza reciproca, devono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto:
- accoglie l'appello principale dell'Autorità;
- rigetta l'appello incidentale di Google;
- accoglie il VII motivo del ricorso di primo grado, riproposto in appello;
- per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie nei sensi esposti in motivazione, il ricorso di primo grado limitatamente al VII motivo, con conseguente rideterminazione della sanzione in euro 50.000.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. III-ter, sent. n. 11036/2021.