Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania
Sezione V
Sentenza 3 giugno 2024, n. 3528

Presidente: Abbruzzese - Estensore: Maffei

FATTO E DIRITTO

1. La società ricorrente ha dedotto in fatto le seguenti circostanze:

- con provvedimento dirigenziale n. 25/2022 (prot. n. 70776 del 6 luglio 2022), il Comune di Benevento aveva rilasciato in suo favore l'autorizzazione sanitaria per l'erogazione all'utenza, presso la struttura di via del Pomerio n. 3/7, della prestazione sanitaria di emodialisi ambulatoriali con 14 posti rene ordinari più n. 1 posto rene contumaciale;

- successivamente al rilascio dell'Autorizzazione Sanitaria, la società ricorrente aveva avanzato al SUAP comunale l'istanza di Autorizzazione Unica Ambientale per lo svolgimento dell'attività ambulatoriale di dialisi, ai sensi del d.P.R. 13 marzo 2013, n. 59;

- a seguito dell'istanza presentata, il SUAP aveva dato avvio al procedimento amministrativo finalizzato al rilascio dell'autorizzazione agli scarichi di acque reflue in pubblica fognatura, trasmettendo l'intera documentazione e gli elaborati grafici presentati dalla ricorrente alla Provincia di Benevento, all'Ente Idrico Campano, alla GE.SE.SA. s.p.a. (affidataria del servizio idrico per la città di Benevento), ed al Settore Ambiente, per l'acquisizione dei pareri di competenza;

- nell'ambito dell'iter di emissione dei pareri previsti dalla vigente normativa di settore, la GE.SE.SA. s.p.a., con nota n. LM/bf/49930/22 (prot. com.le n. 134623 del 27 dicembre 2022), facendo seguito alle note già trasmesse prot. n. LM/bf/45760/22 del 25 novembre 2022 e prot. n. SR/45863/2022 del 25 novembre 2022, aveva comunicato alla resistente amministrazione di aver rilevato le seguenti criticità: "1. la Ditta non scarica i propri reflui all'interno di una infrastruttura di proprietà comunale e gestita dalla scrivente; 2. La Ditta, attualmente scarica i propri reflui all'interno della rete di scarico condominiale, a servizio dell'edificio, dove sono ubicati i locali adibiti all'esercizio dell'attività, tali scarichi, come sopra indicato, non scaricano all'interno di una infrastruttura di proprietà comunale e gestita dalla scrivente", di talché - prescriveva il gestore del S.I.I. - "4. la Ditta dovrà far confluire i reflui prodotti, all'interno del collettore comunale principale di proprietà comunale e gestito da GE.SE.SA. S.p.A., presente lungo Via del Pomerio, in prossimità dell'immobile all'interno del quale sono ubicati i locali dove viene esercitata l'attività in questione; 5. La Ditta dovrà installare un impianto di trattamento dei reflui prodotti, il quale dovrà essere in grado di garantire il rispetto di tutti i parametri normativi previsti dall'allegato 5 dello stesso D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 per lo scarico in corpo idrico superficiale, poiché la rete fognaria comunale presente lungo Via del Pomerio, non ha come recapito terminale un impianto di depurazione comunale";

- ricevuta la nota della GE.SE.SA., il SUAP, con comunicazione prot. n. 5302 del 16 gennaio 2023, prendeva atto che la documentazione posta a fondamento della rilasciata autorizzazione sanitaria annoverava anche la relazione tecnica prodotta dalla ricorrente in sede di rilascio del provvedimento abilitativo, da cui risultava che "l'immobile è collegato alla rete pubblica di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei reflui", laddove la GE.SE.SA. aveva accertato, per contro, che la società non scaricava i propri reflui all'interno di una infrastruttura di proprietà comunale, quanto piuttosto all'interno della rete di scarico condominiale, a servizio dell'edificio ove erano ubicati i locali adibiti all'esercizio dell'attività sanitaria; e dunque comunicava alla ricorrente «l'avvio del procedimento finalizzato alla revoca dell'autorizzazione n. 25 del 06 luglio 2022 per l'esercizio di prestazioni di "Emodialisi ambulatoriali", al contempo disponendo "il divieto di prosecuzione delle prestazioni sanitarie di "Emodialisi ambulatoriali" presso la struttura sanitaria»;

- avendo la ricorrente, nelle more della definizione del procedimento volto al rilascio dell'AUA, provveduto a predisporre un sistema alternativo di smaltimento delle acque reflue, anche in virtù del decreto presidenziale n. 143/2023 pubblicato il 20 gennaio 2023, di accoglimento della misura cautelare monocratica ex art. 56 c.p.a., il resistente Comune, con provvedimento dirigenziale prot. n. 7379/2022, aveva disposto la prosecuzione dell'attività di emodialisi erogata dal Centro fino al completamento dell'iter autorizzativo afferente al rilascio dell'Autorizzazione Unica Ambientale per lo scarico dei reflui in pubblica fognatura provenienti dalla citata attività ambulatoriale.

Così ricostruite le fasi della sottesa vicenda procedimentale e fattuale, avverso il provvedimento de quo è insorta l'odierna ricorrente, sostenendone, in primo luogo, l'illegittimità per difetto di motivazione e di istruttoria e per palese contraddittorietà. In particolare, la formulata censura è stata fondata sul rilievo della intrinseca contraddittorietà della condotta azione amministrativa poiché il SUAP, da un lato, aveva comunicato l'avvio del procedimento per la revoca dell'Autorizzazione Sanitaria n. 25/2022 e, dall'altro, disposto, nelle more del perfezionamento della procedura di rilascio dell'A.U.A., il divieto di prosecuzione delle prestazioni di emodialisi ambulatoriali. Pertanto, essendo l'Autorizzazione n. 25/2022 ancora valida ed efficace, avrebbe dovuto ritenersi illogico ed immotivato l'ordine di sospensione dell'attività di erogazione delle prestazioni sanitarie comminato nei confronti della ricorrente. Inoltre, il contestato provvedimento si configurava come un'ordinanza contingibile ed urgente, adottata da un organo incompetente quale il dirigente comunale che l'aveva sottoscritta.

In secondo luogo, ha censurato l'impugnato provvedimento in quanto assunto in aperta violazione dei principi di proporzionalità e razionalità dell'azione amministrativa, avendo l'amministrazione comunale disposto l'interruzione dell'attività sanitaria, senza né garantire l'erogazione delle prestazioni ai pazienti della ricorrente presso altri centri sanitari, né vagliare soluzioni alternative, sebbene il mancato allaccio alla rete di scarico comunale dovesse ascriversi alla vetustà della licenza edilizia dell'immobile, e quindi alle medesime autorità pubbliche che non avevano mai collegato il pozzetto di proprietà comunale all'infrastruttura pubblica.

Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Benevento che la GE.SE.SA., insistendo entrambi per l'integrale reiezione del ricorso, atteso che l'impugnato provvedimento non solo era stato adottato per rispondere a delle impellenti esigenze cautelari, ma doveva anche ritenersi pienamente legittimo in ragione dell'accertata illegittimità del contestato scarico fognario.

Con successivi motivi aggiunti depositati in data 23 giugno 2023, la ricorrente, prendendo atto dell'avvenuto rilascio dell'AUA in data 17 febbraio 2023 e della revoca dell'adottato provvedimento di sospensione dell'attività, ha insistito per la condanna degli enti resistenti al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della condotta dagli stessi tenuta, avendo dapprima autorizzato, con il provvedimento del 6 luglio 2022, lo svolgimento dell'attività degli indicati locali e, soltanto successivamente, rilevato l'assenza dei presupposti per il rilascio della necessaria AUA.

Nella resistenza degli enti intimati, il ricorso è stato trattenuto in decisione all'udienza del 7 maggio 2024.

2. In via preliminare, il Collegio deve dichiarare la cessazione della materia del contendere in ordine al ricorso principale, e quindi alla domanda annullatoria ivi articolata, poiché, successivamente all'instaurazione del giudizio, il Comune di Benevento, con nota del 17 febbraio 2023, ha comunicato alla ricorrente l'archiviazione del procedimento finalizzato alla revoca dell'autorizzazione sanitaria n. 25 del 6 luglio 2022, avendo, in pari data, il SUAP "rilasciato al Centro Emodialisi e Nefrologia G.B. Morgagni s.r.l., il provvedimento conclusivo afferente il rilascio dell'Autorizzazione Unica Ambientale per lo scarico in pubblica fognatura dei reflui provenienti dall'Ambulatorio".

L'interesse a ricorrere si sostanzia nell'utilità o nel vantaggio (materiale e morale) che il ricorrente possa ricavare dall'accoglimento della domanda proposta in giudizio (cfr. C.d.S., Sez. V, 5 novembre 2019, n. 7539; III, 2 settembre 2019, n. 6414; V, 4 giugno 2019, n. 3753, V, 22 maggio 2019, n. 3318). Un fatto sopravvenuto all'instaurazione del giudizio (come pure lo ius superveniens), che sia idoneo a modificare l'assetto di fatto o di diritto esistente al momento in cui era proposta l'originaria impugnazione, può dunque incidere sull'interesse a ricorrere.

Tra i fatti sopravvenuti idonei a modificare l'assetto di fatto rientrano i provvedimenti adottati in autotutela, tra i quali si colloca la revoca, con una peculiarità: essi possono comportare la piena realizzazione dell'interesse del ricorrente, e così dar luogo a cessazione della materia del contendere, ovvero non condurre a tale piena realizzazione e pur tuttavia rendere inutile la pronuncia del giudice, dando luogo così ad una carenza sopravvenuta di interesse (cfr. C.d.S., Sez. V, 21 febbraio 2018, n. 1100; IV, 14 aprile 2014, n. 1825).

Pertanto, i provvedimenti assunti in corso di giudizio sono idonei a determinare la cessata materia del contendere soltanto ove, autonomamente assunti dall'Amministrazione, determinino la realizzazione piena dell'interesse sostanziale sotteso alla proposizione dell'azione giudiziaria, permettendo al ricorrente in primo grado di ottenere in via amministrativa il bene della vita atteso, sì da rendere inutile la prosecuzione del processo (C.d.S., Sez. IV, n. 7220/2023).

Nella specie, l'intervenuta revoca dell'impugnato provvedimento di sospensione dell'attività, unitamente al rilascio dell'AUA a seguito delle opere realizzate dalla ricorrente in conformità alle prescrizioni imposte dall'ente competente, si configurano come atti con contenuto del tutto satisfattivo della pretesa azionata dalla ricorrente.

3. Tanto premesso, resta da scrutinare la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente con il gravame aggiuntivo, sul punto rammentandosi che la domanda risarcitoria può trovare ingresso, anche nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere per effetto dell'intervento di un nuovo provvedimento sostitutivo di quello originariamente gravato, allorquando il ricorrente deduca che il provvedimento sostituito abbia, medio tempore, prodotto effetti pregiudizievoli.

D'altronde, la domanda di annullamento concernente provvedimenti che hanno esaurito i propri effetti giuridici deve considerarsi non sorretta da un attuale interesse al relativo esame, laddove la domanda di condanna al ristoro dei danni asseritamente subiti in conseguenza dell'attuazione dei provvedimenti avversati (alla cui definizione parte ricorrente conserva attuale il proprio interesse) impone necessariamente la verifica dell'illegittimità degli atti costituenti esercizio del potere, in quanto costituenti elemento oggettivo della fattispecie di illecito civile a cui la parte privata riconnette causalmente i danni asseritamente subiti e di cui si chiede riparazione in sede giurisdizionale, procedendosi in tal caso, in ossequio al disposto contenuto nell'art. 34, comma 3, c.p.a., alla disamina dell'illegittimità degli atti impugnati al solo fine di fornire riscontro alla domanda risarcitoria formulata in giudizio (T.A.R. Lazio. Roma, Sez. II, 1° agosto 2023, n. 12932).

Tuttavia, osserva il Collegio come sia preliminare alla disamina della proposta domanda risarcitoria lo scrutinio in ordine alla sussistenza della giurisdizione dell'investito Tribunale poiché, come pregiudizialmente eccepito dalla Gesesa con la memoria depositata in data 5 aprile 2024, l'azionata pretesa risarcitoria è stata rivolta a conseguire il ristoro dei pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dal centro ricorrente per aver confidato sulla legittimità del provvedimento n. 25 del 6 luglio 2022 di autorizzazione allo svolgimento dell'attività sanitaria negli indicati locali. Alla luce di tale petitum sostanziale, la giurisdizione dovrebbe ritenersi devoluta al giudice ordinario.

Successivamente, infatti, avendo constatato l'impossibilità di concedere la richiesta AUA a causa dell'acclarata illegittimità del realizzato scarico fognario, il Comune di Benevento, con il provvedimento del 16 gennaio 2023 - oggetto dell'impugnazione principale - aveva disposto la contestata misura interdittiva, preannunciando la revoca dell'autorizzazione precedentemente concessa.

D'altronde, che questa sia la prospettazione posta a fondamento della spiegata domanda risarcitoria può agevolmente evincersi dalle stesse difese sul punto articolate dalla ricorrente che, con la memoria depositata in data 5 aprile 2024, ha ricondotto la scaturigine dei lamentati pregiudizi alle "omissioni colpose in cui è incorsa l'azione pubblica del Comune nell'esercizio della sua funzione pubblica; esso infatti ha autorizzato l'iniziale esercizio dell'attività erogata dal Centro pur in assenza dei relativi presupposti che, secondo i più elementari canoni di diligenza, aveva il dovere di conoscere in quanto afferenti ad una diligente gestione della rete ad opera della Gesesa".

Al riguardo, non ignora il Collegio che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 20 del 29 novembre 2021, ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo anche nei casi in cui il comportamento dell'amministrazione non si sia manifestato in atti amministrativi, perché "l'operato dell'amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura" (cfr. punto 8 della sentenza dell'Adunanza plenaria n. 20/2021).

A fronte di siffatta statuizione, tuttavia, le Sezioni unite della Suprema Corte hanno confermato l'orientamento risalente alle ordinanze del 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596 (poi ribadite da Cass. civ., Sez. un., ord. 24 aprile 2023, n. 10880; ord. 6 febbraio 2023, n. 3514; ord. 24 gennaio 2023, n. 2175; n. 13595/2022, n. 12428/2021, n. 14231/2021, n. 14324/2021, n. 21768/2021, n. 28979/2020), che ha radicato la giurisdizione del giudice ordinario nel caso di domande risarcitorie connesse alla lesione dell'affidamento derivata da un comportamento scorretto dell'amministrazione. Tale indirizzo è stato seguito anche dalla recente giurisprudenza amministrativa, che ha così sintetizzato i principi sanciti dalla Corte di cassazione, a Sezioni unite: "stando ai recentissimi arresti: a) il fatto, che nell'esercizio del proprio potere pubblico, l'Amministrazione sia tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo - e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo - non escluderebbe che essa sia tenuta ad osservare anche le regole generali di correttezza e buona fede; b) che la protezione offerta all'affidamento dall'ordinamento giuridico abbia la forma del diritto soggettivo troverebbe conferma anche nel rilievo che la legittima aspettativa rientra nell'ambito dei beni protetti dal disposto dell'art. 1 del Protocollo 1 alla CEDU (Protezione della proprietà), secondo l'interpretazione che di tale articolo la giurisprudenza della Corte EDU ha fornito fin dalla sentenza Pine Valley Developments Ltd e altri c. Irlanda del 29 novembre 1991; c) le suddette controversie non avrebbero ad oggetto le modalità di esercizio del potere amministrativo e non sarebbero inerenti a situazioni soggettive che, ancorché aventi consistenza di diritti, siano state tuttavia incise dalla spendita di poteri pubblici, ma riguarderebbero il complessivo modus agendi dell'Amministrazione, che si assume contrario a regole comportamentali di buona fede e correttezza e nel cui ambito il provvedimento illegittimo e la sua caducazione (in autotutela o ope judicis) rilevano come meri fatti storici" (cfr. sentenza T.A.R. Campania, Sez. VI, 12 febbraio 2024, n. 1004).

«Deve ritenersi sussistente in parte qua la giurisdizione del giudice ordinario, atteso che "l'oggetto del giudizio di risarcimento del danno da lesione dell'affidamento del privato nella legittimità di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica che sia stato annullato, in autotutela o dal giudice amministrativo, non è il modo in cui l'amministrazione ha esercitato il proprio potere con il provvedimento poi annullato, né è il modo in cui l'amministrazione ha esercitato il proprio potere con il provvedimento di annullamento del primo (ove l'annullamento sia avvenuto in autotutela e non in sede giurisdizionale); l'illegittimità del provvedimento annullato e la legittimità dell'eventuale provvedimento di annullamento in autotutela costituiscono, infatti, presupposti della lite, che restano all'esterno del perimetro della regiudicanda; l'oggetto del suddetto giudizio, invece, è il modo in cui l'amministrazione - nonché lo stesso privato destinatario del provvedimento - hanno o non hanno osservato le regole di correttezza nei reciproci rapporti" (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, sentenza 7 agosto 2023, n. 2492)» (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. IV, sentenza 27 novembre 2023, n. 3577).

Le fattispecie oggetto delle citate pronunce sono pienamente sovrapponibili a quella in questione, attenendo a casi in cui i ricorrenti hanno fatto ricorso al giudice per chiedere il risarcimento del danno arrecato all'affidamento che gli stessi avevano riposto nella legittimità degli atti ampliativi della loro sfera giuridica, poi annullati in via di autotutela o ope iudicis. Lo stesso principio è stato affermato anche nella situazione parzialmente analoga in cui la lesione della sfera giuridica del privato era avvenuta in conseguenza del comportamento dell'amministrazione tenuto nella conduzione del procedimento amministrativo conclusosi senza l'adozione del richiesto provvedimento (cfr. Sez. un., ord. n. 8236/2020).

La ricorrente ha tuttavia insistito affinché sia affermata la giurisdizione del giudice amministrativo evidenziando che, nel caso di specie, il danno di cui si domanda il risarcimento non sarebbe conseguenza esclusiva del comportamento dell'Amministrazione contrario ai canoni di buona fede e correttezza, quanto piuttosto discenderebbe dallo scorretto esercizio del potere autoritativo del Comune per violazione delle norme pubblicistiche che regolano l'istruttoria procedimentale ed il rilascio dell'autorizzazione sanitaria inizialmente adottata.

Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza richiamata della Corte di cassazione ha specificato che: "il provvedimento ampliativo, ancorché illegittimo, non produce ex se alcun danno al suo destinatario/beneficiario. In relazione agli interessi legittimi pretensivi, infatti, l'interesse del privato all'ampliamento della propria sfera giuridica è soddisfatto quando l'amministrazione, all'esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l'effetto positivo, senza che rilevi, dal punto di vista del medesimo privato, se tale emanazione sia legittima o illegittima; al privato interessa soltanto di poter vedere ampliata la propria sfera giuridica, cioè acquisire un bene della vita. Il danno patito dal beneficiario del provvedimento illegittimo, pertanto, deriva non dal provvedimento ma dalla caducazione del medesimo. La causa del danno, in altri termini, non è il provvedimento illegittimo (come accade quando il bene della vita sia stato illegittimamente negato) bensì il fatto storico della emissione di un provvedimento (di per sé stesso non dannoso per il destinatario) che, successivamente, è stato caducato perché illegittimo. Non si tratta, pare al Collegio, di degradare il provvedimento a mero fatto, bensì di individuare, ai fini dell'identificazione della situazione soggettiva lesa, il fatto dannoso, che è diverso a seconda che il provvedimento illegittimo abbia negato o abbia attribuito il bene della vita ambito dal privato" (cfr. pp. 6-7 della sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, del 24 gennaio 2023, n. 2175). "Chi agisce, in sostanza, non mette in discussione l'illegittimità del provvedimento a sé favorevole, né deduce di essere titolare di un interesse legittimo al mantenimento del bene della vita acquisito con tale provvedimento (e perduto con la relativa caducazione). Egli non si duole, cioè, della lesione di una situazione soggettiva di interesse legittimo alla conservazione del bene della vita concessogli con il provvedimento illegittimo (e, perciò, successivamente caducato), ma si duole del fatto che l'amministrazione lo abbia indotto, con l'emissione di un provvedimento illegittimo, a sostenere spese e a compiere attività che la successiva caducazione del medesimo provvedimento ha reso inutili" (cfr. p. 7 della sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, del 24 gennaio 2023, n. 2175).

Le Sezioni unite hanno dunque ribadito il principio che "la situazione giuridica la cui lesione costituisce la causa della pretesa del privato di vedersi risarciti i danni causati dall'annullamento di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica non è l'interesse legittimo alla conservazione del bene della vita acquisito con tale provvedimento, bensì l'affidamento (incolpevole) dal medesimo riposto nella legittimità di tale provvedimento" (cfr. p. 7 della sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, del 24 gennaio 2023, n. 2175).

Sulla scorta di tali principi, la giurisprudenza successiva che si è pronunciata sul punto ha ulteriormente specificato che: «Giova segnalare che la stessa Corte di cassazione ha al riguardo di recente ben distinto il caso della pretesa risarcitoria derivante dall'affidamento sull'emissione di un provvedimento favorevole da quello scaturente dalla lesione di interessi pretensivi, statuendo che "La domanda risarcitoria proposta nei confronti della P.a. per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria, non trattandosi di una lesione dell'interesse legittimo pretensivo del danneggiato" (Cass. civ., Sez. I, 6 marzo 2023, n. 6649), il che vale a dire che, secondo la stessa Corte, in tale ultimo caso, ossia ove si tratti di lesione di un interesse pretensivo, la giurisdizione è del giudice amministrativo. Ad ancor più chiare note la Corte ha precisato che, "In tema di riparto della giurisdizione, l'attrazione (ovvero la concentrazione) della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che egli ha impugnato", non costituendo il risarcimento del danno ingiusto una materia di giurisdizione esclusiva ma solo uno strumento di tutela ulteriore e di completamento rispetto a quello demolitorio» (Cass. civ., Sez. trib., 6 aprile 2023, n. 9526).

In definitiva, alla luce di tutte le superiori considerazioni, il Collegio dichiara il ricorso per motivi aggiunti inammissibile per difetto di giurisdizione. Il processo potrà essere riproposto innanzi al giudice civile nei termini di cui all'art. 11, comma 2, del d.lgs. n. 104/2010.

4. La peculiarità della vicenda e le antitetiche posizioni assunte dalle Corti superiori sulla questione di giurisdizione, inducono a compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara cessata la materia del contendere in ordine al ricorso principale; dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito ex art. 11 d.lgs. n. 104/2010 il ricorso per motivi aggiunti, potendo il giudizio essere riassunto innanzi al giudice ordinario, nel termine di legge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.