Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 22 maggio 2024, n. 4542

Presidente: Simonetti - Estensore: La Greca

FATTO E DIRITTO

1.1. La parte privata impugnava in primo grado, con richiesta di annullamento, l'intimazione di pagamento n. 020190000090100, emessa da Agea per complessivi euro 2.038.770,29 a titolo di «prelievo latte 2005/06», in conseguenza del mancato pagamento dell'importo oggetto della prodromica cartella di pagamento n. 30020150000008384000.

1.2. Avverso detta intimazione la ricorrente azienda agricola deduceva i vizi come di seguito esposti:

- erroneamente il concessionario della riscossione si sarebbe avvalso del servizio postale per la notificazione della cartella dovendovi provvedere attraverso gli ufficiali della riscossione ai sensi dell'art 26 d.P.R. n. 602 del 1973; ciò avrebbe determinato la nullità dell'intimazione di pagamento emessa (in tesi, erroneamente) sul presupposto della rituale notificazione della precedente cartella;

- la l. n. 33 del 2009 avrebbe previsto la possibilità per lo Stato di compensare i crediti nei confronti delle aziende agricole a titolo di prelievo supplementare con le somme dovute a titolo di aiuti comunitari e, nel caso di specie, detta compensazione sarebbe stata già operata da Agea, con recupero in forza dell'atto del 14 dicembre 2006 della Conferenza Stato-Regioni (e il correlato importo né sarebbe stato conteggiato, né sarebbe stato detratto da quello indicato in cartella);

- il credito non sarebbe stato né certo, né liquido, né esigibile in mancanza di un accertamento di debenza passato in giudicato;

- la procedura di riscossione non avrebbe potuto essere attivata - come invece sarebbe avvenuto - in pendenza di rateizzazione del debito (sulla quale nessun provvedimento di decadenza sarebbe intervenuto);

- sarebbe stata illegittimamente omessa la comunicazione di avvio del procedimento (in tesi, non sanabile ai sensi dell'art. 21-octies l. n. 241 del 1990);

- gran parte degli importi azionati con la cartella di pagamento (ora oggetto dell'intimazione) sarebbero stati pagati e nessuna sentenza passata in giudicato li avrebbe accertati come dovuti;

- tutte le operazioni di compensazione/restituzione per i periodi oggetto delle cartelle di pagamento, sarebbero risultate impugnate, sospese o annullate in sede giurisdizionale, con efficacia erga omnes;

- il regolamento n. 3950/92 avrebbe dovuto essere interpretato nel senso che, qualora uno Stato membro avesse deciso di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tale riassegnazione avrebbe dovuto essere effettuata, tra i produttori che avevano superato i propri quantitativi di riferimento, in modo proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore;

- la Corte di giustizia UE avrebbe accertato profili di contrasto con l'ordinamento eurounitario del criterio di priorità nella ripartizione del prelievo imputato in eccesso a favore dei produttori in regola con i versamenti;

- l'intimazione di pagamento non avrebbe specificato le modalità di calcolo degli interessi dovuti, anche in punto di decorrenza degli stessi;

- il contingentamento della produzione di quote latte sarebbe in contrasto con il reg. CE n. 2081/92 che disciplina le produzioni DOP («denominazione di origine protetta») e con i principi in materia di libertà di iniziativa economica.

1.3. Agea si opponeva all'accoglimento del ricorso.

1.4. Con sentenza n. 819 del 2022 il T.a.r. per la Lombardia, sez. st. di Brescia, sez. II, accoglieva il ricorso nella sola parte in cui la domanda caducatoria era rivolta all'intimato pagamento del prelievo supplementare della campagna 2005-2006. Evidenziava il T.a.r. che «l'intimazione di pagamento oggetto del presente giudizio appare conforme al diritto europeo per quanto riguarda il prelievo supplementare della campagna 2008-2009, mentre per la parte relativa alla campagna 2005-2006 ricade all'interno delle statuizioni della sentenza C-377/19».

2.1. Avverso detta sentenza ha interposto appello - con richiesta di riforma, in parte qua, della statuizione di accoglimento - Agea la quale ha così articolato le proprie doglianze:

1) illegittimità, erroneità in diritto e, comunque, ingiustizia manifesta della sentenza resa in prime cure, per avere il T.a.r. accolto, sia pure parzialmente, il ricorso sul presupposto che non vi fosse un giudicato a schermare il credito della p.a.;

2) in subordine, erroneità in diritto della sentenza di prime cure per avere il T.a.r. ritenuto che un supposto contrasto con il diritto UE permetterebbe di superare l'inoppugnabilità di un provvedimento amministrativo, e per avere quindi ritenuto che la violazione del diritto UE implichi una nullità sempre rilevabile d'ufficio, se del caso recuperabile con la disapplicazione; laddove, invece, il vizio di violazione del diritto UE, al pari del vizio di violazione domestica, concreterebbe una mera annullabilità, da far valere con tempestivamente specifico motivo di impugnazione, pena l'inoppugnabilità del provvedimento.

2.2. Sostiene, in particolare, Agea che:

- il T.a.r. non avrebbe considerato che il credito veicolato dall'intimazione sarebbe schermato da un giudicato favorevole alla p.a. e, segnatamente, dalla sentenza T.a.r. per il Lazio n. 791 del 2015;

- in ogni caso, il T.a.r. avrebbe erroneamente ritenuto che un supposto vizio di violazione del diritto UE sarebbe sempre rilevabile d'ufficio, concretando una "nullità" e non una "annullabilità" da farsi valere con rituale impugnazione (al pari del vizio di violazione di legge domestica): nel caso di specie l'intimazione è stata preceduta da precedenti atti (cartelle) veicolanti il credito in esame, non impugnate;

- sarebbe errata la sentenza di prime cure nella parte in cui ha ordinato alla p.a. un'operazione di (parziale) ricalcolo.

3. Si è costituita in giudizio l'Azienda agricola Schieppati Giovanni e Stefano soc. sempl. la quale ha contrastato le pretese dell'Amministrazione. Essa ha evidenziato che:

- la sentenza T.a.r. per il Lazio n. 791 del 2015 non riguarderebbe la predetta medesima parte appellata (con sede in Antegnate, prov. Bergamo) ma una diversa azienda agricola, ossia l'az. agr. Schieppati Giuseppe e Piloni Christian (corrente in Pumenengo, prov. Bergamo);

- correttamente il T.a.r. avrebbe disapplicato la normativa nazionale in contrasto con l'ordinamento UE considerato, peraltro, che, nel caso di specie, al cospetto della vicenda non si staglierebbe nessun giudicato favorevole all'Amministrazione ma, diversamente, provvedimenti inoppugnabili rispetto ai quali sussisterebbe il dovere dell'organo amministrativo di riesame (qui, mediante il ricalcolo disposto dal T.a.r.) per tenere conto della sopravvenienza di una sentenza della Corte di giustizia UE;

- sussisterebbe in capo alla p.a. e in capo al giudice l'obbligo di disapplicazione della normativa nazionale (art. 1, comma 8, d.l. n. 43 del 1999) in contrasto con l'ordinamento UE (contrasto che determinerebbe la nullità dei provvedimenti a valle): detto obbligo osterebbe ad una applicazione del meccanismo di compensazione che comporti la preferenza di taluni imprenditori rispetto ad altri (anche perché determinerebbe, in tesi, una evidente violazione della concorrenza). In tal senso, il Consiglio di Stato, con sentenza Sez. VI, n. 2192 del 2023, avrebbe sottolineato la necessità che tutte le autorità dello Stato membro, organi giurisdizionali o pubbliche amministrazioni, disapplichino la norma interna a favore di quella sovranazionale (affermazione, questa, che ove fosse ritenuta in contrasto con altri arresti giurisprudenziali renderebbe, in tesi di parte appellata, opportuno un intervento nomofilattico dell'Adunanza plenaria);

- la Corte di giustizia UE avrebbe affermato la sussistenza dell'obbligo di ricalcolare l'importo del prelievo supplementare dovuto dai produttori che non hanno adempiuto l'obbligo, previsto dalla normativa nazionale applicabile;

- quanto ai presupposti per la disapplicazione, questi sarebbero rinvenibili nella violazione manifesta e grave dei principi generali UE di uguaglianza e di non discriminazione: il contrasto con il diritto UE avrebbe riguardato, nel caso della compensazione nazionale, la redistribuzione della "multa" secondo categorie prioritarie anziché in modo proporzionale.

4. Con ordinanza n. 1089/2023, resa all'esito dell'istanza cautelare proposta ai sensi dell'art. 98 c.p.a. da Agea, è stata fissata l'udienza del 5 ottobre 2023 (ai sensi dell'art. 55, comma 10, c.p.a.): nel corso di tale ultima udienza il Collegio ha rilevato il mancato deposito ai sensi dell'art. 94 c.p.a., da parte di Agea, della sentenza oggetto di impugnazione. La parte appellata ha chiesto, quindi, un rinvio della trattazione per controdedurre e detta istanza è stata accolta con conseguente rinvio all'udienza del 15 febbraio 2024.

5. In prossimità della nuova udienza le parti hanno depositato memorie e documenti, tra cui la citata sentenza appellata.

6. All'udienza pubblica del 15 febbraio 2024, presenti i procuratori delle parti i quali hanno ribadito le rispettive tesi difensive, l'appello, su richiesta degli stessi, è stato posto in decisione.

7. In linea con il principio generale desumibile dall'art. 276, comma 2, c.p.c., ormai codificato anche nel codice del processo amministrativo con il rinvio contenuto nell'art. 76, comma 4, c.p.a. (C.d.S., Ad. plen., n. 4 del 2011), occorre definire il giudizio muovendo dall'esame dell'eccezione di inammissibilità dell'appello correlata all'omesso (e comunque, in tesi, tardivo) deposito di copia della sentenza appellata.

8. In punto di fatto va rilevato che Agea, parte appellante, non aveva depositato copia della sentenza appellata congiuntamente all'atto di appello e comunque entro il termine di «trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45», ma vi ha provveduto soltanto in data 28 dicembre 2023, all'esito del correlato rilievo d'ufficio sollevato nel corso dell'udienza pubblica del 5 ottobre 2023.

9. Le parti, come detto, su sollecitazione del Collegio, si sono ampiamente confrontate sul rapporto mancato/tardivo deposito di copia della sentenza impugnata delineato dall'art. 94 c.p.a. e correlati effetti in punto di ammissibilità o meno dell'appello.

La parte privata ha argomentato nel senso della inammissibilità del gravame richiamando la giurisprudenza volta a sottolineare il carattere dell'adempimento come espressione di un principio di ordine pubblico, con conseguente rilevanza del mancato deposito di copia della sentenza e inidoneità del suo tardivo deposito a "sanare" la decadenza stabilita dall'art. 94 c.p.a.; Agea ha spiegato le proprie difese nel senso di sottolineare l'ammissibilità del deposito tardivo di copia della sentenza (qui, come si è detto, frattanto depositata nel termine per il deposito di documenti) sulla base di elementi correlati: a) al dato letterale della disposizione; b) la carenza di un interesse sostanziale alla base di tale adempimento, il quale si rivelerebbe irragionevole e formalistico.

10. Data tale premessa, in via preliminare va rilevato che la parte privata ha revocato in dubbio la ritualità della produzione documentale e delle nuove difese di parte appellante successive all'udienza del 5 ottobre 2023, quantomeno per i contenuti diversi da quelli il cui confronto era stato sollecitato dal Collegio.

10.1. Sostiene l'appellata azienda agricola che:

- Agea avrebbe dovuto depositare la memoria sollecitata dal Collegio nell'udienza del 5 ottobre 2023 entro 30 giorni dall'udienza stessa, non avendo dimostrato e dedotto di essere incorsa in estreme difficoltà nel rispetto di siffatto termine; parimenti non avrebbe potuto produrre nuove difese dovendo limitarsi, con gli ulteriori scritti difensivi, alla rilevata questione di inammissibilità ex art. 94 c.p.a.;

- alla stessa stregua, secondo la parte appellata, il termine assegnato non avrebbe potuto essere utilizzato dalla parte pubblica per sanare il mancato deposito di copia della sentenza di primo grado nel termine previsto dal citato art. 94 c.p.a.

10.2. L'eccezione dell'azienda agricola Schieppati deve essere disattesa.

10.3. Com'è noto, i termini fissati dall'art. 73 c.p.a. per il deposito in giudizio di memorie difensive e documenti hanno carattere perentorio, con la conseguenza che la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent (cfr., in tal senso, C.d.S., Sez. VI, n. 3477 del 2018 e giurisprudenza ivi citata).

Ciò nondimeno, ai fini della corretta perimetrazione dell'ambito operativo di siffatta disposizione si è, altresì, evidenziato che il rispetto dei termini perentori di cui all'art. 73 c.p.a. non è da commisurare alla data della prima udienza fissata per la discussione, poi successivamente rinviata, poiché la perentorietà del termine per il deposito di memorie difensive e documenti costituisce espressione di un precetto di ordine pubblico processuale posto a presidio del contraddittorio, con la conseguenza che i termini di cui all'art. 73 vanno computati in relazione all'effettiva data di trattazione della causa (ex aliis, C.d.S., Sez. III, n. 3477 del 2018, cit.).

10.4. Poiché la memoria e i documenti di Agea (id est: copia della sentenza appellata) sono stati depositati il 29 dicembre 2023 e l'udienza era fissata (ed è stata celebrata) per il 15 febbraio 2024, la produzione non può che rivelarsi conforme alla scansione temporale stabilita dall'art. 73 c.p.a.

11. Ciò detto, il deposito della copia della sentenza impugnata - tardivo, rispetto al termine di 30 giorni di cui all'art. 94 c.p.a. ma tempestivo rispetto al termine per deposito documenti ex art. 73 c.p.a. - impedisce pure, alla stregua delle considerazioni che seguono, la declaratoria di inammissibilità dell'appello per violazione del medesimo art. 94.

12.1. L'art. 94 c.p.a. stabilisce che «Nei giudizi di appello, di revocazione e di opposizione di terzo il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall'ultima notificazione ai sensi dell'articolo 45, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni».

12.2. La relazione di accompagnamento al codice del processo amministrativo ha evidenziato come detta previsione abbia «innovativamente» disposto «che all'impugnante è sufficiente produrre una copia anche non autentica della sentenza impugnata, in considerazione dell'estrema facilità di reperirne il testo sul sito ufficiale, il che fa presumere con ragionevole certezza che il testo prodotto sia conforme a quello reale».

12.3. La disposizione in effetti presenta elementi di novità rispetto all'assetto precedente: l'art. 36 r.d. n. 1054 del 1924 stabiliva - senza richiami a termini aventi natura decadenziale - che «L'originale ricorso, con la prova delle eseguite notificazioni e coi documenti sui quali si fonda, deve essere dal ricorrente, entro trenta giorni successivi alle notificazioni medesime, depositato, insieme all'atto o provvedimento impugnato, nella segreteria del Consiglio di Stato».

12.4. In relazione a tale pregressa previsione, l'Adunanza plenaria con decisione n. 20 del 1982, evidenziò, con principi che presentano una certa connotazione di attualità, che:

a) anche a voler muovere dal presupposto, più volte affermato dalla giurisprudenza, secondo cui per atto impugnato in appello dovesse intendersi la sentenza di prime cure, la disposizione del r.d. n. 1054 del 1924 si sarebbe riferita «esclusivamente agli atti o provvedimenti amministrativi impugnati»; parimenti la «finalità inerente allo statuito limite temporale posto all'esercizio dell'onere di deposito contemplato dalla norma» non si attagliava «alle particolari esigenze sottese all'acquisizione in appello della sentenza di primo grado»;

b) in mancanza, sul punto, di una specifica norma inerente al processo amministrativo, doveva farsi applicazione delle disposizioni del giudizio civile d'appello dovendosi escludere, quanto ai limiti temporali dell'adempimento ex art. 347, comma secondo, c.p.c., «l'operatività del termine stabilito dall'art. 36, comma quarto, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054», ammettendo «che l'appellante possa provvedere al deposito della sentenza impugnata fin quando sia a lui legittimamente dato produrre documenti»;

- «giusta il consolidato indirizzo interpretativo eseguito dalla Corte di cassazione relativamente al procedimento civile d'appello [...], l'onere di cui sopra è da considerare suscettibile di venir surrogato in virtù dell'acquisizione della sentenza in giudizio, verificantesi tramite la produzione della stessa effettuata da altra parte ovvero per effetto dell'avvenuto inserimento di una sua copia nel fascicolo d'ufficio. Trattasi, evidentemente, di indirizzo il quale ben si concilia con la rilevata finalità, sottesa a detta acquisizione, di consentire la conoscenza della sentenza non già alle controparti ma al giudice d'appello, donde la sostanziale indifferenza della provenienza dell'adempimento»;

- «poiché [...] è attribuito alla parte un vero e proprio diritto ad ottenere il rilascio di copia della sentenza di prime cure, è da escludere che, in caso di omesso deposito della medesima, il giudice d'appello possa o debba fissare un termine per il relativo adempimento»: «opinare diversamente significherebbe, infatti, contraddire alla naturale funzione dei poteri istruttori [...] notoriamente volti a consentire l'acquisizione in giudizio di quegli atti dei quali le parti private non abbiano la disponibilità», restando salva l'ipotesi che il mancato adempimento non dipendesse da «cause strettamente oggettive»;

- conseguentemente, in mancanza di produzione in giudizio di copia della sentenza ad opera di una delle parti, ad avviso dell'Adunanza plenaria poteva dichiararsi l'«improcedibilità» dell'appello.

12.5. Ora, il dato letterale dell'attuale previsione, ossia l'art. 94 c.p.a., si presta a più letture: I) una prima lettura della disposizione secondo la quale la comminatoria di decadenza riguarderebbe non solo il tardivo deposito dell'atto di impugnazione ma anche l'omesso o tardivo deposito di copia della sentenza impugnata; II) una seconda lettura che limiterebbe tale decadenza al tardivo o mancato deposito del solo atto di impugnazione e non anche della copia della sentenza impugnata.

12.6. Gli indirizzi interpretativi della giurisprudenza, sul tema del deposito di copia della sentenza, sviluppatisi nel corso della vigenza del codice del processo amministrativo non sono univoci.

12.6.1. Secondo un primo complessivo indirizzo va dichiarato inammissibile il gravame per il mancato rispetto del termine decadenziale ex art 94 c.p.a.: la sentenza impugnata deve essere depositata, anche separatamente dall'atto di impugnazione, nel termine decadenziale di 30 giorni dall'ultima notificazione, a pena di inammissibilità dell'appello, ferma restando la surrogabilità dell'onere del ricorrente da altra parte costituita. Si è, secondo tale indirizzo, in presenza della violazione di una disposizione di ordine pubblico processuale, non derogabile dalle parti, che impone espressamente, a pena di decadenza, il deposito - entro il termine di trenta giorni dall'ultima notificazione del ricorso - non soltanto dell'appello, ma anche della sentenza impugnata (C.d.S., Sez. VI, n. 4520 del 2022 e n. 8779 del 2022; Cons. giust. amm. sic., Sez. giur., n. 957 del 2022). A tale impostazione va ascritta anche la giurisprudenza secondo cui l'onere di deposito della sentenza appellata costituisce espressione di un elementare (quanto gratuito, non essendo la copia della sentenza appellata soggetta a oneri fiscali) dovere di collaborazione della parte con il giudice di appello (e dell'impugnazione in generale), affinché quest'ultimo, attraverso la consultazione del fascicolo digitale di appello, possa immediatamente e velocemente individuare, nella moltitudine di atti processuali digitalizzati, la sentenza impugnata, senza bisogno di accedere al fascicolo di primo grado» (Cons. giust. amm. sic., Sez. giur., n. 965 del 2022). In relazione al nuovo assetto recato dal processo amministrativo telematico, la previsione recata dall'art. 94, comma 1, c.p.a. continua ad essere comunque vigente «e impone un adempimento che non può ritenersi caduto in desuetudine per effetto del PAT, posto che la previsione costituisce norma imperativa e inderogabile» (Cons. giust. amm. sic., Sez. giur., nn. 962 e 958 del 2022).

12.6.2. Un secondo indirizzo ritiene che «soltanto laddove sia carente in senso assoluto la produzione della sentenza gravata l'impugnazione è improcedibile» (C.d.S., Sez. IV, n. 1455 del 2014, più recentemente, n. 4488 del 2020). In tal senso è inammissibile il gravame nel caso di mancata produzione in grado di appello di alcuna copia (anche semplice) della sentenza impugnata ma - di contro - è ammessa la possibilità di deposito della stessa nei termini ex art. 73 c.p.a. (C.d.S., Sez. VI, n. 7133 del 2020); potendosi, ancora, ben configurare l'errato deposito di una ordinanza istruttoria in luogo della sentenza gravata quale causa di un emendabile «errore materiale» (Cons. giust. amm. sic., Sez. giur., n. 843 del 2021; contra, Cons. giust. amm. sic., Sez. giur., nn. 960 e 962 del 2022).

12.6.3. Una terza lettura dell'art. 94 c.p.a. è volta a ritenere che «La sanzione della decadenza prevista da tale disposizione sembra pertanto da riferire - sia per ragioni testuali, che in ragione di un'esegesi necessariamente adeguatrice ed evolutiva - al mancato (tempestivo) deposito del ricorso, e non anche di "copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni" (adempimenti indicati in una separata e successiva parte della disposizione)» (C.d.S., Sez. III, n. 2403 del 2023). «L'interpretazione della disposizione di cui all'art. 94 c.p.a. deve anzitutto tenere conto del fatto che [...] in caso di omesso deposito della sentenza impugnata per il giudice di appello è agevole procedere all'acquisizione di copia della sentenza gravata dal sistema informatico della Giustizia amministrativa, che consente di reperire la pronuncia di primo grado, agevolmente e con certezza circa la sua autenticità, senza onerare a tal fine parte appellante e senza differimenti della decisione. Sicché anche alla luce di tale obiettivo dato non appare praticabile una lettura dell'art. 94 c.p.a. implicante conseguenze irragionevoli e sproporzionate - rispetto all'adempimento omesso - sull'esercizio del diritto di difesa» (C.d.S., Sez. III, n. 2403 del 2023, cit.).

13. Così ricostruito l'assetto interpretativo dell'art. 94 c.p.a., richiamando la nota distinzione tra «disposizione» (intesa come legge o atto avente forza di legge), e «norma» (ossia il precetto o regula iuris) veicolata dalla interpretazione della disposizione, una norma qui volta ad affermare una comminatoria di decadenza per effetto dell'omesso o tardivo deposito della sentenza impugnata ex art. 94 c.p.a. non può ritenersi sincronizzabile con diversi canoni costituzionali, a cominciare con quello di ragionevolezza e di garanzia del diritto di azione e, dunque, si rende necessaria una lettura "adeguatrice".

13.1. Deve essere premesso, come si è accennato, che il predetto art. 94 c.p.a., così come formulato, non consente, già sul piano letterale, di affermare in modo netto che la comminatoria di decadenza per omesso o tardivo deposito di copia della sentenza impugnata rispetto al termine di decadenza dia necessariamente luogo alla inammissibilità dell'appello (o di altro mezzo di impugnazione): la previsione ben si presta ad un significato secondo cui la predetta comminatoria di decadenza sia correlata, su un piano meramente strutturale del sintagma, unicamente al mancato rispetto del termine per il deposito dell'atto di impugnazione.

13.2. Ed è proprio tale assetto letterale, non univoco, della disposizione che ha dato luogo a letture divergenti della giurisprudenza tali da impedire il formarsi di un "diritto vivente" - inteso quale «reiterazione e conseguente stabilità dell'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità» (Corte cost., n. 38 del 2024) - imponendosi, qui, una interpretazione conforme ai parametri costituzionali di riferimento (art. 3, 24, 103, 113, 117, comma primo, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU). D'altronde, sussiste, il «dovere [...] di interpretare la normativa in senso conforme alla Costituzione (ogni volta che ciò sia permesso dalla lettera della legge e dal contesto logico-normativo entro cui essa si colloca)» (Corte cost., n. 36 del 2016) e ciò in ragione «tanto dell'assioma per il quale l'ordinamento normativo dev'esser postulato, in sede interpretativa e applicativa, come una totalità unitaria, quanto del principio di conservazione dei valori giuridici, il quale induce a presumere che una disposizione non sia dichiarata illegittima fintantoché sia possibile enucleare da essa almeno un significato conforme alle leggi» (Corte cost., n. 559 del 1988).

13.3. Secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il legislatore dispone di un'ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene superato qualora emerga un'ingiustificabile compressione del diritto di agire in giudizio (ex multis, sentenze n. 148 del 2021, n. 102 del 2021, n. 253, n. 95, n. 80, n. 79 del 2020 e n. 271 del 2019).

13.4. Con particolare riferimento all'art. 24 Cost., la Corte ha, altresì, specificato che esso non comporta che il cittadino debba conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti, purché non vengano imposti oneri o prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell'attività processuale (tra le tante, sentenze n. 271 del 2019, n. 199 del 2017, n. 121 e n. 44 del 2016).

13.5. Se è vero che «le forme degli atti processuali non sono "fine a se stesse", ma sono funzionali alla migliore qualità della decisione di merito (Corte cost., n. 77 del 2007), essendo deputate al conseguimento di un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto è destinato ad assolvere nell'ambito del processo» (Corte cost., n. 148 del 2021, cit.), una lettura volta a sancire la comminatoria di decadenza - con conseguente inammissibilità dell'appello (o di altra impugnazione) - discendente (nell'ipotesi interpretativa privilegiata da parte della giurisprudenza sopra citata) dall'omesso deposito di copia della sentenza nel termine previsto dall'art. 94 c.p.a., si rivela non proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza per il deposito dell'atto di impugnazione.

13.6. Ora, quanto alla disciplina in argomento, l'estensione del termine decadenziale al deposito di copia della sentenza non risulta sorretta da adeguate e concrete giustificazioni in punto di soddisfacimento dell'interesse delle parti (né di alcun interesse pubblico), non foss'altro perché anche in forza delle attuali regole sul processo amministrativo telematico, il giudice dell'impugnazione (come anche l'avvocato della controparte) può agevolmente reperire, in seno al fascicolo di primo grado (al quale ha accesso), copia digitale della sentenza impugnata.

D'altronde, ancora, una volta chiarito che la finalità della previsione è di consentire la conoscenza della pronuncia impugnata non già alle controparti ma direttamente al giudice (così, C.d.S., Ad. plen. n. 20 del 1982), questi ne è a conoscenza sia in ragione dell'obbligo del segretario del giudice di appello di «richiede[re] la trasmissione del fascicolo d'ufficio al segretario del giudice di primo grado» (art. 6, comma 2, all. II, c.p.a.), sia in ragione dell'obbligo di trasmissione del fascicolo da parte dei Tribunali amministrativi regionali «tramite SIGA, mediante accesso diretto al fascicolo di primo grado da parte dei soggetti abilitati» (art. 11, all. 2, decreto Pres. C.d.S. 28 luglio 2021, recante «Regole tecniche-operative del processo amministrativo telematico», emanato ai sensi dell'art. 13, comma 1, c.p.a.).

13.7. L'art. 94 c.p.a. va, dunque, reso oggetto di una lettura che sia rispettosa, per un verso, del suo dato letterale laddove impone, comunque e chiaramente, l'adempimento a carico della parte ricorrente del deposito di copia della sentenza impugnata e, per altro verso, del dato sistematico, in una prospettiva però compatibile con i principi di ragionevolezza, proporzionalità, garanzia della tutela e giusto processo.

Siffatta prospettiva, non compatibile con l'ascrivibilità del mancato tempestivo deposito di copia della sentenza impugnata alle cause di inammissibilità dell'appello (rivelandosi, come detto, una tale conseguenza sproporzionata rispetto all'obiettivo e non suffragata da effettive ragioni di tutela o di corretta instaurazione del giudizio), si rivela però conforme ad una soluzione interpretativa volta a ritenere, diversamente la mancata produzione di copia della sentenza quale causa impeditiva della spedizione della causa in decisione (che l'Adunanza plenaria del 1982, cit., definisce «improcedibilità»).

A ben vedere, tale assetto, oltre a esser stato richiamato, come si è visto, dalla decisione C.d.S., Ad. plen., n. 20 del 1982, cit., è stato seguito dal c.p.a. - mutatis mutandis - in relazione al rapporto fissato nell'art. 55 tra l'onere di presentare la domanda di fissazione udienza (DFU) e la decisione dell'istanza cautelare (proprio in termini d'«improcedibilità» di quest'ultima).

13.9. In tal senso, dunque, va affermato che:

- l'omesso deposito di copia della sentenza impugnata, congiuntamente o meno all'atto di impugnazione, non determina in nessun caso l'inammissibilità tout court dell'impugnazione medesima;

- l'impugnazione è improcedibile, nel senso che non può essere decisa nel merito, finché una delle parti in causa non abbia adempiuto all'obbligo ex art. 94 c.p.a. mediante deposito di copia della sentenza impugnata.

14. Alla luce di quanto detto, poiché nel caso di specie Agea ha depositato copia della sentenza gravata, l'appello può essere deciso nel merito.

15. L'appello, alla stregua di quanto si dirà, deve essere accolto nei sensi e limiti appresso specificati.

16. Con il primo motivo Agea ha fatto valere la asserita presenza di un giudicato ad essa favorevole - discendente dalla sentenza T.a.r. per il Lazio n. 791 del 2015 - sul provvedimento a monte dell'intimazione impugnata.

16.1. Il motivo è infondato.

16.2. Sul punto la parte appellata ha rilevato che la sentenza invocata dall'Amministrazione non riguarderebbe l'azienda agricola appellata Schieppati Giovanni e Stefano s.s. (con sede a Antegnate - BG, cod. fisc. 01578890160), né i signori Giovanni Schieppati o Stefano Schieppati (residenti a Antegnate - BG), considerato che essa sarebbe stata emessa nei confronti della diversa azienda agricola Schieppati Giuseppe e Piloni Cristian, corrente in Pumenengo (BG), Cascina Colombare, ossia nei confronti di una azienda agricola estranea alla vicenda procedimentale per cui è causa.

16.3. Tale affermazione dell'azienda agricola non è stata confutata dall'Amministrazione appellante e, del resto, l'epigrafe della sentenza citata annovera tra i ricorrenti in quel giudizio l'«Azienda Agricola Schieppati Giuseppe e Piloni Cristian» e non l'odierna appellata «az. agr. Schieppati Giovanni e Stefano società semplice agricola», con conseguente infondatezza, anche in fatto, della doglianza di parte pubblica.

17. Con il secondo motivo di appello Agea lamenta l'erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto colpita da nullità - anziché da annullabilità, da farsi valere nei termini di legge - l'intimazione emessa sulla base di norme violative del diritto UE.

17.1. Il motivo è fondato.

17.2. In punto di fatto deve essere preliminarmente rilevato che:

- non è rinvenibile agli atti della causa un giudicato favorevole alla parte privata sul provvedimento di prelievo, ciò che esclude la declaratoria di "improcedibilità" (id est: accertamento di privazione di effetti dell'atto impugnato) del motivo, invocata dalla parte privata ai sensi dell'art. 10-bis d.l. n. 69 del 2023, conv. con l. n. 103 del 2023 (il cui comma 1 stabilisce che «Al fine di dare attuazione alle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea del 27 giugno 2019, resa nella causa C-348/18, dell'11 settembre 2019, resa nella causa C-46/18, e del 13 gennaio 2022, resa nella causa C-377/19, che hanno dichiarato le disposizioni normative italiane non conformi al diritto dell'Unione europea, l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) esegue le operazioni nazionali di compensazione e ridetermina il prelievo supplementare nei confronti dei produttori destinatari di una sentenza definitiva che annulla l'imputazione di prelievo supplementare e ne dispone il ricalcolo») ;

- non risulta impugnata la cartella di pagamento prodromica all'intimazione di pagamento oggetto di domanda caducatoria.

17.3. Muovendo da tale ultimo aspetto, l'intimazione di pagamento è un atto che si esaurisce in una ingiunzione, ulteriore e successiva alla cartella, riguardante la somma dovuta in base all'avviso di accertamento, con la conseguenza che essa resta sindacabile in giudizio solo per vizi propri e non per questioni attinenti all'atto di accertamento da cui è sorto il debito e alla conseguente cartella.

Soltanto in ipotesi di intervenuta caducazione dell'atto di accertamento (id est: atto di prelievo supplementare, ciò che non è nel caso di specie), sia la cartella, sia l'intimazione di pagamento possono ritenersi automaticamente travolte (C.d.S., Sez. VI, n. 645 del 2024).

17.4. Né la mancata o tardiva impugnazione può essere elusa con l'invocazione della disapplicabilità del provvedimento da parte del giudice in ragione della sua "anticomunitarietà".

17.4.1. Premesso che - a differenza di quanto ritenuto da parte appellata - la presenza di un atto inoppugnato non può essere equiparata alla presenza di un giudicato ex art. 2909 c.c., in ordine al regime dei provvedimenti amministrativi nazionali assunti in violazione del diritto europeo, la giurisprudenza ampiamente prevalente, qui condivisa, ha evidenziato che il contrasto di un atto amministrativo con il diritto europeo costituisce sempre e solo motivo di annullabilità e non di nullità (cfr. ex plurimis, da ultimo, C.d.S., VI, 29 dicembre 2023, n. 11301; 29 novembre 2023, n. 10303; 7 agosto 2023, n. 7609).

17.4.2. In altri termini, fermo restando che il contrasto tra un provvedimento amministrativo nazionale e il diritto UE debba generare qualche forma d'invalidità dell'atto in questione, il Consiglio di Stato, almeno a far tempo dalla sentenza di questa Sezione 31 marzo 2011, n. 1983, ha affermato che l'atto amministrativo che viola il diritto UE è affetto da annullabilità per vizio di illegittimità sotto forma di violazione di legge e non da nullità, atteso che l'art. 21-septies della l. n. 241 del 1990 ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e tra queste ipotesi non rientra il contrasto con il diritto dell'Unione europea.

17.4.3. Ne consegue che la nullità è configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento amministrativo nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere incompatibile con il diritto europeo e quindi disapplicabile, la cui ipotesi non ricorre nella fattispecie in esame.

17.4.4. La violazione del diritto europeo da parte dell'atto amministrativo, quindi, implica un vizio d'illegittimità con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo con esso contrastante e da ciò discende un duplice ordine di conseguenze: I) sul piano processuale, l'onere dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto europeo davanti al giudice amministrativo entro il termine di decadenza di sessanta giorni, pena l'inoppugnabilità del provvedimento stesso; II) sul piano sostanziale, l'obbligo per l'amministrazione di dar corso all'applicazione dell'atto, fatto salvo l'esercizio del potere di autotutela.

17.4.5. La natura autoritativa di un provvedimento amministrativo, infatti, non viene meno se la disposizione attributiva di potere è poi dichiarata incostituzionale o si manifesta in contrasto con il diritto europeo (cfr. ex plurimis, C.d.S., Sez. III, 29 settembre 2022, n. 8380; Sez. II, 7 aprile 2022, n. 2580; 25 marzo 2022, n. 2194; 16 marzo 2022, n. 1920), a maggior ragione quando, come nel caso di specie in materia di quote latte, il contrasto con il diritto europeo non ha riguardato la disposizione attributiva del potere, ma una regola sui criteri da seguire per il suo legittimo esercizio (C.d.S., Sez. III, 20 luglio 2022, n. 6333); più nel dettaglio, le sentenze della Corte di giustizia hanno accertato l'incompatibilità della normativa interna concernente (non già il prelievo supplementare a monte, ma) i criteri di riassegnazione dei quantitativi inutilizzati ovvero i (criteri relativi ai) rimborsi delle eccedenze dei prelievi supplementari.

17.4.6. La giurisprudenza europea, nell'esercizio della sua funzione nomofilattica, ha posto ugualmente in rilievo che la certezza del diritto è inclusa tra i principi generali riconosciuti nel diritto comunitario, sicché «il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza dei termini ragionevoli di ricorso in seguito all'esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce a tale certezza e da ciò deriva che il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo» (cfr. sentenza Kuhne & Heitz del 13 gennaio 2004): assetto, questo, che nel caso di specie priva di utilità sia un rinvio pregiudiziale proposto dall'appellata in tema di obbligo di ricalcolo del prelievo supplementare, sia il deferimento all'Adunanza plenaria sulla (non) disapplicabilità del provvedimento non impugnato.

17.4.7. Nello stesso senso, la giurisprudenza europea successiva ha evidenziato come, nel rispetto dei principi di equivalenza ed effettività, il principio della certezza nei rapporti giuridici non determina che gli stessi, una volta esauriti, debbano essere messi nuovamente e continuamente in discussione per effetto di una sentenza della Corte di giustizia UE che sancisca la sostanziale incompatibilità di un determinato atto con la normativa europea.

17.4.8. Sempre in analoga direzione, con riferimento a sentenze del giudice nazionale passate in giudicato, le recenti sentenze della CGUE Randstad del 21 dicembre 2021 e Hoffmann-La Roche del 7 luglio 2022, nel riaffermare i principi di autonomia procedurale degli Stati membri e la necessità del rispetto dei principi di effettività ed equivalenza, non pongono in discussione che un atto amministrativo, come considerato da una sentenza del giudice nazionale passata in giudicato che sia poi accertata da una sentenza della Corte di giustizia come violativa del diritto europeo, continui a spiegare i propri effetti, in disparte i possibili profili risarcitori legati ad azioni di danni contro lo Stato e, nei casi più gravi ripetuti nel tempo, la possibilità che la Commissione europea dia avvio ad una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro.

18. La mancata impugnazione della cartella di pagamento, in presenza di vizi c.d. derivati, oggetto di doglianze veicolate avverso l'intimazione di pagamento, era sufficiente per dar luogo alla declaratoria di inammissibilità, in parte qua, del ricorso di primo grado.

19. Conclusivamente, l'appello di Agea va accolto in ragione della fondatezza del solo secondo motivo d'appello, con conseguente riforma, anch'essa in parte qua, della sentenza appellata e declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado per la parte relativa al pagamento del prelievo supplementare relativo alla campagna 2005-2006.

20. Le spese del doppio grado possono essere compensate, in particolare in ragione delle questioni processuali affrontate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta), disattesa ogni diversa domanda ed eccezione, accoglie l'appello in epigrafe nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado per la parte relativa al pagamento del prelievo supplementare relativo alla campagna 2005-2006.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lombardia, Brescia, sez. II, sent. n. 810/2022.