Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Ordinanza 31 maggio 2024, n. 15278
Presidente: D'Ascola - Relatore: Scotti
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso dinanzi al TAR per le Marche l'azienda agraria Green Farm di Guido Leopardi Dittajuti & C. - società agricola semplice (di seguito, Green Farm) ha impugnato la determinazione del dirigente della Provincia di Ancona, settore IV, area valutazioni e autorizzazioni ambientali, del 3 dicembre 2018, n. 1265, recante il «giudizio negativo di compatibilità ambientale» reso in sede di valutazione di assoggettabilità del progetto (c.d. screening) alla valutazione di impatto ambientale (breviter: VIA) relativa a un impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di potenza elettrica pari a 990 KWe e termica pari a 2,46 MWt, mediante digestione anaerobica di biomasse provenienti da filiera corta.
La stessa azienda, con ulteriore ricorso dinanzi al TAR Marche, ha impugnato altresì il decreto regionale del dirigente della P.F. bonifiche, fonti energetiche, rifiuti e cave e miniere, n. 110 del 9 agosto 2019, avente ad oggetto il diniego di autorizzazione dell'impianto a biogas.
2. In precedenza, la Green Farm aveva presentato, in data 15 ottobre 2009, alla Regione Marche istanza di autorizzazione unica ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 e s.m.i. in ordine a un intervento previsto nel territorio del Comune di Osimo per la realizzazione di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili con potenza elettrica nominale di progetto pari a 997 KWe e potenza termica pari a 2467 KWt; la Regione Marche, con decreto n. 22/EFR del 20 aprile 2012, reso ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, aveva autorizzato la realizzazione e la messa in esercizio dell'impianto e, con successivo decreto n. 104/EFR del 24 ottobre 2012, aveva assentito a una variante in corso d'opera; successivamente all'ultimazione e all'attivazione dell'impianto, con sentenza del 22 settembre 2014, n. 4729, il Consiglio di Stato aveva annullato la predetta autorizzazione, per il mancato previo assoggettamento a VIA del progetto, alla luce della sentenza n. 93/2013 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato illegittima la legge regionale delle Marche 26 marzo 2012, n. 3, nella parte in cui prevedeva l'esenzione dalla procedura di VIA; in data 31 dicembre 2013 la società aveva presentato istanza di VIA «postuma»; nelle more era entrato in vigore il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (breviter: MATTM) n. 52 del 30 marzo 2015, recante «Linee guida per la verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale dei progetti di competenza delle Regioni e Province autonome, previsto dall'articolo 15 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116»; il 28 aprile 2015 e il 20 giugno 2016, Green Farm aveva presentato alla Regione Marche una istanza di convalida/conferma della autorizzazione unica rilasciata nel 2012, dandone notizia anche alla Provincia il successivo 29 aprile 2015; la Provincia di Ancona, con nota prot. n. 40491 del 24 novembre 2017, aveva comunicato, ai sensi dell'art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, il preavviso di rigetto del procedimento di VIA postuma e, successivamente, aveva proposto ulteriori richieste di integrazione documentale, a cui Green Farm aveva dato seguito con proprie osservazioni; in data 23 aprile 2018, la Regione Marche aveva riscontrato la richiesta di convalida/conferma avanzata da Green Farm, informandola di ritenere opportuno attendere l'esito della VIA postuma; Green Farm, stante l'inerzia dell'Amministrazione provinciale e decorsi infruttuosamente i termini di durata massima di conclusione del procedimento di VIA postuma, aveva impugnato dinanzi al TAR Marche il silenzio-inadempimento serbato dalla Provincia di Ancona; la Provincia, con determinazione n. 1265 del 3 dicembre 2018 aveva emesso il provvedimento definitivo di diniego, esprimendo un giudizio negativo di compatibilità ambientale, in seguito impugnato; in data 18 gennaio 2019, Green Farm aveva diffidato la Regione Marche affinché autorizzasse la riattivazione dell'impianto, ovvero avviasse il procedimento di autorizzazione, stante la normativa sopravvenuta; la Regione Marche, in esito alla conferenza di servizi decisoria di cui all'art. 14, comma 2, della l. n. 241 del 1990, dopo aver notificato il preavviso di rigetto, aveva emesso il sopra citato decreto del dirigente della P.F. bonifiche, fonti energetiche, rifiuti e cave e miniere, impugnato anch'esso in giudizio.
3. Il TAR con la sentenza n. 630 del 28 ottobre 2020, previa riunione dei due ricorsi:
a) ha accolto il primo ricorso, ritenendo che l'impianto, in virtù di quanto previsto dalla sopraggiunta normativa nazionale (decreto MATTM del 2015), dovesse essere esentato dalla VIA perché avente una potenza inferiore a 1 MW (poiché aveva potenza elettrica nominale di 990 KWe) e che, peraltro, non sussistessero i presupposti per ravvisare una sottoposizione volontaria al procedimento di VIA, che la società aveva più volte espresso la volontà di interrompere;
b) ha accolto anche il secondo ricorso, poiché il diniego di autorizzazione da parte della Regione si era fondato esclusivamente sul diniego di VIA, cosicché, caduto quest'ultimo, la Regione era tenuta a pronunciarsi nuovamente.
4. Avverso questa pronuncia la Provincia di Ancona ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, per ottenere il rigetto integrale del ricorso originario.
Tra l'altro, la Provincia appellante ha censurato la decisione impugnata per non aver tenuto conto del fatto che relativamente al giudizio di compatibilità ambientale sussisterebbe una «riserva di amministrazione», che non poteva essere lesa da un provvedimento - interno allo Stato membro - che conducesse a una esenzione generalizzata di una determinata categoria di impianti; tale riserva era stata esercitata esprimendo, con riferimento all'impianto in questione, un giudizio negativo di compatibilità ambientale in osservanza dei principi della precauzione e dell'azione preventiva ex art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (breviter TFUE), che non poteva essere superato da una valutazione positiva ex post.
Con riferimento a quest'ultima censura, l'appellante, in via subordinata, ha proposto la seguente questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE: «se osti al diritto dell'Unione europea - ed in particolare agli artt. 1 e 2 nonché 3 e 4 ed ancora da 5 a 10 della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 "concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati" ed ancora all'art. 191 del TFUE - una soluzione interpretativa della norma interna (nonostante, nel caso concreto, il giudizio negativo di compatibilità ambientale già intervenuto) che consenta allo Stato membro di ritenere acquisita in via postuma la valutazione di impatto ambientale, in presenza di un sopravvenuto regime normativo interno di esenzione generalizzata per soglie, pur in presenza di una valutazione amministrativa resa dall'Autorità competente dello Stato membro medesimo recante il "giudizio negativo di compatibilità ambientale"».
Si è costituita la Green Farm, resistendo all'appello avversario. La Regione Marche non si è costituita nel giudizio di appello.
5. Con sentenza del 24 ottobre 2022 il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello a spese compensate.
Il Consiglio di Stato ha osservato che:
a) non era contestato che l'impianto in esame fosse di potenza nominale inferiore a 1 MW e che, quindi, sulla base dei criteri introdotti dal d.m. del 30 marzo 2015, fosse esentato dalla VIA;
b) la sopravvenienza normativa, in relazione a quegli interventi che in applicazione dei predetti criteri risultavano esenti dalla sottoposizione all'esame di VIA, si traduceva in una esclusione ex ante della sottoposizione al giudizio di compatibilità ambientale, con l'effetto di impedire la prosecuzione del procedimento di screening già in essere;
c) nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica Amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendosi ritenere l'assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio;
d) la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato a istanza di parte doveva essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato;
e) non era ravvisabile alcun contrasto con il giudicato formatosi per effetto della sentenza n. 4729 del 22 settembre 2014 del Consiglio di Stato, superato dalla sopravvenienza normativa introduttiva dell'esenzione per soglie, applicabile al caso di specie.
Il Consiglio di Stato ha esaminato specificamente (cfr. § 10, sino a § 10.3, della sentenza impugnata) anche la richiesta di rinvio pregiudiziale proposta dalla Provincia e ha osservato al proposito che la questione era irrilevante per la soluzione della controversia, considerato che gli effetti della sopravvenienza normativa, che, in applicazione del principio tempus regit actum, incidono sul procedimento amministrativo in essere, non implicano l'acquisizione di una VIA postuma, bensì conducono esclusivamente ad omettere in toto l'esperimento di tale procedimento ai fini del rilascio dell'autorizzazione; ha aggiunto inoltre, alla luce della teoria dell'atto chiaro, valida anche in mancanza di una stretta identità delle questioni controverse, che la Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza del 28 febbraio 2018 nella causa C-117/17, aveva ritenuto legittima - a determinate condizioni - la sottoposizione a una verifica preliminare di assoggettabilità a VIA relativamente a un impianto, già realizzato, inizialmente non sottoposto a tale esame in virtù di disposizioni nazionali successivamente dichiarate incompatibili con la normativa europea. In tal modo, la Corte europea, nell'ammettere un esame postumo rispetto a un impianto già portato ad esecuzione, aveva confermato che, nell'ambito del procedimento autorizzativo, e in particolare del procedimento di valutazione di impatto ambientale, assumono rilevanza le modifiche normative sopraggiunte, al pari di quanto affermato ai fini della soluzione del caso di specie.
6. Avverso la predetta sentenza con atto notificato il 24 aprile 2023 ha proposto ricorso per cassazione la Provincia di Ancona con il corredo di cinque motivi.
6.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge, rilevante ex art. 362 c.p.c., art. 111, comma 8, Cost., in quanto determinante di un conseguente diniego di giurisdizione, in relazione all'art. 267 TFUE e quindi all'art. 117 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata violerebbe sotto molteplici profili l'obbligo di remissione della questione interpretativa alla Corte di giustizia europea, così come sussistente in capo all'autorità giurisdizionale di ultima istanza.
6.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge rilevante ex art. 362 c.p.c., art. 111, comma 8, Cost., in quanto determinante di un conseguente diniego di giurisdizione, in relazione all'art. 267 TFUE e quindi all'art. 117 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata dichiara inammissibile, in quanto irrilevante, la questione interpretativa alla Corte di giustizia europea così come sussistente in capo all'autorità giurisdizionale di ultima istanza.
6.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge, rilevante ex art. 362 c.p.c., art. 111, comma 8, Cost., in quanto determinante di un conseguente diniego di giurisdizione, in relazione all'art. 267 TFUE e quindi all'art. 117 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata dichiara inammissibile, in ravvisata applicabilità alla fattispecie in esame dei presupposti della c.d. «teoria dell'atto chiaro», la questione interpretativa alla Corte di giustizia europea, così come sussistente in capo all'autorità giurisdizionale di ultima istanza.
6.4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge, rilevante ex art. 362 c.p.c., art. 111, comma 8, Cost., in relazione all'art. 267 TFUE e quindi all'art. 117 Cost., in quanto preclusiva dell'accesso alla giurisdizione, nella parte in cui la sentenza impugnata omette di pronunciare in senso corrispondente al quesito interpretativo sottoposto dalla parte ricorrente.
6.5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ulteriore e conseguente violazione di legge, rilevante ex art. 362 c.p.c., art. 111, comma 8, Cost., in quanto preclusiva dell'accesso alla giurisdizione dell'art. 267 TFUE nonché quindi dell'art. 117 Cost., nella parte in cui la sentenza impugnata omette di pronunciare in senso corrispondente al quesito interpretativo sottoposto dalla parte odierna ricorrente.
7. Green Farm ha chiesto con controricorso di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso avversario.
Ha proposto altresì controricorso la Regione Marche, chiedendo anch'essa di dichiarare inammissibile o infondato il ricorso.
8. Con provvedimento del 25 settembre 2023, debitamente comunicato, la Prima Presidente ha proposto la definizione anticipata del giudizio ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. con la seguente motivazione: «ritenuto che il ricorso si appalesa inammissibile giacché, pur prospettando un eccesso di potere giurisdizionale con riguardo al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e alla ipotizzata violazione del diritto euro-unitario, si risolve nella contestazione dell'esercizio del potere giurisdizionale in modo illegittimo, cioè nella deduzione di errores in iudicando incensurabili in sede di legittimità, in quanto inerenti ai limiti interni alla giurisdizione amministrativa, ex art. 111, comma 8, Cost. (cfr. Sez. un., n. 1996/2022), tanto più che il Consiglio di Stato ha specificamente motivato sulla questione della applicabilità (e compatibilità con il diritto della UE della applicazione) della normativa sopravvenuta di esenzione dalla VIA; propone la definizione del ricorso ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c.».
9. Con rituale e tempestiva istanza ex art. 380-bis c.p.c. del 6 novembre 2023, corredata da nuova procura speciale, la Provincia di Ancona ha chiesto di decidere il ricorso, in pubblica udienza, osservando che la perentoria affermazione della proposta non era condivisibile, poiché oggetto di censura nei mezzi di impugnazione formulati non era già la violazione delle norme regolatrici della concreta fattispecie di legittimità devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, bensì la violazione delle norme che regolano l'accesso alla procedura ex art. 267 TFUE ai fini della sottoposizione alla Corte di giustizia della questione interpretativa inerente la disciplina di diritto UE in tema di valutazione di impatto ambientale.
Secondo la Provincia di Ancona, il diniego di accesso a tale procedura ex art. 267 TFUE è suscettibile di configurare diniego di giurisdizione, allorquando, come nel caso concreto, venga in esame l'applicazione delle disposizioni che definiscono la portata dell'obbligo, per i giudici di ultima istanza, di sollevare la questione.
Inoltre - sempre secondo la Provincia di Ancona - la sottrazione alla Corte Suprema della possibilità di sindacare il corretto esercizio dei presupposti di accesso alla giurisdizione della Corte di giustizia, sia pure nei limiti consentiti dal TFUE e dall'insegnamento della medesima CGUE, implicherebbe una grave e inspiegabile lesione delle prerogative di sindacato della Corte di cassazione sulle regole di giurisdizione.
Infine l'istante ha ricordato che la sussistenza dell'obbligo per i giudici di ultima istanza di sollevare la questione è stabilita dall'art. 267 TFUE, salva la ricorrenza delle ipotesi indicate dalla nota sentenza della CGUE, del 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit, in cui tali giudici non sono tenuti a sottoporre alla Corte una questione d'interpretazione delle norme dell'Unione, pur potendolo comunque fare (CGUE, 11 settembre 2008, da C-428/06 a C-434/06, UGT-Rioja; 2 aprile 2009, C-260/07, Pedro IV Servicios).
10. Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative. In particolare, la parte ricorrente ha sollecitato altresì la discussione del ricorso in pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
11. La richiesta di parte ricorrente di fissazione di trattazione del ricorso in pubblica udienza ex art. 375 c.p.c. va disattesa poiché, come si vedrà, le questioni di diritto proposte dal ricorso sono state già ampiamente scrutinate dalla giurisprudenza di queste Sezioni unite.
12. Tutti i motivi di ricorso attengono, sotto vari profili, alla prospettazione di un eccesso di potere giurisdizionale in cui sarebbe incorso il Consiglio di Stato con riguardo al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e alla ipotizzata violazione del diritto euro-unitario.
12.1. Più in particolare, con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'insegnamento della Corte di giustizia europea formato con la celebre decisione «Cilfit» (C-283/81) e ribadito dalla successiva pronuncia «Consorzio Italiano Management» (C-561/91) del 6 ottobre 2021.
La ricorrente ravvisa un diniego dell'ammissione alla tutela giurisdizionale costituita dal sindacato della Corte di giustizia, così come consentito (e, peraltro, imposto) dall'art. 267 del TFUE, perché:
a) la questione era senz'altro rilevante rispetto al caso da decidere, trattandosi, infatti, di stabilire se e in quali termini sia possibile ritenere il diritto interno compatibile con quello della UE nella parte in cui si pretende di privare di rilevanza l'accertamento amministrativo di negazione della compatibilità ambientale al ricorrere della esenzione di soglia;
b) la questione, lungi dall'essere stata già decisa in modo inequivoco dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, era stata esaminata in senso favorevole alla prospettazione della odierna parte ricorrente, allorquando la CGUE aveva stabilito che il sistema di esenzione per soglie deve comunque consentire la valutazione dell'impatto che l'impianto ha presentato (o presenta) per l'ambiente;
c) la medesima questione, nel senso di confermare il difetto del requisito dell'atto chiaro (acte clair) e ben lungi dall'essere risolvibile sulla base della dottrina dell'atto chiaro, era stata già oggetto di cognizione della Corte costituzionale italiana, che aveva rilevato come la legislazione della Regione Marche si ponesse appunto in violazione del diritto UE.
12.2. Con il secondo motivo la ricorrente contesta la valutazione di irrilevanza opposta dal Consiglio di Stato, considerata un mero espediente retorico, perché sarebbe proprio l'effetto della «sopravvenienza normativa» quello di «omettere in toto l'esperimento di tale procedimento ai fini del rilascio dell'autorizzazione», allorquando l'autorità amministrativa competente ha comunque condotto l'accertamento ed il medesimo ha dato esito negativo. In tal modo il Consiglio di Stato aveva mostrato di avere ben chiaro che oggetto dello scrutinio era proprio la compatibilità della «sopravvenienza normativa» con il diritto della UE.
12.3. Con il terzo motivo la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sottovaluta le indicazioni della pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea del 28 febbraio 2018 (nella causa C-117/17). Infatti, sarebbe proprio la stessa sentenza impugnata a ricordare che la pronuncia della Corte di giustizia ha ritenuto legittima - ma solo a «determinate condizioni» - la sottoposizione a una verifica preliminare di assoggettabilità a VIA di un impianto già realizzato, inizialmente non sottoposto a tale esame in virtù di disposizioni nazionali successivamente dichiarate incompatibili con la normativa europea. La sentenza conclude che in tal modo «la Corte, nell'ammettere un esame postumo rispetto ad un impianto già portato ad esecuzione, ha confermato che, nell'ambito del procedimento autorizzativo e in particolare del procedimento di valutazione di impatto ambientale, assumono rilevanza le modifiche normative sopraggiunte, al pari di quanto, del resto, è stato affermato ai fini della soluzione del caso di specie».
La sentenza impugnata peraltro trascurerebbe il fatto che tra le «determinate condizioni» di cui alla pronuncia della Corte di giustizia UE richiamata (che legittimano la rilevanza delle «sopravvenienze normative») ci sia che non debbano sussistere pregiudizi significativi all'ambiente.
12.4. Con il quarto motivo la ricorrente contesta di aver modificato la questione interpretativa precedentemente sollevata, come ipotizzato dal Consiglio di Stato, e con il quinto, consequenziale, lamenta che la sentenza impugnata abbia omesso di pronunciare in senso corrispondente al quesito interpretativo sottoposto.
13. I primi tre motivi appaiono inammissibili, così come opinato nella proposta di decisione anticipata, perché essi, pur apparentemente volti a prospettare un eccesso di potere giurisdizionale con riguardo al mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE e alla ipotizzata violazione del diritto dell'Unione, si risolvono nella contestazione dell'esercizio del potere giurisdizionale in modo illegittimo, cioè nella deduzione di errores in iudicando incensurabili in sede di legittimità, in quanto inerenti ai limiti interni alla giurisdizione amministrativa, poiché l'art. 111, comma 8, della Costituzione, come è noto, consente il ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti la giurisdizione.
14. Infatti, secondo i principi scanditi dalla giurisprudenza di questa Corte, non è sindacabile sotto il profilo della violazione del limite esterno della giurisdizione la decisione con la quale il Consiglio di Stato abbia motivatamente escluso la necessità di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
L'insindacabilità, da parte della Corte di cassazione a Sezioni unite, per eccesso di potere giurisdizionale, ai sensi dell'art. 111, comma, 8 Cost., delle sentenze del Consiglio di Stato pronunciate in violazione del diritto dell'Unione europea, non si pone poi in contrasto con gli artt. 52, par. 1, e 47 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea, in quanto l'ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l'accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all'esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione; costituisce, quindi, ipotesi estranea al perimetro del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione la denuncia di un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dallo stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della CGUE, risultando coerente con il diritto dell'Unione la riferita interpretazione in senso riduttivo degli art. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1, e 362, comma 1, c.p.c.
Il diritto dell'Unione, come interpretato della giurisprudenza costituzionale ed europea, è ispirato a esigenze di limitazione delle impugnazioni e ai principi del giusto processo, idoneo a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l'individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall'Unione (in questo senso, fra le altre: Sez. un., n. 21641 del 28 luglio 2021; Sez. un., n. 25503 del 30 agosto 2022; Sez. un., n. 1996 del 24 gennaio 2022).
15. In proposito si è espressa chiaramente la Corte costituzionale con la sentenza del 24 gennaio 2018, n. 6, secondo la quale la tesi che il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, previsto dall'ottavo comma dell'art. 111 Cost. avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, comprenda anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando non può qualificarsi come una interpretazione evolutiva, poiché non è compatibile con la lettera e lo spirito della norma costituzionale. Deve così considerarsi inammissibile ogni interpretazione che consenta una più o meno completa assimilazione del ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per «motivi inerenti alla giurisdizione» con il ricorso per cassazione per violazione di legge.
L'intervento delle Sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno può essere giustificato dalla violazione di norme dell'Unione o della CEDU e l'«eccesso di potere giudiziario» va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, configurabili solo quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all'amministrazione (cosiddetta «invasione» o «sconfinamento»), ovvero, al contrario, la neghi sull'erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto «arretramento»); nonché a quelle di difetto relativo di giurisdizione. Il concetto di controllo di giurisdizione, così delineato, non ammette soluzioni intermedie, secondo cui la lettura estensiva dovrebbe essere limitata ai casi di sentenze «abnormi» o «anomale» ovvero di uno «stravolgimento», a volte definito radicale, delle «norme di riferimento», perché attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive.
16. Il predetto orientamento trae ulteriore e decisivo conforto dalla decisione della Corte di giustizia dell'Unione europea, Grande Sezione, 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad Italia, secondo la quale non osta al diritto dell'Unione, sotto il profilo della garanzia di una tutela effettiva ed equivalente rispetto alle posizioni soggettive garantite dal diritto interno, una normativa nazionale che impedisce di contestare davanti alla Corte di cassazione la conformità al diritto europeo di una sentenza del giudice amministrativo di ultimo grado.
Infatti l'art. 4, par. 3, e l'art. 19, par. 1, TUE, nonché l'art. 1, par. 1 e 3, della direttiva 89/665/CEE, letto alla luce dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, non ostano a una disposizione del diritto interno di uno Stato membro che, secondo la giurisprudenza nazionale, produce l'effetto che i singoli non possono contestare la conformità al diritto dell'Unione di una sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa di tale Stato membro nell'ambito di un ricorso dinanzi all'organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro. Fatta salva l'esistenza di norme dell'Unione in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro, in forza del principio dell'autonomia procedurale, stabilire le modalità processuali dei rimedi giurisdizionali, a condizione che tali modalità, nelle situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'Unione (principio di effettività).
17. All'indomani della sentenza «Randstad» questa Corte ha precisato che il ricorso per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione è ammissibile nei casi di difetto assoluto e relativo di giurisdizione e, quindi, non può estendersi al sindacato di sentenze abnormi o anomale o che abbiano stravolto le norme di riferimento, neppure se direttamente applicative del diritto UE, né può essere accolta la richiesta di rimettere alla Corte di giustizia UE questioni volte a fare emergere errori in cui sia incorso il Consiglio di Stato nell'interpretazione e applicazione di disposizioni di diritto interno applicative del diritto UE, non attenendo queste a motivi di giurisdizione (Sez. un., n. 1454 del 18 gennaio 2022).
In motivazione è stato allora chiarito che il contrasto delle decisioni giurisdizionali del Consiglio di Stato con il diritto europeo non integra, di per sé, l'eccesso di potere giurisdizionale denunziabile ai sensi dell'art. 111, comma 8, Cost., atteso che anche la violazione delle norme dell'Unione europea o della CEDU dà luogo ad un motivo di illegittimità, sia pure particolarmente qualificata, che si sottrae al controllo di giurisdizione della Corte di cassazione, né può essere attribuita rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio (Sez. un., n. 29085/2019; nello stesso senso, Sez. un., n. 6460/2020). Con l'ulteriore precisazione che la non sindacabilità, da parte della Corte di cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., delle violazioni del diritto dell'Unione europea ascrivibili alle sentenze pronunciate dagli organi di vertice delle magistrature speciali (nella specie, il Consiglio di Stato) è compatibile con il diritto dell'Unione, come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale ed europea, in quanto correttamente ispirato ad esigenze di limitazione delle impugnazioni, oltre che conforme ai principi del giusto processo ed idoneo a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, tenuto conto che è rimessa ai singoli Stati l'individuazione degli strumenti processuali per assicurare tutela ai diritti riconosciuti dall'Unione (cfr. Sez. un., n. 32622/2018).
Le successive ordinanze delle Sezioni unite n. 1996 del 24 gennaio 2022 e n. 25503 del 30 agosto 2022 hanno ripetuto questi principi e negato la sussistenza di un contrasto con gli artt. 52, par. 1, e 47 della Carta fondamentale dei diritti dell'Unione europea, in quanto l'ordinamento processuale italiano garantisce comunque ai singoli l'accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, come quello amministrativo, non prevedendo alcuna limitazione all'esercizio, dinanzi a tale giudice, dei diritti conferiti dall'ordinamento dell'Unione; costituisce, quindi, ipotesi estranea al perimetro del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione la denuncia di un diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dallo stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della CGUE, risultando coerente con il diritto dell'Unione la riferita interpretazione in senso riduttivo degli artt. 111, comma 8, Cost., 360, comma 1, n. 1, e 362, comma 1, c.p.c.
Il ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione non comprende, dunque, anche il sindacato su errores in procedendo o in iudicando, il cui accertamento attiene invece ai limiti interni della giurisdizione.
18. I tre primi motivi non offrono valide ragioni per mutare questo fermo indirizzo, recentemente ancora riconfermato da numerose successive pronunce di queste Sezioni unite (nn. 11547 e 11549 dell'8 maggio 2022; n. 36044 del 7 dicembre 2022; n. 9861 del 13 aprile 2023; n. 9988 del 14 aprile 2023; n. 11444 del 2 maggio 2023; n. 29105 del 19 ottobre 2023; n. 34483 dell'11 dicembre 2023; n. 3763 del 12 febbraio 2024), posto che i mezzi in questione denunciano sotto diversi profili l'errore di giudizio in cui i supremi giudici amministrativi sarebbero incorsi nell'applicare la giurisprudenza europea «Cilfit», nel valutare la rilevanza della questione e nell'applicare la teoria dell'atto chiaro. Poiché il Consiglio di Stato ha esaminato in modo specifico la questione pregiudiziale interpretativa che gli era stata sottoposta e ha ritenuto, tra l'altro motivando ampiamente nel rispetto dei «criteri CILFIT», che essa non fosse rilevante ai fini del decidere e che comunque il diritto europeo, così come interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, fornisse una risposta chiara, appare evidente che nella fattispecie, a tutto concedere, potrebbe essere ravvisato un insindacabile errore nel giudicare (perché in ipotesi la risposta, secondo la ricorrente, avrebbe dovuto essere diversa), ma non una violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale.
19. Il quarto motivo incorre nelle stesse obiezioni, quand'anche fosse vero quanto afferma la ricorrente e cioè che la richiesta di rinvio pregiudiziale era rimasta sempre la stessa e non era stata variata in sede di discussione orale, come invece si assume nella sentenza impugnata nel § 11, allorché viene affermato «parte appellante, nel corso dell'odierna udienza di discussione, sembrerebbe aver sollevato oralmente una questione differente da quella precedentemente formulata ex actis, peraltro omettendo di chiedere la relativa verbalizzazione, in particolare volta a sindacare la compatibilità con la normativa europea del d.m. del 30 marzo 2015 e del relativo sistema di esenzione per soglie».
In primo luogo, il Consiglio di Stato si riferisce al tenore della discussione orale non verbalizzata e la ricorrente non fornisce alcun elemento che smentisca l'affermazione circa la sua condotta in sede di discussione orale.
Appaiono comunque dirimenti, da un lato, il rilievo che la censura non attiene alla giurisdizione, ma semmai al contenuto della domanda e a un presunto error in procedendo, e, dall'altro e soprattutto, il fatto che, stando alla stessa ricorrente, sulla questione effettivamente proposta, rimasta immutata, vi è stata pertinente risposta da parte del Consiglio di Stato.
20. Il quinto motivo non ha autonoma consistenza e ha natura meramente consequenziale. Cade, quindi, con il cadere degli altri motivi.
21. La memoria illustrativa depositata da parte ricorrente non offre validi argomenti per opinare diversamente.
La Provincia ricorrente sostiene che nel caso di specie il Consiglio di Stato avrebbe negato la giurisdizione della Corte di giustizia europea, apertamente disapplicando i criteri che governano l'accesso a quella giurisdizione, invadendo l'ambito di giurisdizione riservata alla Corte di giustizia europea, violando i criteri di obbligatorietà della remissione ex art. 267 TFUE, pietra angolare dell'unità dell'ordinamento europeo e della primazia del diritto dell'Unione (sentenza CGUE, 6 ottobre 1982, C-283/81, Cilfit, ma anche CGUE, 11 settembre 2008, da C-428/06 a C-434/06, UGT-Rioja; CGUE 2 aprile 2009, C-260/07, Pedro IV Servicios).
L'assunto è manifestamente infondato: la sentenza impugnata ha fatto puntuale riferimento a due dei tre criteri Cilfit e li ha applicati alla fattispecie concreta, affermando, da un canto, che la questione pregiudiziale interpretativa era irrilevante agli effetti della decisione, e, dall'altro, che il diritto europeo, sì come interpretato dalla Corte di giustizia, forniva una risposta chiara ed univoca.
Così facendo, i supremi giudici amministrativi non hanno affatto disconosciuto la giurisdizione della Corte di giustizia dell'Unione europea e hanno mostrato di volersi conformare alle sue indicazioni.
Quel che contesta la Provincia di Ancona è il risultato di tale operazione e l'errore di giudizio asseritamente compiuto: il che, come più volte evidenziato, è censura non attinente ai limiti esterni della giurisdizione.
La ricorrente sostiene altresì che il tema non sarebbe quello della legittimità del sistema delle soglie - in ragione del quale il mancato superamento della soglia rilevante esonera (con evidente effetto di semplificazione amministrativa) dal procedimento di valutazione di impatto ambientale - bensì quello diverso di impedire all'Amministrazione, titolare del potere amministrativo di valutazione di impatto ambientale, di giudicare l'insediamento carente di compatibilità ambientale, anche qualora il sistema delle soglie collochi l'insediamento medesimo al di sotto della soglia di rilevanza.
Tesi questa - non condivisa dai giudici amministrativi - che attiene al merito della controversia e non ai limiti esterni della giurisdizione.
22. La ricorrente insiste ancora nel richiamare la pronuncia della Corte costituzionale n. 93 del 22 maggio 2013, che non appare per nulla pertinente al tema del decidere, anche senza considerare il fatto che la disciplina regionale marchigiana, colpita dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale su ricorso del Governo, riguardava il mancato allineamento della regolamentazione dell'esenzione per soglie dalla necessità della valutazione di impatto ambientale ai criteri generali fissati dalla direttiva euro-unitaria e non il sistema delle soglie in sé, del resto poi adottato anche a livello nazionale.
23. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo, a carico della ricorrente e in favore delle parti controricorrenti, che hanno entrambe resistito al ricorso.
24. Ai sensi dell'art. 380-bis, comma 3, c.p.c., se la parte ha chiesto la decisione dopo la comunicazione della proposta di definizione anticipata e la Corte definisce il giudizio in conformità alla proposta, debbono trovare applicazione il terzo e il quarto comma dell'art. 96 c.p.c.
Secondo questa Corte, la novità normativa [introdotta dall'art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall'art. 52, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 149/2022] contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96, quarto comma).
Risulta così «codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale, tant'è che la opzione interpretativa, sulla disciplina intertemporale, ne ha fatto applicazione - in deroga alla previsione generale contenuta nell'art. 35, comma 1, del d.lgs. n. 149/2022 - ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio; anche ai fini della reattività ordinamentale, l'istituto integra il corredo di incentivi e di fattori di dissuasione contenuto nella norma in esame (che sono finalizzati a rimarcare, come chiarito nella relazione illustrativa al d.lgs. n. 149/2022, la limitatezza della risorsa giustizia, essendo giustificato che colui che abbia contribuito a dissiparla, nonostante una prima delibazione negativa, sostenga un costo aggiuntivo)» (Sez. un., n. 28540 del 13 ottobre 2023; n. 27433 del 27 settembre 2023; n. 27195 del 22 settembre 2023; n. 28619 del 13 ottobre 2023; n. 37069 del 27 dicembre 2023; n. 3727 del 9 febbraio 2024; n. 3763 del 12 febbraio 2024).
Se pur di siffatta ipotesi di abuso, già immanente nel sistema processuale, va esclusa una interpretazione che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, sicché l'applicazione in concreto delle predette sanzioni deve rimanere affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso di specie (Sez. un., n. 36069 del 27 dicembre 2023), nondimeno nell'ipotesi in esame non si rinviene alcuna ragione per discostarsi dalla suddetta previsione legale: è evidente la complessiva piena «tenuta» del sintetico provvedimento di proposta di definizione anticipata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l'inammissibilità del ricorso, tenuto conto anche del fatto che il provvedimento ha puntualmente messo in risalto anche che il Consiglio di Stato aveva specificamente motivato in ordine alla compatibilità con il diritto dell'Unione della normativa sopravvenuta.
La ricorrente deve quindi essere condannata al pagamento, a favore di entrambe le controparti, ex art. 96, comma 3, c.p.c., di una somma equitativamente determinata in misura pari alla metà dell'importo delle spese processuali nonché, ex art. 96, comma 4, c.p.c., al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma pari ad euro 1.500,00.
25. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore delle controricorrenti, liquidate per ciascuna di esse nella somma di euro 4.000,00 per compensi, euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, nonché al pagamento in favore di ciascuna controricorrente della somma di euro 2.000,00 ex art. 96, comma 3, c.p.c.; condanna altresì la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma pari ad euro 1.500,00 ex art. 96, comma 4, c.p.c.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.