Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione IV
Sentenza 18 giugno 2024, n. 1857

Presidente: Nunziata - Estensore: De Vita

FATTO

Con ricorso notificato in data 22 novembre 2019 e depositato il 20 dicembre successivo, il ricorrente ha impugnato il provvedimento emesso dalla Questura della Provincia di Milano in data 25 ottobre 2019, prot. n. [omissis], con cui gli è stato revocato il permesso per soggiornanti di lungo periodo U.E. n. [omissis] già in suo possesso.

Il ricorrente, cittadino egiziano e titolare del permesso di soggiorno di lungo periodo n. [omissis], ha ricevuto dalla Questura di Milano in data 26 agosto 2019 l'avviso di avvio del procedimento di revoca del predetto permesso di soggiorno di lungo periodo, poiché l'Ufficio di Polizia di frontiera presso lo scalo aereo di Orio al Serio (BG) ha segnalato che il predetto straniero è risultato assente dal territorio dell'Unione europea dal 5 maggio 2018 al 30 giugno 2019. Il ricorrente ha presentato delle memorie difensive che, tuttavia, non sono state ritenute valutabili positivamente dalla Questura, in quanto non sarebbe stata dimostrata, con idonea documentazione tradotta e legalizzata, un'assenza dal territorio dell'Unione europea inferiore ai dodici mesi consecutivi; in ragione di ciò, in data 25 ottobre 2019, è stato adottato il provvedimento di revoca del permesso per soggiornanti di lungo periodo già in possesso del cittadino straniero.

Assumendo l'illegittimità del predetto provvedimento di revoca, il ricorrente ne ha chiesto l'annullamento per violazione degli artt. 8 e 13, comma 4, del d.P.R. n. 394 del 1999 e dell'art. 9, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, per carenza di istruttoria e conseguente difetto ed illogicità della motivazione e per violazione dell'art. 6, comma 1, lett. b), della l. n. 241 del 1990.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell'interno, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Con l'ordinanza n. 76/2020 è stata respinta la domanda di sospensione cautelare proposta con il ricorso indicato in epigrafe.

In prossimità dell'udienza di trattazione del merito della controversia, la difesa erariale ha depositato una nota della Questura di Milano con cui è stato segnalato che, in data 24 maggio 2022, è stato rilasciato al ricorrente un permesso di soggiorno ordinario per motivi di lavoro subordinato con scadenza al 19 aprile 2024.

All'udienza di smaltimento del 6 giugno 2024, svoltasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, il Collegio, preso atto dell'istanza di passaggio in decisione della causa sugli scritti e senza discussione formulata dalla difesa erariale e udito il difensore della parte ricorrente, ha trattenuto in decisione la controversia.

DIRITTO

1. In via preliminare, deve rilevarsi come non determini l'improcedibilità del ricorso la circostanza che il ricorrente abbia ottenuto, nelle more della decisione della presente controversia, un permesso di soggiorno ordinario per motivi di lavoro subordinato, poiché il permesso di soggiorno di lungo periodo, revocato con il provvedimento oggetto di scrutinio attraverso il presente giudizio, ha una validità illimitata e quindi risulta maggiormente satisfattivo per la parte ricorrente, garantendo una utilità qualitativamente più rilevante rispetto al permesso ordinario, con la conseguenza che deve procedersi a uno scrutinio nel merito del gravame incardinato nella presente sede.

2. Passando all'esame del merito del ricorso, lo stesso è fondato.

3. Con le due doglianze del ricorso, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connesse, si assume che la Questura nel revocare il permesso di soggiorno di lungo periodo in possesso del ricorrente non avrebbe considerato le effettive circostanze che avrebbero costretto il predetto soggetto a permanere fuori dal territorio nazionale per un periodo di poco più di un anno e soprattutto non avrebbe considerato le sue condizioni di salute in quanto soggetto sordomuto; inoltre la mancata traduzione e legalizzazione della documentazione prodotta a giustificazione dell'assenza dal territorio nazionale da parte del ricorrente avrebbe imposto all'Amministrazione di intervenire con un soccorso istruttorio al fine di verificare l'attendibilità di tale documentazione.

3.1. Le censure sono complessivamente fondate.

Il ricorrente è stato assente dal territorio nazionale nel periodo che va dal 5 maggio 2018 al 30 giugno 2019 e ciò ha determinato nei suoi confronti l'applicazione della disposizione di cui all'art. 9, comma 7, lett. d), del d.lgs. n. 286 del 1998, secondo la quale "il permesso di soggiorno di cui al comma 1 [ovvero il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo] è revocato (...) in caso di assenza dal territorio dell'Unione per un periodo di dodici mesi consecutivi".

Il ricorrente assume di aver dovuto permanere in Egitto per un lungo periodo a causa di sopravvenute necessità di cura, legate alla grave patologia di cui soffre. A dimostrazione di tali asserzioni, il ricorrente ha prodotto in sede procedimentale della documentazione, tra cui una certificazione medica, attestante i gravi motivi di salute, che tuttavia la Questura non ha ritenuto valida ai fini istruttori, in quanto non tradotta e legalizzata.

La Questura, ritenendo inderogabile il termine annuale massima indicato dall'art. 9, comma 7, lett. d), del d.lgs. n. 286 del 1998, ha revocato il permesso di soggiorno di lungo periodo di cui il ricorrente era titolare.

Tuttavia, secondo un orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio aderisce, una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina relativa al permesso di soggiorno di lungo periodo, che tenga conto del principio di eguaglianza sostanziale e della logica inclusiva che caratterizza lo statuto dello straniero, nonché l'inammissibilità di automatismi ostativi ove vengano in rilievo i diritti fondamentali dell'uomo, impone di consentire allo straniero la giustificazione dell'assenza prolungata dal territorio dello Stato anche nell'ipotesi della revoca del permesso di soggiorno U.E. per soggiornanti di lungo periodo (T.A.R. Lombardia, Milano, III, 3 maggio 2021, n. 1109; anche, T.A.R. Veneto, III, 11 marzo 2024, n. 455; T.A.R. Lombardia, Brescia, II, 12 gennaio 2024, n. 18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, 25 agosto 2020, n. 1602; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, I, 5 dicembre 2017, n. 805); difatti, mutuando i principi applicabili in materia di rinnovo del permesso di soggiorno, la sussistenza di gravi e comprovati motivi consente certamente di confermare la validità del titolo di soggiorno, anche quando si è verificata un'interruzione della permanenza in Italia per un periodo continuativo, in ossequio al disposto di cui all'art. 9, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 12 luglio 2017, n. 911; anche, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 3 dicembre 2013, n. 2663; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, I, 7 settembre 2011, n. 228).

Quindi, sulla scorta di tale interpretazione, l'assenza dello straniero dal territorio nazionale per oltre un anno non può essere considerata automaticamente ostativa alla conservazione del titolo di soggiorno di lungo periodo, ma impone all'Amministrazione di valutare le specifiche circostanze che hanno determinato tale assenza, ove le stesse siano debitamente rappresentate dall'interessato, il quale deve farsi parte attiva sotto tale profilo.

3.2. Nella specie, il ricorrente, in sede di interlocuzione procedimentale con l'Amministrazione, ha esibito la certificazione medica da cui emerge il suo precario stato di salute (cfr. allegati al ricorso); la Questura non ha preso in considerazione tale documentazione in quanto non risulta essere stata né tradotta, né legalizzata.

Tale condotta si pone in contrasto con l'orientamento del Giudice d'appello, secondo il quale, laddove la normativa impone di documentare i gravi motivi di salute ovvero gli altri gravi motivi, si richiede alla parte interessata di «comprovare un "fatto" idoneo ad integrare i "gravi motivi" impeditivi del rientro in Italia, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c. per cui "chi vuol far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento" e a tal fine, avrebbe potuto adoperarsi utilizzando ogni mezzo di prova, non esclusivamente mediante la produzione di un documento o certificazione. La prova dei fatti storici può essere fornita con ogni mezzo utile, offrendo elementi che secondo la disciplina delle prove nel nostro ordinamento, di cui al libro VI del titolo II del codice civile, sono idonei alla rappresentazione dei fatti (prove documentali, testimonianze, dichiarazioni confessorie, e anche indizi precisi, gravi e concordanti da cui desumere presunzioni semplici). Nel caso di specie il documento è stato esibito al solo fine di dimostrare un fatto storico da valutare nell'apprezzamento di una più complessa fattispecie, restando in tal caso l'Amministrazione libera di formare il proprio convincimento utilizzando qualsiasi circostanza atta a rendere verosimile un determinato assunto, come qualsiasi indizio, purché grave, preciso e concordante (cfr. in tema di disconoscimento della conformità all'originale di copie fotostatiche non autenticate di una scrittura, Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 2020, n. 8481). Il ricorrente, a seguito del preavviso di diniego giustificava la propria assenza fornendo, a supporto della versione dei fatti resa, la copia di un certificato medico redatto da un medico [residente e operante in Egitto]. Tale documentazione, non legalizzata secondo la procedura di cui all'art. 33 d.P.R. n. 445 del 2000, avrebbe potuto e dovuto essere considerato un indizio o principio di prova e l'amministrazione avrebbe dovuto attivarsi secondo le regole della leale collaborazione e dell'onere di completezza istruttoria di cui all'art. 6 l. n. 241 del 1990 per l'acquisizione del documento e di ogni utile chiarimento. Difatti, ai sensi dell'art. 6 l. n. 241 del 1990, il responsabile del procedimento è tenuto ad accertare d'ufficio i fatti allegati dall'istante adottando a tale scopo ogni misura per l'adeguato e sollecito svolgimento dell'istruttoria (c.d. soccorso istruttorio). In ossequio al fondamentale principio di adeguatezza e completezza dell'istruttoria procedimentale, l'amministrazione pubblica è obbligata ad accertare d'ufficio la corrispondenza al vero dei fatti posti alla sua attenzione, così da adeguarsi al canone costituzionale di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, e quindi all'esigenza che l'istruttoria che precede l'adozione dell'atto finale sia quanto più possibile esaustiva e rappresentativa della realtà, non opponendosi a ciò la possibilità che a simili accertamenti, ove necessario, si provveda anche prendendo in considerazione circostanze dalle quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 c.c.), tali da indurre a ritenere verosimile che determinati eventi si siano effettivamente verificati (C.d.S., Sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885)» (C.d.S., Sez. III, 16 settembre 2022, n. 8035).

3.3. Pertanto, incombendo sulla Questura il dovere di accertare la fondatezza delle ragioni addotte dal ricorrente a giustificazione della propria prolungata assenza dal territorio italiano - peraltro di poco superiore all'anno -, non essendo preclusa tale valutazione, deve dichiararsi l'illegittimità del provvedimento impugnato, facendosi obbligo all'Amministrazione procedente di rivalutare la posizione del ricorrente.

4. Alla fondatezza delle scrutinate censure consegue l'accoglimento del ricorso e l'annullamento dell'atto con lo stesso ricorso impugnato.

5. Le spese, in ragione delle peculiarità e della risalenza della controversia, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, annulla l'atto con lo stesso ricorso impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 9, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare le parti del giudizio.