Corte di cassazione
Sezione V penale
Sentenza 24 aprile 2024, n. 21177
Presidente: Miccoli - Estensore: Pistorelli
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Mantova ha applicato ai sensi dell'art. 444 c.p.p. a F. Alberto la pena da questi concordata con il pubblico ministero per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale, causazione dolosa del fallimento, bancarotta semplice patrimoniale e ricorso abusivo al credito.
2. Avverso la sentenza ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia deducendo inosservanza della legge penale. In tal senso il ricorrente lamenta che il G.i.p. ha illegittimamente ritenuto di non irrogare all'imputato le pene accessorie fallimentari sulla base di una prognosi positiva sulla sua futura astensione dall'avviare attività imprenditoriale, nonostante l'applicazione di tali sanzioni debba ritenersi obbligatoria e sottratta a qualsivoglia valutazione discrezionale del giudicante.
3. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria con la quale ha richiesto che il ricorso del Procuratore generale venga rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Secondo il consolidato orientamento formatosi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, evocato dal P.g. ricorrente, deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento c.d. "allargato" con cui si censuri l'omessa applicazione di una pena accessoria, ove questa debba essere obbligatoriamente disposta, a nulla rilevando che non se ne fosse fatta menzione nell'accordo, trattandosi di una statuizione non negoziabile tra le parti (ex multis Sez. 3, n. 30285 del 19 aprile 2021, Shtogaj, Rv. 281858). E ciò in quanto, per altrettanto consolidato insegnamento di questa Corte, nel caso di patteggiamento di una pena detentiva superiore ai due anni devono essere necessariamente applicate le pene accessorie obbligatorie per legge (ex multis Sez. 4, n. 28905 dell'11 giugno 2019, Orlandi, Rv. 276374-01).
2.1. L'art. 25, comma 1, lett. a), n. 1), del citato decreto ha però modificato il primo comma dell'art. 444 c.p.p., aggiungendovi un inedito secondo periodo per cui «L'imputato e il pubblico ministero possono altresì chiedere al giudice di non applicare le pene accessorie o di applicarle per una durata determinata, salvo quanto previsto dal comma 3-bis, e di non ordinare la confisca facoltativa o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato». In tal senso il legislatore delegato ha inteso dare attuazione al criterio di delega formulato nell'art. 1, comma 10, lett. a), n. 1), della l. 27 settembre 2021, n. 134, il quale espressamente aveva imposto di «prevedere che, quando la pena detentiva da applicare supera i due anni, l'accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alle pene accessorie e alla loro durata; prevedere che, in tutti i casi di applicazione della pena su richiesta, l'accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare».
2.2. Per come espressamente sottolineato nella relazione illustrativa allo schema del decreto legislativo menzionato, la finalità perseguita dalla riforma è indubbiamente quella di stimolare l'accesso al rito alternativo, consentendo alle parti di far rientrare nell'accordo anche le pene accessorie e la confisca facoltativa ed affermando così «la piena negoziabilità del trattamento sanzionatorio penale nel suo complesso considerato» (così Sez. un., n. 23400 del 27 gennaio 2022, Boccardo, Rv. 283191-01), dando seguito al precedente di identico segno rappresentato dall'art. 1, comma 4, lett. d), della l. 9 gennaio 2019, n. 3, che aveva introdotto nell'art. 444 c.p.p. l'inedito comma 3-bis (che, come già ricordato, è stato espressamente conservato dalle modifiche apportate dal decreto al comma 1 del citato art. 444), il quale, ancorché limitatamente ai procedimenti per i reati contro la pubblica amministrazione selezionati dalla norma, ha consentito all'imputato di subordinare la propria richiesta alla «esenzione» dalle pene accessorie previste dall'art. 317-bis c.p. ovvero all'estensione alle stesse della sospensione condizionale, ma con effetto vincolante per il giudice.
2.3. La novella non impone peraltro alle parti di estendere il patteggiamento alle pene accessorie ed alla confisca, ma attribuisce loro solo la facoltà di accordarsi in tal senso, con la conseguenza che, qualora le parti nulla abbiano previsto in proposito con il loro accordo, il giudice è tuttora tenuto ad applicare le pene accessorie obbligatorie, rimanendo conseguentemente ammissibile in tal caso il ricorso per cassazione finalizzato a censurare l'omessa applicazione delle suddette pene con la sentenza (Sez. 3, n. 4768 del 9 gennaio 2024, Blliku, Rv. 285748). Non di meno qualora le parti si siano accordate per l'esclusione delle pene accessorie ovvero sulla loro commisurazione, qualora il giudice ritenga in tale parte l'accordo non accoglibile, dovrà rigettare il patteggiamento nella sua interezza e non potrà limitarsi a recepirlo nella parte relativa alla pena principale negoziata.
3. Si pone dunque il problema di stabilire l'esatta estensione della disposizione introdotta dalla novella ed in particolare è necessario interrogarsi se l'ampliamento del potere negoziale delle parti riguarda tutte le pene accessorie ovvero solo quelle la cui applicazione è rimessa alla decisione del giudice. Interrogativo che sorge in ragione del fatto che la previsione dell'obbligo di applicare una determinata pena accessoria potrebbe ritenersi idoneo a ridimensionare l'ambito dell'inedito potere negoziale attribuito alle parti dalla riforma, alla luce del fatto che il novellato primo comma dell'art. 444 c.p.p. nulla specifica in merito.
Interrogativo che, secondo il Collegio, deve essere sciolto nel senso che rientra nel suddetto potere negoziale delle parti anche l'applicazione delle pene accessorie obbligatorie.
Infatti l'apparente ambiguità della nuova disposizione viene immediatamente dissolta dal confronto con un altro dato testuale ricavabile dallo stesso secondo periodo del primo comma dell'art. 444, nel quale la facoltà di negoziare con effetto vincolante per il giudice anche sull'an e sul quantum della confisca viene espressamente perimetrata alle ipotesi di confisca facoltativa. È dunque allora evidente che la mancata espressa limitazione in senso analogo dell'accordo sulle pene accessorie rivela l'intenzione del legislatore di consentire alle parti di accordarsi di escludere anche quelle che devono essere altrimenti disposte obbligatoriamente.
Conclusione che trova conferma sul piano sistematico dal confronto con l'art. 445, comma 1, c.p.p., il quale vieta l'applicazione delle pene accessorie in caso di patteggiamento ad una pena detentiva non superiore ai due anni e che per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità deve essere interpretato nel senso per cui il suddetto divieto riguarda anche le pene accessorie obbligatorie (Sez. 5, n. 10988 del 28 novembre 2019, dep. 2020, Agosta, Rv. 278882). In tal senso risulta allora evidente la simmetria della scelta legislativa, tesa a parificare, attraverso il ricorso a formule testuali identiche, l'effetto premiale nelle due forme di patteggiamento, nell'ottica dell'incentivazione del ricorso anche a quello c.d. "allargato".
4. Alla luce delle conclusioni raggiunte e fermo restando che le pene accessorie fallimentari hanno natura obbligatoria, come agevolmente si desume dal testo della disposizione, che non rimette in via ordinaria al giudicante alcuna scelta discrezionale sulla loro applicazione (Sez. 5, n. 288 del 30 novembre 2010, dep. 2011, Sorriso, Rv. 249503), deve rilevarsi come nel caso di specie l'imputato e il pubblico ministero hanno espressamente concordato di chiedere al giudice di non applicarle al F., avvalendosi della facoltà loro attribuita dall'art. 444, comma 1, c.p.p. Ed in tal senso, nel recepire il legittimo accordo stipulato dalle parti, ha doverosamente motivato sulle ragioni per cui ha ritenuto di accoglierlo anche in riferimento a tale punto. Trattandosi dunque di clausola sanzionatoria che ha legittimamente costituito oggetto del negozio processuale, ad alcuna delle parti è consentito proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza che tale negozio ha recepito, non ricorrendo, per le ragioni esposte, l'ipotesi di pena illegale per omissione paventata dal P.g. ricorrente.
5. Il ricorso deve dunque ritenersi inammissibile in quanto proposto fuori dai casi consentiti dall'art. 448, comma 2-bis, c.p.p., oltre a risultare manifestamente infondato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del procuratore generale.
Depositata il 29 maggio 2024.