Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Sezione V-bis
Sentenza 12 luglio 2024, n. 14165

Presidente: Rizzetto - Estensore: Verico

FATTO E DIRITTO

1. In data 10 febbraio 2015 il ricorrente ha presentato istanza volta ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della l. 91/1992.

Il Ministero dell'interno, previa comunicazione del preavviso di diniego ex art. 10-bis l. n. 241/1990, con decreto n. K10/[omissis] dell'11 ottobre 2018 ha respinto la domanda dell'istante ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l'interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza, motivando il diniego sulla base delle seguenti vicende penali emerse a suo carico:

- [omissis]: deferimento all'Autorità giudiziaria "per rifiuto dell'accertamento del tasso alcolemico";

- [omissis]: deferimento all'Autorità giudiziaria "per guida sotto l'effetto di alcool".

Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l'interessato, deducendone l'illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere per carenza della motivazione e difetto di istruttoria. Lamenta che gli elementi ostativi posti a fondamento del diniego non sono sufficienti a sostenere, sotto il profilo motivazionale, il diniego impugnato, atteso che il primo deferimento del [omissis] non ha avuto alcun seguito, mentre il secondo deferimento è esitato in un decreto penale di condanna a pena pecuniaria, prontamente pagata; rispetto a tale ultimo precedente penale, eccepisce altresì che si tratta di un fatto commesso ben oltre il decennio anteriore alla presentazione della domanda di cittadinanza, di lieve entità e, a seguito del quale, l'istante aveva prontamente intrapreso un percorso di riabilitazione per evitare l'abuso di alcool, frequentando appositi corsi. Assume, infine, che il diniego è affetto anche da un grave difetto di istruttoria, in quanto l'Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto in concreto della complessiva condotta del richiedente nell'arco dell'intero periodo di permanenza sul territorio nazionale, essendosi ormai compiutamente integrato nel tessuto economico e sociale, considerata al riguardo la regolarità dell'attività lavorativa svolta, la permanenza regolare in Italia e l'irreprensibilità della condotta del medesimo, fatta eccezione per l'unico precedente sopra indicato.

L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso in data 26 maggio 2024, depositando la documentazione inerente al procedimento nonché la relazione ministeriale.

All'udienza pubblica del 29 maggio 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto nei limiti che seguono.

Il Collegio reputa utile, in funzione dello scrutinio delle doglianze formulate nell'atto introduttivo del giudizio, una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all'Amministrazione in materia, all'interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento alla luce della giurisprudenza in materia, nonché dei precedenti dalla Sezione (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. V-bis, nn. 2943, 2944, 2945, 3018, 3471, 4280 e 5130 del 2022).

Ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), della l. n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana "può" essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.

L'utilizzo dell'espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue "una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale" (cfr., tra le tante, C.d.S., Sez. III, 23 luglio 2018, n. 4447).

Il conferimento dello status civitatis, cui è collegata una capacità giuridica speciale, si traduce in un apprezzamento di opportunità sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta (C.d.S., Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; 10 gennaio 2011, n. 52; T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, 18 aprile 2012, n. 3547).

L'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, 4 giugno 2013, n. 5565), atteso che, lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi, rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato-comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri.

In altri termini, il provvedimento di concessione della cittadinanza in esame «è atto squisitamente discrezionale di "alta amministrazione", condizionato all'esistenza di un interesse pubblico che con lo stesso atto si intende raggiungere e da uno status illesae dignitatis (morale e civile) di colui che lo richiede» (C.d.S., Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104).

Pertanto, l'anzidetta valutazione discrezionale può essere sindacata in questa sede nei limiti del controllo di legittimità; il sindacato del giudice, infatti, non si estende al merito della valutazione compiuta dall'Amministrazione, non potendo dunque spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. III, 16 novembre 2020, n. 7036; nonché T.A.R. Lazio, Sez. V-bis, n. 2944/2022 su prospettive e limiti dell'applicazione del principio di proporzionalità in tale materia).

Quanto, in particolare, all'onere motivazionale, la giurisprudenza ha più volte precisato che l'ampiezza e la profondità dell'obbligo di motivazione del provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza devono correlarsi allo stadio del procedimento penale, alla natura del reato commesso, nonché alla circostanza che esso sia stato commesso a distanza di tempo dal momento in cui l'istanza di concessione della cittadinanza viene proposta. Questi profili incidono anche sul livello di discrezionalità dell'Amministrazione per la quale la valutazione della condotta penalmente rilevante deve costituire, a norma di legge, uno degli elementi rilevanti ai fini della decisione sulla concessione della cittadinanza, con la conseguenza che, "nel caso di sentenza penale e, a fortiori, di sentenza passata in giudicato l'ampiezza e l'intensità dell'obbligo motivazionale relativo al diniego di concessione di cittadinanza può essere minore rispetto a quello che deve, invece, caratterizzare un diniego in presenza di una mera comunicazione di notizia di reato o di una denuncia, della quale il ricorrente potrebbe non essere al corrente" (C.d.S., Sez. I, 4 aprile 2022, n. 713; cfr., in senso conforme, Sez. II, 31 maggio 2021, n. 4151).

3. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, nel caso concreto, il provvedimento sia affetto dai vizi di eccesso di potere dedotti.

Invero, dalla disamina del corredo motivazionale del diniego impugnato risulta che l'Amministrazione sia pervenuta ad un giudizio di inaffidabilità e mancata integrazione del richiedente nella comunità nazionale sulla base di due deferimenti emersi a suo carico, invero molto risalenti nel tempo, senza provvedere ad un'adeguata istruttoria volta innanzitutto a verificare l'esito di tali notizie di reato.

Il ricorrente, per contro, ha ammesso che, mentre il primo deferimento del [omissis] "per rifiuto dell'accertamento del tasso alcolemico" non risulta aver avuto alcun seguito, circostanza non contestata dall'Amministrazione resistente e comprovata dalla certificazione penale prodotta, il secondo deferimento del 2003 per il reato di guida in stato di ebbrezza ex art. 186 del d.lgs. n. 285/1992 (c.d. "Codice della strada") è esitato in un decreto penale di condanna a pena pecuniaria.

Con riguardo alla notevole risalenza nel tempo di tali circostanze ritenute ostative alla concessione della cittadinanza, si rende necessario rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza, condivisa anche da questa Sezione (cfr., tra le tante, T.A.R. Lazio, Sez. V-bis, nn. 2643, 2944 e 2945 del 2022), il decennio anteriore alla presentazione della domanda costituisce il "periodo di osservazione" in cui devono essere maturati i requisiti per la cittadinanza, ai sensi dell'art. 9 l. n. 91 del 1992, inclusi quelli dell'irreprensibilità della condotta, salvi i fatti di particolare gravità che possono essere apprezzati nel loro particolare valore "sintomatico" in quanto anche indicativi di tendenze caratteriali, potendo in tal caso essere considerati anche oltre il decennio (C.d.S., Sez. VI, n. 52/2011; Sez. III, nn. 1726/2019, 5271/2019, 4122/2021; T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, nn. 10678/2013, 5615/2015, 5917/2021; cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio, Sez. V-bis, nn. 2643, 2945, 2946 e 4469 del 2022; cfr. con specifico riferimento al reato di resistenza a pubblico ufficiale; nonché T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, [n.] 1833/2015; Sez. V-bis, n. 2644/2022).

Ebbene, pacifico che le vicende penali sottese al diniego risultino temporalmente collocate oltre il decennio antecedente alla presentazione della domanda di cittadinanza nel 2015, ritiene il Collegio che l'Amministrazione avrebbe quanto meno dovuto esplicitare esaustivamente, nella motivazione del diniego, le ragioni fondanti il giudizio di inaffidabilità e di non compiuta integrazione della ricorrente nella comunità nazionale nonostante il carattere "ultradecennale" dei fatti richiamati e, dunque, le concrete ragioni di interesse pubblico ritenute prevalenti sull'interesse privatistico del richiedente ad ottenere la cittadinanza, senza fare applicazione di automatismi ostativi mascherati da una motivazione stereotipata, e ciò, a fortiori, per il mero deferimento del [omissis] "per rifiuto dell'accertamento del tasso alcolemico", al quale non è neanche seguito un procedimento penale.

Per converso, la laconicità della motivazione del decreto ministeriale e il difetto d'istruttoria del procedimento costituiscono vizi inficianti l'impugnato decreto di rigetto.

Ne consegue dunque che, in accoglimento del ricorso proposto, il diniego di cittadinanza deve essere annullato.

Per l'effetto, l'Amministrazione, fatte salve le ulteriori determinazioni in merito, avrà l'obbligo di rivalutare, nei sensi sopra chiariti, la posizione complessiva del richiedente e la sua effettiva integrazione nel tessuto economico e sociale, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto ed esplicitando adeguatamente nel corredo motivazionale del provvedimento finale le ragioni sottese all'eventuale diniego dell'istanza di concessione della cittadinanza.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

Condanna l'Amministrazione resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'art. 10 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.