Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo
Sentenza 31 luglio 2024, n. 367

Presidente: Panzironi - Estensore: Perpetuini

FATTO E DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe si chiede l'annullamento dell'atto di diffida del Comune di Valle Castellana, prot. n. 5537 del 19 luglio 2022, notificato in pari data con il quale si "diffida per le motivazioni descritte in narrativa che qui [s]i intendono integralmente trascritte e riportate il Sig. P. Giuliano (...), nella qualità di responsabile dell'abuso, a liberare l'area occupata abusivamente, a demolire e ripristinare lo stato dei luoghi a propria cura e spese per le seguenti opere abusive: recinto perimetrale realizzato per la p.lla 268, le diverse strutture in metallo e cemento realizzate sull'area e il ripristino della parte dell'area coltivata ad orto, dei due grossi contenitori in plastica e dello spazio di cemento nella parte superiore a confine della strada pubblica".

Il ricorso è sostenuto dai seguenti motivi di diritto:

I) "Omessa motivazione del provvedimento impugnato, eccesso di potere (manifesta ingiustizia; carenza di motivazione in ordine all'interesse pubblico perseguito e violazione del principio dell'affidamento, carenza di istruttoria per mancata ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento); violazione di legge (art. 3 l. 241/1990 e art. 97 Cost.); sviamento dall'interesse pubblico e della causa tipica; illogicità manifesta; irrazionalità del comportamento; violazione del giusto procedimento";

II) "Errata individuazione del destinatario del provvedimento in violazione dell'art. 35 d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per travisamento di fatto; ingiustizia manifesta; sviamento dall'interesse pubblico e della causa tipica; illogicità manifesta; irrazionalità del comportamento; violazione del giusto procedimento";

III) "Violazione di legge (art. 31 l. 1150/1942; l. n. 765/1967; art. 9-bis d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; art. 3 l. 241/1990 e art. 97 Cost.); eccesso di potere; manifesta ingiustizia; violazione del principio dell'affidamento; sviamento dall'interesse pubblico; sviamento della causa tipica; illogicità manifesta e irrazionalità del comportamento; carenza di istruttoria; violazione del giusto procedimento";

IV) "Violazione dell'art. 53 del d.P.R. 218/1978; eccesso di potere; manifesta ingiustizia; sviamento dall'interesse pubblico e della causa tipica; illogicità manifesta; irrazionalità del comportamento; violazione del giusto procedimento; violazione di legge";

V) "Violazione dell'art. 53 del d.P.R. 218/1978 e dell'art. 35 d.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere; manifesta ingiustizia; violazione del principio dell'affidamento; sviamento dall'interesse pubblico; sviamento della causa tipica; illogicità manifesta e irrazionalità del comportamento; carenza di istruttoria; violazione di legge (art. 3 l. 241/1990 e art. 97 Cost.); violazione del giusto procedimento";

VI) "Errata individuazione del destinatario del provvedimento; eccesso di potere per travisamento di fatto eccesso di potere (manifesta ingiustizia; violazione del principio dell'affidamento, carenza di istruttoria; per mancata ponderazione degli interessi pubblici e privati coinvolti nel procedimento); sviamento dall'interesse pubblico e della causa tipica; illogicità manifesta violazione di legge (art. 3 l. 241/1990 e art. 97 Cost.); violazione del giusto procedimento".

Si è costituito il Comune intimato resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.

Con ordinanza n. 224/2022, questo collegio ha respinto la domanda di adozione di misure cautelari avanzata dal ricorrente.

All'udienza pubblica del 9 luglio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. In primo luogo il collegio deve respingere la domanda di assunzione di prova testimoniale richiesta dal ricorrente in quanto la stessa risulta irrilevante considerato che i capitoli formulati si prefiggono l'accertamento di situazioni di fatto che sarebbero comunque inidonee a far ritenere illegittimo il provvedimento impugnato. È assodato, infatti, che l'area su cui insistono i manufatti è di proprietà del Comune di Valle Castellana come risulta dall'atto pubblico e che il potere repressivo è stato esercitato nei confronti della persona che, per sua stessa ammissione, si occupa della gestione del terreno e che, per l'effetto, assume la posizione di destinatario del provvedimento.

3. Nel merito, con il primo motivo di ricorso si sostiene la nullità del provvedimento stante la assoluta carenza di qualsivoglia motivazione circa l'interesse pubblico posto a base dello stesso.

Sostiene il ricorrente che, in via generale, il presupposto per l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è costituito semplicemente dalla constatazione dell'esecuzione dell'opera in difformità dalla concessione o in assenza di quest'ultima, con la conseguenza che, ove ricorrano i predetti requisiti, tale provvedimento è atto dovuto ed è da ritenersi sufficientemente motivato con la semplice affermazione dell'accertata abusività dell'opera essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla sua rimozione.

Nel caso di specie, però, l'amministrazione procedente avrebbe omesso di considerare il notevole lasso di tempo intercorso tra l'asserito abuso e la contestazione degli addebiti.

La censura è infondata.

Secondo l'orientamento monolitico del Consiglio di Stato, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino (in termini C.d.S., Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9).

La giurisprudenza precisa, inoltre, che "gli atti di repressione degli abusi edilizi, stante la loro natura urgente e strettamente vincolata... non devono essere motivati in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata), escludendosi peraltro l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare" (in questi termini T.A.R. L'Aquila, ord. 6 ottobre 2022, n. 164; C.d.S., 22 febbraio 2021, n. 1552; 23 novembre 2017, n. 5472).

Nel caso di specie, pertanto, la natura risalente degli immobili abusivi ed il possesso protratto per oltre 50 anni sono del tutto irrilevanti poiché l'accertamento dell'abuso edilizio obbliga il Comune ad adottare i provvedimenti repressivi e ripristinatori, non potendo sorgere da un fatto illecito alcun affidamento tutelabile in capo al privato.

4. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente sostiene di essere stato erroneamente ed ingiustamente indicato come responsabile dell'asserito abuso. A giudizio del ricorrente, l'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 presuppone l'imputabilità dell'opera abusiva al destinatario della sanzione sicché l'ordine di demolizione andava indirizzato al responsabile dell'illecito, non essendo possibile il coinvolgimento né del possessore né del proprietario.

La tesi non può essere accolta.

L'art. 35 del d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che "qualora sia accertata la realizzazione... di interventi in assenza di premesso di costruire... su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell'abuso la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi".

La nozione di "responsabile dell'abuso" di cui all'art. 35 del t.u. edilizia è stata poi precisata, nel suo contenuto, dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui «Le norme sanzionatorie si riferiscono, infatti, non all'"autore", ma al "responsabile" dell'abuso, tale dovendo intendersi non solo lo stesso esecutore materiale, ma anche il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per disporne, al momento dell'emissione della misura repressiva (e quindi, per quanto qui interessa, il concessionario, per opere eseguite su suolo demaniale). L'Amministrazione, infatti, è tenuta a sanzionare l'esecuzione di opere senza titolo, che hanno carattere di illecito permanente, a cui sul piano urbanistico-edilizio corrisponde un'esigenza di rimessa in pristino, da far valere appunto nei confronti dei soggetti che abbiano la proprietà o comunque la disponibilità del bene, fatte salve le eventuali azioni di rivalsa di questi ultimi nei confronti degli esecutori materiali delle opere, sulla base dei rapporti interni intercorsi (cfr. anche, per il principio, C.d.S., Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614, e C.G.A.R.S., 29 luglio 1992, n. 229)» (tra le tante, C.d.S., 31 marzo 2014, n. 1517; Cass. civ., Sez. un., 13 giugno 2017, n. 14645; T.A.R. Campania, Napoli, 24 maggio 2016, n. 2638).

Pertanto, nella nozione di "responsabile dell'abuso" rientra non solo colui che ha posto in essere materialmente la violazione contestata ma anche chi, avendo la disponibilità dell'immobile e quale detentore o utilizzatore, deve provvedere alla demolizione restaurando così l'ordine violato (vedi C.d.S., 19 ottobre 2017, n. 4837).

Tanto premesso, nella vicenda in esame l'atto di diffida è stato correttamente indirizzato al sig. Giuseppe P. il quale, per sua stessa ammissione, è possessore (unitamente ai suoi familiari) dell'area di proprietà comunale, che è stata illegittimamente occupata dalla famiglia del ricorrente e sulla quale sono stati realizzati immobili abusivi.

5. È infondato anche il terzo motivo di ricorso con il quale si contesta la legittimità del provvedimento impugnato sostenendo che le opere contestate sarebbero state realizzate intorno agli anni '50 e quindi in un'epoca in cui era possibile edificare senza necessità di ottenere preventivamente alcuna licenza.

Si rileva, al riguardo, che la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l'onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull'interessato e non sull'amministrazione, che, in presenza di un'opera non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione. Solo l'interessato, infatti, può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione di un manufatto e, in difetto di tali prove, resta integro il potere dell'amministrazione di negare la sanatoria dell'abuso e il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria (in termini, C.d.S., Sez. VI, 4 ottobre 2019).

Nel caso di specie il ricorrente si è limitato ad allegare la circostanza della realizzazione dei manufatti negli anni '50, senza tuttavia fornire alcuna prova al riguardo. Ed infatti, l'immagine fotografica prodotta risale all'anno 1975.

Si osserva, invece, che il decreto di esproprio del 1964 depone per la conclusione inversa, e cioè per l'inesistenza a tale data delle opere abusive giacché, in caso contrario, il decreto avrebbe certamente fatto menzione di tali costruzioni, anche in considerazione della circostanza per la quale il citato decreto di esproprio veniva emesso a valle di un procedimento amministrativo che prevedeva la redazione di una perizia giudiziale di determinazione dell'indennità di espropriazione. Il provvedimento di esproprio di cui si discute richiama la perizia giudiziale, quantifica l'indennità riconosciuta ai proprietari e descrive l'oggetto dell'espropriazione facendo riferimento ai soli terreni occupati, senza mai menzionare la presenza di opere edilizie.

6. Con il quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, che si ritiene di scrutinare congiuntamente in quanto logicamente connessi, il ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe affetto da illegittimità derivata poiché il Consorzio BIM non avrebbe mai perfezionato il procedimento di esproprio sicché l'area non poteva essere ceduta al Comune di Valle Castellana, mentre deve ritenersi "retrocessa" di fatto alla famiglia P.

Le censure sono infondate.

L'espropriazione si conclude con il decreto di esproprio, che individua i beni espropriati e quantifica l'indennità riconosciuta ai proprietari. Ne deriva che il decreto è pienamente efficace.

L'acquisizione della proprietà da parte del Consorzio ha avuto luogo con il provvedimento prefettizio di esproprio così come la cessione del diritto domenicale al Comune si è perfezionata con l'atto pubblico stipulato il 26 giugno 2014.

Del resto, il Comune di Valle Castellana, rispetto al decreto di esproprio, riveste la posizione di terzo. L'istituto della retrocessione, dunque, non può applicarsi al Comune, che ha acquistato il terreno dal Consorzio BIM nell'anno 2014 ed è pertanto estraneo alla procedura espropriativa risalente agli anni '60.

7. Per i motivi predetti il ricorso deve essere respinto.

La particolarità della fattispecie rende opportuna la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima), definitivamente pronunciando:

1) respinge il ricorso in epigrafe;

2) compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.