Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
Sezione I
Sentenza 5 settembre 2024, n. 2374

Presidente: Fornataro - Estensore: Marongiu

FATTO E DIRITTO

1. La società F.I.L. Casa s.p.a. (in seguito anche solo FIL Casa), odierna ricorrente, proprietaria degli immobili siti nel centro storico di Milano, in via Fontana nn. 20 e 22, costituiti da due distinti edifici realizzati negli anni '50 del secolo scorso, impugna la nota comunale indicata in epigrafe, con cui il Comune di Milano - ad integrazione del verbale della Conferenza di servizi del 16 maggio 2019 relativa alla richiesta di permesso di costruire presentata dalla ricorrente per interventi di risanamento conservativo e sostituzione edilizia dei predetti immobili - ha confermato che "le superfici relative ad autorimesse, costituenti organismi autonomi, sono ricomprese nel conteggio della slp" e, in analogia a quanto indicato nell'art. 63.1 delle NTA del previgente PRG, ha assimilato tali superfici (autorimesse e autofficine per riparazioni e lavaggio veicoli), quanto a destinazione d'uso, alle attività produttive "come precisato anche dall'Avvocatura Comunale in casi analoghi e come conseguentemente operato per numerosi interventi dal 2005 sino ad oggi".

La ricorrente, dunque, censura la citata nota comunale nella parte in cui qualifica come produttive le superfici dell'edificio destinato ad autorimessa.

1.1. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi.

1) "Violazione e falsa applicazione art. 3 l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione art. 63 NTA del PRG del Comune di Milano del 1980. Violazione e falsa applicazione art. 51 l.r. n. 12/2005. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, difetto dei presupposti, travisamento, illogicità".

La ricorrente deduce anzitutto il difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto l'Amministrazione, nel qualificare l'immobile di via Fontana n. 20 come avente destinazione produttiva, si sarebbe limitata a richiamare le precisazioni dell'Avvocatura comunale, senza specificare l'iter logico seguito e senza indicare quali sarebbero i "casi analoghi" a quello di specie.

Il richiamo alle suddette precisazioni, secondo l'esponente, non potrebbe ritenersi idonea motivazione per relationem, non essendo possibile accedere agli atti cui il provvedimento rinvia.

La ricorrente lamenta, altresì, la violazione dell'art. 63 delle NTA del previgente PRG, in quanto l'Amministrazione, nonostante la citata disposizione si limiti a elencare le zone ove è possibile realizzare edifici destinati ad autorimesse (art. 63.1) e ad assimilare agli edifici produttivi solo le officine di riparazione e le stazioni di autolavaggio (art. 63.2), avrebbe assimilato gli immobili destinati ad autorimesse ad attività produttive.

L'impossibilità di qualificare le autorimesse come immobili produttivi deriverebbe, inoltre, dallo stesso art. 63.1, a mente del quale le autorimesse sarebbero compatibili anche con le zone CC e SP, dalle quali le funzioni produttive dovrebbero ritenersi escluse.

Secondo l'esponente, peraltro, l'attività di autorimessa, a differenza dell'attività di riparazione di autoveicoli e di autolavaggio, non comporterebbe alcuna attività produttiva e/o di manodopera.

La ricorrente deduce, infine, la violazione dell'art. 51 della l.r. n. 12/2005, in quanto la destinazione d'uso prevalente (e qualificante) dell'immobile sarebbe quella di autorimessa, rappresentando invece le superfici destinate a officina e autolavaggio meri servizi accessori (presenti al solo piano interrato), per i quali soltanto l'Amministrazione, al più, avrebbe potuto predicare la destinazione produttiva.

2) "Violazione e falsa applicazione art. 51 l.r. n. 12/2005. Violazione e falsa applicazione art. 6 NTA del PRG del 1953. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento".

La ricorrente afferma che al caso di specie sarebbe necessariamente applicabile il PRG del 1953, in quanto piano vigente al momento dell'edificazione dell'edificio, e conseguentemente sostiene l'impossibilità di qualificare l'immobile in esame come produttivo.

Ciò in quanto, da un lato, mancherebbe, nello strumento urbanistico applicabile, un'assimilazione delle autorimesse alle funzioni produttive e, dall'altro, l'art. 6 di detto PRG distinguerebbe nettamente le autorimesse (di cui si ammetteva la realizzazione in zona residenziale) dagli immobili produttivi industriali (di cui l'insediamento in zone residenziali veniva invece escluso).

1.2. Si è costituito per resistere il Comune intimato, il quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in quanto volto all'impugnazione di un atto endoprocedimentale, come tale non lesivo e antecedente all'atto conclusivo del procedimento (id est: il permesso di costruire n. 124/2020, poi rilasciato all'esito del procedimento).

Secondo l'Amministrazione resistente, la nota impugnata conterrebbe una "mera qualificazione" dell'immobile come industriale, che, in assenza del successivo rilascio del permesso di costruire, sarebbe rimasta priva di effetti. Si tratterebbe, in altri termini, di una mera comunicazione atipica in funzione collaborativa, priva di carattere vincolante.

1.3. In data 26 marzo 2024 le parti hanno depositato istanza congiunta di rinvio dell'udienza, rappresentando che:

- successivamente alla proposizione del ricorso, il Comune ha rilasciato il permesso di costruire n. 124/2020 alla società Fontana s.r.l. - medio tempore subentrata a FIL Casa s.p.a. nella proprietà dell'immobile e nell'istanza di permesso di costruire - quantificando in euro 2.077.775,20 l'importo dovuto a titolo di monetizzazione degli standard urbanistici connessi al cambio d'uso da produttivo a residenziale;

- Fontana s.r.l. ha proposto autonomo ricorso (RG n. 1829/2020) avverso il permesso di costruire n. 124/2020, contestandolo nella parte in cui ha richiesto il versamento dei predetti importi e chiedendo l'annullamento di "ogni ulteriore [atto] preordinato presupposto e/o connesso, ivi compresa - per quanto occorrer possa - [la] nota PG 0288631/2019 del 28 giugno 2019 (...)", qui impugnata;

- secondo le parti i due ricorsi sarebbero connessi, vertendo sulle medesime questioni giuridiche "posto che la richiesta di monetizzazione degli standard urbanistici è conseguenza diretta della qualificazione della destinazione d'uso dell'edificio destinato ad autorimessa operata dal Comune nel corso del procedimento", e vi sarebbe parziale coincidenza oggettiva dei provvedimenti gravati, sicché ritengono opportuna una trattazione congiunta.

1.4. All'udienza del giorno 28 maggio 2024 (ruolo smaltimento), svoltasi in modalità da remoto, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

2. In via preliminare, va respinta la richiesta di rinvio presentata dalle parti.

Ai sensi dell'art. 73, comma 1-bis, c.p.a. "il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali", che non ricorrono nella fattispecie.

Come precisato dalla giurisprudenza, "la decisione finale in ordine ai concreti tempi della discussione spetta comunque al giudice, il quale deve verificare l'effettiva opportunità di rinviare l'udienza, giacché solo in presenza di situazioni particolarissime, direttamente incidenti sul diritto di difesa delle parti, il rinvio dell'udienza è per lui doveroso, e in tale ambito si collocano, fra l'altro, i casi di impedimenti personali del difensore o della parte, nonché quelli in cui, per effetto delle produzioni documentali effettuate dall'Amministrazione, occorra riconoscere alla parte, che ne faccia richiesta, il termine di sessanta giorni per la proposizione dei motivi aggiunti" (C.d.S., Sez. V, 22 febbraio 2010, n. 1032; Sez. III, 30 novembre 2018, n. 6823; Sez. II, 27 novembre 2019, n. 8100; Sez. III, 3 marzo 2021, n. 1802).

Avuto riguardo al caso di specie, non ricorrono quei casi eccezionali o quelle particolarissime giustificazioni che, in deroga al principio di ragionevole durata del giudizio, legittimano il rinvio della causa.

3. Ciò premesso, il ricorso è inammissibile, come da eccezione del Comune.

L'Amministrazione, infatti, come visto sopra, ha concluso il procedimento avviato a seguito dell'istanza dell'interessata con il permesso di costruire n. 124 del 20 luglio 2020, con il quale è stato assentito l'intervento edilizio oggetto della richiesta ed è stata quantificata la monetizzazione degli standard dovuta, in applicazione dell'art. 9.1.1 delle NA del Piano dei Servizi del PGT del 2012 (permesso che, come rappresentato dalle parti, è stato poi impugnato in parte qua con autonomo ricorso RG n. 1829/20).

Con l'odierno ricorso, dunque, è stato impugnato un atto contenente una mera qualificazione, come tale insuscettibile di arrecare alla ricorrente alcuna concreta e immediata lesione dei suoi interessi, giacché, giova ribadirlo, solo con il predetto permesso di costruire il Comune ha autorizzato l'intervento edilizio e ha dato applicazione all'art. 9.1.1 delle NA del Piano dei Servizi del PGT, così definendo il suddetto intervento come mutamento di destinazione d'uso da funzioni produttive verso funzioni urbane e determinando di conseguenza l'importo dovuto dall'interessata a titolo di monetizzazione, rendendo quindi attuale e cogente il relativo obbligo di pagamento.

Del resto, come efficacemente dedotto dalla difesa comunale, la mancanza di concreta e immediata lesività dell'atto impugnato è resa evidente dal fatto che, ove non fosse stato successivamente rilasciato il permesso di costruire, la rilevata qualificazione come industriale dell'edificio preesistente, contenuta nella gravata nota, sarebbe rimasta priva di effetti.

Ciò posto, secondo l'insegnamento della giurisprudenza non sono di regola immediatamente lesivi gli atti endoprocedimentali, che rilevano ai fini dello sviluppo dell'iter procedimentale, ma non esprimono la determinazione finale dell'amministrazione, fino alla cui adozione restano sconosciuti tanto l'esito del procedimento, quanto la possibilità che esso conduca ad un provvedimento lesivo: essi, dunque, non sono suscettibili di autonoma impugnazione e possono essere contestati soltanto unitamente al provvedimento finale conseguentemente adottato (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 13 aprile 2000, n. 2223; Sez. IV, 20 settembre 2000, n. 4933; Sez. VI, 22 agosto 2000, n. 4555, e Sez. VI, 27 novembre 2001, n. 5975; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 8 agosto 2022, n. 11112).

Gli atti endoprocedimentali non sono impugnabili autonomamente se non quando producano una immediata lesività da accertarsi con riferimento al concreto ed attuale pregiudizio che l'atto arreca all'interesse sostanziale dedotto in giudizio e non già con riguardo alla possibile futura incidenza dell'atto sulla sfera giuridica del ricorrente (T.A.R. Marche, Sez. II, 23 dicembre 2023, n. 893; cfr., altresì, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I, 5 settembre 2023, n. 13587).

3.1. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza d'interesse.

3.2. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere compensate tra le parti in considerazione della peculiarità della vicenda nel suo complessivo sviluppo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.