Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
Sezione II
Sentenza 23 maggio 2024, n. 1135
Presidente: Mielli - Estensore: Valletta
FATTO
Con il gravame introduttivo del giudizio la società ricorrente ha chiesto la condanna del Comune di Venezia al risarcimento del danno derivato dal ritardo con il quale è stato rilasciato il titolo abilitativo prot. 12377 del 5 ottobre 2009 per l'esecuzione dei lavori di ampliamento di un immobile ad uso alberghiero sito in Venezia Santa Croce, Piazzale Roma nr. 548.
Si assume, in particolare, che la ricorrente avrebbe subito un danno a causa dell'impossibilità di realizzazione tempestiva dell'intervento programmato, essendo stata la domanda presentata il 21 luglio 1999 mentre il titolo edilizio veniva rilasciato solo il 5 ottobre 2009, in ragione di un primo diniego, opposto nell'anno 2003, dall'amministrazione.
Si deduce che, in base alla consulenza di parte, il danno corrispondente alla perdita di guadagno derivata dal mancato svolgimento dell'attività alberghiera nei nuovi locali ammonterebbe ad euro 3.887.968,72, a cui si aggiunge il pregiudizio derivante dall'impossibilità di far conseguire alla struttura la qualifica di albergo a quattro stelle in luogo di quella a tre stelle già posseduta, qualifica che si poteva raggiungere solo con la realizzazione del nuovo intervento, per un importo di euro 9.544.148,62: complessivamente il danno subito dalla società sarebbe, quindi, pari a euro 13.432.117,34.
Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia, eccependo la prescrizione del diritto vantato per intervenuta decorrenza del termine quinquennale di prescrizione ex art. 2947 c.c.: ciò, tanto individuando il dies a quo nella data di adozione dell'atto illegittimo (13 gennaio 2003), quanto facendo riferimento al passaggio in giudicato della sentenza del 23 luglio 2003; nel merito, ha chiesto il rigetto dell'impugnazione.
All'udienza straordinaria in data 30 aprile 2024, celebratasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Occorre, preliminarmente, procedere allo scrutinio dell'eccezione di prescrizione della pretesa vantata sollevata dalla parte resistente.
Deve premettersi che la società Santa Chiara ha dedotto sul punto che detta eccezione sarebbe stata tardivamente introdotta dall'Amministrazione resistente, in quanto proposta solo con il deposito della memoria ex art. 73 c.p.a.: la ricorrente si richiama, in proposito, all'orientamento giurisprudenziale da ultimo registratosi a mente del quale, laddove oggetto della controversia sia una posizione la cui consistenza sia di diritto soggettivo, dovrebbe applicarsi l'art. 167 c.p.c., e, dunque, opererebbe il termine decadenziale previsto dalla norma citata.
Tale orientamento, rinvenibile in alcune recenti pronunce (cfr. C.d.S., Sez. V, 13 settembre 2023, n. 8301; Sez. VII, 15 novembre 2023, n. 9796), si pone in discontinuità rispetto all'indirizzo in precedenza consolidato a mente del quale, nel processo amministrativo, anche le eccezioni c.d. in senso stretto sono sollevabili in ogni momento del giudizio a prescindere dalla natura della posizione soggettiva fatta valere (cfr. T.A.R. Catania, Sez. I, 13 ottobre 2022, n. 2694; T.A.R. Milano, Sez. II, 29 settembre 2022, n. 2136; C.d.S., Sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3977; 28 giugno 2018, n. 3977; T.A.R. Reggio Calabria, Sez. I, 26 gennaio 2016, n. 75; C.d.S., Sez. IV, 8 febbraio 2016, n. 488; Sez. V, 27 agosto 2014, n. 4367).
Il Collegio ritiene di dover dare continuità all'orientamento da ultimo illustrato, in favore del quale militano diverse ordine di ragioni.
Rileva, in primo luogo, la circostanza che il processo amministrativo non contempla una previsione assimilabile a quella di cui al comma 2 dell'art. 167 del c.p.c.
Neppure si apprezzano i presupposti per ritenere operante il c.d. rinvio esterno di cui all'art. 39 c.p.a.: non solo non si rinviene nel sistema processuale una lacuna da colmare mediante l'applicazione della disposizione di cui all'art. 167 c.p.c., ma, all'opposto, detta applicazione risulta incompatibile con il sistema delle norme che governano il processo amministrativo e, segnatamente, con il disposto dell'art. 46 c.p.a., che ammette la costituzione della parte sino all'udienza di discussione.
In termini: "Nel processo amministrativo, il termine di costituzione delle parti intimate, stabilito dall'art. 46 c.p.a., ha carattere pacificamente ordinatorio, essendo ammissibile la costituzione della parte sino all'udienza di discussione del ricorso" (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. IV, 25 ottobre 2023, n. 15855); "Il termine per la costituzione di cui all'art. 46 c.p.a., non riveste natura perentoria e le parti intimate possono costituirsi fino all'udienza di discussione, incontrando essenzialmente le preclusioni verificatesi al deposito di documenti, memorie e repliche" (cfr. C.d.S., Sez. III, 25 settembre 2023, n. 8489).
Diversamente opinando, dovrebbe approdarsi alla paradossale conclusione che l'eccezione di prescrizione potrebbe essere sollevata, per la prima volta, dalla parte resistente nelle proprie difese orali in udienza a condizione del mancato svolgimento di qualsiasi difesa antecedente: "Le difese svolte posteriormente al termine fissato dall'art. 46 c.p.a. per la costituzione delle parti intimate, non essendo perentorio, sono legittime e devono rispettare i soli e diversi termini stabiliti in vista dell'udienza pubblica dall'art. 73, comma, 1, c.p.a." (cfr. C.d.S., Sez. IV, 31 gennaio 2023, n. 1082).
Tutto quanto precede porta ad escludere l'operatività nel processo amministrativo del disposto dell'art. 167 c.p.c. per il tramite dell'applicazione dell'art. 39 c.p.a., tenuto conto che, per pacifica giurisprudenza, la norma consente il rinvio alle disposizioni dettate per il processo civile, solo e nella misura in cui si tratti di disposizioni compatibili o espressione di principi generali, presupposti che nella fattispecie in commento non è dato rinvenire (si veda, sul punto, T.A.R. Milano, Sez. II, 15 marzo 2021, n. 661).
Infine, non può tacersi che, nel caso in commento, la difesa svolta dall'Amministrazione dovrebbe ritenersi paralizzata per effetto di un inammissibile overruling, ove si consideri che il presente giudizio è stato introdotto nell'anno 2017, mentre l'orientamento favorevole all'applicazione dell'art. 167 c.p.c. anche nel processo amministrativo ha iniziato a registrarsi in giurisprudenza a far data dall'anno 2023.
Come noto, il c.d. overruling si verifica quando il mutamento della precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza o una preclusione, prima escluse, di modo che l'atto compiuto dalla parte o il comportamento da questa tenuto secondo l'orientamento precedente risultino irrituali per effetto o in conseguenza diretta del mutamento dei canoni interpretativi.
Se questo mutamento è poi connotato dall'imprevedibilità (per essere intervenuto in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso), viene esclusa l'operatività della preclusione o della decadenza che derivino dall'overruling, nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata precedente interpretazione della regola (al riguardo, è sufficiente rinviare ai principi enunciati da Cass., Sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144).
In termini: "A partire da Cass. civ., Sez. un., 11 luglio 2011, n. 15144 (e numerose altre successive, tra cui 21 maggio 2015, n. 10453; 17 dicembre 2014, n. 26541; 4 giugno 2014, n. 12521; 13 febbraio 2014, n. 3308; e, da ultimo, Cass. civ., Sez. un., 13 settembre 2017, n. 21194) si è costantemente affermato che, per configurare il c.d. prospective overruling, sia necessaria la concomitante presenza dei seguenti tre presupposti: 1) l'esegesi deve incidere su una regola del processo; 2) l'esegesi deve essere imprevedibile ovvero seguire ad altra consolidata nel tempo tale da considerarsi diritto vivente e quindi da indurre un ragionevole affidamento; 3) l'innovazione comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa. Tale impostazione è stata pedissequamente seguita anche dal giudice amministrativo (C.d.S., Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9 e C.d.S., Sez. III, ordinanza 7 novembre 2017, n. 5138)" (cfr. C.d.S., Sez. VI, 3 dicembre 2018, n. 6858).
In ragione di tutto quanto precede, si impone al Collegio il vaglio dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla parte resistente.
L'eccezione è fondata.
Ed infatti, il termine quinquennale di prescrizione cui pacificamente soggiace la pretesa vantata (ex multis, T.A.R. Napoli, Sez. II, 19 settembre 2016, n. 4349) risulta all'attualità decorso: ciò tanto avendo riguardo alla data di adozione dell'atto illegittimo (13 gennaio 2003), quanto a quella di passaggio in giudicato della sentenza del 23 luglio 2003 di annullamento giurisdizionale del provvedimento di diniego di rilascio del titolo edilizio richiesto, tenuto conto del fatto che il primo atto interruttivo del corso della prescrizione deve essere ravvisato nelle richieste di risarcimento danni del 25 ottobre 2011 e 26 aprile 2016 (né la parte ricorrente ha indicato e dimostrato l'esistenza di atti interruttivi di epoca anteriore).
2. Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto per intervenuta estinzione della pretesa vantata per prescrizione.
Quanto al regolamento delle spese di lite, le ragioni poste alla base della presente decisione ne giustificano la compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.