Consiglio di Stato
Sezione VI
Sentenza 11 settembre 2024, n. 7525

Presidente: Volpe - Estensore: Caponigro

FATTO E DIRITTO

1. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con il provvedimento n. 26728 adottato nell'adunanza del 9 agosto 2017, ha deliberato che la pratica commerciale descritta al punto II del provvedimento, posta in essere dalla società ATO ME 1 s.p.a. in liquidazione, costituisce, per le ragioni e nei limiti esposti in motivazione, una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del codice del consumo e ne ha vietato la diffusione o continuazione.

L'AGCM ha altresì irrogato alla società ATO ME 1 s.p.a. in liquidazione una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 50.000,00 ed ha disposto che il professionista comunichi all'Autorità, entro il termine di sessanta giorni, le iniziative assunte in ottemperanza alla diffida.

La pratica commerciale è consistita in alcuni comportamenti posti in essere dal professionista nei confronti dei consumatori nell'ambito dell'attività di riscossione della Tariffa d'igiene ambientale (TIA) dovuta per la fruizione del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani e di pulizia degli spazi pubblici nel territorio dell'ATO Messina 1; in particolare, la pratica ha riguardato l'attivazione di procedure coercitive di pagamento, attraverso l'ingiunzione fiscale per il pagamento di importi prescritti e/o dei quali non era stata verificata l'effettiva entità o l'avvenuto pagamento, e nell'opposizione di vari ostacoli, anche in sede giudiziale, all'esercizio da parte dei consumatori del proprio diritto a definire l'esatto ammontare del credito vantato da ATO ME.

L'ATO ME 1 in liquidazione ha impugnato la delibera dinanzi al T.A.R. per il Lazio che, con la sentenza della Prima Sezione stralcio n. 14238 del 2023, ha respinto il ricorso.

Di talché, la società soccombente ha proposto il presente appello, articolando i seguenti motivi:

I) Error in iudicando: violazione dell'art. 21-septies della l. n. 241 del 1990. Nullità del provvedimento dell'AGCM per difetto assoluto di attribuzione. Incompetenza assoluta. Violazione del principio di legalità dell'azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione della direttiva UE 2005/29/CE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 18-27 del d.lgs. n. 206 del 2005 "codice del consumo". Sviamento di potere.

Al T.A.R. sarebbe sfuggito che l'ATO con il suo gravame aveva rilevato l'inapplicabilità del "codice del consumo" - e dunque l'insussistenza, nel caso di specie, del potere inibitorio e sanzionatorio dell'AGCM - venendo in rilievo una attività di riscossione di un tributo non riconducibile a quella c.d. post-vendita.

L'AGCM, nel giudizio di primo grado, non avrebbe contestato espressamente la natura di tributo della TIA né avrebbe inteso argomentare in senso contrario rispetto alla giurisprudenza richiamata in ricorso sulla natura del tributo, ma il T.A.R., nella sentenza, avrebbe obliterato del tutto la questione afferente alla "riscossione di entrate pubblicistiche".

Il giudice di prime cure, in particolare, avrebbe disatteso la giurisprudenza richiamata dall'ATO sulla natura di tributo della TIA, senza alcuna specifica argomentazione logica, avendo sorprendentemente rilevato che l'oggetto di riscossione è "relativo ad un servizio pubblico", qualificandola alla stregua di un rapporto che si instaura tra professionista e consumatore, dalla natura sostanzialmente negoziale, laddove, nella fattispecie, verrebbe in rilievo un rapporto tributario, avente natura pubblicistica, tra l'ATO ed il singolo utente.

Non ricorrerebbe l'ipotesi di una condotta post-vendita, poiché l'ATO ha espletato un sevizio per il quale non è dovuto un "corrispettivo", ma una "tassa".

Con la sentenza del 9 agosto 2007, n. 17526, le Sezioni unite della Cassazione hanno chiarito che la tariffa ha natura pubblicistica e non costituisce il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, rappresentando, per contro, una forma di finanziamento di un servizio pubblico attraverso l'imposizione dei relativi costi sull'area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio. La Corte costituzionale, con la sentenza del 24 luglio 2009, n. 238, ha ulteriormente riconosciuto la natura tributaria della TIA.

L'esercizio dei poteri dell'Autorità avrebbe interessato l'attività di riscossione di un tributo, non una attività riconducibile a quella c.d. post-vendita; la circostanza che l'attività miri a recuperare una tassa, quindi, metterebbe in risalto l'erroneità della sentenza appellata, che ha assimilato l'attività di riscossione di una tassa ai pagamenti post-vendita (rectius corrispettivi).

Se, rispetto all'erogazione di importi che non possono connotarsi alla stregua di un corrispettivo, non sarebbe possibile parlare di «vendita», allo stesso modo non potrebbero qualificarsi quali «post-vendita» le attività alla stessa riconducibili, in quanto, se non c'è «vendita», non ci può essere «post-vendita».

L'ATO avrebbe inteso recuperare da ciascun contribuente la tariffa di igiene ambientale (TIA) il cui presupposto impositivo è costituito dal possesso o dalla detenzione di locali che producono rifiuti urbani, e ciò la connota come una tassa, ed è proprio considerando la natura di tributo della TIA che si evidenzierebbe la sussistenza di un rapporto tributario, avente natura pubblicistica, tra l'ATO ed il singolo utente (rectius contribuente).

Quanto alla nozione di "professionista", rilevante ai sensi del codice del consumo e della correlata normativa comunitaria, discenderebbe la non riconducibilità a tale nozione dell'ATO, poiché, come più volte rilevato, quest'ultima ha agito nell'esercizio di poteri iure imperii e non certamente in posizione paritetica rispetto ai soggetti obbligati ex lege al versamento del tributo TIA. Quindi, contrariamente a quanto rilevato dal T.A.R., il rapporto non avrebbe natura negoziale; quanto alla nozione di "consumatore" di cui all'art. 18 del d.lgs. 206/2005, il singolo cittadino nei cui confronti l'ATO ha emesso la ingiunzione fiscale non sarebbe riconducibile a tale nozione, bensì a quella di "contribuente", atteso che la TIA ha natura tributaria non costituendo, in senso tecnico, il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta e rappresentando, invece, una forma di finanziamento del servizio pubblico attraverso la imposizione dei relativi costi sull'area sociale che da tali costi ricava, nel suo insieme, un beneficio.

L'AGCM avrebbe perciò esercitato un potere del tutto diverso da quello di cui è titolare.

Di qui, lo sconfinamento dei poteri dell'Autorità resistente nell'ambito della materia tributaria, non rientrante nella sua sfera di competenza, bensì in quella del Garante del contribuente appositamente istituito al fine di tutelare mediante interventi specifici la posizione del contribuente, portatore di un interesse analogo e coincidente con quello generale alla buona amministrazione ed alla giusta imposizione.

II) Error in iudicando: illegittimità del provvedimento per violazione e falsa applicazione della direttiva UE 2005/29/CE - violazione e falsa applicazione degli artt. 18-27 del d.lgs. 206/2005 "codice del consumo" - sviamento del potere.

In via subordinata rispetto al primo motivo di appello, il provvedimento dell'AGCM sarebbe annullabile, stante in ogni caso l'evidente violazione delle disposizioni di cui all'art. 18, 19, 20, 24, 25 e 27 del codice del consumo, impropriamente richiamate a fondamento dell'illegittimo esercizio del potere da parte dell'Autorità.

III) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20, 24, 25 e 27 del d.lgs. n. 206/2005 - codice del consumo - travisamento dei fatti - difetto di istruttoria e motivazionale - violazione e falsa applicazione del regolamento sulle procedure istruttorie adottato con delibera AGCM 1° aprile 2015, n. 25411. Difetto di istruttoria e di motivazione della sentenza appellata.

Sarebbe del tutto irragionevole il riferimento da parte del T.A.R. ad "inequivoci accertamenti di fatto", posto che nel giudizio di primo grado l'AGCM non avrebbe confutato minimamente il rilievo sul travisamento dei fatti e il difetto di istruttoria dell'Autorità che, basandosi esclusivamente su quanto affermato in alcune missive dell'Associazione di consumatori, ha qualificato le ingiunzioni fiscali idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore attraverso l'indebito condizionamento indotto dall'esecutività dello strumento impiegato per la riscossione.

Sebbene l'Autorità abbia imputato genericamente alla società appellante di aver richiesto tributi non dovuti, tuttavia non vi sarebbe traccia di una compiuta istruttoria in tal senso, né in ordine ai presupposti richiesti dalla legge per la riscossione del tributo né in ordine al decorso del termine di prescrizione.

IV) Error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell'art. 27, comma 9 e 13, del d.lgs. n. 206/2005 - codice del consumo; violazione e falsa applicazione dell'art. 11 della l. n. 689/1981. Arbitrarietà e/o irragionevolezza delle determinazioni dell'autorità resistente - violazione del principio di proporzionalità - eccesso di potere per insufficiente, incongrua motivazione - violazione e falsa applicazione dell'art. 3 l. 241/1990. Difetto di motivazione della sentenza appellata.

La decisione appellata sarebbe errata, poiché l'AGCM non ha valutato la dimensione economica della società appellante ed il T.A.R., al pari dell'AGCM, ha ritenuto di parametrare la dimensione economica con riferimento al solo fatturato.

Il provvedimento sanzionatorio, inoltre, non conterrebbe una puntuale ed esaustiva motivazione a suffragio della determinazione della sanzione di euro 50.000,00, in considerazione del margine che va da un minimo di euro 5.000,00 ad un massimo di euro 5 milioni.

La dedotta insufficienza ed illogicità motivazionale emergerebbe tanto più ove si consideri che l'Autorità, ai fini della determinazione del quantum, ha considerato la gravità della violazione in ordine alla natura della infrazione, alla entità del pregiudizio economico subito dai privati, alla debolezza contrattuale dei cittadini, tutte circostanze che non trovano ragione d'essere, posto che la TIA non costituisce il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta dai singoli.

L'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha analiticamente controdedotto, concludendo per il rigetto dell'appello.

L'istanza cautelare è stata accolta con l'ordinanza cautelare di questa Sezione n. 270 del 26 gennaio 2024, con la seguente motivazione:

"Considerato che l'appello non appare manifestamente sprovvisto di fumus boni iuris, in quanto l'attività di riscossione della tariffa di igiene ambientale si configura come esplicitazione di un potere pubblicistico, per cui necessita di adeguato approfondimento in sede di merito la valutazione sulla corretta qualificazione dell'ATO appellante come professionista e dei contribuenti come consumatori;

Ritenuto che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, tenuto conto che l'ATO appellante è in liquidazione, sia opportuno sospendere l'esecutività della sentenza impugnata nelle more della definizione del merito della controversia".

Le parti hanno prodotto altre memorie a sostegno delle rispettive difese.

All'udienza pubblica del 18 luglio 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. L'appello è fondato e va di conseguenza accolto, in quanto è fondata, con conseguente assorbimento degli altri motivi, la doglianza con cui è censurata la competenza dell'AGCM ad adottare il provvedimento impugnato.

3. L'ATO Messina 1 s.p.a. in liquidazione, società a totale partecipazione pubblica locale, ha come oggetto sociale la gestione integrata dei servizi di igiene ambientale nell'ambito territoriale ottimale 1 Messina, in applicazione dell'art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell'art. 2-bis dell'ordinanza di protezione civile n. 2983 del 31 maggio 1999.

La società è stata posta in liquidazione per legge ai sensi della l.r. n. 9 del 2010.

4. Il Collegio, in li[n]ea generale, evidenzia che i tributi sono entrate dello Stato o dell'ente locale conseguenti ad imposizioni fiscali e si diversificano in imposte e tasse, mentre le tariffe sono dovute da chi fa "uso" di determinati servizi.

L'imposta, in particolare, è un prelievo di natura pecuniaria previsto dalla legge a carico del contribuente a titolo di compartecipazione alle spese pubbliche secondo uno specifico indice di ripartizione rappresentato dalla capacità contributiva di ogni contribuente, mentre la tassa è un prelievo pecuniario previsto dalla legge gravante sul contribuente in relazione alla fruizione o fruibilità di un servizio pubblico o di un'attività pubblica erogata da un ente pubblico, per cui, normalmente, il servizio è richiesto dal contribuente e dalla sua erogazione deriva un beneficio.

La tariffa d'igiene ambientale (TIA) è stata in origine introdotta dall'art. 49 del d.[l]gs. n. 22 del 1997 senza essere qualificata espressamente come prelievo a titolo di "tributo" o di "tassa", pur mantenendo il riferimento testuale alla "tariffa".

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 238 del 24 luglio 2009, ha riconosciuto la natura di entrata tributaria della TIA.

In particolare, il giudice delle leggi ha posto in rilievo che la TIA non costituisce un'entrata patrimoniale di diritto privato, ma è una mera variante della TARSU e conserva la qualifica di tributo propria di quest'ultima per la doverosità della prestazione e l'inesistenza di un rapporto sinallagmatico.

Infatti, la Corte, mediante numerose pronunce, ha indicato i criteri cui far riferimento per qualificare come tributari alcuni prelievi; tali criteri, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che disciplina i prelievi stessi, consistono nella doverosità della prestazione, nella mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante (la sentenza n. 238 del 2009 richiama ex plurimis: sentenze n. 141 del 2009; n. 335 e n. 64 del 2008; n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005).

La TIA, analogamente alla TARSU, ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo "interni" (cioè prodotti o producibili dal singolo utente che si avvale del servizio), ma anche "esterni" (cioè «rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico», vale a dire che ha la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibili a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente.

La Consulta ha inoltre osservato come la mera circostanza che la legge assegni a un pagamento la funzione di coprire integralmente i costi di un servizio non è sufficiente ad attribuire al medesimo pagamento la natura di prezzo privatistico.

Allo stesso modo, la Corte di cassazione a Sezioni unite, con l'ordinanza n. 4903 del 2010 e con la sentenza n. 25929 del 2011, successivamente ribadite con altre pronunce delle Sezioni semplici, ha anch'essa sancito la natura di tributo della TIA.

Da ultimo, la Corte di cassazione, Quinta sezione civile, con la sentenza n. 2029 del 19 gennaio 2024, ha evidenziato che, in tema di contenzioso tributario, gli atti con cui il gestore del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa di igiene ambientale, anche quando gli stessi dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta ma ad un'entrata pubblicistica, per cui, avendo natura di atti impositivi, anche le fatture TIA debbono rispondere ai requisiti sostanziali propri di questi provvedimenti e possono essere impugnate davanti agli organi della giustizia tributaria.

In conclusione, la TIA ha natura tributaria, in quanto la prestazione fiscale, destinata a finanziare la spesa pubblica, è dovuta in ragione di un presupposto economicamente rilevante, quale la proprietà di un immobile, in assenza di un rapporto sinallagmatico tra l'ente gestore e l'utente

5. Sulla base di tali considerazioni, il Collegio - pur aderendo alla ampia nozione di professionista, ai fini della tutela del consumatore, elaborata dalla giurisprudenza europea e nazionale, nel cui ambito rientra l'ATO ME 1 in liquidazione quale soggetto pubblico che svolge un'attività economica - ritiene che l'attività di recupero della TIA sia assoggettata alla giurisdizione del giudice tributario e all'eventuale intervento del Garante del contribuente, mentre fuoriesce dall'applicabilità del codice del consumo ed al conseguente potere di intervento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, mancando un effettivo "rapporto di consumo", caratterizzato da prestazioni sinallagmatiche tra l'ATO ed i suoi utenti.

Nella fattispecie, infatti, il "rapporto di consumo" non può individuarsi, in quanto l'utente del servizio di gestione dei rifiuti non può essere qualificato consumatore ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 206 del 2005, atteso che, come sopra evidenziato e come posto in rilievo anche dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, la TIA non costituisce un'entrata patrimoniale di diritto privato ma un tributo, da versare in relazione ad un fatto privo di rilievo privatistico in quanto carente della caratteristica della corrispettività, che contraddistingue invece il sinallagma contrattuale, avendo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, ad un servizio non riconducibile a un rapporto sinallagmatico e paritetico con il singolo utente.

L'attività sanzionata si concreta nell'attività di riscossione di entrate patrimoniali facenti capo all'ente pubblico, espressione di potere pubblicistico, inerenti a imposte di natura tributaria e, quindi, al di fuori di un nesso di corrispettività tale da poterne consentire l'inquadramento nel rapporto di consumo disciplinato dal d.lgs. n. 206 del 2005.

In altri termini, l'attività di riscossione di entrate pubblicistiche, alle quali appartiene la tariffa di igiene ambientale, non può essere assimilata ad una attività post-vendita, in assenza di un presupposto contratto di vendita.

Diversamente, l'erogazione del servizio idrico integrato, con riferimento al quale la giurisprudenza ha ritenuto rientrare nella competenza dell'AGCM l'esercizio della potestà di accertamento, conformativa e sanzionatoria disciplinata dal codice del consumo, si differenzia non già perché il servizio è erogato da un soggetto pubblico, al pari che nel servizio di gestione integrata dei rifiuti, ma perché il servizio, a differenza che nel servizio di gestione integrata dei rifiuti, è erogato su richiesta dell'interessato, che quindi può qualificarsi consumatore, ed in quanto, essendo l'entrata patrimoniale destinata a coprire la spesa sostenuta individualmente, le prestazioni corrispettive sono avvinte da un nesso sinallagmatico, sicché la prestazione a carico dell'utente ha caratteristiche di tariffa e non di tributo.

A tal fine, occorre considerare che l'art. 154, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 sancisce espressamente che "la tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato" e che "tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo".

Il potere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, in sostanza, non sussiste nel caso di specie, in quanto non è individuabile la figura del consumatore, essendo il servizio erogato a prescindere dalla richiesta del contribuente e non essendo il servizio reso avvinto da un nesso di sinallagmaticità con la prestazione dovuta dall'utente.

La riscossione di entrate pubblicistiche di natura tributaria, quali quelle della specie, in definitiva, ha un proprio e specifico statuto normativo (cfr. C.d.S., VI, 13 maggio 2019, n. 3102).

Nondimeno, il soggetto pubblico titolare dell'esercizio del servizio deve provvedere allo stesso nel rigoroso rispetto degli obblighi di diligenza e correttezza ed i poteri di controllo sull'attività dell'ente pubblico erogatore del servizio sono esercitabili dal Garante del contribuente, al quale possono essere fatte pervenire le relative denunce, inerenti eventuali disservizi e comportamenti scorretti dell'ente gestore.

6. Per tutto quanto esposto, assorbite le doglianze relative al "merito" del contenuto del provvedimento, l'appello va accolto e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso proposto in primo grado dall'ATO ME 1 s.p.a. in liquidazione, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

7. Le spese del doppio grado di giudizio, considerate la novità e la complessità della questione trattata, possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe (R.G. 10088 del 2023) e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado dall'ATO ME 1 s.p.a. in liquidazione ed annulla il provvedimento impugnato.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. I stralcio, sent. n. 14238/2023.