Consiglio di Stato
Sezione V
Sentenza 10 ottobre 2024, n. 8141
Presidente: Lotti - Estensore: Santini
FATTO E DIRITTO
1. L'odierna appellante chiedeva la assegnazione in regolarizzazione di un alloggio E.R.P. abusivamente occupato.
La domanda veniva rigettata, dal Comune di Barletta, per assenza del "presupposto temporale" ossia l'abusiva occupazione dell'immobile per almeno un triennio precedente alla entrata in vigore della l.r. n. 10 del 2014.
2. Il provvedimento di rigetto veniva impugnato dinanzi al T.A.R. Bari il quale rigettava il ricorso della richiedente per le seguenti ragioni:
2.1. pur in assenza di firma autografa, il provvedimento di rigetto risulta comunque attribuibile alla competente P.A.;
2.2. non è stata fornita la benché minima dimostrazione circa la abusiva occupazione dell'alloggio nel triennio precedente alla entrata in vigore della l.r. n. 10 del 2014.
3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati:
3.1. erroneità nella parte in cui non sarebbe stato considerato che alcuna firma digitale sarebbe stata apposta sul gravato provvedimento. In ogni caso, anche a voler ritenere apposta la firma digitale, l'atto non è poi stato trasmesso in via telematica ma soltanto a mezzo del messo notificatore;
3.2. erroneità per omessa considerazione del difetto di motivazione in capo al provvedimento di rigetto.
4. Si costituiva in giudizio A.R.C.A. Puglia per chiedere il rigetto del gravame.
5. Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2024 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione.
6. Quanto al primo motivo di appello, l'assenza di formale sottoscrizione del provvedimento di rigetto non elide la possibilità di attribuire comunque, all'amministrazione comunale appellata, la effettiva "provenienza" del medesimo atto.
Si veda al riguardo la pacifica giurisprudenza sulla assenza di firma dei provvedimenti tributari o amministrativi in generale secondo cui, più da vicino: «Sebbene la firma apposta in calce ad un provvedimento o ad un atto amministrativo costituisce lo strumento per la sua concreta attribuibilità, psichica e giuridica, all'agente amministrativo che risulta averlo formalmente adottato, è pur vero che la giurisprudenza ha recentemente (e condivisibilmente) osservato, anche in omaggio al più generale principio di correttezza e buona fede cui debbono essere improntati i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, che non solo la "non leggibilità" della firma, ma anche la stessa autografia della sottoscrizione non possono costituire requisiti di validità dell'atto amministrativo, ove concorrano elementi testuali (indicazione dell'ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che ha adottato la determinazione, emergenti anche dal complesso dei documenti che lo accompagnano), che permettono di individuare la sua sicura provenienza (C.d.S., Sez. IV, 7 luglio 200[9], n. 4356; Sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4712); è stato anche rilevato (Cass., Sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375) che l'atto amministrativo esiste come tale allorché i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenerne la sicura provenienza dall'amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l'autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell'interessato di chiedere al giudice l'accertamento dell'effettiva provenienza dell'atto stesso dal soggetto autorizzato a firmarlo» (C.d.S., Sez. V, 2 gennaio 2024, n. 29; 28 maggio 2012, n. 3119). Elementi questi (indicazione ente competente, qualifica, ufficio, etc.) che nel caso di specie non solo risultano ad una attenta lettura degli atti in contestazione ma che neppure hanno formato oggetto di più specifica contestazione da parte della difesa di parte appellante.
Alla luce dei rilievi sopra evidenziati, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato.
7. Quanto al secondo motivo di appello, con cui si evidenza l'assenza di motivazione in capo al provvedimento di rigetto, esso risulta generico in quanto l'appellante non ha mai dimostrato idonea documentazione (es. certificato di residenza oppure atti di accertamento per mano di pubblici ufficiali) onde dimostrare l'occupazione a partire almeno dal 2011.
Di contro la difesa di parte appellante ha solo genericamente affermato che: "costituisce un dato di fatto inoppugnabile e incontestabile che il Comune, nell'ambito del provvedimento adottato, abbia omesso di considerare la circostanza in questione" (pag. 11 atto di appello).
Anche dalla estrema genericità della formulazione di tale censura deriva dunque il rigetto, altresì, del secondo motivo di appello,
8. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato. Con compensazione in ogni caso delle spese di lite stante la peculiarità della esaminata questione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e degli artt. 5 e 6 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Puglia, sent. n. 657/2022.