Corte di giustizia dell'Unione Europea
Prima Sezione
Sentenza 7 novembre 2024

«Rinvio pregiudiziale - Unione doganale - Codice doganale dell'Unione - Regolamento (UE) n. 952/2013 - Articolo 18 - Rappresentante doganale - Libera prestazione dei servizi - Direttiva 2006/123/CE - Articoli 10 e 15 - Centri di assistenza doganale - Limitazione territoriale dell'attività - Restrizione - Giustificazione».

Nella causa C-503/23, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Italia), con ordinanza del 26 luglio 2023, pervenuta in cancelleria il 7 agosto 2023, nel procedimento Centro di Assistenza Doganale (Cad) Mellano Srl contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Agenzia delle Dogane - Direzione Interregionale per la Liguria, Ministero dell'Economia e delle Finanze.

[...]

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione degli articoli da 56 a 62 TFUE, dell'articolo 18 del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell'Unione (GU 2013, L 269, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale»), nonché degli articoli 10 e 15 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36).

2. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra un centro di assistenza doganale (CAD), il Centro di Assistenza Doganale (Cad) Mellano Srl (in prosieguo: il «Cad Mellano»), e l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Agenzia delle Dogane - Direzione Interregionale per la Liguria (Italia) in merito al rifiuto di quest'ultima di autorizzare il Cad Mellano a esercitare le proprie attività al di fuori dell'ambito territoriale del compartimento doganale in cui esso ha la propria sede.

Contesto normativo

Diritto dell'Unione

Codice doganale

3. Il considerando 21 del codice doganale così recita:

«Al fine di agevolare le attività commerciali, occorre preservare per chiunque il diritto di nominare un rappresentante per le sue relazioni con le autorità doganali. Non dovrebbe tuttavia essere più possibile riservare tale diritto di rappresentanza con una legge emanata da uno Stato membro. Inoltre, il rappresentante doganale che soddisfa i criteri per la concessione dello status di operatore economico autorizzato per le semplificazioni doganali dovrebbe essere abilitato a prestare tali servizi in uno Stato membro diverso dallo Stato membro in cui è stabilito. Come regola generale, un rappresentante doganale dovrebbe essere stabilito nel territorio doganale dell'Unione [europea]. Tale obbligo dovrebbe essere oggetto di esenzione se il rappresentante doganale agisce per conto di persone che non sono tenute a essere stabilite nel territorio doganale dell'Unione o in altri casi giustificati».

4. L'articolo 18 di tale codice, rubricato «Rappresentante doganale», dispone quanto segue:

«1. Chiunque può nominare un rappresentante doganale.

Siffatta rappresentanza può essere diretta, se il rappresentante doganale agisce in nome e per conto di un'altra persona, oppure indiretta, se il rappresentante doganale agisce in nome proprio ma per conto di un'altra persona.

2. Il rappresentante doganale è stabilito nel territorio doganale dell'Unione.

Salvo che sia altrimenti disposto, si deroga a tale requisito se il rappresentante doganale agisce per conto di persone che non sono tenute a essere stabilite nel territorio doganale dell'Unione.

3. Gli Stati membri possono fissare, conformemente al diritto dell'Unione, le condizioni alle quali un rappresentante doganale può prestare servizi nello Stato membro in cui è stabilito. Tuttavia, fatta salva l'applicazione di criteri meno severi da parte dello Stato membro interessato, il rappresentante doganale che soddisfa i criteri di cui all'articolo 39, lettere da a) a d), è abilitato a prestare i servizi in questione in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito.

4. Gli Stati membri possono applicare le condizioni stabilite ai sensi del paragrafo 3, prima frase, a rappresentanti doganali non stabiliti nel territorio doganale dell'Unione».

5. Ai sensi dell'articolo 39 di detto codice:

«I criteri per la concessione dello status di operatore economico autorizzato sono i seguenti:

a) assenza di violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale, compresa l'assenza di trascorsi di reati gravi in relazione all'attività economica del richiedente;

b) dimostrazione, da parte del richiedente, di un alto livello di controllo sulle sue operazioni e sul flusso di merci, mediante un sistema di gestione delle scritture commerciali e, se del caso, di quelle relative ai trasporti, che consenta adeguati controlli doganali;

c) solvibilità finanziaria, che si considera comprovata se il richiedente si trova in una situazione finanziaria sana, che gli consente di adempiere ai propri impegni, tenendo in debita considerazione le caratteristiche del tipo di attività commerciale interessata;

d) con riguardo all'autorizzazione di cui all'articolo 38, paragrafo 2, lettera a), il rispetto di standard pratici di competenza o qualifiche professionali direttamente connesse all'attività svolta; e

e) con riguardo all'autorizzazione di cui all'articolo 38, paragrafo 2, lettera b), l'esistenza di adeguati standard di sicurezza, che si considerano rispettati se il richiedente dimostra di disporre di misure idonee a garantire la sicurezza della catena internazionale di approvvigionamento anche per quanto riguarda l'integrità fisica e i controlli degli accessi, i processi logistici e le manipolazioni di specifici tipi di merci, il personale e l'individuazione dei partner commerciali».

Direttiva 2006/123

6. I considerando 2, 5, 6, 29 e 40 della direttiva 2006/123 enunciano quanto segue:

«(2) Una maggiore competitività del mercato dei servizi è essenziale per promuovere la crescita economica e creare posti di lavoro nell'Unione europea. Attualmente un elevato numero di ostacoli nel mercato interno impedisce ai prestatori, in particolare alle piccole e medie imprese (PMI), di espandersi oltre i confini nazionali e di sfruttare appieno il mercato unico. Tale situazione indebolisce la competitività globale dei prestatori dell'Unione europea. Un libero mercato che induca gli Stati membri ad eliminare le restrizioni alla circolazione transfrontaliera dei servizi, incrementando al tempo stesso la trasparenza e l'informazione dei consumatori, consentirebbe agli stessi una più ampia facoltà di scelta e migliori servizi a prezzi inferiori.

(...)

(5) È necessario quindi eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all'effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato. Poiché gli ostacoli al mercato interno dei servizi riguardano tanto gli operatori che intendono stabilirsi in altri Stati membri quanto quelli che prestano un servizio in un altro Stato membro senza stabilirvisi, occorre permettere ai prestatori di sviluppare le proprie attività nel mercato interno stabilendosi in uno Stato membro o avvalendosi della libera circolazione dei servizi. I prestatori devono poter scegliere tra queste due libertà, in funzione della loro strategia di sviluppo in ciascuno Stato membro.

(6) Non è possibile eliminare questi ostacoli soltanto grazie all'applicazione diretta degli articoli 43 e 49 del trattato in quanto, da un lato, il trattamento caso per caso mediante l'avvio di procedimenti di infrazione nei confronti degli Stati membri interessati si rivelerebbe estremamente complesso da gestire per le istituzioni nazionali e comunitarie, in particolare dopo l'allargamento e, dall'altro lato, l'eliminazione di numerosi ostacoli richiede un coordinamento preliminare delle legislazioni nazionali, anche al fine di istituire una cooperazione amministrativa. Come è stato riconosciuto dal Parlamento europeo e dal Consiglio [dell'Unione europea], un intervento legislativo comunitario permette di istituire un vero mercato interno dei servizi.

(...)

(29) Poiché il trattato prevede basi giuridiche specifiche in materia fiscale e considerate le norme comunitarie già adottate in questo ambito, occorre escludere il settore fiscale dal campo di applicazione della presente direttiva.

(...)

(40) La nozione di "motivi imperativi di interesse generale" (...) copre almeno i seguenti motivi: (...) la tutela dei consumatori, (...) la prevenzione della frode, (...)».

7. Ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2006/123:

«La presente direttiva stabilisce le disposizioni generali che permettono di agevolare l'esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi».

8. L'articolo 2 di tale direttiva dispone quanto segue:

«1. La presente direttiva si applica ai servizi forniti da prestatori stabiliti in uno Stato membro.

(...)

3. La presente direttiva non si applica al settore fiscale».

9. L'articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva recita:

«Se disposizioni della presente direttiva confliggono con disposizioni di altri atti comunitari che disciplinano aspetti specifici dell'accesso ad un'attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, le disposizioni di questi altri atti comunitari prevalgono e si applicano a tali settori o professioni specifiche. (...)».

10. L'articolo 4 della direttiva in parola, rubricato «Definizioni», dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

1) "servizio": qualsiasi attività economica non salariata di cui all'articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione;

(...)

6) "regime di autorizzazione": qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all'accesso ad un'attività di servizio o al suo esercizio;

7) "requisito": qualsiasi obbligo, divieto, condizione o limite stabilito dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri o derivante dalla giurisprudenza, dalle prassi amministrative, dalle regole degli organismi e ordini professionali o dalle regole collettive di associazioni o organizzazioni professionali adottate nell'esercizio della propria autonomia giuridica; le norme stabilite dai contratti collettivi negoziati dalle parti sociali non sono considerate di per sé come requisiti ai sensi della presente direttiva;

8) "motivi imperativi d'interesse generale": motivi riconosciuti come tali dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, tra i quali: l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l'incolumità pubblica, la sanità pubblica, il mantenimento dell'equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l'equità delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico ed artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale;

(...)».

11. L'articolo 10 della direttiva 2006/123, rubricato «Condizioni di rilascio dell'autorizzazione», così recita:

«1. I regimi di autorizzazione devono basarsi su criteri che inquadrino l'esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché tale potere non sia utilizzato in modo arbitrario.

2. I criteri di cui al paragrafo 1 devono essere:

a) non discriminatori;

b) giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

c) commisurati all'obiettivo di interesse generale;

(...)

4. L'autorizzazione permette al prestatore di accedere all'attività di servizi o di esercitarla su tutto il territorio nazionale, anche mediante l'apertura di rappresentanze, succursali, filiali o uffici, tranne nei casi in cui la necessità di un'autorizzazione specifica o di una limitazione dell'autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.

(...)».

12. L'articolo 15 di tale direttiva precisa quanto segue:

«1. Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico prevede i requisiti di cui al paragrafo 2 e provvedono affinché tali requisiti siano conformi alle condizioni di cui al paragrafo 3. Gli Stati membri adattano le loro disposizioni legislative, regolamentari o amministrative per renderle conformi a tali condizioni.

2. Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l'accesso a un'attività di servizi o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori seguenti:

a) restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori;

(...)

e) il divieto di disporre di più stabilimenti sullo stesso territorio nazionale;

(...)

3. Gli Stati membri verificano che i requisiti di cui al paragrafo 2 soddisfino le condizioni seguenti:

a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell'ubicazione della sede legale;

b) necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato.

(...)».

Diritto italiano

13. Il decreto-legge del 30 dicembre 1991, n. 417 - Disposizioni concernenti criteri di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, delle tasse per i contratti di trasferimento di titoli o valori e altre disposizioni tributarie urgenti (GURI n. 1 del 2 gennaio 1992), convertito con modificazioni dalla legge del 6 febbraio 1992, n. 66 (GURI n. 33, del 10 febbraio 1992), prescrive, all'articolo 7, commi 1-septies e 1-octies, quanto segue:

«1-septies. Gli spedizionieri doganali di cui al comma 1-sexies possono costituire società di capitali con capitale minimo di 100 milioni di lire [italiane (ITL) (circa EUR 51 645)], aventi per oggetto sociale esclusivamente l'esercizio di assistenza doganale, al fine di svolgere, conformemente all'autorizzazione del Ministro delle finanze, oltre quelli indicati nel comma 1-sexies, anche i seguenti compiti:

a) ricevere o emettere dichiarazioni doganali, asseverarne il contenuto previa acquisizione e controllo formale della relativa documentazione commerciale, anche per l'adozione dei programmi e dei criteri selettivi per la visita totale o parziale delle merci;

b) asseverazione dei dati acquisiti ed elaborati secondo quanto previsto dalle lettere a), b) e c) del comma 1-sexies per l'espletamento di formalità derivanti dalla normativa comunitaria.

1-octies. L'amministrazione finanziaria ha il potere di richiedere alle società autorizzate a svolgere le attività di assistenza doganale, anche in deroga a contrarie disposizioni statutarie o regolamentari, dati ed elementi in loro possesso. Con decreto del Ministro delle finanze da emanare (...) entro il 31 luglio 1992 sono dettate le occorrenti disposizioni di attuazione del comma 1-septies, comprese quelle concernenti le società previste dal medesimo comma 1-septies ed in particolare i criteri e le modalità per la loro iscrizione in apposito albo, per il rilascio da parte del Ministro delle finanze dell'autorizzazione a svolgere i compiti loro affidati e quelle per i controlli e la vigilanza anche ispettiva da parte dell'amministrazione finanziaria (...)».

14. L'articolo 1 del decreto ministeriale dell'11 dicembre 1992, n. 549 - Regolamento recante la costituzione dei centri di assistenza doganale (GURI n. 17, del 22 gennaio 1993; in prosieguo: il «decreto ministeriale n. 549/1992»), dispone quanto segue:

«1. Gli spedizionieri doganali iscritti da almeno tre anni all'albo professionale (...) e che esercitano l'attività professionale non vincolati a rapporto di lavoro subordinato, possono costituire società di capitali, denominate CAD (...) aventi per oggetto esclusivamente l'esercizio di assistenza doganale (...).

2. I [CAD] sono sottoposti alla vigilanza, anche ispettiva, dell'Amministrazione finanziaria (...).

(...)».

15. Ai sensi dell'articolo 2 di tale decreto:

«1. L'autorizzazione del Ministro delle finanze, prevista dall'art. 7, comma 1-septies, della legge n. 66/1992, viene concessa alle società di cui all'art. 1, comma 1, previa presentazione al Dipartimento delle dogane e delle imposte indirette della seguente documentazione:

a) atto costitutivo della società con indicazione dei soci, corredata dagli estremi della patente con validità illimitata;

b) statuto della società, predisposto secondo il modello approvato in allegato al presente decreto;

c) certificato di iscrizione della società alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura;

d) certificazione del consiglio compartimentale competente da cui risulti che tutti i soci sono iscritti all'albo professionale da almeno tre anni e che esercitano l'attività professionale non vincolati a rapporto di lavoro subordinato e che per i medesimi non ricorre nessuna delle ipotesi da cui possa derivare la sospensione o la revoca della patente a termine dell'art. 53 o 54 del [decreto del Presidente della Repubblica del 23 gennaio 1973, n. 43 - Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (supplemento ordinario alla GURI n. 80, del 28 marzo 1973; in prosieguo: il "decreto n. 43/1973")].

2. Deve inoltre essere presentata una documentazione rilasciata dalla circoscrizione doganale competente sul territorio ove sono ubicati gli uffici del [CAD] da cui risulti, a seguito di apposito sopralluogo, l'effettiva esistenza di una struttura, con appositi locali ed attrezzature, per lo svolgimento dell'attività di assistenza doganale, dotata di sistema di registrazione contabile e presso la quale verranno conservati gli atti. Ogni struttura destinata successivamente all'attività del [CAD] dovrà ugualmente essere comunicata alla competente circoscrizione doganale ai fini del prescritto sopralluogo.

(...)».

16. L'articolo 3 del decreto ministeriale n. 549/1992 prevede quanto segue:

«1. Presso la direzione centrale dei servizi doganali del Dipartimento delle dogane e imposte indirette è istituito un apposito albo nel quale dovranno essere obbligatoriamente iscritte le società di cui all'art. 1, comma 1, dopo aver ottenuto la preventiva autorizzazione del Ministro delle finanze. L'iscrizione comporta l'annotazione degli estremi dell'identificazione della società, del numero di autorizzazione, nonché il codice fiscale e la partita IVA [(imposta sul valore aggiunto)] e l'assegnazione di un numero progressivo.

(...)

3. Le società autorizzate di cui all'art. 1, comma 1, svolgono le loro attività nell'ambito territoriale del compartimento doganale in cui hanno la sede e possono collegarsi con società omologhe con sede e competenza in altri territori di differenti direzioni compartimentali e costituire gruppi europei di interesse economico previsti dal regolamento (CEE) n. 2137/85 [del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativo all'istituzione di un gruppo europeo di interesse economico (GEIE) (GU 1985, L 199, pag. 1)], disciplinati dal decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240».

17. L'articolo 7, comma 4, del decreto ministeriale n. 549/1992 così recita:

«La direzione della circoscrizione doganale può disporre controlli o riscontri sull'attività svolta negli uffici o negli altri luoghi del [CAD], ubicati nel proprio ambito territoriale».

18. Ai sensi dell'articolo 8 di tale decreto ministeriale:

«1. Per accertare la corretta tenuta dei registri in dotazione ai [CAD], la regolarità delle operazioni eseguite, l'adempimento dei prescritti obblighi[,] la vigilanza, anche ispettiva, da esercitare sui [CAD], consiste nel riscontro a scandaglio tra le operazioni risultanti dai registri, dalle scritture e da ogni altra documentazione in possesso dei [CAD] e gli atti degli uffici doganali e degli utenti che hanno operato presso detti [CAD] e viene esercitata almeno una volta l'anno.

(...)

3. Fermo restando ogni diverso obbligo di legge[,] ove dall'esercizio della vigilanza emergano irregolarità in materie di competenza di altro ufficio finanziario o di altra amministrazione, saranno effettuate formali comunicazioni agli uffici interessati».

19. L'articolo 3 della legge del 25 luglio 2000, n. 213 - Norme di adeguamento dell'attività degli spedizionieri doganali alle mutate esigenze dei traffici e dell'interscambio internazionale delle merci (GURI n. 178, del 1º agosto 2000), prevede quanto segue:

«(...)

4. L'autorizzazione all'esercizio dei CAD prevede la loro ammissione alle procedure semplificate di accertamento di cui all'articolo 76 del codice doganale comunitario di cui al regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992 [che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1)], e agli articoli 253 e seguenti del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, [che fissa talune disposizioni d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU 1993, L 253, pag. 1)], alle condizioni e con le modalità dagli stessi previste.

5. I CAD, in attuazione delle procedure semplificate, possono presentare le merci, oltre che negli spazi e nei luoghi destinati all'effettuazione delle operazioni doganali di cui all'articolo 17 del [decreto n. 43/1973], anche presso i luoghi, i magazzini o i depositi dei soggetti per conto dei quali di volta in volta essi operano e presso i quali le merci si trovano giacenti, sempreché tali luoghi, magazzini o depositi siano siti nell'ambito territoriale di competenza della circoscrizione doganale presso la quale sono accreditati ad operare.

(...)».

20. L'articolo 47, comma 3, del decreto n. 43/1973, come modificato dall'articolo 82, comma 1, lettera b), del decreto legislativo del 26 marzo 2010, n. 59 - Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno (supplemento ordinario alla GURI n. 94, del 23 aprile 2010), precisa quanto segue:

«La nomina a spedizioniere doganale abilita alla presentazione di dichiarazioni doganali sull'intero territorio nazionale».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

21. Il Cad Mellano è un CAD la cui attività consiste nel prestare ai propri clienti servizi di rappresentanza doganale. Esso è stato autorizzato a tal fine dalla Direzione territoriale II per la Liguria, il Piemonte e la Valle d'Aosta (Italia) competente per il compartimento in cui è ubicata la sua sede. Per l'applicazione delle procedure semplificate, il Cad Mellano dispone, in tale compartimento doganale, di locali approvati che gli consentono di procedere alle operazioni doganali su merci senza dover farle passare in dogana o nei locali dell'importatore.

22. Nel corso dell'anno 2021, il Cad Mellano ha concluso un contratto con la società tedesca ALFA per l'emissione di bollette doganali di importazione e di esportazione da/verso il Regno Unito.

23. Ai fini della realizzazione delle operazioni di importazione e di esportazione delle merci della società ALFA, il Cad Mellano ha stipulato un contratto con la società BETA che dispone di un deposito nella provincia di Vicenza (Italia), al di fuori dell'ambito territoriale del compartimento doganale in cui ha sede il Cad Mellano. Quest'ultimo ha, di conseguenza, richiesto alle autorità doganali competenti l'autorizzazione per tali locali.

24. Il 20 ottobre 2021 tale domanda è stata respinta con la motivazione che l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 non consente ai CAD di svolgere la propria attività al di fuori del compartimento doganale in cui hanno la sede.

25. Il Cad Mellano ha proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (Italia), giudice del rinvio, un ricorso diretto all'annullamento di tale rigetto.

26. In primo luogo, il giudice del rinvio esprime dubbi sulla compatibilità dell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 con l'articolo 18, paragrafo 3, del codice doganale. Infatti, ai sensi di quest'ultima disposizione, un rappresentante doganale, ove soddisfi i criteri di cui all'articolo 39, lettere da a) a d), di tale codice, dovrebbe essere abilitato a prestare i suoi servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito. A fortiori, tale rappresentante dovrebbe poter esercitare le sue attività nell'intero territorio dello Stato membro in cui è stabilito.

27. In secondo luogo, l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 potrebbe essere in contrasto con l'articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2006/123. Infatti, quest'ultima disposizione permette al prestatore autorizzato di accedere all'attività di servizi o di esercitarla su tutto il territorio nazionale, «anche mediante l'apertura di rappresentanze, succursali, filiali o uffici», tranne nei casi in cui la necessità di una limitazione dell'autorizzazione ad una determinata parte del territorio per ogni stabilimento sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale. Da un lato, non sembrerebbe sussistere, nella controversia di cui al procedimento principale, alcuna giustificazione per una siffatta limitazione. Dall'altro lato, la disposizione nazionale controversa avrebbe l'effetto di vietare ai CAD di disporre di più stabilimenti sul territorio nazionale. Orbene, un divieto del genere non sarebbe né necessario né proporzionato.

28. In terzo luogo, la limitazione territoriale dell'esercizio dell'attività dei CAD potrebbe essere in contrasto con gli articoli da 56 a 62 TFUE. Infatti, tali CAD, che operano in forma di società di capitali, si troverebbero in una posizione obiettivamente sfavorevole rispetto agli spedizionieri doganali che, pur svolgendo la stessa attività dei CAD, non sarebbero soggetti ad alcuna limitazione territoriale.

29. Il giudice del rinvio rileva, in tale contesto, che la restrizione alla libera prestazione dei servizi dei CAD stabiliti in Italia derivante dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 può anche avere effetti transfrontalieri, dal momento che tale disposizione è applicabile ai prestatori stabiliti in altri Stati membri.

30. Ciò premesso, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) [S]e l'articolo 18 del [codice doganale], unitamente al considerando 21 [di tale codice], debba essere interpretato nel senso che osti ad una norma (l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992) e prassi nazionale che dispongono la limitazione dell'operatività dei CAD (...) presso un "luogo approvato" all'interno della Direzione [doganale] Regionale/Interregionale/Interprovinciale in cui hanno sede legale, escludendone l'estensione all'intero territorio nazionale.

2) [S]e gli articoli 10 e 15 della direttiva [2006/123] debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una norma (l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992) e prassi nazionale che dispongono la limitazione dell'operatività dei CAD (...) presso un "luogo approvato" all'interno della Direzione [doganale] Regionale/Interregionale/Interprovinciale in cui hanno sede legale, escludendone l'estensione all'intero territorio nazionale e riservando al contempo tale operatività su tutto il territorio nazionale soltanto agli spedizionieri doganali.

3) [S]e gli articoli [da 56 a 62] TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una norma (l'articolo 3, comma 3, [del] decreto ministeriale n. 549/1992) e prassi nazionale che dispongono la limitazione dell'operatività dei CAD (...) presso un "luogo approvato" all'interno della Direzione [doganale] Regionale/Interregionale/Interprovinciale in cui hanno sede legale, escludendone l'estensione all'intero territorio nazionale e riservando al contempo tale operatività su tutto il territorio nazionale soltanto agli spedizionieri doganali».

Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

31. Il governo italiano ritiene che le questioni pregiudiziali siano prive di oggetto. Sarebbe infatti possibile interpretare l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 in conformità al diritto dell'Unione, cosicché la domanda di pronuncia pregiudiziale sarebbe superflua.

32. Occorre ricordare che il procedimento previsto all'articolo 267 TFUE si basa sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte. A tal riguardo, il giudice nazionale è l'unico competente ad accertare e valutare i fatti del procedimento principale nonché ad interpretare e ad applicare il diritto nazionale. Allo stesso modo, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle specifiche circostanze del procedimento, sia la necessità sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte [v., in tal senso, sentenza del 12 maggio 2022, U.I. (Rappresentante doganale indiretto), C-714/20, EU:C:2022:374, punto 33 e giurisprudenza ivi citata].

33. Ne consegue che le questioni relative all'interpretazione del diritto dell'Unione poste dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l'esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda presentata da un giudice nazionale è quindi possibile solo qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione del diritto dell'Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l'oggetto della controversia di cui al procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in tal senso, sentenza del 27 aprile 2023, Legea, C-686/21, EU:C:2023:357, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

34. Nel caso di specie, il giudice del rinvio ha esposto in modo sufficientemente chiaro il contesto di diritto e di fatto nonché le ragioni che l'hanno indotto a interrogarsi sull'interpretazione di talune disposizioni del diritto dell'Unione che esso ritiene necessaria per poter pronunciare la propria sentenza. Non appare in modo manifesto che l'interpretazione richiesta non abbia alcun rapporto con la controversia di cui al procedimento principale o che il problema sollevato sia di natura ipotetica.

35. Tale valutazione non è rimessa in discussione dall'argomento dedotto dal governo italiano. Infatti, se è vero che i giudici nazionali sono tenuti ad interpretare il diritto nazionale, per quanto possibile, in modo conforme alle prescrizioni del diritto dell'Unione al fine di garantire la piena efficacia di quest'ultimo, resta nondimeno il fatto che, nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 267 TFUE, spetta alla Corte interpretare le disposizioni del diritto dell'Unione contemplate dalla decisione di rinvio al fine di fornire tutti gli elementi che consentano al giudice del rinvio di valutare la compatibilità del diritto nazionale con tali disposizioni. Orbene, con le sue questioni pregiudiziali, il giudice del rinvio chiede per l'appunto alla Corte elementi di interpretazione del diritto dell'Unione che consentano di valutare la compatibilità con tale diritto di talune normative nazionali, ma non invita la Corte a pronunciarsi essa stessa su tale compatibilità.

36. Date tali circostanze, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

37. Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 18, paragrafo 3, del codice doganale debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui tale società ha sede.

38. Secondo una giurisprudenza costante, le disposizioni del diritto dell'Unione devono essere interpretate tenendo conto non soltanto del loro tenore letterale, ma anche del contesto in cui esse si collocano e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui fanno parte (sentenze del 15 luglio 2021, BEMH e CNCC, C-325/20, EU:C:2021:611, punto 18, e del 12 ottobre 2023, INTER CONSULTING, C-726/21, EU:C:2023:764, punto 43, e giurisprudenza ivi citata).

39. Ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 3, prima frase, del codice doganale, gli Stati membri possono fissare, conformemente al diritto dell'Unione, le condizioni alle quali un rappresentante doganale può prestare servizi nello Stato membro in cui è stabilito.

40. Per quanto riguarda la prestazione di servizi da parte di un rappresentante doganale stabilito in un altro Stato membro, l'articolo 18, paragrafo 3, seconda frase, di detto codice prevede che, fatta salva l'applicazione di criteri meno severi da parte dello Stato membro interessato, tale rappresentante è abilitato a prestare i servizi in questione in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito, qualora soddisfi i criteri di cui all'articolo 39, lettere da a) a d), del medesimo codice.

41. Più in particolare, in forza di tali criteri, un rappresentante doganale deve dimostrare di non aver commesso violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale, di esercitare un alto livello di controllo sulle sue operazioni e sul flusso di merci, mediante un sistema di gestione delle scritture commerciali, di essere finanziariamente solvibile e di trovarsi in una situazione finanziaria sana, che gli consente di adempiere ai propri impegni, tenendo in debita considerazione le caratteristiche del tipo di attività commerciale di cui trattasi, nonché di rispettare gli standard pratici in tema di competenza o di qualifiche professionali direttamente connesse all'attività svolta.

42. Di conseguenza, dall'articolo 18, paragrafo 3, del codice doganale risulta che un rappresentante doganale che intenda proporre i propri servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito soggiace alle condizioni previste dall'articolo 39, lettere da a) a d), di tale codice, fatta salva l'applicazione di criteri meno severi da parte dello Stato membro interessato. Tali condizioni non si applicano invece al rappresentante doganale che presta i suoi servizi nello Stato membro in cui è stabilito, poiché tale Stato può stabilire le condizioni per la prestazione di detti servizi, purché queste ultime siano conformi al diritto dell'Unione.

43. Nel caso di specie, l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 enuncia una condizione applicabile ai CAD, la quale limita la loro attività all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui essi hanno sede. In tal modo, la Repubblica italiana ha esercitato la facoltà riconosciutale dall'articolo 18, paragrafo 3, prima frase, di detto codice di fissare le condizioni alle quali i rappresentanti doganali organizzati in forma di società di capitali stabilite nel territorio di tale Stato membro possono prestare servizi in tale territorio.

44. Dalle considerazioni che precedono risulta che l'articolo 18, paragrafo 3, del codice doganale deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale la quale limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui tale società ha sede, a condizione che detta normativa sia conforme al diritto dell'Unione.

Sulla seconda e sulla terza questione

45. Con la seconda e la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 10 e 15 della direttiva 2006/123 nonché gli articoli da 56 a 62 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale la quale limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui tale società ha sede.

46. In primo luogo, dal considerando 6 della direttiva 2006/123 consta che non è possibile eliminare gli ostacoli alla libera prestazione di servizi soltanto grazie all'applicazione diretta dell'articolo 56 TFUE, in particolare a motivo dell'estrema complessità del trattamento caso per caso degli ostacoli a tale libertà (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2019, Commissione/Grecia, C-729/17, EU:C:2019:534, punto 53).

47. Infatti, l'esame simultaneo di una misura nazionale alla luce delle disposizioni della direttiva 2006/123 e di quelle del Trattato FUE equivarrebbe a introdurre un esame caso per caso, sulla base del diritto primario, e rimetterebbe in questione l'armonizzazione mirata effettuata da tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser, C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 96).

48. Ne consegue che, quando una restrizione alla libera prestazione dei servizi rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 2006/123, non occorre esaminarla anche alla luce dell'articolo 56 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 26 giugno 2019, Commissione/Grecia, C-729/17, EU:C:2019:534, punto 54).

49. In secondo luogo, occorre invero rilevare che la controversia di cui al procedimento principale riguarda una situazione puramente interna, in quanto le circostanze di tale causa si riferiscono al rifiuto, opposto dall'amministrazione italiana ad una società italiana, che quest'ultima eserciti la propria attività in territorio italiano in un compartimento doganale diverso da quello in cui tale società ha sede.

50. Tuttavia, una siffatta circostanza non è tale da escludere l'applicabilità delle disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 comprendente gli articoli 10 e 15 di quest'ultima, in quanto le disposizioni di tale capo III devono essere interpretate nel senso che si applicano anche a una situazione i cui elementi rilevanti si collochino tutti all'interno di un solo Stato membro (sentenza del 13 gennaio 2022, Minister Sprawiedliwości, C-55/20, EU:C:2022:6, punto 89 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, la piena realizzazione del mercato interno dei servizi richiede, anzitutto, che vengano soppressi gli ostacoli incontrati dai prestatori per stabilirsi negli Stati membri, a prescindere dal fatto che si tratti del loro Stato membro o di un altro Stato membro, e che sono suscettibili di pregiudicare la loro capacità di fornire servizi a destinatari che si trovano in tutta l'Unione (sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser, C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 105).

51. Pertanto, al fine di rispondere alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, occorre interpretare le disposizioni della direttiva 2006/123, nei limiti in cui queste ultime siano applicabili ai fatti del procedimento principale.

Sull'ambito di applicazione della direttiva 2006/123

52. In via preliminare, è necessario ricordare che l'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 prevede che, se disposizioni di tale direttiva confliggono con disposizioni di atti che disciplinano aspetti specifici dell'accesso ad un'attività di servizi o del suo esercizio in settori specifici o per professioni specifiche, le disposizioni di questi atti prevalgono.

53. Orbene, come risulta dai punti 39 e 44 della presente sentenza, l'articolo 18, paragrafo 3, del codice doganale prevede la facoltà per gli Stati membri di fissare le condizioni alle quali un rappresentante doganale può prestare i propri servizi nello Stato membro in cui è stabilito, conformemente al diritto dell'Unione, e non osta alla normativa di uno Stato membro che limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui questi sono stabiliti.

54. Ne consegue che il codice doganale non contiene, al riguardo, norme confliggenti con le disposizioni della direttiva 2006/123, cosicché tale direttiva è applicabile ai servizi prestati dai rappresentanti doganali organizzati in forma di società di capitali stabilite nel territorio italiano, soggetti alla limitazione territoriale prevista dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992.

55. Per quanto riguarda l'attività stessa dei rappresentanti doganali, l'articolo 2, paragrafo 1, e l'articolo 4 della direttiva 2006/123 stabiliscono che quest'ultima si applica a qualsiasi attività economica non salariata, fornita normalmente a fronte di un corrispettivo da un prestatore stabilito in uno Stato membro, che risieda o meno in modo stabile e continuativo nello Stato membro di destinazione, ad eccezione delle attività e dei settori espressamente esclusi ai sensi dell'articolo 2, paragrafi 2 e 3, di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza del 1º ottobre 2015, Trijber e Harmsen, C-340/14 e C-341/14, EU:C:2015:641, punto 45).

56. Più specificamente, l'articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva esclude una serie di attività dall'ambito di applicazione di quest'ultima. L'articolo 2, paragrafo 3, della stessa direttiva precisa inoltre che essa non si applica al settore fiscale.

57. Nel caso di specie, come risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, i rappresentanti doganali organizzati in forma di società di capitali stabilite nel territorio italiano, soggetti alla limitazione territoriale prevista dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, prestano servizi di assistenza per l'espletamento delle formalità doganali dietro corrispettivo.

58. Siffatti servizi rientrano nell'oggetto stesso della direttiva 2006/123, quale risulta dall'articolo 2, paragrafo 1, di quest'ultima, dal momento che tali rappresentanti doganali sono prestatori che forniscono i loro servizi nello Stato membro in cui sono stabiliti. Inoltre, l'attività di rappresentante doganale corrisponde alla nozione stessa di «servizi», come definita all'articolo 4, punto 1, di tale direttiva, in quanto si tratta di un'attività economica non salariata, fornita normalmente dietro corrispettivo.

59. Inoltre, i servizi prestati da detti rappresentanti doganali non rientrano manifestamente tra le attività espressamente escluse dall'ambito di applicazione della direttiva 2006/123, in forza dell'articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva.

60. In aggiunta, per quanto riguarda l'articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, il quale prevede che quest'ultima «non si applica al settore fiscale», risulta dal considerando 29 di tale direttiva che l'esclusione del settore fiscale dal campo di applicazione della direttiva stessa si spiega in particolare con il fatto che il Trattato FUE prevede basi giuridiche specifiche in materia.

61. Al riguardo, come evidenziato dalla Commissione europea, occorre distinguere il settore fiscale da quello doganale, poiché quest'ultimo costituisce una competenza esclusiva dell'Unione in forza dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera a), TFUE ed è disciplinato dalla normativa doganale dell'Unione, in particolare dal codice doganale. Per quanto concerne i servizi prestati dai rappresentanti doganali, l'articolo 18, paragrafo 3, di tale codice rinvia alle legislazioni nazionali, pur esigendo che tali legislazioni siano conformi al diritto dell'Unione, e quindi anche alla direttiva 2006/123. L'applicabilità di tale direttiva nel caso di specie non è quindi esclusa in forza dell'articolo 2, paragrafo 3, di quest'ultima.

62. Date tali circostanze, l'attività dei rappresentanti doganali organizzati in forma di società di capitali stabilite in Italia, soggetti alla limitazione territoriale prevista dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 2006/123.

63. Una simile interpretazione dell'ambito di applicazione della direttiva 2006/123 è corroborata dagli obiettivi di tale direttiva che, come risulta dal suo articolo 1, letto in combinato disposto con i considerando 2 e 5 della medesima, consistono nel fissare disposizioni generali volte ad eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra questi ultimi, al fine di contribuire alla realizzazione di un mercato interno libero e concorrenziale (sentenza del 30 gennaio 2018, X e Visser, C-360/15 e C-31/16, EU:C:2018:44, punto 104 e giurisprudenza ivi citata).

64. Sulla base delle considerazioni che precedono, una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in quanto disciplina l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati in forma di società di capitali stabilite nel territorio italiano, rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 2006/123.

Sulle pertinenti disposizioni della direttiva 2006/123

65. Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di interpretare gli articoli 10 e 15 della direttiva 2006/123.

66. A norma dell'articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2006/123, che trova posto nella sezione 1 del capo III di tale direttiva relativa alle autorizzazioni per l'accesso a un'attività di servizi, i regimi di autorizzazione devono basarsi su criteri che inquadrino l'esercizio del potere di valutazione da parte delle autorità competenti affinché quest'ultimo non sia utilizzato in modo arbitrario.

67. L'articolo 4, punto 6, della direttiva 2006/123 definisce la nozione di «regime di autorizzazione», ai sensi segnatamente dell'articolo 10, paragrafo 1, della medesima direttiva, come qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un'autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all'accesso ad un'attività di servizio o al suo esercizio.

68. L'articolo 15, paragrafi 1 e 2, di detta direttiva, che rientra nella sezione 2 del capo III di quest'ultima, relativa ai requisiti vietati o soggetti a valutazione, indica i requisiti ai quali gli Stati membri sono autorizzati a subordinare l'accesso a un'attività di servizi o il suo esercizio, alle condizioni enunciate nel paragrafo 3 di tale articolo 15.

69. La nozione di «requisito», menzionata all'articolo 15, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123, è definita dall'articolo 4, punto 7, di tale direttiva come qualsiasi obbligo, divieto, condizione o limite stabilito dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri o derivante dalla giurisprudenza, dalle prassi amministrative, dalle regole degli organismi e ordini professionali o dalle regole collettive di associazioni o organizzazioni professionali adottate nell'esercizio della propria autonomia giuridica.

70. La Corte ha dichiarato che un «regime di autorizzazione», ai sensi dell'articolo 4, punto 6, della direttiva 2006/123, si distingue da un «requisito», ai sensi dell'articolo 4, punto 7, di tale direttiva, per il fatto che implica un'iniziativa da parte del prestatore di servizi nonché un atto formale mediante il quale le autorità competenti autorizzano l'attività di tale prestatore (sentenza del 22 settembre 2020, Cali Apartments, C-724/18 e C-727/18, EU:C:2020:743, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).

71. Risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, i CAD possono ottenere l'approvazione di un luogo che consenta di espletare le formalità doganali senza la presentazione fisica delle merci in un ufficio doganale solo se detto luogo è situato in tale compartimento doganale.

72. Orbene, tenuto conto delle caratteristiche della limitazione territoriale prevista dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, si deve ritenere che una siffatta condizione rientri nella nozione di «requisito», ai sensi dell'articolo 15, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123, nella maniera in cui tale nozione viene definita all'articolo 4, punto 7, di detta direttiva. Infatti, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale ha l'effetto di limitare l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale al compartimento doganale in cui tale società ha sede.

Sull'interpretazione dell'articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2006/123

73. Ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123, gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l'accesso a un'attività di servizi o il suo esercizio al rispetto, in particolare, di una restrizione territoriale.

74. A tal riguardo, la Corte ha già statuito che una limitazione territoriale dell'autorizzazione all'esercizio di un'attività di servizi costituisce, ai sensi dell'articolo 15 di detta direttiva, una restrizione alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi (sentenza del 23 dicembre 2015, Hiebler, C-293/14, EU:C:2015:843, punto 49).

75. Infatti, l'articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/123 qualifica espressamente le «restrizioni territoriali» all'esercizio di un'attività di servizi come «requisiti», ai sensi dell'articolo 4, punto 7, di tale direttiva, i quali costituiscono condizioni che incidono sulla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi (sentenza del 23 dicembre 2015, Hiebler, C-293/14, EU:C:2015:843, punto 51).

76. Nel caso di specie, l'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 impedisce ai CAD di disporre di un luogo approvato nell'ambito territoriale di un compartimento doganale diverso da quello in cui essi hanno sede e impone, pertanto, una limitazione territoriale alla loro attività che costituisce una restrizione.

77. Al riguardo, come rilevato dal Cad Mellano e dalla Commissione, la circostanza che, a norma dell'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, i CAD possano collegarsi, tramite la costituzione di gruppi europei di interesse economico, a società omologhe con sede in altri compartimenti doganali al fine di prestarvi i loro servizi non è idonea ad eliminare la restrizione risultante da detta disposizione, dal momento che ai CAD non è consentito prestare i loro servizi al di fuori del compartimento doganale in cui hanno sede secondo le modalità da essi scelte.

78. Per essere ammessa, una siffatta restrizione deve soddisfare le condizioni previste dall'articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, vale a dire deve essere applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza e deve essere necessaria e proporzionata agli obiettivi che persegue (v., in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2015, Hiebler, C-293/14, EU:C:2015:843, punti da 56 a 70).

79. Di conseguenza, la restrizione che deriva dal requisito stabilito dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 può essere ammessa, alla luce delle condizioni previste dall'articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2006/123, se la restrizione stessa non è direttamente o indirettamente discriminatoria in funzione della cittadinanza ovvero, ove si tratti di società, in funzione dell'ubicazione della loro sede legale, se essa è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale e se è idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito, senza andare al di là di quanto è necessario per raggiungerlo, nella misura in cui non vi siano altre misure meno restrittive che permettano di conseguire lo stesso risultato.

80. Per quanto concerne, in primo luogo, il rispetto della condizione di non discriminazione di cui all'articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2006/123, è pacifico che il requisito previsto dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 si applica senza discriminazioni in funzione della cittadinanza o dell'ubicazione della sede legale, dal momento che tale requisito deve essere soddisfatto da tutti i rappresentanti doganali che intendano utilizzare la procedura semplificata detta «del luogo approvato», a prescindere dal fatto che siano stabiliti in Italia o in un altro Stato membro.

81. Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione se la misura di cui trattasi nel procedimento principale sia giustificata da un motivo imperativo di interesse generale, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2006/123, il governo italiano invoca l'obiettivo di garantire l'efficacia dei controlli doganali, al fine di prevenire le frodi doganali e di tutelare i destinatari dei servizi di assistenza doganale.

82. Quanto all'obiettivo relativo all'efficacia dei controlli doganali, al fine di prevenire le frodi doganali e di tutelare i destinatari dei servizi di assistenza doganale, occorre rilevare che, ai sensi dell'articolo 4, punto 8, della direttiva 2006/123, letto alla luce del considerando 40 della stessa, la tutela dei destinatari dei servizi e la prevenzione delle frodi costituiscono motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2023, CNAE e a., C-292/21, EU:C:2023:32 punto 61).

83. Riguardo, in terzo luogo, alla questione se la misura di cui trattasi nel procedimento principale sia conforme al principio di proporzionalità, come richiesto dall'articolo 15, paragrafo 3, lettera c), della direttiva 2006/123, occorre verificare che tale misura sia idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito, che essa non ecceda quanto è necessario per conseguirlo e che non esistano misure meno lesive della libertà in questione (v., in tal senso, sentenza del 19 gennaio 2023, CNAE e a., C-292/21, EU:C:2023:32 punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

84. A tal proposito, si deve ancora precisare che, conformemente a una costante giurisprudenza, una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo ricercato solo qualora risponda realmente all'intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico [sentenza del 29 luglio 2019, Commissione/Austria (Ingegneri civili, consulenti in materia di brevetti e veterinari), C-209/18, EU:C:2019:632, punto 94].

85. Spetta, in ultima analisi, al giudice nazionale, unico competente nell'accertamento dei fatti della controversia principale, verificare se una misura risponda a tale condizione. Tuttavia, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, la Corte può offrire a quest'ultimo indicazioni ricavate dagli atti del procedimento principale nonché dalle osservazioni scritte di cui essa dispone, in modo da permettere a detto giudice di statuire (sentenza del 19 gennaio 2023, CNAE e a., C-292/21, EU:C:2023:32, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

86. Per quanto concerne, in primo luogo, l'idoneità di una misura come quella prevista dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 a conseguire l'obiettivo di garantire l'efficacia dei controlli, dagli elementi forniti alla Corte risulta che la limitazione territoriale alla quale sono soggetti i CAD consente di mantenere un collegamento geografico tra il luogo in cui i CAD svolgono la loro attività e il compartimento doganale nel cui ambito territoriale gli stessi hanno sede.

87. A tal proposito, occorre osservare che la vicinanza geografica dell'ufficio doganale competente nonché le informazioni di cui esso dispone in quanto autorità che ha proceduto all'approvazione di un luogo ai fini dell'espletamento delle procedure doganali possono, in linea di principio, accrescere l'efficacia dei controlli in loco, consentendo, come indicato dal governo italiano, di garantire un controllo preventivo e costante.

88. Ciò premesso, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non sembra garantire che l'ufficio doganale territorialmente competente a controllare un CAD sia l'ufficio più vicino al luogo approvato in cui tale CAD è autorizzato a esercitare le sue attività.

89. Inoltre, dall'ordinanza di rinvio risulta che, ai sensi dell'articolo 47, comma 3, del decreto n. 43/1973, gli spedizionieri doganali possono presentare dichiarazioni doganali in tutto il territorio italiano. A tal riguardo, il giudice del rinvio ha precisato che, prima della sua modifica, tale disposizione prevedeva per gli spedizionieri doganali una limitazione territoriale identica a quella applicabile ai CAD.

90. Tenuto conto di tale differenza di trattamento tra gli spedizionieri doganali e i CAD, e fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, la limitazione territoriale risultante dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, che è applicabile solo ai CAD, non appare idonea a garantire la realizzazione degli obiettivi perseguiti, in quanto non risponde realmente all'intento di raggiungerli in modo coerente e sistematico.

91. Nei limiti in cui il governo italiano rileva, in tale contesto, che gli spedizionieri doganali non possono beneficiare della procedura doganale semplificata «del luogo approvato», essendo essi costretti ad espletare le formalità doganali nei locali dei loro clienti, ciò non toglie che il vantaggio derivante da tale procedura consiste nel fatto che le merci non devono essere presentate fisicamente nei locali delle autorità doganali. Orbene, gli spedizionieri doganali paiono anch'essi beneficiare di un siffatto vantaggio poiché possono sottoporre le merci alle formalità doganali presso i locali dei loro clienti.

92. In secondo luogo, per quanto riguarda la questione se la misura di cui trattasi nel procedimento principale ecceda quanto è necessario per realizzare l'obiettivo perseguito, vietando ai CAD di utilizzare «luoghi approvati» situati nell'ambito territoriale di un compartimento doganale diverso da quello in cui essi hanno sede, tali CAD sono costretti, per poter utilizzare siffatti luoghi, a trasferire la loro sede in tale compartimento doganale o a collegarsi, mediante la costituzione di gruppi europei di interesse economico, a società omologhe aventi la propria sede in detto compartimento.

93. Orbene, come risulta dal fascicolo a disposizione della Corte, sono ipotizzabili misure meno restrittive della limitazione territoriale risultante dall'articolo 3, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992 per garantire l'efficacia dei controlli doganali, al fine di prevenire le frodi doganali e di tutelare i destinatari dei servizi di assistenza doganale.

94. Più in concreto, spetta al giudice del rinvio valutare, segnatamente, se lo scambio tra gli uffici doganali delle informazioni necessarie per i controlli sulle formalità doganali espletate dai CAD, previsto dall'articolo 8, comma 3, del decreto ministeriale n. 549/1992, consentirebbe di raggiungere lo stesso risultato della misura di cui trattasi nel procedimento principale, costituendo al contempo una misura meno lesiva della libera prestazione dei servizi rispetto alla disposizione controversa nel procedimento principale.

95. Dalle considerazioni che precedono risulta che l'articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale, per garantire l'efficacia dei controlli doganali, al fine di prevenire le frodi doganali e di tutelare i destinatari dei servizi di assistenza doganale, limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui tale società ha sede, nella misura in cui una siffatta limitazione territoriale non sia applicata in modo coerente e l'obiettivo di garantire l'efficacia di detti controlli possa essere conseguito mediante misure meno restrittive.

Sulle spese

96. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.
la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1) L'articolo 18, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell'Unione, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale la quale limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui tale società ha sede, a condizione che detta normativa sia conforme al diritto dell'Unione.

2) L'articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale la quale, per garantire l'efficacia dei controlli doganali, al fine di prevenire le frodi doganali e di tutelare i destinatari dei servizi di assistenza doganale, limiti l'esercizio dell'attività dei rappresentanti doganali organizzati nella forma di una società di capitali avente come oggetto sociale esclusivo la prestazione di servizi di assistenza doganale all'ambito territoriale del compartimento doganale in cui tale società ha sede, nella misura in cui una siffatta limitazione territoriale non sia applicata in modo coerente e l'obiettivo di garantire l'efficacia di detti controlli possa essere conseguito mediante misure meno restrittive.