Corte di cassazione
Sezione I penale
Sentenza 12 giugno 2024, n. 29560

Presidente: Rocchi - Estensore: Centonze

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 9 marzo 2024 il Tribunale di L'Aquila, pronunciandosi quale Giudice dell'esecuzione, in accoglimento della richiesta avanzata da Sabatino M., finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell'art. 671 c.p.p., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti A, B e C del provvedimento impugnato, rideterminava il trattamento sanzionatorio irrogato al condannato in quattro anni, tre mesi di reclusione e 10.200,00 euro di multa.

2. Avverso questa ordinanza Sabatino M., a mezzo dell'avv. Domenico Pastorelli, ricorreva per cassazione, articolando quattro censure difensive.

Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento all'art. 671 c.p.p., conseguente al fatto che la somma delle pene pecuniarie irrogate con le sentenze di cui ai punti A, B e C, ammontante a 8.660,00 euro era inferiore rispetto a quella di 10.200,00 euro applicata dal Tribunale di L'Aquila in sede esecutiva.

Con il secondo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che il Giudice dell'esecuzione, nel procedere alla rideterminazione della frazione sanzionatoria applicata per i reati giudicati dalla sentenza di cui al punto 1, derivante dall'unificazione dei delitti giudicati dalle decisioni nn. 24/2020 e 96/2021, aveva applicato per i fatti giudicati dalla seconda delle due decisioni, a titolo di aumento, la pena di dieci mesi di arresto e 1.500,00 euro di ammenda, che era superiore a quello disposto dal Giudice di cognizione, quantificato in sei mesi di arresto e 1.500,00 euro di ammenda.

Con il terzo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge dell'ordinanza impugnata, conseguente all'erronea individuazione della pena base su cui calcolare gli aumenti di pena per la continuazione, stabilita, per il reato di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (t.u. stup.), giudicato dalla sentenza di cui al punto A, in un anno, un mese, dieci giorni di reclusione e 3.000,00 euro di multa, senza tenere conto del fatto che tale frazione sanzionatoria risultava già aumentata per effetto dell'applicazione della recidiva.

Con il quarto motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che il Giudice dell'esecuzione, nel procedere alla rideterminazione della frazione sanzionatoria applicata per i reati giudicati dalla sentenza di cui al punto C, aveva omesso di disporre l'aumento di pena per la detenzione di 2,73 grammi di marijuana, rendendo erronea la rivalutazione dosimetrica dei fatti di reato unificati.

Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da Sabatino M. è fondato nei termini di seguito indicati.

2. Deve, innanzitutto, ritenersi fondato il primo motivo di ricorso, con cui si si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che la somma delle pene pecuniarie irrogate con le sentenze di cui ai punti A, B e C, ammontante a 8.660,00 euro era inferiore rispetto a quella di 10.200,00 euro applicata in sede esecutiva.

Occorre premettere che l'importo di 8.660,00 euro, posto a fondamento della doglianza in esame, derivava dalle pene pecuniarie di 4.600,00 euro, irrogata con la sentenza di cui al punto A; di 1.660,00 euro, irrogata con la sentenza di cui al punto B; di 2.600,00 euro, irrogata con la sentenza di cui al punto C.

Tanto premesso, deve osservarsi che il Tribunale di L'Aquila, nel procedere alla rideterminazione della pena pecuniaria applicata per i reati giudicati dalle sentenze di cui ai punti A, B e C, avrebbe dovuto tenere conto della disposizione dell'art. 671, comma 2, c.p.p., a tenore della quale: «Il giudice dell'esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto».

Pertanto, la sommatoria delle pene pecuniarie irrogate con le sentenze di cui ai punti A, B e C, ammontante a 8.660,00 euro, non poteva essere superata, con la conseguenza che la frazione sanzionatoria di 10.200,00 euro, applicata dal Tribunale di L'Aquila in executivis, appare quantificata in violazione della norma dell'art. 671, comma 2, c.p.p.

Le considerazioni esposte impongono di ribadire la fondatezza del primo motivo di ricorso.

2. Deve, invece, ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che il Tribunale di L'Aquila, nel procedere alla rideterminazione della frazione sanzionatoria applicata per i reati giudicati dalla sentenza di cui al punto 1, derivante dall'unificazione dei delitti giudicati dalle decisioni nn. 24/2020 e 96/2021, aveva applicato per i fatti giudicati dalla seconda delle due decisioni, a titolo di aumento, la pena di dieci mesi di arresto e 1.500,00 euro di ammenda, superiore a quello disposto dal Giudice di cognizione, quantificato in sei mesi di arresto e 1.500,00 euro di ammenda.

Osserva il Collegio che, una volta sciolti i precedenti giudicati formatisi sulle sentenze di cui al punto 1, il Giudice dell'esecuzione ridiventava il dominus dei fatti di reato sottoposti alla sua valutazione, con riferimento all'entità dei singoli aumenti applicati per le condotte oggetto di unificazione.

Su tali profili, [il] Tribunale di L'Aquila si soffermava con una motivazione congrua, applicando a titolo di aumento, la pena di dieci mesi di arresto e 1.500,00 euro di ammenda e richiamando la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, secondo cui gli elementi da cui desumere l'ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell'applicazione della continuazione ex art. 671 c.p.p. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l'originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13 novembre 2012, Daniele, Rv. 255156-01; Sez. 1, n. 44862 del 5 novembre 2008, Lombardo, Rv. 242098-01).

Ricostruito in questi termini, il giudizio dosimetrico seguito dal Giudice dell'esecuzione per rideterminare la pena, appare congruo e rispettoso della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. un., n. 28659 del 18 maggio 2017, Gargiulo, Rv. 270074-01).

Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso.

4. Deve ritenersi fondato il terzo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge dell'ordinanza impugnata, conseguente all'erronea individuazione della pena base su cui calcolare gli aumenti di pena per la continuazione, stabilita, per il reato di cui all'art. 73, comma 4, t.u. stup., giudicato dalla sentenza di cui al punto A, in un anno, un mese, dieci giorni di reclusione e 3.000,00 euro di multa, senza tenere conto del fatto che tale frazione sanzionatoria risultava già aumentata per effetto dell'applicazione della recidiva.

Osserva il Collegio che costituisce un dato processuale incontroverso quello secondo cui il Tribunale di L'Aquila individuava, quale pena base su cui calcolare gli aumenti di pena per la continuazione, quella stabilita, per il reato di cui all'art. 73, comma 4, t.u. stup., giudicato dalla sentenza di cui al punto A, che, in sede di cognizione, era stata quantificata in un anno di reclusione e 2.700,00 euro di multa, alla [quale] veniva applicato l'aumento di pena previsto per la recidiva, per effetto della quale si giungeva alla misura sanzionatoria di un anno, un mese, dieci giorni di reclusione e 3.000,00 euro di multa.

Ne discende che la pena base su cui calcolare gli aumenti di pena per la continuazione risulta erroneamente quantificata dal Giudice dell'esecuzione, essendo stata individuata, per il reato di cui all'art. 73, comma 4, t.u. stup., giudicato dalla sentenza di cui al punto A, pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di L'Aquila il 5 ottobre 2021, divenuta irrevocabile il 3 giugno 2021, in una misura sanzionatoria, diversa e superiore da quella effettiva, commisurata in un anno di reclusione e 2.700,00 euro di multa.

Ricostruito in questi termini, il percorso dosimetrico seguito dal Giudice dell'esecuzione non appare rispettoso della giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «Ai fini della determinazione della pena relativa a più fatti unificati sotto il vincolo della continuazione, è necessario innanzitutto individuare la violazione più grave, desumibile dalla pena da irrogare per i singoli reati, tenendo conto della eventuale applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti, dell'eventuale giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto, e di ogni altro elemento di valutazione; una volta determinata la pena per il reato base, la stessa deve essere poi aumentata per la continuazione» (Sez. 3, n. 225 del 28 giugno 2017, dep. 2018, Ahlal, Rv. 272211-01).

Queste ragioni impongono di ribadire la fondatezza del terzo motivo di ricorso.

3. Deve, infine, ritenersi inammissibile il quarto motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che il Giudice dell'esecuzione, nel procedere alla rideterminazione della frazione sanzionatoria applicata per i reati giudicati dalla sentenza di cui al punto C, aveva omesso di disporre l'aumento di pena per la detenzione di 2,73 grammi di marijuana, rendendo erronea la rivalutazione dosimetrica dei fatti di reato unificati.

L'inammissibilità della censura difensiva discende dal fatto che l'omissione censurata dalla difesa del ricorrente, pur incontroversa, laddove emendata, comporterebbe l'irrogazione di un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello irrogato con l'ordinanza impugnata, in contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «Nel sistema processuale penale, la nozione di interesse ad impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo» (Sez. un., n. 6624 del 27 ottobre 2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251693-01).

Queste ragioni impongono di ribadire l'inammissibilità del quarto motivo di ricorso.

4. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di L'Aquila.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di L'Aquila.

Depositata il 19 luglio 2024.