Consiglio di Stato
Sezione III
Sentenza 5 novembre 2024, n. 8801
Presidente: Caputo - Estensore: Palmieri
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso introduttivo del giudizio di primo grado l'odierna appellante ha lamentato l'illegittimità del diniego di condono emesso dall'Amministrazione comunale in relazione alla sua istanza del 10 dicembre 2004, presentata ai sensi della l. 326/2003, per la sanatoria di un manufatto di 19 mq, deducendo, nell'ordine: a) l'omesso invio, da parte di Roma Capitale, del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241/1990, che le avrebbe permesso di conoscere nel corso del procedimento i motivi ostativi all'accoglimento alla sanatoria; b) l'applicazione, nel diniego di condono, di "una norma da tempo non più in vigore"- l'art. 3, comma 1, lett. b), della l.r. Lazio n. 12/2004 che vieta la possibilità di condonare immobili sottoposti a determinati vincoli specificamente indicati dalla norma stessa; c) l'estraneità, in ogni caso, dei vincoli che avrebbero interessato l'immobile - vincoli archeologici e paesistici - rispetto a quelli indicati dalla normativa regionale; d) la contraddittorietà dell'operato dell'Amministrazione, che, in una zona del tutto urbanizzata come quella in esame, avrebbe, da un lato, assentito alla demolizione e ricostruzione dell'edificio principale e, dall'altro lato, escluso la condonabilità di un piccolo manufatto di appena 19 mq; e) il difetto di istruttoria da parte dell'Amministrazione comunale che, applicando una disposizione non più vigente come l'art. 3, comma 1, lett. b), della l.r. Lazio n. 12/2004 e non la norma così come modificata dalla l.r. Lazio n. 18/2004, avrebbe omesso di verificare l'avvenuta adozione, per l'area in questione, di piani urbanistici attuativi che avrebbero comunque permesso la sanatoria, anche in zona vincolata; f) l'omessa richiesta di parere all'Autorità preposta alla tutela del vincolo sulla sanabilità dell'abuso.
Con i motivi aggiunti la ricorrente ha ribadito contro l'ordine di demolizione le censure già formulate avverso il diniego di condono, lamentando anche l'omessa comunicazione di avvio del procedimento e contestando in radice l'esistenza dei vincoli posti dall'Amministrazione comunale alla base dei provvedimenti adottati.
Ha chiesto pertanto l'annullamento degli atti impugnati, con vittoria delle spese di lite.
Costituitasi in giudizio, Roma Capitale ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite.
Con sentenza n. 7895/2020 il T.A.R. Campania [recte: Lazio - n.d.r.] ha rigettato il ricorso.
Avverso tale pronuncia giudiziale la sig.ra C. ha interposto appello, affidato ai seguenti motivi di gravame, appresso sintetizzati: 1) error in iudicando; insussistenza di ragioni ostative alla concessione del chiesto condono; 2) error in iudicando; erronea applicazione di una norma non più in vigore; 3) error in iudicando; mancata acquisizione del previsto parere soprintendentizio.
Ha chiesto pertanto, in riforma dell'impugnata sentenza, l'annullamento degli atti impugnati in primo grado. Il tutto con vittoria delle spese di lite.
Costituitasi in giudizio, Roma Capitale ha chiesto il rigetto dell'appello, con vittoria delle spese di lite.
All'udienza di smaltimento del 23 ottobre 2024 - tenutasi con modalità di collegamento da remoto in videoconferenza, ai sensi dell'art. 87, comma 4-bis, c.p.a. - l'appello è stato trattenuto in decisione.
2. Con i vari motivi di gravame, che possono essere esaminati congiuntamente, per comunanza delle relative censure, l'appellante deduce anzitutto che tra i vincoli previsti dalla legge regionale non rientrerebbero quelli di carattere archeologico, ovvero inerenti alla dichiarazione di notevole interesse pubblico di una determinata area.
L'appellante contesta poi la mancata considerazione, da parte della sentenza di primo grado, della censura relativa alla erronea applicazione di una norma non più in vigore, ovvero l'art. 3, comma 1, lett. b), della l.r. 12/2004.
Infine, l'appellante lamenta la mancata acquisizione, da parte dell'Amministrazione, del parere della competente Soprintendenza, in ordine alla condonabilità dell'abuso in esame.
Le censure sono tutte infondate.
3. Premette anzitutto il Collegio che, per condivisa giurisprudenza amministrativa: "le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo; b) se pure realizzate in assenza o in difformità dal titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo; in ogni caso non possono essere sanate le opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità anche relativa" (C.d.S., VI, 17 gennaio 2020, n. 425).
4. Orbene, nella fattispecie in esame, l'abuso realizzato dall'appellante insiste in area già gravata da vincoli archeologici e paesistici (art. 142 d.lgs. n. 42/2004), vincoli imposti con d.m. 19 ottobre 1954 e con d.m. 16 ottobre 1998.
Tale semplice constatazione impedisce pertanto ex se la condonabilità dell'abuso, avendo l'Amministrazione correttamente escluso la ricorrenza di c.d. abusi minori, avuto riguardo alla tipologia di opere realizzate dalla ricorrente (costruzione di una unità immobiliare a destinazione d'uso residenziale di mq. 19,50 di superficie utile).
5. Tale conclusione non è smentita dalla previsione di cui all'art. 35 l.r. 18/2004, avendo quest'ultima apportato - rispetto alla previgente l.r. 12/2004 - modifiche di tipo unicamente formale, attinenti all'ordine di elencazione delle varie fattispecie di abuso; modifiche che non intaccano dunque il principio della non condonabilità di abusi eseguiti in area vincolata, quale appunto quelli concretamente realizzati dall'odierna appellante.
6. Da ultimo, va disattesa l'ulteriore censura di parte appellante, attinente alla mancata richiesta di parere da parte dell'Autorità preposta alla gestione del vincolo. Sul punto, è sufficiente osservare che, in un'ottica di celerità e speditezza dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), l'accertata e pacifica non condonabilità ex lege di abusi realizzati in area vincolata rende del tutto superflua la richiesta di un parere di compatibilità culturale-paesaggistica, che per le ragioni testé esposte non avrebbe potuto che esprimersi in termini negativi.
7. Alla luce di tali considerazioni, l'appello è infondato.
Ne consegue il suo rigetto.
8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna l'appellante al rimborso delle spese di lite sostenute dal Comune appellato, che si liquidano in euro 4.000 per onorario, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Note
La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II, sent. n. 7895/2020.