Consiglio di Stato
Sezione IV
Sentenza 13 novembre 2024, n. 9115

Presidente: Franconiero - Estensore: Manca

FATTO E DIRITTO

1. Con l'appello in trattazione, la società Autodemolizione Flaminia s.r.l. in liquidazione ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, 10 febbraio 2020, n. 1782 (in prosieguo: la sentenza), che ha respinto il ricorso proposto dalla società per l'annullamento della determinazione di conclusione negativa del procedimento di autorizzazione all'esercizio di un impianto di rottamazione di autoveicoli, ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), assunta da Roma Capitale in data 7 novembre 2018 (in prosieguo: il provvedimento impugnato).

2. Il primo giudice ha respinto il ricorso rilevando come il diniego di autorizzazione definitiva relativo all'impianto si fonda in primo luogo sull'incompatibilità urbanistica dell'impianto stesso, profilo che è risultato esente da vizi e dirimente, tanto da consentire di ritenere assorbita ogni altra questione, anche in relazione alle contestazioni mosse nei riguardi dei rilievi ostativi di carattere ambientale.

3. La società Auto FA.MA. s.r.l., rimasta soccombente, ha proposto appello reiterando i motivi del ricorso di primo grado in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma.

4. Resiste in giudizio Roma Capitale, che anzitutto eccepisce la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione dell'appello a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2021 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, lett. b) e c) [quest'ultima limitatamente al riferimento alla lett. b)], della l.r. Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), norma in base alla quale l'amministrazione capitolina ha adottato il provvedimento impugnato. Nel merito conclude per la reiezione dell'appello in quanto infondato.

Si sono costituiti in giudizio anche la Città metropolitana di Roma Capitale, il Ministero per i beni e le attività culturali, il Ministero dell'interno, Comando provinciale Vigili del Fuoco di Roma, e l'Ente Parco regionale di Veio.

5. All'udienza pubblica straordinaria del 18 settembre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Preliminarmente va esaminata la questione di rito sollevata da Roma Capitale.

6.1. Come anticipato, con la sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 2021 è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, comma 2, lett. b) e c) [quest'ultima limitatamente al riferimento alla lett. b)], della l.r. Lazio 9 luglio 1998, n. 27, in quanto in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in tema di tutela dell'ambiente. La disciplina della Regione Lazio, delegando ai Comuni il rilascio dell'autorizzazione per la realizzazione e gestione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti derivanti dalla demolizione di veicoli e dalla rottamazione di macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti, ha introdotto un modello di attribuzione delle competenze in contrasto con l'art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, il quale assegna le funzioni amministrative in questione alla Regione senza, tuttavia, legittimarla all'ulteriore allocazione delle stesse presso un diverso ambito di autonomia.

Pertanto, a seguito della sentenza, l'amministrazione deputata al rilascio delle autorizzazioni ai sensi del citato art. 208 del testo unico in materia ambientale è solo la Regione Lazio.

6.2. Ciò posto, le conseguenze che si debbono trarre dalla dichiarata illegittimità costituzionale della norma regionale in base alla quale Roma Capitale ha adottato il provvedimento impugnato non sono quelle prospettate dall'amministrazione appellata.

6.3. Occorre stabilire, anzitutto, l'ambito degli effetti della sentenza dichiarativa della illegittimità costituzionale di una norma di legge sui ricorsi giurisdizionali pendenti al momento della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della sentenza della Corte; e se, in specie, la illegittimità della norma integri una questione rilevabile d'ufficio superando in tal modo la preclusione che, secondo i principi generali del processo amministrativo, deriverebbe dal fatto che nei motivi di ricorso non risulta dedotto il profilo che ha dato luogo alla incostituzionalità.

È noto che il Consiglio di Stato, fin dalla sentenza dell'Adunanza plenaria, 8 aprile 1963, n. 8, ha fissato alcune premesse affermando, in particolare, che la illegittimità costituzionale della norma determina, in via derivata, esclusivamente la illegittimità del provvedimento amministrativo, sicché il provvedimento viziato (in quanto adottato sulla base di una norma poi dichiarata incostituzionale) è da considerare semplicemente annullabile. Nondimeno, nel caso in cui la questione di legittimità costituzionale non sia stata sollevata dal giudice o dal ricorrente nel corso del giudizio e tuttavia - pendente il processo - sia intervenuta la pronuncia di incostituzionalità della legge sulla base della quale è stato emanato l'atto impugnato, la decisione n. 8 del 1963 giunge alla conclusione che il giudice amministrativo possa rilevare d'ufficio, cioè in assenza di un motivo dedotto dal ricorrente, il vizio di legittimità derivante dall'incostituzionalità della norma e pronunciare l'annullamento dell'atto impugnato. Pertanto, il provvedimento è annullabile (non nullo: si veda C.d.S., Sez. IV, 11 novembre 2014, n. 5526; 22 marzo 2001, n. 1695) ma la questione relativa alla sopravvenuta incostituzionalità della norma sarebbe rilevabile d'ufficio dal giudice.

6.4. Senza ulteriormente approfondire la questione, la premessa è utile per rilevare come, nel caso di specie, il vizio trasmesso al provvedimento impugnato dalla illegittimità costituzionale integra un'ipotesi diversa dalla illegittimità/annullabilità, traducendosi piuttosto in un difetto assoluto di attribuzione che comporta la nullità (sopravvenuta) del provvedimento ai sensi dell'art. 21-septies della l. n. 241 del 1990, rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 31, comma 4, c.p.a.; e, in ogni caso, come anticipato, introdotta in giudizio da Roma Capitale (anche se sotto il profilo della sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere).

6.5. Non potrebbe essere invocato, pertanto, l'orientamento secondo cui la dichiarazione di incostituzionalità della norma non comporta la nullità del provvedimento adottato, sopra richiamato, sia perché in quelle ipotesi la norma annullata non determinava un difetto assoluto di attribuzione, sia perché il quadro normativo è comunque mutato a seguito dell'entrata in vigore del citato art. 21-septies, che impone di valorizzare la differenza tra norme attributive del potere amministrativo in base al quale è stato adottato il provvedimento impugnato e norme sul procedimento amministrativo, o norme di azione, al fine di affermare che soltanto la dichiarazione di incostituzionalità di una norma sul fondamento del potere può legittimare il giudice amministrativo a rilevare d'ufficio l'invalidità del provvedimento, integrando una ipotesi di nullità per difetto assoluto di attribuzione. E ciò indipendentemente dal fatto che la stessa norma possa essere invocata (anche) quale parametro ordinario di legittimità, e quindi indipendentemente dalla proposizione di un motivo di ricorso che contesti la costituzionalità della legge.

Per cui, a seguito di una pronuncia di illegittimità costituzionale, il giudice amministrativo può annullare o dichiarare nullo il provvedimento impugnato: a) quando è dichiarata l'illegittimità costituzionale di una norma sul procedimento, se questa sia invocata come parametro di legittimità nei motivi del ricorso; b) quando è dichiarata l'illegittimità costituzionale di una norma di attribuzione del potere, sia nell'ipotesi in cui sia indicata quale parametro di legittimità nei motivi del ricorso, sia nell'ipotesi in cui il ricorrente non deduca, tra i motivi di ricorso, alcun riferimento alla norma incostituzionale.

6.6. Nel caso di specie, come si è già veduto, il provvedimento impugnato è stato adottato da Roma Capitale esclusivamente sulla base dell'art. 6, comma 2, lett. b) e c), della l.r. Lazio 9 luglio 1998, n. 27 (Disciplina regionale della gestione dei rifiuti), nella parte in cui dispone che «[S]ono delegate ai comuni: [...] b) l'approvazione dei progetti degli impianti per lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e rimorchi, dalla rottamazione dei macchinari e delle apparecchiature deteriorati ed obsoleti e la relativa autorizzazione alla realizzazione degli impianti, nonché l'approvazione dei progetti di varianti sostanziali in corso di esercizio e la relativa autorizzazione alla realizzazione; c) l'autorizzazione all'esercizio delle attività di smaltimento e recupero dei rifiuti di cui alle lettere a) e b)», norma dichiarata costituzionalmente illegittima.

7. Alle considerazioni sopra svolte consegue, pertanto, l'accoglimento dell'appello. Per l'effetto va accolto il ricorso di primo grado e dichiarata la nullità sopravvenuta del provvedimento impugnato.

8. In ragione dei motivi per cui è stato accolto l'appello, le spese giudiziali per il doppio grado vanno integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, accoglie il ricorso di primo grado e dichiara la nullità sopravvenuta del provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti le spese giudiziali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Note

La presente decisione ha per oggetto TAR Lazio, sez. II, sent. n. 1782/2020.