Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 19 novembre 2024, n. 29812
Presidente: D'Ascola - Estensore: Scotti
FATTI DI CAUSA
1. La Fiorile s.r.l. ha proposto opposizione dinanzi al Tribunale di Torino avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 205/2012, emesso dal Tribunale di Pinerolo (nel frattempo soppresso) il 13 aprile 2012, per euro 376.086,36, su istanza della cooperativa sociale Quadrifoglio soc. coop. Onlus (di seguito, semplicemente, Quadrifoglio), a titolo di saldo del corrispettivo del contratto di cessione di ramo d'azienda, avente ad oggetto le case di riposo «La Consolata» di Borgo d'Ale e «La Palazzina» di Salussola.
Si è costituita in giudizio la Quadrifoglio, contestando le ragioni poste a fondamento dell'opposizione e chiedendone la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto.
Il Tribunale di Torino con sentenza n. 197/2015 del 26 maggio 2015 ha rigettato l'opposizione e le domande riconvenzionali proposte dalla Fiorile.
2. Avverso la predetta sentenza la Fiorile ha proposto appello e ha resistito la Quadrifoglio.
La Corte d'appello di Torino, con sentenza del 31 luglio 2017, ha rigettato l'appello e ha confermato integralmente la sentenza impugnata.
3. Avverso la sentenza d'appello la Fiorile s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; la cooperativa Quadrifoglio ha resistito con controricorso.
3.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492 e 1497 c.c., perché la Corte di merito ha escluso la ricorrenza del vizio, nonostante che il titolo prevedesse l'acquisto della proprietà e non il subentro nell'affitto d'azienda, atteso che nel contratto era espressamente menzionato il riferimento a un contratto di locazione, e non di affitto, relativamente alla casa di riposo «La Consolata».
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492 e 1427 c.c., perché la Corte territoriale ha erroneamente escluso che la mancanza dei crediti in capo al ramo d'azienda ceduto costituisse un vizio della res compravenduta, idoneo a diminuire in modo rilevante il valore dell'oggetto della cessione, quanto alle fatture da emettere.
3.3. Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1490, 1492 c.c. e 115 e 356 c.p.c. nonché l'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, perché la Corte distrettuale ha ritenuto che i vizi da cui erano affette le case di riposo oggetto della cessione, tali da esigere ingenti interventi di adeguamento, fossero conosciuti o facilmente conoscibili dal cessionario, senza che fosse fornito neanche un semplice indizio di tale consapevolezza e senza che la cedente avesse mai contestato la loro sussistenza e la necessità di sostenere notevoli spese per porvi rimedio.
4. La controricorrente ha proposto eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso perché - a fronte del deposito della sentenza impugnata in data 31 luglio 2017 - la procura speciale per la proposizione dell'impugnazione in cassazione, riportata a margine del ricorso introduttivo del giudizio di legittimità, era stata rilasciata dal liquidatore della Fiorile s.r.l. in liquidazione il 5 settembre 2017, mentre, come risultava da prodotta visura camerale storica, la società Fiorile era stata cancellata dal registro delle imprese il successivo 12 settembre 2017 e il ricorso per cassazione era stato notificato solo il 28 febbraio 2018; sicché - prosegue la controricorrente - al momento in cui il ricorso è stato proposto, per un verso, la giuridica esistenza della società ricorrente era ormai irrimediabilmente venuta meno e, per altro verso, il mandato difensivo si era estinto ai sensi dell'art. 1722, n. 4, c.c.
5. Con una prima ordinanza interlocutoria dell'8 giugno 2023, la Seconda Sezione civile ha rimesso la causa alla pubblica udienza.
La Procura generale ha formulato le sue conclusioni, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
La controricorrente ha presentato memoria illustrativa.
6. Con la seconda ordinanza interlocutoria del 21 dicembre 2023 la Seconda Sezione civile ha trasmesso gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni unite di due questioni di massima di particolare importanza.
La Seconda Sezione si interroga, in primo luogo, sugli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, avvenuta prima che il ricorso di legittimità sia proposto, ma successivamente al conferimento del mandato difensivo con procura speciale, e coglie in ciò la peculiarità problematica della fattispecie.
In secondo luogo, la Seconda Sezione si chiede, per il caso in cui si reputi che tale fatto implichi l'inammissibilità del ricorso per cassazione, come dovrebbe avvenire la regolamentazione delle spese di lite e in particolare se ne dovrebbe rispondere il difensore o il rappresentante che ha conferito la procura.
7. Dopo l'assegnazione dell'esame del ricorso alle Sezioni unite, il Procuratore generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, con eventuale compensazione delle spese di lite tra gli avvocati patrocinatori della ricorrente e la controparte.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa, invocando il disposto dell'art. 28, comma 4, d.lgs. 175 del 2014.
La causa è stata trattenuta in decisione all'udienza pubblica dell'8 ottobre 2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni unite per l'esame di due questioni di massima di particolare importanza in materia processuale.
La prima questione riguarda gli effetti della cancellazione della società (ricorrente) dal registro delle imprese, ma anche più in generale della perdita della capacità processuale della parte ricorrente, avvenuta prima che il ricorso di legittimità sia proposto, ma successivamente al conferimento del mandato difensivo con procura speciale.
La seconda questione ha carattere eventuale perché diviene attuale solo nel caso di ritenuta inammissibilità del ricorso per cassazione in risposta alla questione precedente e concerne la regolamentazione delle spese di lite; in particolare ci si chiede se ne debba rispondere il difensore o il rappresentante che ha conferito la procura.
9. Quanto alla prima questione, nell'ordinanza interlocutoria si osserva che è pacifico che, quando la cancellazione - con la conseguente estinzione - della società di capitali è intervenuta prima del conferimento del mandato difensivo da parte del liquidatore pro tempore, il mandato sarebbe radicalmente inesistente, perché disposto da soggetto privo, a monte, del relativo potere.
Tuttavia, nella fattispecie, la procura è stata conferita dal liquidatore quando ancora la società non si era estinta e nondimeno il mandato si sarebbe estinto in forza della cancellazione avvenuta prima che il procedimento di legittimità fosse avviato.
Il dubbio investe dunque l'operatività del principio di ultrattività del mandato anche in una fase antecedente all'inizio del procedimento di legittimità.
10. Secondo una prima tesi - si osserva nell'ordinanza interlocutoria - potrebbe ritenersi che il ricorso per cassazione proposto dal rappresentante della società, cancellata dal registro delle imprese prima dell'instaurazione del giudizio di legittimità, sia comunque inammissibile, poiché non si può invocare l'ultrattività del mandato pur conferito al difensore prima che si sia perfezionata l'estinzione: e questo sia perché l'operatività di tale principio presupporrebbe che si agisca in nome di un soggetto esistente e capace di stare in giudizio al momento in cui il processo ha avuto inizio, sia perché la proposizione di detto ricorso richiederebbe apposita procura speciale valida ed efficace al momento in cui il ricorso è proposto, e non già estinta prima della sua proposizione.
10.1. Secondo questa prima ricostruzione, la regola dell'ultrattività del mandato opererebbe solo nel caso in cui gli eventi della morte o della perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, sulla scorta di un mandato valido ed efficace al momento in cui l'azione è stata intrapresa, sopravvengano nel corso del giudizio.
Invece, allorché la morte o l'estinzione della parte istante sia intervenuta prima che il giudizio sia intrapreso, si determinerebbe l'estinzione del mandato conferito al difensore e, conseguentemente, la nullità della vocatio in ius e dell'intero eventuale giudizio che ne è seguito, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, perché il contraddittorio tra le parti si instaura solo al momento in cui la domanda è portata a conoscenza della parte convenuta e a fortiori sarebbe inammissibile il ricorso in cassazione proposto dopo la cancellazione della società.
Non basterebbe perciò che al momento del conferimento della procura speciale la società sia ancora esistente, ma sarebbe altresì necessario che l'esistenza del soggetto permanga al momento in cui è instaurato il giudizio.
10.2. La seconda tesi assume invece che in forza del valido conferimento del mandato difensivo il procuratore debba comunque curarne l'esecuzione se vi è pericolo nel ritardo, nonostante la sopravvenuta cancellazione della società, quale causa di estinzione del mandato, prima che il giudizio sia intrapreso, ai sensi dell'art. 1728, primo comma, c.c.; o alternativamente che, ai sensi dell'art. 1729 c.c., la proposizione del ricorso di legittimità che il procuratore abbia avviato, nonostante la cancellazione della società sia intervenuta prima della notifica del ricorso di legittimità, sia comunque atto valido, nei confronti dei successori della società cancellata, ove il mandatario abbia compiuto tale atto prima di conoscere la causa di estinzione del mandato, ossia l'intervenuta cancellazione dal registro delle imprese della società mandante.
Secondo questa impostazione alternativa, il principio di ultrattività del mandato difensivo opererebbe anche nella fase intermedia rispetto all'apertura del giudizio di legittimità, laddove l'evento estintivo si sia perfezionato dopo il conferimento della procura.
11. Il Procuratore generale, nella sua prima nota di conclusioni, si è espresso osservando che l'esplicazione della regola dell'ultrattività del mandato alle liti ha senso e vale solo allorquando il rapporto processuale si è instaurato e la parte si sia costituita, perché in tal caso l'evento interruttivo deve essere dichiarato dal procuratore, dominus litis e arbitro delle sorti del processo, di cui può provocare l'interruzione o la prosecuzione a seconda se scelga di dichiarare o meno l'evento interruttivo.
Tuttavia - aggiunge il Procuratore generale - il ragionamento della sentenza delle Sezioni unite n. 15295 del 2014 e delle precedenti pronunce nn. 1228, 1229 e 1230 del 1984, si poggia sul dato di fondo del procuratore della parte costituita che ha il potere di decidere se proseguire il processo pur se la parte sia ormai venuta meno (morta la persona fisica o estintasi la persona giuridica) e si ricollega al meccanismo dell'art. 300 c.p.c., che riguarda la parte costituita a mezzo procuratore, nel contesto di un processo ormai sorto.
Il Procuratore generale ritiene invece che prima dell'instaurazione del rapporto processuale il processo deve essere proposto dalla «giusta parte» e nei confronti della «giusta parte» e il mandato alle liti conferito da soggetto morto o da società cancellatasi è estinto ai sensi dell'art. 1722, n. 4, c.c., senza che possa ipotizzarsi la sopravvivenza di cui all'art. 1728, comma 1, c.c., che presuppone che il mandatario «abbia iniziato l'esecuzione» del mandato e debba «continuarla» essendovi «pericolo nel ritardo».
Di conseguenza, nel giudizio di cassazione la necessità della procura speciale esclude l'ultrattività del mandato alle liti rilasciato in precedenza per i gradi di merito, mentre una volta rilasciata la procura speciale l'ultrattività opera solo dopo l'instaurazione del rapporto processuale. Prima di tale momento il procuratore non può validamente proporre un giudizio di cassazione, notificando e depositando ricorso, avvalendosi di procura speciale conferita da soggetto deceduto o società estinta, in quanto tale procura è ormai venuta meno per effetto della morte-estinzione della parte. Se invece la morte-estinzione avviene dopo l'instaurazione del rapporto processuale, il procuratore ha il potere di proseguire il giudizio in forza dell'ultrattività del mandato e anzi ne ha il dovere, perché in sede di legittimità come noto non opera l'istituto dell'interruzione.
12. Il Procuratore generale da ultimo ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso enunciando i princìpi di diritto di cui in narrativa; con eventuale compensazione delle spese di lite tra gli avvocati patrocinatori della ricorrente e la controparte.
Quanto alla prima questione, il Procuratore generale ha richiamato le precedenti conclusioni rassegnate dinanzi alla Seconda Sezione, aggiungendo alcune puntualizzazioni giurisprudenziali.
Quanto alla seconda questione, il Procuratore generale ha sostenuto che l'inesistenza della procura alle liti può essere originaria, ma anche sopravvenuta, allorché, come nella presente controversia, si è di fronte a un mandato alle liti ritualmente rilasciato che viene meno per la morte/estinzione del mandante e ha opinato che le spese processuali, in linea di principio, debbano essere poste a carico dell'avvocato, salvo compensazione nel caso concreto, aggiungendo di non ritenere vincolante l'insegnamento risalente alla sentenza delle Sezioni unite n. 10707 del 2006, in difetto di costituzione del rapporto processuale.
13. La risposta al primo quesito passa necessariamente attraverso la messa a fuoco di due fondamentali arresti della giurisprudenza di legittimità, che possono orientare utilmente la decisione.
14. Le prime pronunce a cui por mente sono quelle nn. 6070, 6071 e 6072 del 12 marzo 2013.
L'art. 2495, comma 1, c.c., nella nuova formulazione, introdotta dalla riforma del diritto societario operata dal d.lgs. n. 6 del 2003 dispone che, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese: l'iscrizione della cancellazione in tale registro comporta l'estinzione della società. Il successivo terzo comma stabilisce che, ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società.
Tale disposizione ha dato luogo a un ampio dibattito giurisprudenziale e dottrinale, nei profili sostanziali [e] processuali, specie in ordine alla sorte dei debiti non soddisfatti e delle poste attive non liquidate, e ai riflessi processuali di tali situazioni.
Queste problematiche connesse all'estinzione delle società hanno trovato risposta sistematica negli arresti delle Sezioni unite del 2013, con cui è stato evidenziato che l'estinzione della società, conseguente alla volontaria cancellazione dal registro delle imprese, non può comportare anche l'estinzione dei debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo, perché in tal modo si finirebbe col consentire al debitore di disporre unilateralmente del diritto altrui, facendo venir meno le garanzie prestate da terzi. Di conseguenza, secondo tali decisioni, la responsabilità dei soci, prevista dall'art. 2495 c.c., implica un meccanismo di tipo successorio, che ha lo scopo di impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale sottratto al controllo del creditore, espropriarlo del proprio diritto.
[È] stato così affermato il seguente principio di diritto: «qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato».
Sotto il profilo processuale le Sezioni unite sono partite dal presupposto che la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, determinandone l'estinzione, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Ove, poi, l'estinzione si verifichi nel corso del processo, troveranno applicazione gli artt. 299 e ss. c.p.c., in tema di interruzione del processo, così da contemperare i diritti processuali del successore della parte venuta meno e quelli della controparte. Ciò rappresenta la diretta conseguenza dell'inquadramento dell'estinzione come fenomeno successorio e costituisce un approfondimento delle conclusioni cui la giurisprudenza precedente era già, in qualche modo, pervenuta, osservando che l'art. 110 c.p.c. fa riferimento non solo alla morte (come tale riferibile unicamente alle persone fisiche), ma anche a qualsiasi altra causa per la quale la parte venga meno, potendo quindi ricomprendere anche l'ipotesi dell'estinzione dell'ente collettivo. Ed infatti, come evidenziato in dottrina, ai fini interruttivi del processo, ciò che conta è il venir meno della parte con possibilità di prosecuzione del giudizio ad opera di un diverso soggetto suo successore, senza che assuma rilievo la natura volontaria o meno dell'evento che colpisce la parte. Tuttavia, può accadere che, nonostante l'estinzione della società, il giudizio si sia svolto senza interruzione.
Le Sezioni unite hanno, quindi, analizzato le conseguenze relative al passaggio al grado successivo, affermando che l'esigenza di stabilità del processo, che eccezionalmente ne consente la prosecuzione anche se la parte sia venuta meno, deve considerarsi limitata al grado di giudizio in cui si è verificato l'evento interruttivo, in difetto di indicazioni normative univoche che ne consentano una più ampia esplicazione. Al contrario, il giudizio d'impugnazione deve sempre esser promosso da e contro i soggetti legittimati, e cioè della «giusta parte».
Le Sezioni unite del 2013 hanno quindi concluso per l'inammissibilità dell'impugnazione che provenga dalla società cancellata o sia ad essa indirizzata, in quanto non proveniente o non diretta nei confronti della giusta parte, tenuto conto del fatto che la pubblicità legale cui l'evento estintivo è soggetto impone di ritenere che i terzi, e quindi anche le controparti processuali, ne siano a conoscenza.
15. Il successivo intervento delle Sezioni unite, con la sentenza n. 15295 del 2014, riguardava il caso di una parte persona fisica, che, costituita in appello a mezzo di procuratore, era morta prima dell'udienza di discussione ed era risultata vittoriosa nel grado. Tale evento non era stato né dichiarato in udienza, né notificato alla controparte, che aveva proposto ricorso per cassazione contro la parte deceduta, notificandolo a colui che era stato suo procuratore nel precedente grado di giudizio. Gli eredi si erano difesi con controricorso, notificandolo prima della scadenza del termine lungo per impugnare.
Le Sezioni unite si sono confrontate con la pronuncia del 2013, che era giunta a sanzionare con l'inammissibilità l'impugnazione che non sia diretta o non provenga dalla «giusta parte», rifiutando la tesi che ritiene nullo, per errore sull'identità del soggetto (anziché inammissibile), l'atto d'impugnazione rivolto a una parte ormai estinta anziché ai successori, poiché si è in presenza di un giudizio (o di un grado di giudizio) che, per l'inesistenza di uno dei soggetti del rapporto processuale che si vorrebbe instaurare, si rivela strutturalmente inidoneo a realizzare il proprio scopo.
Tuttavia, la pronuncia del 2014 osserva che la sentenza del 2013, pur trattando la problematica in termini generali e tenendo conto di tutti i precedenti che avevano anch'essi affrontato la materia in termini generali, risultava fortemente influenzata dalla circostanza che la parte estinta fosse una società cancellata dal registro, fermandosi a fronte del regime pubblicitario vigente per lo specifico soggetto processuale societario.
Il quadro giurisprudenziale che il collegio si trovava di fronte spaziava tra due estremi: quello risalente dell'affermazione dell'ultrattività del mandato e quello recente della drastica sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione proposta da o contro un soggetto estinto. È stata quindi colta la necessità di mediare tra la tutela della giusta parte (che dopo l'evento viene considerato un soggetto ormai nuovo e diverso da quello originariamente parte del processo) e il problema della conoscibilità dell'evento stesso, con la conseguente esigenza di individuare meccanismi di tutela della buona fede della controparte che incolpevolmente lo abbia ignorato. Al fine di ricondurre ad unità il contraddittorio quadro interpretativo, le Sezioni unite del 2014 hanno ritenuto di risolvere la questione, ritornando alla teoria dell'ultrattività del mandato, allo scopo di assicurare un effetto stabilizzante per il processo, evitando equivoci, distinzioni e ricerca di metodi di salvaguardia e sanatoria, e la conseguente necessità di accertamenti incidentali relativi a condotte e stati psicologici.
La tesi dell'ultrattività del mandato alle liti è stata confortata anche ricollegandosi a una serie di indici normativi: il disposto dell'art. 82 c.p.c., secondo cui le parti devono stare in giudizio con il ministero di un procuratore legalmente esercente; l'art. 85 c.p.c., secondo cui la procura può essere sempre revocata ed il difensore può sempre rinunciarvi, ma la revoca e la rinuncia non hanno effetto nei confronti dell'altra parte finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore; l'art. 300 c.p.c., che, per la parte costituita a mezzo di difensore, ricollega l'effetto interruttivo del processo ad una fattispecie complessa, costituita dal verificarsi dell'evento e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti. Dichiarazione o notificazione che il procuratore della parte defunta o non più capace può discrezionalmente fare o non fare, nel momento che ritiene più opportuno, a seconda che egli valuti che possa o meno derivare un pregiudizio alla parte sostanziale dalla prosecuzione del processo. Di conseguenza, il decesso della parte non pregiudica alcun diritto dei suoi successori, in quanto la presenza in giudizio del procuratore garantisce ed assicura il rispetto del contraddittorio, essendo di sua esclusiva competenza l'esercizio dell'attività tecnica difensiva.
La sentenza n. 15295 del 2014 pone però in risalto due limiti non valicabili.
In primo luogo, il procuratore della parte può incontrare il limite del grado di giudizio, in pendenza del quale si è verificato l'accadimento, ove la parte abbia conferito la procura per il solo giudizio di primo grado. In tal caso, il difensore che non abbia dichiarato o notificato l'evento potrebbe solo ricevere la notifica della sentenza o dell'atto di impugnazione, ma non potrebbe mai né notificare la sentenza, né interporre o costituirsi nel giudizio di gravame.
Il secondo limite è costituito dalla procura speciale ad impugnare per cassazione, poiché il procuratore costituito per i giudizi di merito potrebbe solo ricevere la notifica della sentenza o dell'atto di impugnazione per cassazione, ma non potrebbe né validamente notificare la sentenza, né resistere con controricorso, né tanto meno proporre ricorso in via principale o incidentale.
Al di là di tali limiti, ove l'evento si verifichi durante la fase attiva del processo, l'unica disciplina applicabile è quella dell'art. 300 c.p.c., secondo cui, in mancanza di dichiarazione o notificazione dell'evento da parte del difensore, la posizione giuridica della parte da lui rappresentata si stabilizza verso l'esterno, nei confronti delle altre parti e del giudice, comportando l'ultrattività della procura alla lite nell'ambito del rapporto processuale. All'esterno il procuratore costituito continua a rappresentare la parte, considerata esistente e capace, mentre nel rapporto interno, avente natura di prestazione d'opera professionale di carattere pubblicistico, subentreranno gli eredi o il rappresentante legale. La posizione processuale stabilizzata si modificherà solo se, nella successiva fase di impugnazione, si costituiranno gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, ovvero se il procuratore, munito di valida procura ad litem anche per gli altri gradi di giudizio, dichiarerà in udienza l'evento o lo notificherà.
È stato così enunciato il seguente principio di diritto: «L'incidenza sul processo degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell'ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l'evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell'impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell'ipotesi in cui, nella successiva fase d'impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l'evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l'evento sia documentato dall'altra parte (come previsto dalla novella di cui alla l. n. 69 del 2009, art. 46), o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ai sensi dell'art. 300 c.p.c., comma 4. Ne deriva che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, a norma dell'art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace; b) detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell'ambito del processo ancora in vita e capace; c) è ammissibile l'atto di impugnazione notificato, ai sensi dell'art. 330 c.p.c., comma 1, presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell'evento».
16. Il punto di partenza per individuare le possibili soluzioni della vicenda in esame è costituito dai due arresti delle Sezioni unite del 2013 e del 2014, sopra illustrati.
La giurisprudenza anteriore aveva ricondotto l'ipotesi della chiamata in giudizio di un soggetto non più esistente a un vizio di nullità della vocatio in ius, suscettibile di sanatoria in caso di costituzione degli eredi del defunto nel successivo giudizio di impugnazione. La pronuncia del 2013, tuttavia, ha rivisto tale indirizzo, optando invece per la drastica inammissibilità del ricorso per cassazione e, quindi, per la radicale inesistenza della vocatio in ius, con conseguente inapplicabilità dell'art. 164 c.p.c., tenendo conto, specificamente, del particolare regime pubblicitario cui è soggetta la parte estinta, che esclude la possibilità di configurare l'ignoranza incolpevole dell'evento estintivo.
Le Sezioni unite del 2014 hanno ritenuto di risolvere la questione, ritornando alla teoria dell'ultrattività del mandato, allo scopo di assicurare un effetto stabilizzante per il processo e superando la qualificazione del problema in termini di vizio della vocatio in ius, inquadrando la questione sotto un profilo diverso, afferente al tema dell'individuazione della «giusta parte», quale corollario del «giusto processo», e alla definizione dei poteri e della legittimazione del difensore della parte stessa. All'esterno il procuratore costituito continua a rappresentare la parte, considerata esistente e capace, mentre nel rapporto interno, avente natura di prestazione d'opera professionale di carattere pubblicistico, subentreranno gli eredi o il rappresentante legale.
Tutto ciò, peraltro, con il doppio limite (a) del grado di giudizio in pendenza del quale si è verificato l'accadimento, ove la parte abbia conferito la procura per il solo giudizio di primo grado e (b) della procura speciale necessaria per la proposizione del ricorso per cassazione.
Entrambe le pronunce prendono in considerazione ipotesi di impugnazione notificata al difensore della parte colpita da evento interruttivo non dichiarato nel giudizio in cui è stata emessa la sentenza impugnata, ma, mentre la pronuncia del 2013 ha dichiarato inammissibile il ricorso, nel 2014 l'impugnazione è stata, al contrario, ritenuta ammissibile, in virtù dell'ultrattività del mandato.
Inoltre, anche se entrambe le pronunce richiamano precedenti riguardanti sia persone fisiche che giuridiche, la pronuncia del 2013 si riferisce specificamente a una ipotesi in cui la parte venuta meno era una società, le cui vicende sono sottoposte ad un particolare regime di pubblicità legale. Per contro, la sentenza del 2014, pur dettando un principio generale, affronta il caso specifico del venir meno della parte persona fisica, non toccando la problematica affrontata dalla prima decisione circa la configurabilità o meno di un fenomeno successorio nel caso di cancellazione dal registro delle imprese. Inoltre, tale pronuncia afferma espressamente che, in caso di conferimento della procura anche per gli ulteriori gradi del processo, il procuratore è legittimato a proporre impugnazione in rappresentanza della parte venuta meno, ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale.
17. Nel caso in esame l'evento interruttivo non riguarda il soggetto nei cui confronti viene proposta l'impugnazione, ma la parte che la propone; situazione questa estranea alla fattispecie concreta, ma comunque considerata nell'apparato argomentativo della sentenza n. 15295 del 2014, che afferma, inter alia, che il procuratore, qualora gli sia stata originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell'ambito del processo ancora in vita e capace.
Inoltre nella fattispecie odierna la cancellazione e la conseguente estinzione della società di capitali non sono intervenute prima del conferimento del mandato difensivo: infatti la procura è stata rilasciata da un soggetto che ancora era dotato del relativo potere e la cancellazione è intervenuta successivamente, ma prima dell'avvio del procedimento di legittimità.
Infine, diversamente dal caso regolato dalla pronuncia n. 15295 del 2014, la parte colpita dall'evento interruttivo non è una persona fisica, ma una società.
18. Appaiono necessarie alcune puntualizzazioni preliminari.
In primo luogo, per la risposta al quesito deve aversi riguardo solamente ai caratteri strutturali della fattispecie, caratterizzata cioè dal rilascio della procura dalla parte ricorrente al difensore prima della perdita della capacità processuale e dalla notificazione del ricorso alla controparte dopo tale evento, senza che si possa ascrivere rilievo agli elementi accidentali e in particolare al rilevante lasso temporale nel caso concreto intercorso fra i due fatti (5 settembre 2017 e 28 febbraio 2018).
19. In secondo luogo, non appare inoltre pertinente il richiamo formulato da parte ricorrente in memoria all'art. 28, comma 4, del d.lgs. 175 del 21 novembre 2014, secondo il quale, ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l'estinzione della società di cui all'art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del registro delle imprese.
Tale disposizione, peraltro assistita da specifica clausola di salvaguardia delimitatrice, riguarda infatti le posizioni debitorie e non quelle creditorie delle società cancellate e comunque accorda il beneficio derogatorio esclusivamente all'erario.
20. Si deve infine partire dall'acquisizione fondamentale delle decisioni del 2013, non smentita né superata in parte qua dalla sentenza n. 15295 del 2014, e disattendere ogni ricostruzione sistematica che rifiuti di inquadrare l'estinzione in un fenomeno di tipo successorio.
21. Una prima possibile ricostruzione nel senso della inammissibilità prospetta una conclusione diversificata fra il caso della parte-persona fisica e il caso della parte-società.
Si potrebbe, cioè, ipotizzare che il principio di ultrattività del mandato, così come delineato dalla pronuncia delle Sezioni unite n. 15295 del 2014, possa trovare applicazione solo limitatamente alle persone fisiche, visto che le società sono sottoposte ad un particolare regime pubblicitario, che consente a tutti di verificare se esse siano o meno esistenti e quali siano i soci e gli organi gestori. Il caso in esame, quindi, sarebbe sovrapponibile e speculare rispetto a quello esaminato nella pronuncia del 2013.
Infatti, sebbene l'evento interruttivo abbia colpito la parte che propone l'impugnazione, anziché quella che la riceve, comunque il giudizio (anche di impugnazione) dovrebbe essere instaurato dalla «giusta parte» e non potrebbe essere avviato da un soggetto inesistente. In particolare, il soggetto dovrebbe essere esistente non solo nel momento del rilascio della procura, ma anche successivamente, sino alla proposizione dell'impugnazione, poiché il principio di ultrattività del mandato potrebbe operare solo all'interno del medesimo grado di giudizio e non tra un grado e l'altro. Questa soluzione pone a carico del difensore un onere di verifica della esistenza della società non solo al momento del conferimento della procura speciale, ma anche successivamente nel momento della proposizione del ricorso per cassazione.
In secondo luogo, il profilo di tutela della volontà e consapevolezza dei successori non dovrebbe essere sopravvalutato, poiché la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, comportando il passaggio in giudicato della pronuncia di merito, potrebbe anche pregiudicare i successori dell'ente estinto, rimasto soccombente nella fase precedente. Ciò in quanto, a differenza del caso esaminato nella pronuncia del 2013, nella vicenda in esame l'evento estintivo ha colpito la parte che intende promuovere l'impugnazione e non la parte che la riceve.
22. Una seconda soluzione, sempre nel senso della inammissibilità, che è sostanzialmente quella propugnata dalla Procura generale, si declina come variante estensiva della prima ipotesi e non differenzia la risposta a seconda che la parte sia una società ovvero una persona fisica.
Si potrebbe cioè sostenere che il fenomeno dell'ultrattività del mandato, conferito tanto dalla persona fisica, quanto dal rappresentante della società, presuppone l'anteriorità all'estinzione non solo del suo conferimento ma anche della costituzione del rapporto processuale con la notificazione alla controparte intimata nel giudizio di legittimità, senza con ciò porsi in contrasto con il dictum del 2014.
Si dovrebbe quindi partire dal punto essenziale chiarito dalla giurisprudenza del 2013 e cioè che in linea generale il giudizio d'impugnazione deve sempre esser promosso da e contro i soggetti legittimati, e cioè della «giusta parte», per poi ribadire la deroga apportata dalla giurisprudenza del 2014 nel senso della ultrattività del mandato difensivo, peraltro inoperante nel caso concreto per due concorrenti ragioni.
E cioè:
a) perché in questo caso è la parte impugnante, che sceglie, entro certi limiti, tempi e modi dell'impugnazione, ad aver subito l'evento menomativo;
b) perché, soprattutto (o, alternativamente, anche solo), l'evento menomativo colpisce la parte prima che la procura alle liti, a suo tempo validamente conferita dalla parte pro tempore legittimata, sia stata utilmente ed efficacemente «spesa» dal difensore officiato con la notificazione del ricorso per cassazione.
In questa logica bisognerebbe evidenziare che il mero conferimento della procura, se sottende la stipulazione fra parte e difensore del contratto di prestazione d'opera intellettuale ex art. 2230 e segg. c.c. e costituisce il presupposto per l'esercizio delle attività di rappresentanza professionale da parte del difensore, resta pur sempre confinato in una dimensione privatistica sin che, con la costituzione del rapporto processuale attraverso la «spendita» della procura, la relazione parte-difensore non si trasferisca nella dimensione pubblicistica del processo, che sola giustifica l'esplicazione della ultrattività del mandato.
23. Vi è infine una terza possibile soluzione, questa volta nel senso dell'ammissibilità, che transita attraverso l'omologazione della soluzione fra il caso della parte-persona fisica e quello della parte-società.
Secondo questa diversa prospettiva non sarebbe coerente che all'ipotesi dell'estinzione dell'ente societario siano ricollegati effetti processuali diversi rispetto all'ipotesi della morte della persona fisica. Inoltre la nuova impostazione del 2014, che supera consapevolmente quella precedente del 2013, non dovrebbe essere applicata esclusivamente alle persone fisiche, ma anche agli enti societari, poiché il fenomeno della loro estinzione è sostanzialmente equiparabile alla morte delle persone fisiche.
Il principio dell'ultrattività del mandato si applicherebbe dunque anche agli enti societari, secondo il meccanismo disegnato dalla sentenza delle Sezioni unite del 2014.
Non verrebbero invece in rilievo i limiti al suddetto principio, costituiti dalla procura conferita per il solo primo grado di giudizio e dalla necessità della procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione, poiché, nel caso in esame, la procura speciale era stata validamente conferita al difensore.
Di conseguenza, una volta validamente conferita la procura speciale, sorgerebbe in capo al difensore l'obbligo di espletare l'attività difensiva demandata, a prescindere da ogni successiva evoluzione della vicenda endosocietaria. Ciò allo scopo di garantire la stabilità del processo e di tutelare anche gli interessi dei soci, quali successori, a coltivare un'impugnazione che comunque era stata ritenuta opportuna dall'ente.
Sarebbe inoltre illogico, dal punto di vista sistematico, che l'evento estintivo assuma rilevanza nel solo periodo intercorrente tra il conferimento della procura speciale e la proposizione del ricorso per cassazione e, invece, diventi irrilevante per tutto il periodo successivo.
24. La Corte ritiene che la risposta al primo quesito debba basarsi su quest'ultima ricostruzione, in larga parte orientata a conferire continuità ai principi enunciati nel 2014, all'esito di un grande sforzo ricostruttivo, in consapevole e parziale rimeditazione dei principi espressi dalle decisioni del 2013, e conseguentemente alla luce del principio della ultrattività del mandato difensivo.
La pronuncia del 2014 ha considerato la problematica in discussione una delle «più studiate e dibattute del processo civile, segnalata come "una storia infinita", dipanatasi attraverso un emblematico esempio di "pendolarismo giurisprudenziale"»; ha parlato di «evoluzione» e «talvolta di involuzione» della giurisprudenza e di «frequente ripensamento di approdi che, di volta in volta, erano sembrati definitivamente raggiunti, il districarsi del discorso attraverso una serie di rivoli, eccezioni, condizioni che hanno reso la materia quanto mai incerta»; ha osservato che all'incertezza giurisprudenziale corrispondeva la mancanza di chiari indirizzi dottrinari e l'assenza di uno studio che ricostruisse in maniera organica e complessa l'intera materia; ha sottolineato la «storica ed esasperata instabilità giurisprudenziale nella materia in trattazione»; si è data carico dello sforzo e dell'auspicio «di offrire alla materia una soluzione che abbia un effetto stabilizzante per il processo ed eviti equivoci, arditi distinguo, ricerca di rimedi di salvaguardia e sanatoria, accertamenti incidentali relativi a condotte e stati psicologici»; ha concluso che «per stabilizzare il processo, occorre stabilizzare la parte stessa, ritornando alla teoria dell'ultrattività del mandato» nel senso e nei limiti tratteggiati.
25. La fondamentale centralità della sentenza n. 15295 del 2014 orienta oggi le Sezioni unite alla ricerca di una soluzione della prima questione che si innesti nel solco da essa tracciato, sviluppandone gli assunti e integrandone le conclusioni per rispondere al problema in esame.
Si rende così necessario integrare il dictum del 2014, arricchendolo con una ulteriore precisazione che valga a superare l'impasse che ha determinato la proposizione della questione, che attiene, nel suo nucleo essenziale, al momento di cristallizzazione del rapporto di mandato ai fini dell'operatività della regola di ultrattività.
Occorre cioè aver riguardo al momento del rilascio della procura speciale per il giudizio di legittimità o a quello della spendita della medesima da parte del difensore con la notificazione del ricorso per cassazione alla controparte?
Il Collegio ritiene inoltre che la soluzione debba essere omogenea per i casi di perdita della capacità processuale, e quindi tanto per la parte persona fisica, quanto per l'estinzione della persona giuridica e che gli stessi principi debbano tendenzialmente operare, in completa simmetria, sia per la parte colpita dall'evento menomativo che per la controparte della parte colpita.
La Corte ritiene infatti foriera di eccessivo rigore e non conforme allo spirito della sentenza n. 15295 del 2014 la soluzione che perviene alla sanzione di inammissibilità del ricorso in un ambiente, quello del giudizio di cassazione, nel quale, una volta instaurato il contraddittorio con la notifica del ricorso, non si dà rilievo alla sopravvenuta morte della persona fisica né all'estinzione dell'ente, e non trova applicazione l'interruzione del processo.
Il fatto estintivo, secondo la tesi più rigorosa, sarebbe destinato a rilevare, e a determinare l'inammissibilità, soltanto nella fase interstiziale, e cioè a monte della notificazione del ricorso.
26. Nella sentenza n. 15177 del 1° giugno 2021 queste Sezioni unite, nel ricapitolare il quadro del diritto vivente in tema di procura speciale per la proposizione del ricorso per cassazione, hanno ricordato che la procura per il ricorso in cassazione deve possedere, ai sensi dell'art. 365 c.p.c., carattere speciale e riguardare il particolare giudizio di legittimità sulla base di una specifica valutazione della sentenza da impugnare.
Essa è, dunque, invalida se rilasciata in data anteriore alla suddetta sentenza, con conseguente inammissibilità del ricorso; a maggior ragione è inammissibile il ricorso proposto in forza di procura di carattere generale conferita con atto notarile anteriormente alla sentenza impugnata e priva di ogni riferimento alla sentenza impugnata e all'impugnazione da proporsi in cassazione. Quel che giustifica la specialità ai fini del ricorso per cassazione è la posteriorità della procura o anche solo la contestualità rispetto al deposito della sentenza impugnata, perché la data non espressamente indicata può desumersi dall'incorporazione del mandato difensivo con il ricorso per cassazione.
Ancora recentemente è stato ribadito che il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 365 e 83, comma 3, c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell'atto a cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso (Sez. un., n. 2075 del 19 gennaio 2024).
27. Il difensore inoltre non assume su di sé, all'atto della autenticazione della firma, l'obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura, anche se l'autenticazione della firma, in relazione alla sua natura essenzialmente pubblicistica, può essere contestata in via esclusiva con querela di falso.
Quanto al potere di autenticazione della firma, questa Corte ha varie volte ritenuto che il difensore compie un negozio di diritto pubblico e riveste la qualità di pubblico ufficiale, la cui certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso (Sez. 6-3, n. 17473 del 2 settembre 2015; Sez. 6-1, n. 19785 del 25 luglio 2018; Sez. 6-1, n. 24939 del 20 ottobre 2017; Sez. 6-3, n. 15170 del 2 luglio 2014).
28. In particolare, anche per la contestazione della data della sottoscrizione apposta dalla parte ad una procura speciale rilasciata in calce o a margine degli atti di cui all'art. 83, comma terzo, c.p.c. e autenticata dal difensore, si è varie volte affermata la necessità dello speciale procedimento di querela di falso di cui agli artt. 221 e segg. c.p.c., in quanto deve riconoscersi al difensore il potere di certificare non soltanto l'autografia della sottoscrizione ma anche la data di apposizione della stessa; infatti ai fini della dimostrazione della anteriorità del rilascio rispetto al deposito del ricorso, la procura ex art. 83 c.p.c. è assistita da efficacia privilegiata anche in relazione alla data di compimento dell'atto, attestata dal difensore nell'esercizio di una funzione pubblicistica (Sez. lav., n. 5620 del 15 marzo 2006; Sez. lav., n. 14137 del 16 dicembre 1999; Sez. lav., n. 16416 del 19 giugno 2019).
Certamente il carattere fidefacente della data del conferimento della procura derivante dall'autenticazione da parte del difensore non implica che il rapporto processuale si costituisca con la controparte, cosa che avviene solo con la notificazione del ricorso ad opera dell'ufficiale giudiziario o dello stesso difensore debitamente autorizzato a procedervi.
29. La sentenza n. 15295 del 2014 ha diffusamente argomentato per convalidare anche sul piano sostanziale il principio dell'ultrattività del mandato, a tal riguardo invocando l'art. 1728, comma 1, c.c. (secondo cui, quando il mandato s'estingue per morte o incapacità sopravvenuta del mandante, il mandatario che ha iniziato l'esecuzione deve continuarla, se vi è pericolo nel ritardo; la seconda parte dell'art. 1722, n. 4, che stabilisce che il mandato avente per oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa non s'estingue per morte, interdizione o inabilitazione del mandante, se l'esercizio dell'impresa è continuato; l'art. 1723, comma 2, c.c., laddove è sancito che il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non s'estingue per la morte o la sopravvenuta incapacità del mandante; l'art. 1396, comma 2, c.c., secondo cui le cause di estinzione, diverse dalla revoca della procura, del potere di rappresentanza conferito dall'interessato, tra cui la morte o la sopravvenuta incapacità del rappresentato, non sono opponibili ai terzi che le hanno senza colpa ignorate.
Soprattutto la sentenza del 2014 (cfr. § 7) afferma che l'incidenza sul processo degli eventi previsti dall'art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte) è disciplinata, in ipotesi di costituzione in giudizio a mezzo di difensore, dalla regola dell'ultrattività del mandato alla lite, in ragione della quale, nel caso in cui l'evento non sia dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento non si sia verificato, con la conseguente stabilizzazione della posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell'impugnazione. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione nell'ipotesi in cui, nella successiva fase d'impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale della parte divenuta incapace, oppure se il procuratore di tale parte, originariamente munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza o notifichi alle altri parti l'evento verificatosi, o se, rimasta la medesima parte contumace, l'evento sia documentato dall'altra parte (come previsto dalla novella di cui alla l. n. 69 del 2009, art. 46), o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ai sensi dell'art. 300, comma 4, c.p.c.
Di conseguenza l'arresto del 2014 afferma che:
a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, a norma dell'art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale della parte divenuta incapace;
b) detto procuratore, qualora gli sia originariamente conferita procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione (ad eccezione del ricorso per cassazione, per la proposizione del quale è richiesta la procura speciale) in rappresentanza della parte che, pur deceduta o divenuta incapace, va considerata nell'ambito del processo ancora in vita e capace;
c) è ammissibile l'atto di impugnazione notificato, ai sensi dell'art. 330, comma 1, c.p.c., presso il procuratore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se la parte notificante abbia avuto diversamente conoscenza dell'evento.
30. La sentenza n. 15295 del 2014 effettivamente introduce un'eccezione all'esplicarsi dell'ultrattività con riferimento al giudizio di cassazione, che esige, come si è ricordato, il rilascio di una procura speciale ed esclude, di conseguenza, che il procuratore possa utilizzare a tal fine una procura rilasciata in precedenza ancorché per l'intero giudizio e non limitata al grado.
Il caveat e la deroga al principio enunciato si limitano però a sancire la necessità della procura speciale, e non altro, e non esigono pertanto che il difensore, ritualmente investito da valido mandato prima del verificarsi dell'evento menomativo della capacità processuale della parte rappresentata, debba anche aver utilizzato la procura per la costituzione del rapporto processuale di legittimità prima dell'evento.
31. Questa specifica conclusione è stata raggiunta da due precedenti pronunce delle Sezioni semplici della Corte.
31.1. La prima è la sentenza della Sez. 2, n. 20832 del 2016, che riguarda un'ipotesi particolare.
In quel caso si trattava di procura notarile per il giudizio di legittimità, utilizzata dal difensore della resistente (che non aveva notificato il controricorso) per partecipare alla discussione orale, rilasciata prima, ma depositata dopo, la morte della parte rappresentata.
La Corte ha affermato che, in virtù del principio di ultrattività del mandato alle liti, la procura speciale conferita dopo la notifica del ricorso per cassazione e, quindi, in pendenza della relativa fase di giudizio, resta valida ed efficace anche nel caso di decesso del conferente, indipendentemente dalla circostanza che il deposito in giudizio dell'atto sia avvenuto in un momento successivo a tale evento, trattandosi di una attività di mera documentazione dell'avvenuto conferimento del mandato.
31.2. La seconda è l'ordinanza della Sez. 5, n. 30341 del 23 novembre 2018, ritenuta non meritevole di continuità dal Procuratore generale, che ha obiettato che le conclusioni in quel caso raggiunte si fondano sull'applicazione del principio dell'ultrattività del mandato alle liti, senza in alcun modo rapportarsi alla specificità del giudizio di legittimità.
Anche in quel caso la procura era stata conferita prima della cancellazione e la notificazione era stata eseguita successivamente.
La predetta pronuncia riprende i principi della sentenza n. 15295 del 2014 e li applica ad una fattispecie processuale simmetrica a quella per cui è causa. La Sezione quinta, quindi, ha richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite del 2014, escludendo espressamente che tale dictum debba intendersi circoscritto ai soli eventi espressamente menzionati nell'art. 299 c.p.c., con esclusione, dunque, dell'evento estintivo costituito dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. La pronuncia osserva, infatti, che l'arresto nomofilattico delle Sezioni unite ha una portata generale poiché supera il principio per cui l'esigenza di stabilità del processo debba intendersi limitata al grado di giudizio in cui l'evento interruttivo è occorso e giunge a fissare, nei termini sopra precisati, la regola dell'ultrattività del mandato. In applicazione di tali principi, quindi, ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione promosso dal difensore munito di mandato a tal fine conferito dalla società con procura speciale sottoscritta prima dell'estinzione dell'ente a seguito della cancellazione dal registro delle imprese.
Sempre nel senso della estensione dei principi della sentenza delle Sezioni unite del 2014 anche al caso della parte persona giuridica si è pronunciata la Sez. 2, n. 19272 del 2022.
32. Il Procuratore generale ha insistito particolarmente nel sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha ribadito il principio che la valida vocatio in ius presuppone la attuale esistenza delle parti e la morte dell'attore, intervenuta prima della notificazione dell'atto di citazione, determina la nullità della vocatio in ius e dell'intero eventuale giudizio che ne è seguito, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, risultando irrilevante la volontaria costituzione in giudizio dei successori della parte deceduta che intendano proseguire il processo, perché, in assenza della valida instaurazione del rapporto processuale e del contraddittorio tra le parti, non può trovare applicazione né l'istituto della successione nel diritto controverso, né quello della interruzione del processo (Sez. 6-2, n. 11506 dell'8 aprile 2022; Sez. 6-1, n. 27530 del 20 novembre 2017; Sez. 2, n. 14360 del 6 giugno 2013; Sez. 1, n. 11688 del 18 settembre 2001).
Le pronunce in questione fanno riferimento alla morte o estinzione del soggetto prima della stessa instaurazione del giudizio di primo grado e, cioè, in un momento in cui non ha ancora assunto la qualità di parte processuale e non si è instaurato alcun valido contraddittorio.
Secondo questa linea argomentativa la notificazione del ricorso di legittimità successivamente al conferimento della procura speciale, ma dopo l'evento menomativo della capacità processuale, sarebbe in tutto e per tutto equiparabile alla notificazione dell'atto introduttivo di primo grado successivamente al conferimento della procura alle liti ma dopo l'evento menomativo della capacità processuale.
33. La Corte non ritiene che tale argomentazione, pur apparentemente suggestiva, possa essere condivisa.
Nel caso che si vorrebbe paragonare dell'evento menomativo incidente prima della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio non c'è alcun procedimento pendente, né alcuna esigenza di salvaguardare posizioni soggettive dei successori della parte colpita dall'evento, che - d'altro canto - ben potranno attivarsi successivamente.
Ben diverso è il caso in esame in cui il procedimento è pendente, sia pur non nella fase attiva ma in fase di quiescenza «inter-grado» (per la precisione fra il giudizio di merito e quello di legittimità), e in cui non è stato ancora instaurato il giudizio di legittimità, con tutte le evidenti conseguenze in tema di attività processuali espletate e rischi di stabilizzazione di pronunce e di pregiudizi ai diritti delle parti.
Se quindi, nel rispetto del dictum e dello spirito della sentenza n. 15295/2014, ben si può e si deve esigere per l'operatività dell'ultrattività del mandato il rilascio di una nuova procura, speciale, non si può ritenere necessario che la predetta procura sia stata anche «spesa» dal difensore officiato con la notificazione del ricorso e la costituzione del rapporto processuale, attivo, di legittimità.
34. Il Collegio ritiene pertanto di procedere, nel solco della pronuncia del 2014, sulla strada della piena equiparazione tra ricorrente e resistente, non potendosi desumere una chiara scelta legislativa tra l'iniziativa e la resistenza processuale in sede di legittimità.
Non appare indice inequivoco neppure il dettato dell'art. 328 c.p.c. e il meccanismo di differimento o di proroga da esso contemplato, che tutela i successori della parte colpita.
Il primo comma dell'art. 328, con riferimento al c.d. «termine breve», prevede che se, durante la decorrenza del termine di cui all'art. 325, sopravviene alcuno degli eventi previsti nell'art. 299, il termine stesso è interrotto e il nuovo decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata.
Il terzo comma, con riferimento al c.d. «termine lungo», aggiunge che, se dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza si verifica alcuno degli eventi previsti nell'art. 299, il termine di cui all'art. 327 è prorogato per tutte le parti di sei mesi dal giorno dell'evento. Disposizione questa non coordinata all'abbreviazione del termine di cui all'art. 327 c.p.c. a sei mesi, che ha indotto la giurisprudenza di questa Corte ad affermare che nei processi soggetti alla riduzione a sei mesi del termine ex art. 327 c.p.c., come riformulato ad opera della l. n. 69 del 2009, l'art. 328, comma 3, c.p.c. va interpretato nel senso che, ove dopo il decorso della metà del termine di cui al cit. art. 327 c.p.c. si verifichi uno degli accadimenti previsti dall'art. 299 c.p.c., il termine lungo di impugnazione è prorogato, per tutte le parti, di tre mesi dal giorno di tale evento (Sez. 2, n. 20529 del 30 luglio 2019; Sez. 5, n. 36691 del 14 dicembre 2022).
L'indice normativo non appare tuttavia concludente: la tutela dilatoria così attuata in favore dei successori della parte colpita nella fase di quiescenza processuale e di pendenza del termine per impugnare non comporta che l'attività dispiegata nell'interesse della parte colpita in forza di procura a suo tempo validamente conferita sia necessariamente invalida. Le disposizioni in parola consentono ai successori l'allestimento dell'impugnazione, senza escludere la validità della precedente iniziativa assunta dalla parte colpita, e restituiscono intatto il quesito centrale, se cioè sia sufficiente il conferimento della procura o sia necessaria anche la sua spendita prima dell'evento interruttivo.
35. Alla soluzione accolta neppure può rimproverarsi il difetto di responsabilizzare oltremisura il legale, costretto ad instaurare un ricorso per cassazione in nome di una parte morta/estinta ed esposto a un'azione di responsabilità degli eventuali successori che potrebbero opporgli l'illegittimità o la non opportunità dell'iniziativa.
Il difensore ha la facoltà di assumere l'iniziativa di notificare il ricorso ma la lettera e lo spirito della sentenza n. 15295 del 2014 non escludono affatto ed anzi impongono al difensore a conoscenza dell'evento sopravvenuto il dovere di informare e coordinarsi con i successori della parte colpita.
36. Infatti le esposte considerazioni ben si saldano ai punti fermi tracciati dalla sentenza n. 15295 del 2014 in ordine al ruolo e alla funzione svolta dall'avvocato in relazione a siffatte vicende, laddove (§ 6) è stato puntualizzato: che la dichiarazione del difensore circa la perdita della capacità processuale della parte rappresentata non è di pura scienza e non è un atto doveroso e dovuto; che al difensore compete il potere di valutare la situazione processuale in corso e di manifestare l'evento con la precisa e predeterminata volontà di perseguire per il proprio cliente la tutela della interruzione; che il procuratore ad litem che ritenga che nessun pregiudizio possa derivare alla parte sostanziale dalla prosecuzione del processo (eventualmente concordata con chi è legittimato a costituirsi in giudizio in vece del soggetto colpito dall'evento), proprio in virtù del potere discrezionale di cui legittimamente si avvale, può anche sottacere l'evento; che il difensore è esposto ad una personale responsabilità nei confronti della parte sostanziale, qualora dalla omessa dichiarazione della morte o del fatto esclusivo della capacità di stare in giudizio sia derivato a questa un pregiudizio; che in tal senso va riconosciuta al difensore la qualità di dominus litis; che la perdita della capacità processuale della parte non pregiudica alcun diritto dei suoi successori, in quanto la presenza in giudizio del procuratore ad litem garantisce ed assicura il rispetto del contraddittorio.
Su queste basi è stato colto il potere del difensore di proseguire il processo nonostante il verificarsi dell'evento interruttivo, insuscettibile di ledere il contraddittorio e di pregiudicare o menomare in qualche modo l'esercizio dell'attività tecnica difensiva, che è di esclusiva competenza del procuratore, gravato peraltro dall'onere (scaturente dalla sua personale responsabilità) di dare notizia dell'esistenza e pendenza del processo ai legittimati alla prosecuzione del giudizio per concordare con loro la strategia successiva.
È poi il caso di richiamare la sentenza n. 15295 del 2014 anche laddove chiarisce che la soluzione accolta non significa certamente che la causa «della parte» si trasformi in causa «dell'avvocato» e sottolinea anzi la maggiore responsabilità incombente sul difensore, poiché, se la scelta professionale discrezionale di esteriorizzare o meno l'evento è solo sua (concordata o non con i successori della parte scomparsa), questo complesso di legittimazioni e poteri lo pone in una situazione professionalmente e deontologicamente delicatissima nei confronti dei successori stessi sotto il profilo degli obblighi informativi.
37. L'esigenza di una completa riflessione sul tema suggerisce di considerare anche il profilo deontologico.
Occorre premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio nazionale forense il potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all'ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità (Sez. un., n. 26810 del 20 dicembre 2007; Sez. un., n. 15852 del 7 luglio 2009; conformi Sez. un., nn. 529 del 2012, 8313 del 2019, 13168 del 2021, 7501 del 2022).
38. Autorevole dottrina ha criticato la sentenza del 2014 per aver confinato nel rapporto interno tra cliente (defunto/estinto) o «successori non palesati» e avvocato l'evocazione dei profili deontologici, non incidenti sul profilo processuale; si è così affermata, da un lato, la rilevanza processuale delle norme deontologiche attraverso i filtri, tra l'altro, degli artt. 88 e 96 c.p.c.; d'altro canto, si è sostenuto che il dovere di verità che grava sull'avvocato nel richiedere al giudice un provvedimento sulla base di un fatto direttamente conosciuto lo costringe in termini oggettivi a dichiarare l'evento interruttivo, senza alcuna discrezionalità.
Questi assunti non possono indurre ad approdi diversi da quelli sopra argomentati.
È pur vero (art. 4.4 del codice deontologico degli avvocati europei) che in nessun momento l'avvocato deve dare scientemente al giudice un'informazione falsa o tale da indurlo in errore.
L'art. 50 del codice deontologico forense concerne il dovere di verità e vieta all'avvocato di introdurre o utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi, di impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio, nonché di rendere false dichiarazioni sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato.
Ciò non significa, tuttavia, che l'avvocato, nel rispetto dell'obbligo di verità così codificato da punto di vista deontologico, debba comunicare al giudice e alla controparte la vicenda estintiva della capacità processuale della parte rappresentata, quando la legge processuale gli consente di manifestare discrezionalmente quest'informazione, sia pur previa intesa con il successore del soggetto estinto.
Per altro verso, nel caso in esame, il difensore non rende alcuna falsa dichiarazione, ma semmai tace un'informazione, avvalendosi però del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge di rilasciare una dichiarazione, che non è di pura scienza, ad effetti processuali per la migliore e più efficace tutela della parte assistita.
Si deve quindi escludere che incorra nella violazione del dovere di verità, deontologicamente codificato, l'avvocato che si avvalga di una facoltà specificamente attribuitagli dalla disciplina legale del processo, nel caso operando la scelta discrezionale di non dichiarare l'evento interruttivo che ha colpito la parte rappresentata.
39. L'eccezione preliminare proposta dalla controricorrente deve pertanto essere rigettata alla luce del seguente principio di diritto:
«In tema di ricorso per cassazione, la perdita della capacità processuale della parte ricorrente, tanto che si tratti di persona fisica quanto che si tratti di persona giuridica, avvenuta dopo il conferimento della procura speciale al difensore per il giudizio di cassazione ma prima della notifica del ricorso alla controparte, non ne determina l'inammissibilità, alla luce del principio di ultrattività del mandato».
40. La seconda questione, di carattere eventuale, rimessa dall'ordinanza interlocutoria resta assorbita per effetto della soluzione nel senso dell'ammissibilità della prima questione.
41. Dopo il rigetto dell'eccezione preliminare e la dichiarazione di ammissibilità del ricorso, limitatamente al profilo della capacità processuale della parte ricorrente, l'esame dei motivi, sopra illustrati, non rientranti nella competenza delle Sezioni unite, può essere rimesso alla Seconda Sezione, ai sensi dell'art. 142 disp. att. c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara ammissibile il ricorso sotto il profilo della capacità processuale della parte ricorrente e rimette l'esame del ricorso e dei motivi alla remittente Seconda Sezione civile.