Corte di cassazione
Sezione VI penale
Sentenza 21 maggio 2024, n. 31180
Presidente: Villoni - Estensore: Gallucci
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale del riesame di Napoli con ordinanza in data 1° febbraio 2024 (motivazione depositata il successivo 14 marzo) ha confermato l'ordinanza del Gip di Nola applicativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti di D. Aniello, indagato per i delitti di cui agli artt. 110 e 353 c.p. [capi 1, 3, 8, 13 e 15], artt. 319 c.p. [capi 2, 6, 9], artt. 110, 476, 490 c.p. [capo 7], artt. 81, 40 cpv., 110 c.p. e 21, comma 1, l. n. 646/1982 [capo 10].
2. Avverso detta ordinanza l'indagato ha proposto, a mezzo dei propri difensori, ricorso nel quale deduce sette motivi.
2.1. Il primo motivo - complessivamente riferito ai capi 2, 3, 6, 7, 8, 10, 13 e 15 - eccepisce la inutilizzabilità della messaggistica tratta dai cellulari sequestrati al D. e a altri indagati - sequestro successivamente annullato dal Tribunale dei riesame - messaggistica che è stata riprodotta nel verbale di ispezione del 1° febbraio 2024. Ciò in quanto il sequestro probatorio degli apparati di telefonia mobile è stato annullato, per carenza di motivazione, dal Tribunale del riesame con ordinanze del 5, 10, 18 gennaio e 2 febbraio 2022, con conseguente restituzione dei devices agli aventi diritto; prima di effettuare la restituzione della "copia forense" dei dati acquisiti, il Pubblico ministero disponeva però procedersi ad "ispezione telematica" nel corso della quale venivano nuovamente acquisiti i dati predetti. Si evidenzia che, in assenza di un ulteriore provvedimento di sequestro (nella specie non intervenuto), tale procedura rappresenta una palese violazione del provvedimento del riesame con conseguente inutilizzabilità "patologica" di tali elementi indiziari (come peraltro ritenuto dal medesimo Tribunale del riesame, in differente composizione, nel febbraio del 2022 in relazione alla posizione di altri indagati nel medesimo procedimento), alla quale consegue il venire meno della necessaria piattaforma indiziaria legittimante l'applicazione nella misura custodiale. Sotto altro profilo, l'ordinanza impugnata non ha considerato che la messaggistica WhatsApp deve essere qualificata - ai sensi della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 - non già come mero "documento" (art. 234 c.p.p., come erroneamente ritenuto dal Tribunale del riesame) ma quale corrispondenza informatica, assoggettata quindi alla disciplina del sequestro ex artt. 254 c.p.p., che non era stato però disposto. Ciò premesso, il ricorrente evidenzia, in ossequio della necessaria "prova di resistenza", che, una volta venuta meno l'utilizzabilità di tale messaggistica, non residuano elementi significativi in relazione agli addebiti provvisori di cui ai capi 3, 7, 8, 9, 13 e 15.
2.2. Con il secondo motivo (correlato al precedente) si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta "proporzionalità e adeguatezza del sequestro dei dati digitali". Tale profilo era stato affrontato dal Tribunale del riesame nell'ordinanza che ha disposto la restituzione degli apparati, ove si è ritenuto il sequestro "un'ablazione del tutto sproporzionata e scollegata da una reale finalità probatoria esplicitata soltanto in maniera approssimativa, e oltretutto priva di qualsivoglia delimitazione temporale e circostanziale... Traspare la sostanza di un sequestro meramente esplorativo...". A fronte di tale motivazione, evidenzia il ricorrente, risulta vieppiù illegittimo il provvedimento di "ispezione" con acquisizione integrale dei dati, in palese violazione del dictum dell'organo giurisdizionale.
2.3. Il terzo motivo - riferito al capo 1: art. 353 c.p. - eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte in un diverso procedimento penale in violazione dell'art. 270 c.p.p. Ciò in quanto tra i due procedimenti non sussiste un collegamento ex art. 12 c.p.p. e comunque il procedimento ad quem è stato iscritto prima del 31 agosto 2020, dovendo dunque operare la precedente disciplina normativa secondo l'interpretazione adottata dalla sentenza delle Sezioni unite "Cavallo" (come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza della Cassazione) che non consentiva tale utilizzo. Non condivisibile risulta altresì l'argomentazione - contenuta nell'ordinanza impugnata - secondo cui, anche aderendo all'interpretazione fatta propria dal "minoritario indirizzo restrittivo", nondimeno per stabilire l'anteriorità o posteriorità del procedimento occorre avere riguardo alla data di iscrizione della specifica notizia di reato in base alla quale le intercettazioni sono state autorizzate, a nulla rilevando le precedenti iscrizioni concernenti diversi soggetti; tale motivazione - deduce il ricorrente - rappresenta un aggiramento delle regole processuali lasciando al PM la possibilità di segmentare il procedimento onde avvalersi della disciplina più favorevole in tema di intercettazioni. Alla inutilizzabilità di dette intercettazioni consegue la carenza di gravità indiziaria relativamente alla contestazione provvisoria.
2.4. Il quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta utilizzabilità - quali gravi indizi di colpevolezza in merito al capo 10 [violazione del divieto di subappalto] - delle intercettazioni (segnatamente il RIT n. 454/2021-843/21 G.i.p.). Ciò in quanto detto reato non supporta le intercettazioni ai sensi dell'art. 266 c.p.p. e l'ordinanza impugnata ha respinto la relativa eccezione con motivazione apparente che non si è confrontata con il rilievo secondo cui ab origine la fattispecie ipotizzata era proprio l'art. 21 della l. n. 646 del 1982, di tal che l'attività di intercettazione era stata disposta in riferimento a reato per il quale essa non poteva essere effettuata.
2.5. Con il quinto motivo si eccepisce - subordinatamente al mancato accoglimento del motivo sub 3 - violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria in ordine alla attività collusiva e fraudolenta della procedura "preselettiva", oggetto della contestazione di turbativa d'asta di cui al capo cautelare 1. Ciò in quanto, alla luce degli orientamenti di questa Corte, nella specie la condotta contestata non può integrare la fattispecie delittuosa non essendosi svolta una gara seppur informale tra diversi offerenti ma avendo l'indagato - secondo l'impostazione della domanda cautelare in modo illecito - fatto revocare la procedura di gara e stabilito di attribuire direttamente i lavori a un soggetto determinato.
2.6. Il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento alla gravità indiziaria relativa all'addebito sub capo 2 [concorso in corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio: c.d. vicenda dei chioschi]; si rileva che non emergono elementi idonei a sostenere che il dirigente che avrebbe adottato i presunti atti contrari ai doveri di ufficio in favore del privato abbia agito in tal senso nell'esecuzione di un accordo corruttivo che contemplasse l'erogazione, da parte del "beneficiato" della nuova assegnazione per il chiosco, della somma di denaro che, tramite l'indagato, era destinata alla assegnataria della precedente concessione comunale di un chiosco da demolire; si sostiene che la motivazione dell'ordinanza impugnata - tutta incentrata sull'esistenza di un generico "accordo illecito" tra i tre soggetti coinvolti (il sindaco indagato, il funzionario responsabile e il nuovo assegnatario) - non ha dato conto della gravità indiziaria relativa allo specifico pactum sceleris che possa ricondursi all'intesa corruttiva. Al riguardo si rileva altresì che l'indagato non era titolare della funzione dirigenziale competente ad assegnare detto chiosco né aveva un potere di sovraordinazione gerarchica sul dirigente; quest'ultimo, a propria volta, nulla sapeva del "contributo" dato dal nuovo assegnatario e destinato a "compensare" la precedente assegnataria e il Tribunale del riesame non ha neppure dato risposta alla censura difensiva che aveva eccepito l'illogicità dell'argomentazione che faceva derivare la gravità indiziaria circa tale consapevolezza al momento di adottare l'atto asseritamente illecito dall'intercettazione avvenuta molto tempo dopo l'aggiudicazione stessa.
2.7. Il settimo motivo, infine, eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica e alla gravità indiziaria in relazione alla contestazione sub capo 6 [corruzione propria passiva in relazione ai rapporti di D. con l'imprenditore N.]. Al riguardo si rileva che la contestazione fa riferimento, in realtà, a condotte non inquadrabili nella fattispecie addebitata ma, alla luce dell'orientamento di questa Corte, al più nell'ipotesi di traffico di influenze, dal momento che, esulando i singoli atti - in ipotesi illeciti e favorevoli al N. - dalle proprie competenze, la condotta dell'indagato si sarebbe sostanziata in un "mero potere di influenza su dirigenti e funzionari della PA pubblici ufficiali titolari dell'adozione dei singoli provvedimenti" (come peraltro la contestazione cautelare indica con il termine "ingerirsi").
3. Con memoria ritualmente depositata recante "Motivi nuovi" i difensori dell'indagato hanno ribadito e approfondito i rilievi critici proposti nel primo, secondo e terzo motivo del ricorso. In relazione a quest'ultimo (relativo all'utilizzabilità delle intercettazioni disposte in un diverso procedimento), in particolare, si richiama il recente intervento delle Sezioni unite che hanno ritenuto valido l'indirizzo ermeneutico prospettato dalla difesa e disatteso dal Tribunale del riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Per quanto concerne il primo motivo (che ha natura assorbente rispetto alla doglianza relativa al deficit di "proporzionalità e adeguatezza del sequestro dei dati digitali") va rilevato che è pacifico che il Tribunale del riesame aveva annullato - per carenza di motivazione - il sequestro probatorio del cellulare dell'indagato e di altri soggetti disponendone la restituzione agli aventi diritto.
Prima di procedere all'incombente, il Pubblico ministero ha però disposto una "ispezione telematica" con riacquisizione dei dati informatici, utilizzati quindi nella richiesta cautelare e posti a fondamento della misura detentiva applicata all'indagato. Sul punto l'ordinanza impugnata non è chiarissima: dapprima sembrerebbe sostenere che tali elementi non siano stati utilizzati, quantomeno in riferimento ad alcuni degli addebiti (capi 1 e 9), ma subito dopo si diffonde in ampie considerazioni in merito alla piena utilizzabilità degli indizi ricavabili dai medesimi in relazione a tutte le contestazioni: pag. 18 ss. Dunque trattasi di profilo che in questa sede deve essere esaminato.
2.1. Ciò premesso, rileva il Collegio che tale modus procedendi ha integrato una violazione del provvedimento giurisdizionale, "neutralizzandone" gli effetti attraverso l'utilizzo - improprio - di un atto di ricerca della prova, che era stato ritenuto, dal tribunale del riesame reale, nullo. Peraltro, questa Sezione (sent. n. 28638 del 28 aprile 2022, Barone), nell'esaminare il ricorso proposto da una coindagata nel medesimo procedimento, che aveva eccepito l'illegittimità della "ispezione telematica" disposta dal PM, pur dichiarandolo inammissibile dal momento che «All'atto della proposizione del presente ricorso, il sequestro probatorio del telefono cellulare era, infatti, stato impugnato con la proposizione della richiesta di riesame ma, a differenza di quanto accaduto con riferimento ad altri indagati nel medesimo procedimento penale, il decreto di sequestro probatorio non risulta essere stato annullato. La ricorrente, peraltro, non ha comprovato specifiche ragioni che consentano di estendere, ai sensi dell'art. 587 c.p.p., in suo favore le ragioni dell'annullamento del distinto sequestro probatorio disposto in favore del coindagato Aniello D.», nondimeno ha evidenziato l'insussistenza dei presupposti per condannare la ricorrente alla sanzione pecuniaria in quanto la stessa non «versa in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità; il decreto di ispezione telematica impugnato, infatti, ancorché non abnorme, si inserisce in una sequenza procedimentale connotata da tratti di anomalia, come è stato rilevato anche dal Tribunale del riesame nell'ordinanza emessa in data 4 marzo 2022 nei confronti dei ricorrenti Aniello S. e Aniello D.».
2.2. Così come è fondato il rilievo del ricorrente secondo cui, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023 e di quanto deciso dalle Sezioni unite nelle due pronunce che si sono occupate dell'utilizzo della messaggistica "Sky ECC" (Sez. un., nn. 23755 e 23756 del 29 febbraio 2024), le chat costituiscono non mera documentazione acquisibile ex art. 234 c.p.p., ma "corrispondenza informatica" che quindi doveva essere acquisita attraverso un provvedimento di sequestro ex art. 254 c.p.p., nella specie non intervenuto.
Al riguardo, non può condividersi l'osservazione del PG secondo la quale il principio affermato dalla Corte costituzionale non avrebbe portata generale ma si riferirebbe esclusivamente all'ambito applicativo delle guarentigie apprestate dall'art. 68 Cost. in favore del parlamentare.
Invero, il Giudice delle leggi (par. 4.2 del Considerato in diritto) si è così espresso: «In linea generale, che lo scambio di messaggi elettronici - e-mail, SMS, WhatsApp e simili - rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. non può essere revocato in dubbio. Posto che quello di "corrispondenza" è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall'art. 15 Cost. - che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza "della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione", consentendone la limitazione "soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge" - prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, "aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata" (sentenza n. 2 del 2023). La garanzia si estende, quindi, ad ogni strumento che l'evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini comunicativi, compresi quelli elettronici e informatici, ignoti al momento del varo della Carta costituzionale (sentenza n. 20 del 2017; già in precedenza, con riguardo agli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, sentenza n. 1030 del 1988; sulla libertà del titolare del diritto di scegliere liberamente il mezzo con cui corrispondere, sentenza n. 81 del 1993). Posta elettronica e messaggi inviati tramite l'applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell'art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall'inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l'utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch'esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione». Argomentazioni chiare e in base alle quali si deve concludere che, in linea generale, la messaggistica a mezzo chat costituisce "corrispondenza" rientrando dunque nella disciplina costituzionale dell'art. 15.
2.3. Neppure può accogliersi la tesi, sostenuta dal PG in sede di formulazione delle proprie conclusioni, secondo cui, pur ammettendo la illegittimità della "ispezione informatica", l'acquisizione dei dati non sarebbe censurabile, sulla base del principio del male captum, bene retentum. Tale principio - declinato da Sez. un., n. 5021 del 27 marzo 1996, Sala, Rv. 204644, e oramai consolidato - afferma infatti che l'eventuale illegittimità dell'atto di perquisizione compiuto ad opera della polizia giudiziaria non comporta effetti invalidanti sul successivo sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, che costituisce un atto dovuto a norma dell'art. 253, comma 1, c.p.p. (da ultimo, v. n. 16065 del 10 gennaio 2020, Giannetti, Rv. 278996-01). Ma nel caso di specie è la stessa acquisizione dei dati a risultare illegittima, in quanto effettuata in violazione del provvedimento del Tribunale del riesame che, avendo annullato il sequestro e disposto la restituzione del telefono all'avente diritto, ha privato il Pubblico ministero del potere di ulteriormente incidere sul bene che - non avendo natura intrinsecamente criminosa, ma essendo stato, eventualmente, utilizzato per commettere il reato - non è neppure soggetto a confisca obbligatoria (Sez. 6, n. 34088 del 7 luglio 2003, Lomartire, Rv. 226687-01).
2.4. I dati acquisiti in modo illegittimo non sono utilizzabili neppure nella fase delle indagini e a fini cautelari. Ritiene infatti il Collegio che gli elementi indiziari derivanti dalla ispezione informatica sopra descritta siano affetti da "inutilizzabilità patologica".
Invero, questa Sezione ha già avuto modo di rilevare come «Si è da tempo affermato che rientrano nella categoria delle prove sanzionate dall'inutilizzabilità, non solo le "prove oggettivamente vietate", ma anche quelle formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla "legge" e, a maggior ragione, come in precedenza detto, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione. La Corte costituzionale con la sentenza n. 34 del 1973 ha ravvisato l'esistenza di "divieti" probatori ricavabili in modo diretto dal dettato costituzionale, enunciando il principio per cui "attività compiute in dispregio dei fondamentali diritti del cittadino non possono essere assunte di per sé a giustificazione e fondamento di atti processuali a carico di chi quelle attività costituzionalmente illegittime abbia subito". Il suddetto principio - come già detto - ha consentito l'elaborazione della categoria delle prove cosiddette incostituzionali, cioè di prove ottenute attraverso modalità, metodi e comportamenti realizzati in violazione dei fondamentali diritti del cittadino garantiti dalla Costituzione, da considerarsi perciò inutilizzabili nel processo» (Sez. 6, n. 15836 dell'11 gennaio 2023, Berera, Rv. 284590-01, che ha affermato il principio secondo cui in tema di acquisizione di dati contenuti in tabulati telefonici, non sono utilizzabili nel giudizio abbreviato i dati di geolocalizzazione relativi a utenze telefoniche o telematiche, contenuti nei tabulati acquisiti dalla polizia giudiziaria in assenza del decreto di autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, in violazione dell'art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in quanto prove lesive del diritto alla segretezza delle comunicazioni costituzionalmente tutelato e, pertanto, affette da inutilizzabilità patologica, non sanata dalla richiesta di definizione del giudizio con le forme del rito alternativo).
Nel caso in esame la "patologia" deriva proprio dalla violazione del provvedimento giurisdizionale cui è conseguita una illegittima violazione della sfera di riservatezza al di fuori dei presupposti declinati dall'art. 15 Cost. Tale disposizione stabilisce infatti che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili e che la loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Nel momento in cui la competente autorità giudiziaria - ossia il Tribunale del riesame - ha accertato l'assenza di idonea motivazione a fondamento del sequestro probatorio operato dal PM, disponendone l'annullamento e ordinando la restituzione dei beni appresi agli aventi diritto, è evidente che l'ulteriore compressione della sfera costituzionalmente tutelata, attuata tramite la ispezione informatica, si pone fuori dal rispetto del perimetro delle garanzie derivanti dall'art. 15 cit.
Da ciò discende la inutilizzabilità delle chat che non possono essere quindi valutate neppure in sede cautelare (Sez. un., n. 16 del 21 giugno 2000, Tammaro, Rv. 216246-01; Sez. 4, n. 31304 del 18 maggio 2005, Bossi, Rv. 231739-01; Sez. 3, n. 44926 del 27 settembre 2023, Bianchini, Rv. 285316-02).
Pertanto, non rileva neppure l'intervenuta rinuncia all'autonomo ricorso in cassazione proposto da D. avverso il provvedimento di "ispezione telematica" (ricorso dichiarato quindi inammissibile da Sez. 6, n. 39587 del 22 aprile 2022).
Il ricorrente ha dedotto - in ossequio al rispetto del principio relativo alla "prova di resistenza" - che una volta espunti detti elementi indiziari tratti dalla illegittima "ispezione informatica" non vi sarebbe più la necessaria piattaforma indiziaria ex art. 273 c.p.p. in merito agli addebiti di cui ai capi 3, 7, 8, 9, 13 e 15. Trattasi di valutazione da rimettersi al Tribunale cautelare.
Va infine precisato che la fondatezza di tale motivo incide anche sul capo 10 (violazione del divieto di subappalto); il quarto motivo del ricorso ha dedotto riguardo a tale contestazione la violazione dell'art. 266 c.p.p. in quanto l'addebito provvisorio - rimasto immutato nei suoi estremi fattuali - non consente, sulla base di quanto affermato da Sez. 6, n. 23418 del 20 gennaio 2021, Bozzini, l'utilizzo delle intercettazioni ai sensi dell'art. 266 c.p.p. Poiché dall'ordinanza impugnata emerge che anche per tale contestazione risultano utilizzate le chat acquisite con la "ispezione informatica", in sede di rinvio il Tribunale cautelare valuterà sia tale profilo, sia quello relativo all'utilizzabilità delle intercettazioni, tenendo conto che la pena stabilita per tale reato non consente, di per sé, di disporre tale mezzo di ricerca della prova.
3. Anche il terzo motivo (riferito al capo 1) risulta fondato. L'ordinanza impugnata ha fondato il rigetto della eccezione formulata in merito alla violazione della "regola Cavallo" per l'utilizzo delle intercettazioni disposte in diverso procedimento penale sulla base della circostanza che sebbene il procedimento a quo era stato iscritto prima dell'agosto del 2020, nondimeno quello a carico dell'indagato era successivo a tale data (invocando sul punto una parte della giurisprudenza di legittimità orientata in tale senso). In materia, come è noto, sono intervenute le Sezioni unite di questa Corte che all'udienza del 18 aprile 2024 hanno stabilito che il regime che consente il più ampio utilizzo delle intercettazioni disposte in diverso procedimento penale (superando in tal modo la regola individuata nella "sentenza Cavallo") può trovare applicazione solo qualora sia il procedimento nel quale sono state compiute le intercettazioni che il procedimento diverso siano stati iscritti successivamente al 31 agosto 2020 (il che nella specie non è).
3.1. L'ordinanza impugnata ha comunque sostenuto che - anche aderendo all'opposto orientamento, ora accolto dalle Sezioni unite - nondimeno l'intercettazione sarebbe utilizzabile in quanto "è vero che il procedimento RGNR nr. 389/2020 era stato iscritto il 17.1.2020, ma è altrettanto vero che solo all'esito delle captazioni relative al reato di corruzione (RIT 241/2020- iscritto il 3 dicembre 2020 nell'ambito del citato fascicolo contenitore 389/2020 RGNR) si era proceduto all'iscrizione di altra e autonoma fattispecie di corruzione; in seno a questa nuova iscrizione erano emersi elementi utili in ordine all'autonomo reato di cui all'art. 353 c.p.p. relativo alla vicenda c.d. A. di cui al capo 1) da cui trae origine il procedimento n. 264/2021, nell'ambito del quale è stata emessa l'ordinanza oggi al vaglio [di] questo Tribunale del Riesame", da ciò deducendosi che "tutti gli esiti dell'intercettazione erano stati acquisiti nella vigenza del disposto dell'art. 270 c.p.p. come modificato dalla novella legislativa del d.l. n. 161/2019 e come tali senz'altro utilizzabili anche ai fini di prova di ulteriori e diverse fattispecie di reato iscritte anche ove non connesse ma rientranti nell'elenco dell'art. 266 c.p.p.".
3.2. L'argomentazione non può essere condivisa. Sul punto, questa Sezione ha avuto modo di precisare che «il testo della [nuova] norma attribuisce rilevanza al dato formale della nuova iscrizione del procedimento, con la conseguente necessaria diversificazione dei regimi di disciplina applicabili per le intercettazioni autorizzate e disposte nel procedimento iscritto prima del 31 agosto 2020 e poi confluito per separazione dopo tale data in altro e nuovo procedimento, che restano per forza di cose soggette alla vecchia disciplina, rispetto alle successive intercettazioni autorizzate dopo tale data nel nuovo procedimento iscritto dopo il 31 agosto 2020 che saranno invece soggette alla nuova normativa. In mancanza di norme transitorie, non può che trovare applicazione il criterio temporale stabilito dalla norma che, nel fissare e regolare l'entrata in vigore della nuova disciplina delle intercettazioni, ha attribuito rilevanza alla data dell'iscrizione del procedimento, indipendentemente e quindi a prescindere dalle vicende afferenti la separazione e la riunione dei procedimenti, e sempre che il provvedimento di nuova iscrizione conseguente alla separazione del procedimento originario sia adottato dal pubblico ministero prima del provvedimento autorizzativo delle intercettazioni» (Sez. 6, n. 47235 del 17 novembre 2021, Ierardi, pag. 8).
4. Fondato è, altresì, il quinto motivo, relativo sempre all'addebito di cui al capo 1. In effetti, è la stessa formulazione della contestazione in fatto a sollevare serie perplessità in merito alla configurabilità della fattispecie ipotizzata (art. 353 c.p.). Infatti, si imputa a D. di avere fatto revocare dal RUP (da lui "controllato") la procedura di gara, seppure informale, che era stata indetta, per far attribuire direttamente l'incarico di social media manager a una sua "protetta" (tale A. Maria Teresa). Tale condotta non può rientrare - pena una non ammissibile interpretazione analogica in malam partem - nell'ambito dell'art. 353 c.p. (che presuppone la commissione di atti nell'ambito della procedura di gara mentre nella specie essa era stata revocata). Al riguardo, si è rilevato come «il reato di turbata libertà degli incanti sussiste non solo quando, con l'uso di uno dei mezzi previsti dall'art. 353 c.p., la gara non può essere effettuata rimanendo deserta, ma anche quando non si impedisce lo svolgimento della gara ma se ne disturba la regolarità, influenzandone o alterandone il risultato che, senza l'intervento perturbatore, avrebbe potuto essere diverso. Il bene protetto dalla norma non è soltanto la libertà di partecipazione alle gare di pubblici incanti o nelle licitazioni private, ma anche la libertà di chi vi partecipa di influenzare l'esito secondo la libera concorrenza ed attraverso il gioco della maggiorazione delle offerte» (così, Sez. 6, n. 9845 del 16 aprile 1991, Lo Sciuto, Rv. 188414-01). Nella specie, invece, la condotta contestata concerne la revoca di una gara, condotta alla quale non è conseguito il "turbamento" della procedura comparativa ma il suo mancato espletamento.
5. Ritiene il Collegio che anche [il] sesto motivo (relativo all'addebito sub capo 2) risulti fondato. In esso si ipotizza a carico dell'indagato il reato di corruzione propria in relazione alla "vicenda dei chioschi" avente ad oggetto l'aggiudicazione della gestione di un chiosco di giornali a un soggetto che, ricevuta un'indennità di 20.000 euro per "intervento di sostegno economico per attività commerciali", lo avrebbe, su input e per il tramite del D., fatto avere alla precedente aggiudicataria per "tenerla buona" in merito al provvedimento che aveva imposto la demolizione del chiosco da lei precedentemente gestito.
Invero, l'ordinanza impugnata non chiarisce quale sarebbe stata l'utilità percepita dal D., atteso che egli non avrebbe ricevuto alcunché dal presunto corruttore. Infatti sembrerebbe doversi escludere che la somma - che peraltro secondo la contestazione non sarebbe stata erogata spontaneamente dal predetto ma veniva a costui attribuita dall'Amministrazione per costituire una provvista con cui "ripagare" la precedente assegnataria per l'abbattimento del chiosco - sia andata a vantaggio dell'indagato. È quindi necessario che il Tribunale del riesame rivaluti la configurabilità della fattispecie di corruzione.
6. Infine, fondato risulta il settimo motivo, relativo al capo 6 (corruzione propria in relazione ai rapporti illeciti tra D. e l'imprenditore N., lo stesso indicato al capo 2).
A prescindere dalla circostanza che anch'esso risulta attinto dalla questione relativa alla "ispezione telematica" conseguente al dissequestro e restituzione del cellulare, va rilevato che non appare corretta la motivazione relativa alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell'art. 319 c.p. Invero, si contesta a D. di avere favorito illecitamente N. (a fronte della promessa di assunzione di persone vicine al sindaco) ingerendosi nelle competenze amministrative dei funzionari comunali e dunque "agendo in violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Costituzione nonché del principio di rotazione degli incarichi e dei principi di libera concorrenza, trasparenza e pubblicità".
6.1. Peraltro, da un lato, gli atti contestati come illeciti e posti in essere dall'amministrazione non sono stati adottati dal sindaco ma da funzionari, secondo l'addebito a lui "sottomessi", e che non risultano indagati per tali fatti. È necessario dunque in primo luogo chiarire in che modo l'indagato li avrebbe indotti ad adottare gli atti in ipotesi contrari ai doveri di ufficio. In merito alla configurabilità della fattispecie di corruzione posta in essere dal pubblico ufficiale a mezzo di altro pubblico ufficiale che ponga in essere l'atto contrario ai doveri di ufficio, si è infatti rilevato come a tal fine è necessario - salva l'ipotesi di concorso tra i due soggetti pubblici - che il corrotto «ponga in essere una condotta di illegittima interferenza, qualificabile a sua volta di tipo corruttivo o concussivo, nei confronti di altro pubblico ufficiale..., allo scopo di indurlo ad accordare al privato un trattamento di impropria preferenza cronologica e di risultato nel rilascio di un'autorizzazione» (così, Sez. 6, n. 17943 del 15 febbraio 2013, Sammatrice, Rv. 254731-01).
6.2. Dall'altro lato, e la considerazione risulta dirimente, non appare adeguata la motivazione in base alla quale la condotta del D. è stata inquadrata nell'ambito della corruzione propria.
A tale riguardo, invero, si è recentemente precisato che «In tema di corruzione, la mera accettazione da parte del pubblico agente di un'indebita utilità a fronte del compimento di un atto discrezionale non integra necessariamente il reato di corruzione propria, dovendosi verificare, in concreto, se l'esercizio dell'attività sia stato condizionato dalla "presa in carico" dell'interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare, ovvero se l'interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell'interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, nel qual caso la condotta integra il meno grave reato di corruzione per l'esercizio della funzione» (Sez. 6, n. 15641 del 19 ottobre 2023, dep. 16 aprile 2024, Virga c. Saguto, Rv. 286376-07; Sez. 6, n. 18125 del 22 ottobre 2019, dep. 12 giugno 2020, Bolla, Rv. 279555-05). Principio, questo, al quale il Tribunale del riesame non si è attenuto.
7. Per le suesposte considerazioni, si impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli che, alla luce d[e]i principi indicati ed espungendo dalla piattaforma indiziaria gli elementi non utilizzabili, valuterà nuovamente la sussistenza dei presupposti dell'ordinanza cautelare personale.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Napoli, competente ai sensi dell'art. 309, comma 5, c.p.p.
Depositata il 30 luglio 2024.