Corte costituzionale
Sentenza 17 dicembre 2024, n. 204
Presidente: Barbera - Redattore: Buscema
[...] nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 24, commi 1, lettere d) ed e), e 2-bis; 24-bis; 13; 32; 43; 11, commi 4-ter e 5; 7; 12, comma 1, lettera a); 13, 1-bis; 9, comma 2-bis; e 11, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), come novellato dagli artt. 8, comma 5, e 1, comma 14, della legge 31 agosto 2022, n. 130 (Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari); dell'art. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022; degli artt. 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; 9; 31; 34 del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificati dall'art. 1 della legge n. 130 del 2022; dell'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dall'art. 39 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, come sostituito dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23»; dell'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992; dell'art. 8 della legge n. 130 del 2022, in combinato disposto con gli artt. 6; 9; 32, commi 1 e 2; 36; e 37 del d.lgs. n. 545 del 1992; dell'art. 51 del codice di procedura civile; dell'art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74, promossi con ordinanza del 31 ottobre 2022 dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, sezione prima, con ordinanza del 21 dicembre 2022 dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione 7, e con ordinanza del 4 agosto 2023 dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima, rispettivamente iscritte al n. 144 del registro ordinanze 2022, ai numeri 50 e 128 del registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell'anno 2022, e numeri 17 e 40, prima serie speciale, dell'anno 2023.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024 il Giudice relatore Angelo Buscema;
deliberato nella camera di consiglio del 14 novembre 2024.
RITENUTO IN FATTO
1.- Con tre ordinanze di tenore in parte simile, tre distinte Corti di giustizia tributaria hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale di plurime disposizioni del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e della legge 31 agosto 2022, n. 130 (Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari), in riferimento a diversi parametri costituzionali.
1.1.- Con ordinanza iscritta al n. 144 del reg. ord. 2022 la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, riferisce che con ricorso notificato all'Agenzia delle entrate, il gruppo PAM spa ha impugnato un avviso di accertamento in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA).
Dopo diverse vicissitudini processuali, la Corte di cassazione, sezione sesta civile, con ordinanza 10 marzo 2021, n. 16180, cassava con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale e la PAM spa formulava istanza di riassunzione con istanza di prosecuzione del giudizio avanti alla Commissione tributaria provinciale di Venezia - medio tempore divenuta Corte di giustizia tributaria di primo grado - affinché fosse dichiarata l'illegittimità dell'avviso di accertamento impugnato e conseguentemente annullato.
Il giudice a quo ritiene di non poter adottare alcuna decisione in merito alla suddetta controversia tributaria senza avere prima sottoposto a questa Corte questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni che disciplinano l'ordinamento giudiziario tributario, così come modificate dalla legge n. 130 del 2022.
1.2.- In merito alla rilevanza delle questioni prospettate, riferisce il giudice a quo che l'entrata in vigore della legge di riassetto dell'organizzazione giudiziaria tributaria impone di interrogarsi sia in ordine alla conservazione o meno delle guarentigie di autonomia e indipendenza di ogni singolo componente dell'ordinamento giudiziario che la Costituzione riferirebbe non solo al giudice ordinario, ma - sia pure con la mediazione della legge ordinaria (art. 108 della Costituzione) - anche a tutti gli altri giudici inquadrati nelle giurisdizioni speciali, sia in ordine alla coerenza intrinseca del disegno ordinamentale che risulterebbe dalla riforma nella prospettiva dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione ex art. 97 Cost., di cui pure l'organizzazione giudiziaria tributaria parteciperebbe, sia circa la ragionevolezza di una vistosa diseguaglianza di disciplina che caratterizzerebbe - pregiudicandoli - gli appartenenti all'ordinamento giudiziario tributario rispetto agli appartenenti ad altri ordinamenti giudiziari.
La persistenza di tali dubbi di contrarietà a Costituzione delle menzionate disposizioni sarebbe idonea, secondo il rimettente, a sottrargli quella serenità che dovrebbe imprescindibilmente presiedere all'atto del giudicare determinando la paralisi della funzione decisoria, non più libera di esprimersi in autonomia perché viziata dalla consapevolezza dell'esistenza di norme idonee a incidere sullo status dei giudicanti in modo tale da condizionarne in maniera decisiva l'imparzialità.
Il giudice a quo ritiene rilevanti nella fattispecie in esame le questioni di legittimità costituzionale in quanto sarebbero senz'altro influenti e decisive - ai fini dell'esplicazione della funzione decisoria - quelle disposizioni che, pur non essendo direttamente applicabili per la soluzione della controversia dedotta nel giudizio a quo, atterrebbero allo status del giudice, alla sua composizione nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare.
Infatti, l'eventuale illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate sarebbe destinata a influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri, cioè la protezione dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano ai diritti.
Pertanto, dallo scioglimento del dubbio di legittimità costituzionale deriverebbe lo stesso esito della lite, che potrebbe essere conforme a diritto solo in quanto chi si appresta a giudicare si senta libero di esercitare il proprio dovere di ius dicere, dato che l'autonomia di giudizio sarebbe il fondamento della funzione di rendere giustizia.
1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate ritiene il rimettente di dover svolgere un esame specifico di ogni singolo dubbio di contrarietà a Costituzione.
1.3.1.- Lamenta in primo luogo il giudice a quo l'accentuato rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Ministero dell'economia e delle finanze determinato da diverse disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992 e della legge n. 130 del 2022.
In particolare lamenta che gli artt. 24, commi 1, lettere d) ed e), e 2-bis; e 24-bis nonché tutte le disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992 nella loro formulazione vigente (novellate o meno che siano state dall'anzidetta legge) che attribuiscono competenza gestionale e di supporto amministrativo in ordine all'organizzazione giudiziaria tributaria al Ministero dell'economia e delle finanze (da ora in poi: MEF) anziché ad altra amministrazione centrale dello Stato (e in specie, tra esse: gli artt. 13, 32, e gli articoli da 36 a 41 e 43 del d.lgs. n. 545 del 1992), sarebbero in contrasto con i principi costituzionalmente garantiti dell'indipendenza e dell'imparzialità dei giudici dettati dagli artt. 101, 104, 105 108 e 110 Cost., nonché dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come interpretato e applicato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di equo processo. Il suddetto art. 6 fungerebbe da disciplina interposta ai fini della valutazione della conformità a Costituzione della legge ordinaria per effetto del rinvio contenuto nell'art. 117 Cost.
Sul punto il rimettente richiama la sentenza di questa Corte n. 284 del 1986, nella quale si afferma che l'indipendenza del giudice, oltre ad avere «ricorrenti e stretti legami con l'imparzialità», consiste nell'autonoma potestà decisionale in capo al giudice, non condizionata da interferenze, dirette o indirette, provenienti dall'autorità di governo o da qualsiasi altro soggetto.
Riferisce il rimettente che l'art. 1 della legge n. 130 del 2022 - che modifica il d.lgs. n. 545 del 1992 - unitamente alle norme preesistenti alla novellazione e in specie gli artt. 13, 24, 32 e gli articoli da 36 a 43 del d.lgs. n. 545 del 1992 costituirebbero il «formante normativo che consente di affermare che la Giurisdizione Tributaria è organicamente inquadrata nell'apparato amministrativo del MEF ed in specie nella "Direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario presso il Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze"».
Ritiene il rimettente che il personale addetto agli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado sarebbe composto da dipendenti del MEF e che tale dicastero sarebbe competente a determinare annualmente le variazioni da apportare alle dotazioni del contingente in relazione alle variazioni del numero di sezioni e del flusso dei ricorsi presso ogni corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado.
Siffatte competenze sarebbero esercitate dall'amministrazione finanziaria in condizione di conflitto di interessi, dal momento che, come si desumerebbe da molteplici passaggi delle disposizioni del Capo quinto del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dalla legge n. 130 del 2022, a detta amministrazione sarebbero attribuite funzioni propriamente strumentali all'organizzazione degli uffici giudiziari. Al contempo, tuttavia, la medesima amministrazione eserciterebbe in giudizio (davanti agli stessi uffici giudiziari) i compiti di difesa delle ragioni dell'erario attraverso gli enti e gli uffici periferici.
L'inquadramento dell'organizzazione giudiziaria tributaria all'interno di un apparato del MEF sarebbe in conflitto con i principi di autonomia e indipendenza che dovrebbero permeare non solo la sostanza della funzione giurisdizionale ma anche la sua apparenza nei confronti dei consociati, i quali avrebbero il diritto di non dover temere che il giudice innanzi al quale si presentino sia pregiudizialmente schierato a favore di una delle parti del processo.
Lamenta il rimettente che ciò finirebbe per determinare condizionamenti, anche involontari, comunque non corrispondenti alla funzione di garanzia imparziale della giurisdizione e alla par condicio delle parti nel processo, tanto che non sarebbe infrequente il caso di chi, come dipendente dell'Amministrazione finanziaria, si sia trovato a svolgere attività accertativa e poi (a seguito di assegnazione per trasferimento presso gli uffici giudiziari) a coadiuvare il giudice al cui esame sia sottoposto il frutto della predetta attività accertativa.
La giurisdizione tributaria sarebbe ancor più esposta al rischio di assenza di indipendenza e autonomia a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 130 del 2022 che riconoscerebbero alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze una pervasiva «funzione di supporto» anche nell'attività ispettiva, che dovrebbe invece essere esercitata in istituzionale autonomia da parte dell'organo di autogoverno proprio per la relazione propedeutica che essa instaurerebbe con l'esercizio delle funzioni disciplinari.
Un'analoga funzione di supporto sarebbe riconosciuta in capo alla predetta Direzione ai fini delle attività dell'ufficio del massimario nazionale in aggiunta alla funzione di organizzazione e supporto per l'espletamento dei corsi di aggiornamento riconosciuta alla Scuola centrale tributaria - a mente dell'art. 41 del d.lgs. n. 545 del 1992 - incardinata anch'essa nel MEF, cosicché il sapere giurisprudenziale sarebbe sottoposto al condizionamento ab externo, con fini contrastanti con quelli della garanzia delle pari opportunità a favore di ciascuna parte del processo.
Tale effetto sarebbe accentuato dalla disciplina novellatrice che avrebbe modificato la natura del rapporto di servizio dei magistrati tributari. I futuri componenti delle corti di giustizia tributaria finirebbero difatti per diventare "lavoratori dipendenti" in senso stretto del MEF (come si desumerebbe dal novellato art. 9 del d.lgs. n. 545 del 1992), legati ad essa da un rapporto di dipendenza esclusiva, così da perdere finanche quella parvenza di "terzietà" che sarebbe stata fino ad oggi assicurata dall'origine onoraria (e quindi non esclusiva) del rapporto di servizio del giudice tributario.
Inoltre, mentre i nuovi magistrati tributari risulterebbero tutelati sotto il profilo della determinazione con fonte normativa primaria del trattamento economico (art. 13-bis del d.lgs. n. 545 del 1992, come ex novo introdotto dalla legge n. 130 del 2022), permarrebbe invece nei confronti dei giudici tributari attualmente in servizio (e che in servizio sono destinati a restare fino al 2052) l'inaccettabile modalità di determinazione del "composito" trattamento economico (accostato al sistema retributivo del cottimo puro) a mezzo di fonte normativa di origine propriamente amministrativa (decreto ministeriale), senza che il legislatore abbia inteso almeno munire di criteri di indirizzo generale l'esercizio della potestà delegata, rimessa quindi all'arbitrio del MEF.
Ritiene il rimettente che il coacervo delle disposizioni censurate, che delineano il nuovo impianto del testo normativo posto a disciplina dell'organizzazione giudiziaria tributaria, sia lesivo della indipendenza del giudice tributario.
1.3.2.- Con una seconda questione, lamenta altresì il rimettente che l'art. 8, comma 5, della legge n. 130 del 2022, che disciplina la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (da ora, anche: CPGT) per la consiliatura successiva all'entrata in vigore della anzidetta legge, violerebbe i principi di cui agli artt. 48, 104, primo comma, 107 e 108 Cost., per effetto dello squilibrio, determinatosi nella fase transitoria di applicazione della legge n. 130 del 2022, del rapporto proporzionale tra elettorato attivo ed elettorato passivo, con riserva di posti a favore di alcune categorie soltanto di componenti dell'organico della giurisdizione tributaria.
Ritiene il giudice a quo che una riserva di seggi a favore di una sparuta minoranza di candidabili in combinazione con la riduzione dell'elettorato attivo riferito a detti seggi, sezionato per settori resi omogenei dalla medesima origine professionale (le categorie magistratuali di provenienza), sarebbe stato disposto per "riequilibrare" l'enorme sproporzione numerica che nell'ordine giudiziario verrebbe a crearsi tra coloro che appartengono alla categoria dei giudici e coloro che appartengono a quella dei magistrati, per evitare che un organo di autogoverno, espressione totalitaria della componente maggioritaria del corpo elettorale (e cioè della categoria dei giudici tributari), possa non essere dotato della obiettività necessaria per dare equanime attuazione delle norme di legge nel corso del periodo di applicazione della disciplina transitoria.
Secondo il rimettente al CPGT, in qualità di organo di autogoverno di tale magistratura speciale, dovrebbe intendersi affidato - sia pure in assenza di una guarentigia espressamente prevista dalla Costituzione - il compito (garantito dall'art. 108 Cost.) di rendere effettiva l'autonomia della magistratura tributaria, così da collocarla nella posizione di «ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere» (art. 104, primo comma, Cost.), e conseguentemente sottrarla a interventi o influenze esterni, suscettibili di turbarne l'imparzialità e di compromettere l'applicazione del principio consacrato nell'art. 101 Cost., secondo cui i giudici sono soggetti solo alla legge.
Ritiene il giudice a quo che - se deve supporsi che la riserva di posti in seno al primo Consiglio post-riforma sarebbe dettata dalla finalità di consentire a ciascuno degli eletti di meglio tutelare, nel corso della intera consiliatura, gli interessi della sua "sottocategoria sezionale" di provenienza - detti eletti non potrebbero che essere considerati rappresentativi di quegli interessi soltanto e non già dell'intero corpo elettorale.
La riserva dei posti prevista dal citato comma 5 dell'art. 8 non sarebbe dunque finalizzata ad esprimere i diversi caratteri funzionali delle distinte categorie di cui l'ordine è composto ma testimonierebbe soltanto le differenziate provenienze dei componenti di un organismo unitario; provenienze che - una volta realizzatosi il transito dall'uno all'altro ordine giudiziario - non dovrebbero invece assumere rilievo.
Secondo il rimettente la funzione di garanzia assegnata al CPGT sarebbe pregiudicata laddove la rappresentatività libera e diffusa dei componenti dell'ordine giudiziario tributario sia alterata dal sospetto che la riserva di posti consiliari sia finalizzata a proteggere interessi diversi da quelli che l'organo di autogoverno dovrebbe realizzare.
1.3.3.- Il rimettente dubita inoltre, con la terza censura, della legittimità costituzionale degli artt. 7 e 12 del d.lgs. n. 545 del 1992, che disporrebbero l'irrogazione di una misura espulsiva di natura sostanzialmente disciplinare in difetto di un procedimento disciplinare che consenta di valutare la gravità del fatto e la proporzionalità della sanzione, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
Il combinato disposto delle predette disposizioni determinerebbe una sanzione automatica espulsiva ("rimozione") correlata a qualsivoglia condanna inflitta al componente dell'ordine giudiziario (che sia in servizio onorario o di carriera) per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari ovvero ancora correlata alla sottoposizione a misure di prevenzione o di sicurezza.
La natura disciplinare di tale "sanzione" si evincerebbe dalla circostanza che essa solo fittiziamente conseguirebbe alla perdita di un requisito, dato che quest'ultimo caratterizzerebbe sì la fase di attribuzione del munus ma, nel momento in cui si determinerebbe l'evento che integri la condizione per l'applicazione dell'effetto espulsivo (e cioè nel corso del servizio), tale requisito sarebbe ormai consumato e non sarebbe più elemento costitutivo dello status del giudice.
Si verterebbe dunque, secondo il rimettente, nella più tipica delle ipotesi di sanzione espulsiva applicata "de iure" quale conseguenza automatica, prevista direttamente dalla legge, della condanna in sede penale per reati di qualsivoglia genere e tipo, in assenza di una valutazione circa la loro gravità e circa la loro attinenza a quei beni che il procedimento disciplinare mirerebbe a tutelare.
La necessaria adozione di tale misura punitiva apparirebbe basata su una presunzione assoluta, del tutto svincolata, oltre che dal controllo di proporzionalità da parte del giudice disciplinare, anche dalla verifica della sua concreta congruità.
Non sarebbe quindi manifestamente infondato il sospetto di contrasto con l'art. 3 Cost. per violazione del principio di ragionevolezza del combinato disposto degli artt. 7 e 12 del d.lgs. n. 545 del 1992 laddove si imponga l'applicazione della sanzione massima della rimozione senza consentire all'organo disciplinare appositamente deputato alcuna possibilità di graduazione della sanzione in ragione della diversa intensità del disvalore della condotta di volta in volta tenuta dal magistrato tributario.
1.3.4.- Con la quarta questione, il giudice a quo censura, inoltre, i commi 4-ter e 5 dell'art. 11 del d.lgs. n. 545 del 1992, per violazione dei principi di autonomia e indipendenza del giudice (artt. 101 e 108 Cost), oltre che del principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost).
Riferisce il rimettente che le disposizioni censurate introdurrebbero nell'ordinamento giudiziario tributario una sanzione disciplinare mascherata da requisito per l'accesso al concorso interno finalizzato al tramutamento alle funzioni superiori laddove si escluderebbe l'accesso al suddetto concorso a coloro che abbiano registrato un rapporto inferiore al sessanta per cento tra provvedimenti tardivamente depositati e provvedimenti complessivamente depositati.
Ciò determinerebbe la lesione dei principi di autonomia e indipendenza del giudice in quanto il sistema della responsabilità disciplinare del magistrato rappresenterebbe l'interfaccia del principio costituzionale dell'indipendenza, poiché la posizione super partes del magistrato non potrebbe essere disgiunta dal corretto esercizio delle sue funzioni e da ogni suo comportamento.
Secondo il rimettente occorrerebbe una chiara distinzione tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità, giacché si tratterebbe di due fattispecie completamente diverse per natura, finalità e conseguenze, che non potrebbero essere giustapposte o confuse.
Un sistema - come quello giudiziario tributario - che non impedisca l'interferenza tra il sistema della responsabilità disciplinare e quello della valutazione di professionalità e non garantisca al magistrato oggetto di valutazione in quest'ultima sede gli strumenti per dimostrare che i ritardi nel deposito delle decisioni non siano imputabili a sua negligenza ma a fattori esterni ed incolpevoli, violerebbe i principi di indipendenza e autonomia del giudice.
Le disposizioni censurate determinerebbero inoltre un vulnus al criterio di ragionevolezza e al principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost). Difatti, esse costituirebbero un chiaro disincentivo alla produttività dei singoli che sarebbero tendenzialmente stimolati ad assumere il minor carico possibile di provvedimenti da redigere, al fine di rispettare la proporzione fissata con riguardo al parametro del termine di cui si è detto.
1.3.5.- Il rimettente dubita altresì, con la quinta questione, della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022, in riferimento ai principi di indipendenza e inamovibilità del giudice (artt. 106 e 107 Cost), al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e al principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.)
Con la suddetta disposizione - ai sensi della quale il CPGT individua le sedi delle corti di giustizia tributaria nelle quali non è possibile assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale, al fine di assegnare d'ufficio i giudici tributari alle predette sedi, in applicazione non esclusiva - il legislatore farebbe ricadere sulle spalle dei residui giudici tributari (in servizio onorario) le strutturali inefficienze del sistema che si verrebbero a generare proprio per effetto delle modifiche organizzative previste nelle altre disposizioni della legge n. 130 del 2022.
Poiché non vi sarebbero certezze quanto ai tempi di assunzione e di entrata in servizio dei nuovi magistrati tributari, i cui termini dipenderebbero non solo dai previsti cinque anni di progressiva indizione dei concorsi ma anche dai tempi di durata delle procedure concorsuali, dall'effettivo risultato da realizzarsi a mezzo delle predette procedure di selezione, nonché dalla durata del periodo di tirocinio dei candidati effettivamente selezionati, deduce il rimettente che il nuovo impianto normativo determinerebbe un meccanismo di arbitraria moltiplicazione "ex officio" degli incarichi onorari "a carico" di ciascun giudice tributario in servizio, del tutto slegato dalla intenzionale disponibilità del singolo e da criteri e parametri di regolamentazione di tale potere di assegnazione.
In difetto di qualunque limite cronologico che valga a garantire la stretta transitorietà dell'incarico "in applicazione", siffatti provvedimenti di attribuzione di incarichi finirebbero per stabilizzare la costituzione di nuovi rapporti di servizio, con violazione della regola del pubblico concorso (art. 106 Cost.) e in contraddizione con la regola per cui i giudici tributari oggi in servizio sarebbero stati assunti solo ed esclusivamente per assolvere le loro funzioni nell'ufficio per il quale abbiano formulato istanza.
Inoltre, ad avviso del rimettente, la disposizione censurata violerebbe altresì l'art. 107, primo comma, Cost. il quale prescriverebbe espressamente che il giudice non possa essere destinato «ad altre sedi o altre funzioni» se non a seguito di decisione dell'organo di autogoverno adottata con le «garanzie» stabilite dall'ordinamento giudiziario (ossia con il consenso del giudice); garanzie che nella specie sarebbero del tutto inesistenti nonostante dovrebbero costituire il presupposto minimo per la concreta attuazione dell'art. 108 Cost.
1.3.6.- Il giudice a quo dubita altresì, con la sesta questione, della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022 in combinato disposto con gli artt. 13 e 13-bis del d.lgs. n. 545 del 1992 per violazione del principio di eguaglianza, in quanto l'ingiustificata disparità di trattamento tra magistrati tributari e giudici tributari onorari determinerebbe una macroscopica differenza di trattamento economico a favore dei primi.
Le disposizioni censurate determinerebbero l'anomala condizione di una giurisdizione speciale articolata in un ordine unico, tuttavia distinto in due sottocategorie, di cui la prima sarebbe composta da magistrati "a tutto tondo", assunti per concorso o per diretto transito dagli altri ordini giudiziari (ordinario o speciali) a cui si applicherebbe la disciplina di status tipica dei magistrati ordinari, e la seconda che resterebbe composta da personale onorario, con cui l'amministrazione non creerebbe un rapporto di lavoro dipendente.
Ciò provocherebbe una differenziazione dello "status" che la legge riconoscerebbe alle due categorie di componenti dell'ordine giudiziario tributario che si rifletterebbe in una ingiustificata discrepanza del trattamento economico riconosciuto a ciascuna di esse, sia pur a fronte di identiche funzioni esercitate. Con la legge n. 130 del 2022 il legislatore avrebbe infatti confermato per il personale onorario il sistema del "misto-cottimo" disciplinato dall'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992, e avrebbe invece stabilito, con l'art. 13-bis del predetto d.lgs. n. 545 del 1992, l'applicazione ai magistrati tributari reclutati per concorso delle disposizioni in materia di trattamento economico previsto per i magistrati ordinari.
1.3.7.- Infine, con la settima questione, il rimettente solleva questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1-bis; 8, comma 1; 9, commi 2 e 2-bis; e 11, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992 per violazione dell'art. 106 Cost.
Secondo il giudice a quo la normativa censurata, nel prevedere che ai giudici tributari con rapporto di servizio onorario siano attribuibili soltanto funzioni monocratiche, determinerebbe una sperequazione di trattamento tra il personale onorario e il personale "di carriera" che non potrebbe giustificarsi con la concessione al "personale onorario" di svolgere anche altri uffici o attività professionali compatibili con l'esercizio del predetto munus; inoltre non sarebbe previsto un concorso riservato al predetto personale.
Le disposizioni censurate colliderebbero con l'art. 106 Cost. e in particolare con la limitazione all'esercizio di funzioni di "giudice singolo" da parte dei giudici onorari, dovendosi affidare - in via generale - l'esercizio della giurisdizione ai "magistrati togati". In conflitto con l'art. 106 Cost., la legge n. 130 del 2022 prevederebbe che ai giudici tributari onorari sia garantita la maggioranza dei posti di componente delle corti di giustizia tributaria di secondo grado e che soltanto questi ultimi siano utilizzabili in "applicazione" per la stabile composizione dei collegi di qualsivoglia ufficio ogni volta in cui ciò appaia necessario per garantire l'esercizio minimo della funzione giudiziaria tributaria.
1.4.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate.
1.4.1.- La difesa dello Stato ritiene innanzitutto che tutte le questioni di legittimità costituzionale siano inammissibili trattandosi di disposizioni non direttamente applicabili per la soluzione della lite del giudizio a quo, poiché atterrebbero allo status del giudice, alla sua composizione nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che riguarderebbero il suo operare.
Ritiene l'Avvocatura che nell'architettura costituzionale della giurisdizione non potrebbe escludersi a priori che vi siano norme, pur non immediatamente applicabili nel processo, che possano incidere sulle garanzie costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando l'esercizio della relativa attività. Ciò tuttavia presupporrebbe che tale incidenza - per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti - sia tale da determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere - in relazione alla concreta questione posta al suo esame e alla specifica e conseguente decisione che il giudice è chiamato ad adottare nel giudizio a quo - a prescindere da qualsiasi profilo che possa riguardare un eventuale turbamento psicologico del singolo giudice.
Secondo l'Avvocatura dello Stato tali condizioni non si verificherebbero nel giudizio a quo. Infatti, con riferimento in particolare alla prima questione sollevata, il rimettente ometterebbe di considerare che l'assetto delineato dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) avrebbe trasferito il potere di accertamento e riscossione dal MEF alle Agenzie delle entrate, le quali agiscono in autonomia in quanto dotate di personalità giuridica di diritto pubblico e di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. Ne conseguirebbe che le stesse non potrebbero configurarsi quali organi del MEF.
La seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta questione (punti da 1.3.2. a 1.3.6.) sarebbero inammissibili perché non avrebbero nessun nesso, neppure indiretto, con gli evocati principi di autonomia, indipendenza e terzietà del giudice, ma porrebbero questioni solo ipotetiche o potenziali, prive di qualsiasi rapporto con l'oggetto della controversia e con la composizione del giudice.
Con particolare riguardo alla sesta questione (punto 1.3.6.) il giudice a quo non avrebbe messo in evidenza se la Corte rimettente fosse composta da giudici "togati" o anche da "onorari", sicché essa difetterebbe di rilevanza anche sotto tale profilo.
Ulteriore profilo di inammissibilità delle questioni sollevate deriverebbe dalla considerazione che, nell'ambito di una controversia tributaria che può essere risolta sulla base della normativa sostanziale e processuale vigente - non contestata dal giudice a quo - quest'ultimo abbia la pretesa di chiedere un intervento caducatorio e sotto vari profili manipolativo di molte parti della riforma della giustizia tributaria attuata con la legge n. 130 del 2022.
Inoltre, l'inammissibilità delle questioni discenderebbe anche dalla loro indeterminatezza e ambiguità e perché dirette ad investire un intero sistema, la cui modifica implicherebbe valutazioni e scelte affidate alla discrezionalità del legislatore.
1.4.2.- Tutte le questioni di legittimità costituzionale sarebbero comunque manifestamente infondate.
1.4.2.1.- Con riferimento alla prima questione (punto 1.3.1.), evidenzia la difesa statale che la legge di riforma della giurisdizione tributaria si porrebbe nell'ambito della cornice del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) col quale l'Italia si è impegnata ad approvare e attuare una riforma del processo tributario incentrata sui principi di terzietà e specializzazione dei giudici nonché sull'ammodernamento e la digitalizzazione del sistema di giustizia tributaria per una migliore conoscibilità dei precedenti giurisprudenziali.
Nell'ottica del perseguimento di questi obiettivi il legislatore della riforma avrebbe previsto l'istituzione di un giudice tributario togato assunto per concorso, la modernizzazione digitale e la creazione, implementazione e fruibilità di una banca dati dei precedenti giurisprudenziali.
Inoltre, proprio al fine di assicurare l'imparzialità e l'indipendenza del nuovo magistrato tributario professionale, sarebbero attribuite rilevanti funzioni al CPGT, organo di autogoverno, autonomo, terzo e imparziale rispetto a ogni parte dei contenziosi fiscali.
Con lo stesso scopo, peraltro, si sarebbe prevista l'applicazione ai magistrati tributari delle norme disciplinanti le incompatibilità dei magistrati ordinari.
Sarebbe manifestamente infondato anche il dubbio di legittimità costituzionale relativo alla disposizione che attribuisce al MEF il compito di determinare il compenso fisso e variabile dei componenti delle corti di giustizia tributaria. La riforma avrebbe difatti ancorato il trattamento economico dei componenti le corti di giustizia tributaria assunti per transito o per concorso a quello dei giudici ordinari.
Quanto ai giudici onorari, il legislatore della riforma avrebbe previsto la fissazione del compenso fisso per legge (art. 4, comma 3, della legge n. 130 del 2022), lasciando al decreto ministeriale solo la fissazione dei compensi variabili, ex art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992, in coerenza con la ratio fondamentale della richiamata disciplina, che sarebbe quella di non definire un nuovo regime complessivo dello status giuridico ed economico dei giudici onorari, in quanto si tratterebbe di ruolo ad esaurimento.
La nuova disciplina prevederebbe, inoltre, che sia il CPGT a bandire il concorso per l'accesso alla magistratura, a nominare la Commissione di esame e a gestire la procedura di interpello per l'esercizio dell'opzione per il passaggio definitivo dalle altre magistrature a quella tributaria. Pertanto, la nomina a magistrato tributario con decreto del MEF avverrebbe comunque sempre previa deliberazione conforme del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Quanto alla lamentata lesione dei principi di terzietà e indipendenza del giudice derivante, secondo la tesi del rimettente, dall'istituzione dell'Ufficio ispettivo e di quello del massimario nazionale, dette strutture sarebbero incardinate presso il CPGT, organo autonomo rispetto al MEF.
Osserva la difesa statale che l'iniziativa delle attività ispettive sarebbe attribuita in capo al suddetto Ufficio ispettivo, che solo eventualmente potrebbe chiedere il supporto alla competente direzione del MEF decidendo se e in quale misura servirsene.
Con riguardo, invece, alla presunta attività di "controllo" della giurisprudenza da parte del MEF, ritiene l'Avvocatura generale che il giudice a quo incorrerebbe in un errore di valutazione, poiché l'attività svolta, di raccolta e analisi di giurisprudenza, di classificazione e studio di documenti, sarebbe solamente uno strumento di supporto a disposizione di tutti gli operatori del settore (parti, difensori, giudici ed enti impositori), oltre a costituire uno dei principali obiettivi del PNRR, che tra i suoi punti qualificanti contemplerebbe il miglioramento dell'accesso alle fonti giurisprudenziali, anche al fine di assicurare l'uniformità del giudizio in fattispecie analoghe.
Ritiene inoltre la difesa dello Stato che la distinta soggettività giuridica e sostanziale del MEF rispetto alle Agenzie fiscali garantirebbe l'imparzialità del giudice tributario, quale corollario del principio del giusto processo; inoltre, al MEF non sarebbero attribuiti poteri di vigilanza, sanzionatori e disciplinari dei giudici.
Con riguardo ai poteri di vigilanza, l'art. 15 del d.lgs. n. 545 del 1992 stabilirebbe, poi, che il presidente di ciascuna corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado eserciti la vigilanza sugli altri componenti e sulla qualità e l'efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione, al fine di segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze per i provvedimenti di competenza. Una volta attivata l'azione disciplinare ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 545 del 1992, il procedimento disciplinare sarebbe gestito dal CPGT che, con propria delibera, determinerebbe la sanzione da irrogare al giudice tributario. Il MEF interverrebbe con la sola predisposizione di un decreto del Ministro, così come prescritto dal comma 5 dell'art. 16 del d.lgs. n. 545 del 1992, che avrebbe mera funzione esecutiva e formale.
Tale procedura risulterebbe, peraltro, identica a quella applicata per le sanzioni disciplinari irrogate ai giudici amministrativi, per i quali il contenuto della delibera del proprio organo di autogoverno si tradurrebbe in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Prive di pregio sarebbero, poi, le critiche svolte nei confronti della gestione del personale amministrativo da parte del MEF, in quanto il giudice rimettente non si confronterebbe con la netta distinzione tra personale amministrativo e di segreteria da un lato e magistrati e giudici tributari dall'altro. Solo in relazione a questi ultimi, invero, dovrebbero operare le guarentigie di autonomia e indipendenza, mentre per il personale che eserciti attività amministrativa o di supporto nulla osterebbe a che, come per qualsiasi pubblico impiegato, il rapporto di lavoro sia gestito dall'Amministrazione competente.
1.4.2.2.- Quanto alla seconda questione di legittimità costituzionale (punto 1.3.2.), la disposizione censurata avrebbe natura meramente transitoria, in quanto volta a disciplinare la composizione del CPGT unicamente per la prima consiliatura a partire dall'applicazione della legge di riforma n. 130 del 2022.
La necessità di disciplinare la prima elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria successiva alla riforma avrebbe posto il legislatore nella condizione di dover costruire un meccanismo elettivo senza tuttavia poter contare - in considerazione dell'incertezza in ordine al numero di quanti avrebbero esercitato l'opzione prevista dall'art. 1, comma 4, della legge n. 130 del 2022, per il transito definitivo alla giurisdizione tributaria - su una composizione certa dell'elettorato passivo; vi sarebbe stata, inoltre, l'esigenza di garantire una rappresentatività differenziata in seno all'organo di autogoverno, come del resto sarebbe stato fatto presente nella stessa ordinanza di rimessione.
1.4.2.3.- Quanto alla terza questione (punto 1.3.3.), osserva l'Avvocatura generale che la prassi applicativa del meccanismo della decadenza dall'incarico (ex art. 12 del d.lgs. n. 545 del 1992) non avrebbe mai rivelato il denunciato automatismo in quanto, al venir meno dei requisiti necessari per l'incarico dei componenti delle corti di giustizia tributaria, avrebbe luogo l'avvio di un procedimento di decadenza, nell'ambito del quale l'interessato potrebbe esercitare il proprio diritto di difesa. La previsione delle ipotesi di decadenza connesse alla commissione di reati sarebbe poi rimessa alla discrezionalità del legislatore.
1.4.2.4.- Con riguardo alla quarta questione (punto 1.3.4.), ritiene la difesa statale che, relativamente alla definizione dei requisiti per l'accesso alle funzioni superiori, il legislatore della riforma avrebbe disciplinato il procedimento per esprimere il giudizio di demerito ancorandolo alla sussistenza di condizioni chiare, precise, non generiche e assolutamente verificabili. Queste ultime consisterebbero in parametri temporali (assenza di sanzioni nei cinque anni precedenti la domanda per l'incarico superiore) e quantitativi (percentuale annua dei provvedimenti depositati oltre i termini di legge) che renderebbero le disposizioni della cui legittimità costituzionale si dubita, pienamente ragionevoli e, dunque, costituzionalmente legittime.
1.4.2.5.- Relativamente alla quinta censura (punto 1.3.5.), attinente all'istituto dell'applicazione non esclusiva dei giudici onorari, osserva l'Avvocatura che si tratterebbe di un istituto al quale si sarebbe sempre fatto ricorso e comunque, nella attuale fase di passaggio tra il precedente assetto ordinamentale della giustizia tributaria e il nuovo, disegnato dalla riforma, l'applicazione non esclusiva sarebbe essenziale al fine di garantire la regolarità e la continuità nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
Inoltre, nell'attuale formulazione, detto istituto sarebbe rimesso alle valutazioni del CPGT e sarebbe collegato all'esigenza di copertura delle sedi vacanti con l'entrata in vigore della nuova disciplina sull'età massima di cessazione dal servizio dei giudici tributari, gradualmente ridotta da settantacinque a settanta anni.
1.4.2.6.- Quanto al sesto motivo di doglianza (punto 1.3.6.), ritiene la difesa statale che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, il legislatore avrebbe introdotto disposizioni coerenti con i parametri costituzionali e rispettose dei diritti quesiti in capo ai giudici onorari. Infatti, la riforma intenderebbe trasformare i giudici onorari in un ruolo ad esaurimento, salve tutte le prerogative economiche e di status sino ad oggi loro riconosciute. Peraltro, una disciplina di segno contrario, che avesse parificato ex lege i giudici onorari ad esaurimento ai giudici togati assunti per concorso, si sarebbe prestata a rilievi di irragionevolezza.
1.4.2.7.- Quanto all'ultima censura (punto 1.3.7.), l'Avvocatura generale rileva una contraddizione logico-sistematica nella quale incorrerebbe il giudice rimettente. Difatti, se da una parte, il giudice a quo lamenta la disparità di trattamento dei giudici onorari rispetto ai giudici togati a parità di funzioni svolte, dall'altra denuncia il contrasto con l'art. 106 Cost., perché il legislatore avrebbe dovuto relegare il giudice onorario alla funzione di giudice monocratico.
L'attribuzione di funzioni monocratiche esclusive ai giudici onorari avrebbe tuttavia paralizzato o rallentato in modo consistente le corti di merito nella definizione delle controversie collegiali in quanto l'ingresso dei giudici professionali a tempo pieno sarebbe graduale e programmato nel periodo 2024-2030.
2.- Con ordinanza iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022, nonché degli artt. 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992, come introdotti dall'art. 1 della legge n. 130 del 2022, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, degli artt. 31 e 34 del d.lgs. n. 545 del 1992, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nonché dell'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, 104, 108 e 111, commi primo e secondo, Cost.
2.1.- Premette il rimettente di aver sospeso il giudizio di appello promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia nei confronti di una sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, di parziale accoglimento dei ricorsi riuniti presentati da Malacrida srl nei confronti del TAR, nonché della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero della giustizia e del MEF, che annullava nel merito, per insussistenza dell'obbligazione tributaria, l'impugnato "invito al pagamento" del contributo unificato preteso dall'Ufficio del segretariato generale del TAR Lombardia. Tale vertenza sorgeva in relazione ai motivi aggiunti che la suddetta società aveva presentato nel giudizio amministrativo, proposto avanti al TAR Lombardia e avente ad oggetto l'impugnazione di un provvedimento di esclusione da gara per l'affidamento di lavori indetta dal Comune di Milano.
Il giudice a quo ritiene imprescindibile, alla luce di dubbi sull'adeguatezza della normativa in esame in termini di rispetto degli standard richiesti per il giusto processo e delle altre garanzie di cui agli artt. 101 e seguenti Cost., sottoporre al vaglio di legittimità costituzionale le problematiche inerenti all'indipendenza ed effettiva autonomia del sistema della giustizia tributaria e dei suoi giudici.
2.1.1.- In punto di rilevanza, premette il rimettente che le disposizioni censurate, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a quo, influirebbero sul processo pendente in quanto attinenti allo status del giudice, alla sua composizione nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare.
2.1.2.- In punto di non manifesta infondatezza, sostiene il giudice a quo che la magistratura tributaria, per effetto del nesso con il MEF, rappresenterebbe un "unicum" rispetto alle altre magistrature, con l'aggravante - rispetto al sistema previgente basato su giudici onorari - della presenza, a seguito della legge di riforma, di magistrati tributari che all'esito del concorso appositamente indetto diventerebbero a pieno titolo, con tutti i correlativi doveri, dipendenti organici dell'amministrazione finanziaria, creditrice dell'obbligazione di imposta e controparte sostanziale (per il tramite delle Agenzie fiscali) dei contribuenti nei ricorsi che il magistrato tributario è chiamato a giudicare.
2.1.3.- Il rimettente censura innanzitutto gli artt. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022, 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992 - «nelle parti in cui prevedono per le procedure di interpello e di concorso, nonché per la nomina dei magistrati e giudici tributari la competenza del Ministro dell'Economia e Finanze e del Ministero dell'Economia e Finanze, invece della competenza rispettivamente del Ministro della Giustizia e del Ministero della Giustizia» - per violazione degli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU.
La mancanza di autonoma organizzazione e la soggezione economica e amministrativa dei giudici al MEF contribuirebbe - a detta del rimettente - a fornire un'immagine della giustizia tributaria non di indipendenza ma di dipendenza, senza soddisfare i requisiti richiesti per l'equo processo dalla Corte EDU, che avrebbe sempre sottolineato la necessità che in una società democratica la giustizia non possa accontentarsi di essere indipendente, ma debba anche apparire tale agli occhi delle parti e del pubblico.
2.1.4.- Con la seconda questione di legittimità costituzionale, il rimettente lamenta che gli artt. 31 e 34 del d.lgs. n. 545 del 1992, che attribuiscono l'organizzazione degli uffici di segreteria al MEF anziché al Ministero della giustizia, siano incompatibili con la garanzia di indipendenza del giudice tributario.
Le disposizioni censurate violerebbero gli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, in tema di equo processo, perché la piena dipendenza degli uffici di segreteria della giustizia tributaria di primo e secondo grado dal MEF anziché dal Ministero della giustizia ne comprometterebbe l'indipendenza.
2.1.5.- Con il terzo motivo di censura il giudice a quo solleva dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 15 del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dall'art. 39, comma 2, lettera e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, e dall'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23», laddove sostituisce alla competenza presidenziale di vigilanza sull'andamento dei servizi di segreteria, la semplice possibilità di "segnalare" alla competente Direzione del MEF, per non meglio precisati "provvedimenti di competenza", la qualità e l'efficienza dei servizi di segreteria.
Rappresenta il giudice a quo che nell'attuale assetto, sarebbe stato «intenzionalmente troncato ogni collegamento e possibilità di effettivo controllo da parte del presidente della Corte di giustizia Tributaria sull'andamento dei servizi amministrativi dell'ufficio». Tale deficit di controllo minerebbe non solo l'autonomia e l'imparzialità della giurisdizione tributaria, ma anche il buon andamento dell'azione amministrativa, nella fattispecie delle segreterie e degli altri uffici della corte tributaria. Sarebbero pertanto violati gli artt. 97, secondo comma, 101, 104, 108 e 111, commi primo e secondo, Cost., poiché sarebbero compromesse sia l'imparzialità e l'autonomia del giudice tributario, sia il buon funzionamento dell'azione amministrativa, nella fattispecie, «delle segreterie e degli altri uffici della Corte Tributaria».
2.2.- È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, eccependo l'inammissibilità di tutte le questioni per irrilevanza.
Asserisce anzitutto l'Avvocatura generale dello Stato che, ai fini della rilevanza, occorrerebbe verificare se la norma asseritamente interferente sullo status di magistrato ne comprometta o possa comprometterne l'indipendenza e la terzietà in relazione al caso concreto posto al suo esame (è citata la sentenza di questa Corte n. 164 del 2017).
L'inammissibilità della prima questione (punto 2.1.3.) emergerebbe sia dal fatto che essa riguarderebbe solo disposizioni di natura organizzativa e amministrativa, che non potrebbero avere l'effetto di accentuare il rapporto di "dipendenza" dei giudici tributari dal MEF sia perché sollevata in una controversia in cui l'ente impositore non è neppure l'Agenzia delle entrate.
Nella fattispecie, quindi, non si ravviserebbe alcun profilo di asserita coincidenza tra soggetto deputato all'organizzazione della giustizia tributaria e soggetto titolare della pretesa impositiva. Osserva inoltre l'Avvocatura che il rimettente fonderebbe il proprio ragionamento partendo da un erroneo presupposto interpretativo, ossia dalla sostanziale identità tra il MEF e la parte pubblica nel giudizio tributario, omettendo di considerare il nuovo assetto delineato dal d.lgs. n. 300 del 1999, che avrebbe trasferito il potere di accertamento e riscossione dal MEF alle Agenzie fiscali. Queste ultime, dotate di personalità giuridica di diritto pubblico, sarebbero dotate di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria e agirebbero in assoluta autonomia. Non essendo tali agenzie qualificabili quali organi dello Stato, le stesse a fortiori non potrebbero configurarsi quali organi del MEF.
Analogamente inammissibili sarebbero la seconda e la terza questione (punti 2.1.4. e 2.1.5.), poiché si appunterebbero su norme di natura esclusivamente amministrativa, come tali inidonee ad incidere sulla funzione giurisdizionale e sulla decisione della controversia.
Un ulteriore più generale profilo di inammissibilità, che investirebbe tutte le questioni, dipenderebbe dal tipo di intervento richiesto alla Corte - in parte caducatorio, in parte manipolativo - in quanto una caducazione seppure limitata alle disposizioni censurate sarebbe idonea a pregiudicare la funzionalità complessiva del sistema di giustizia tributaria.
Le censure sarebbero infine inammissibili per indeterminatezza e ambiguità del petitum, nonché perché dirette a investire un intero sistema, implicando valutazioni e scelte affidate alla discrezionalità del legislatore.
2.2.1.- In subordine, la difesa statale ritiene non fondate tutte le questioni di legittimità costituzionale, per i motivi che seguono.
2.2.1.1.- Quanto alla prima questione (punto 2.1.3.), premette l'Avvocatura generale che la legge di riforma della giurisdizione tributaria si inserirebbe nella cornice del PNRR e ne costituirebbe uno dei punti principali con riguardo a due obiettivi fondamentali: la riforma del processo tributario ispirata ai principi di terzietà e specializzazione dei giudici; l'ammodernamento e la digitalizzazione finalizzata alla conoscibilità dei precedenti giurisprudenziali.
Il legislatore della riforma avrebbe in questa prospettiva previsto l'istituzione di un giudice tributario togato, assunto per concorso e avrebbe creato, e implementato e reso fruibile una banca dati dei precedenti giurisprudenziali. Inoltre, sempre al fine di assicurare l'imparzialità e l'indipendenza del nuovo magistrato tributario professionale, sarebbero state attribuite rilevanti funzioni al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, organo di autogoverno, autonomo, terzo e imparziale rispetto a ogni parte processuale dei contenziosi fiscali.
Sarebbe dunque il CPGT a bandire il concorso per l'accesso alla magistratura, a nominare la commissione di esame e a gestire la procedura di interpello per l'esercizio dell'opzione per il passaggio definitivo dalle altre magistrature a quella tributaria. Pertanto, la nomina a magistrato tributario con decreto del MEF (che dovrebbe comunque sempre avvenire previa deliberazione conforme del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria) ratificherebbe sostanzialmente una procedura gestita totalmente da tale ultimo organo. Neppure la gestione del concorso per l'assunzione dei magistrati tributari sarebbe affidata alle cure esclusive del MEF, in quanto il relativo bando sarebbe emanato con decreto di quest'ultimo previa delibera del CPGT (art. 4-ter, comma 2, del d.lgs. n. 545 del 1992). Parimenti, le nomine della commissione esaminatrice sarebbero preventivamente deliberate dal predetto Consiglio (art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 545 del 1992).
Rappresenta l'Avvocatura generale dello Stato che il giudice rimettente - nel citare l'art. 37 del d.lgs. 545 del 1992, non toccato dalla riforma - non avrebbe tenuto in adeguata considerazione il fatto che tale disposizione sarebbe ormai inapplicabile a seguito dell'istituzione delle Agenzie fiscali e della conseguente perdita di ogni ruolo e competenza del MEF nelle liti tributarie. Il d.lgs. n. 300 del 1999, infatti, avrebbe istituito le Agenzie fiscali dotate di personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria. Ne conseguirebbe che le stesse non potrebbero configurarsi come organi del MEF.
La distinta soggettività giuridica e sostanziale del MEF rispetto alle Agenzie fiscali garantirebbe altresì l'imparzialità del giudice tributario, quale corollario del principio del giusto processo.
2.2.1.2.- Anche la seconda censura (punto 2.1.4.) - con cui si dubita che l'organizzazione degli uffici di segreteria, in quanto interamente dipendenti dal MEF anziché dal Ministero della giustizia, sia compatibile con la garanzia di indipendenza del giudice tributario - sarebbe manifestamente infondata, posto che le competenze esercitate dagli uffici di segreteria sarebbero di natura esclusivamente amministrativa e, quindi, giammai potrebbero interferire con la funzione giurisdizionale svolta dai giudici.
Anche tale questione, peraltro, incorrerebbe nell'erroneo presupposto interpretativo secondo il quale il MEF sarebbe parte nelle cause tributarie. Tale ruolo, invece, sarebbe assunto dall'Agenzia delle entrate e dagli altri enti pubblici impositori.
Sottolinea poi l'Avvocatura generale che al MEF non sarebbero attribuiti poteri di vigilanza, sanzionatori e disciplinari sui giudici. Ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 545 del 1992, infatti, il procedimento disciplinare verrebbe gestito dal CPGT, che con propria delibera determinerebbe la sanzione da irrogare al giudice tributario. In questo procedimento il MEF interverrebbe esclusivamente con la predisposizione di un decreto del Ministro avente funzione meramente esecutiva. Tale procedura risulterebbe, peraltro, identica a quella applicata per le sanzioni disciplinari irrogate ai giudici amministrativi per i quali il contenuto della delibera del proprio organo di autogoverno verrebbe tradotto in un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
Dall'evocato quadro normativo emergerebbe che l'intervento del MEF nelle suddette procedure assumerebbe una funzione meramente formale.
2.2.1.3.- Ritiene infine l'Avvocatura generale che anche la terza questione (punto 2.1.5.) sarebbe manifestamente infondata, posto che la lamentata assenza di poteri organizzativi e gestionali del personale amministrativo in capo ai presidenti delle corti di giustizia tributarie non arrecherebbe alcun pregiudizio all'indipendenza dei giudici. Tale scelta, invece, sarebbe del tutto coerente sia con le disposizioni degli articoli da 30 a 35 del d.lgs. n. 545 del 1992 in materia di uffici di segreteria sia con le disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) in materia di direzione e responsabilità degli uffici dell'amministrazione pubblica.
3.- Con ordinanza iscritta al n. 128 del reg. ord. 2023, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima, nell'ambito di un giudizio concernente la regolarizzazione del pagamento del contributo unificato relativo a un ricorso depositato presso la stessa Corte rimettente, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 in combinato disposto con l'art. 51 del codice di procedura civile e con l'art. 6 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, secondo comma, 108, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU; degli artt. 4-ter; 4-quater; 9; 32, 36 e 37 del d.lgs. n. 545 del 1992, nonché dell'art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110, 111, nonché 10, 11 e 117 Cost., questi ultimi in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU e all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE).
3.1.- Quanto alla rilevanza delle questioni, evidenzia il rimettente che il giudice sarebbe chiamato a verificare, prima di assumere la decisione, la sussistenza di cause di astensione obbligatoria e facoltativa. Detto istituto sarebbe disciplinato, nell'ordinamento giudiziario tributario, dall'art. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992, disposizione che, oltre a prevedere l'obbligo di astenersi in ogni caso in cui il giudice abbia avuto rapporti di lavoro o di collaborazione con una delle parti, richiamerebbe le norme del codice di procedura civile in materia, tra le quali l'art. 51 cod. proc. civ., ove si prevederebbe che costituisca causa di astensione obbligatoria del giudice l'esistenza di rapporti di credito o debito con una delle parti.
Afferma il rimettente che tra i giudici tributari onorari e il MEF sussisterebbe un rapporto di debito-credito, derivante dalla peculiare conformazione normativa della "retribuzione" (o indennità) dei giudici tributari, tale da porre questi ultimi in una peculiare situazione di dipendenza economico-giuridica rispetto al MEF, con conseguente obbligo di astensione.
In particolare, l'art. 13, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 545 del 1992 prevederebbe che un decreto del MEF determini discrezionalmente, oltre al compenso mensile fisso, un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito secondo criteri uniformi, che dovrebbero tener conto delle funzioni e dell'apporto di attività alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché, per i residenti in comuni della stessa regione diversi da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute per l'intervento alle sedute della commissione.
In ragione del disposto del suddetto art. 13, si verrebbe dunque a determinare uno stabile e permanente rapporto di debito-credito tra ciascun giudice tributario e il MEF (parte processuale-formale e sostanziale del giudizio), in quanto il calibrare la parte variabile del compenso sull'attività espletata nel tempo richiederebbe inevitabilmente computi e procedure di considerevole durata.
Il rimettente sostiene di trovarsi in una attuale e permanente situazione creditoria-debitoria verso il MEF, creditore del rapporto sostanziale controverso e parte del giudizio, che si contraddistinguerebbe per il potere unilaterale discrezionale del MEF di determinare la misura dei compensi aggiuntivi variabili, in ragione della riferita disciplina di cui all'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992.
Tale situazione, a parere del rimettente, imporrebbe al giudice di astenersi dalla causa ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 51 cod. proc. civ., criticità peraltro comune a tutti i giudici (ove non sussistano, come in quasi tutta Italia, ancora magistrati tributari professionali), e non risulterebbe neppure possibile per il rimettente assegnare il giudizio ad altro giudice dello stesso plesso giurisdizionale, almeno fino alla futura assunzione di magistrati professionali.
Sempre sotto il profilo della rilevanza, con riguardo all'insieme delle ulteriori disposizioni censurate, osserva il rimettente che esse, pur non concernendo direttamente l'oggetto del giudizio, atterrebbero (così come l'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992) allo status del giudice, ai suoi doveri e alle relative garanzie, e inciderebbero sull'indipendenza dell'organo giurisdizionale nonché sulla natura della funzione giurisdizionale, compresa la posizione di parità delle parti del processo.
Il rimettente richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui sarebbero rilevanti le questioni di legittimità costituzionale di norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a quo, attengano allo status del giudice, alla sua composizione nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare e quindi la realizzazione della funzione giurisdizionale.
3.2.- Il rimettente solleva plurime questioni di legittimità costituzionale.
3.2.1.- La prima questione riguarda l'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 (e il correlato art. 8, comma 4, della legge n. 130 del 2022), anche in combinato disposto con gli artt. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 51 cod. proc. civ., nella misura in cui assegnano al MEF la determinazione discrezionale del compenso (in particolare, variabile, ma anche il fisso, nei limiti minimi ormai fissati dalla legge) dei giudici tributari.
Lamenta il rimettente che il potere di determinazione in via amministrativa della retribuzione affidato al MEF - soggetto che costituirebbe la parte sostanziale del giudizio tributario, avendo funzioni di coordinamento, indirizzo, vigilanza e controllo sulle Agenzie fiscali e sugli altri enti o organi che comunque eserciterebbero funzioni in materia di tributi ed entrate erariali - determinerebbe una particolare situazione di soggezione del giudice tributario al potere discrezionale del predetto dicastero.
Detta situazione apparirebbe di dubbia compatibilità con i principi di indipendenza del giudice, garantiti anche ai giudici speciali e agli "estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia" ex art. 108 Cost. e soprattutto di indipendenza e imparzialità della funzione giurisdizionale ovvero del "giusto processo", in condizioni di "parità" tra le parti, dinanzi ad un giudice terzo e imparziale (artt. 101, secondo comma, e 111 Cost.; art. 6 CEDU).
Ciò in quanto anche gli istituti (in particolare quello dell'astensione) posti ordinariamente a presidio dell'imparzialità e indipendenza della funzione giurisdizionale per il singolo caso concreto non potrebbero utilmente operare, in presenza di una situazione di soggezione (nella specie, debitorio-creditoria) che coinvolgerebbe l'intera categoria dei giudici tributari.
La predetta situazione determinerebbe anche la violazione del principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.) della giustizia tributaria, realizzandosi una situazione di stallo istituzional-processuale che sarebbe arduo risolvere se non a costo di pretermettere la disciplina sull'astensione del giudice, posta a presidio dell'indipendenza e imparzialità della funzione giurisdizionale e della parità tra le parti del processo.
La normativa censurata sarebbe in contrasto anche con i principi costituzionali del giusto processo e della parità delle parti del processo (art. 111 Cost. in correlazione con l'art. 6 CEDU e l'art. 47 CDFUE), trovandosi il MEF, creditore sostanziale e parte del giudizio, in una posizione non pari-ordinata rispetto a quelle del contribuente e addirittura di supremazia rispetto al giudice.
3.2.2.- Il rimettente dubita altresì della legittimità costituzionale degli artt. 4-ter, 4-quater, 9, 32, 36, 37 del d.lgs. n. 545 del 1992, e dell'art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3 (principio di ragionevolezza), 97 (buon andamento), 101, secondo comma, 104, 108, 110, 111 nonché 10, 11 e 117 Cost., questi ultimi in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 47 CDFUE.
Sostiene il rimettente che i futuri concorsi per l'accesso all'intero organico della magistratura tributaria saranno autonomamente gestiti dal MEF, che bandirà le procedure e nominerà anche le commissioni di concorso con ampliamento delle competenze del MEF in quanto l'art. 20, comma 2-bis, lettera b), del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, avrebbe inserito nell'art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999, la lettera d-bis), la quale attribuirebbe al MEF le «funzioni di spettanza statale» nella «gestione amministrativa ed economica dei magistrati e giudici tributari».
Si tratterebbe dunque di un ulteriore ampliamento delle competenze amministrative del MEF su tutta la magistratura tributaria, anche quella che in futuro eserciterà tale ruolo professionalmente.
Ritiene il giudice a quo che l'art. 32 del d.lgs. n. 545 del 1992 porrebbe alle dipendenze del MEF il personale di supporto delle corti tributarie, senza attribuire alcuna funzione ai presidenti della Corte e al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e attribuirebbe al MEF il compito di determinare ogni anno le variazioni da apportare alle dotazioni in relazione alle variazioni del numero di sezioni e del flusso dei ricorsi presso ogni corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado.
Il MEF deciderebbe quindi autonomamente l'organico del personale amministrativo, le assunzioni di personale, i comandi e i distacchi, le mobilità, i trasferimenti, i premi di produttività, lasciando i presidenti della Corte senza alcuna leva gestionale per assicurare il buon andamento degli uffici, se non quella della "vigilanza", il cui esito può solo tradursi in una "segnalazione" al MEF per "i provvedimenti di competenza" (art. 15 del d.lgs. n. 545 del 1992).
Tale situazione di totale dipendenza gestionale dei giudici e dei magistrati tributari dal titolare del rapporto sostanziale (creditore e talora anche parte processuale) dedotto in giudizio non si riscontrerebbe in nessun'altra magistratura, ordinaria o speciale, in cui il soggetto governativo di riferimento avrebbe funzioni ben separate dall'attività giurisdizionale e in cui al magistrato, capo dell'ufficio, verrebbe riconosciuto un potere di indirizzo e controllo più o meno ampio sull'andamento dell'ufficio, esteso alla gestione del servizio giustizia nel suo complesso, con la finalità di ottimizzare i risultati ed evitare che inefficienze anche dei servizi di supporto di cancelleria o di segreteria si ripercuotano sui tempi e modi dell'attività giudiziaria.
L'art. 36 del d.lgs. n. 545 del 1992, inoltre, nell'istituire il servizio automatizzato per la gestione delle attività degli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e del consiglio di presidenza, prevederebbe che ad esso sia preposto il centro informativo del Dipartimento delle entrate.
L'art. 20, comma 2-bis, lettera b), del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, avrebbe inserito nell'art. 24, comma 1, del d.lgs. n. 300 del 1999, la lettera d-bis, che attribuirebbe al MEF le «funzioni di spettanza statale» anche nel settore della gestione e dello sviluppo del sistema informativo della giustizia tributaria e del processo tributario telematico. In ragione del progressivo sviluppo del processo tributario telematico, l'affidamento delle competenze in via dominante al MEF lascerebbe i presidenti di Corte di giustizia privi di adeguate leve gestionali.
L'art. 37 del d.lgs. n. 545 del 1992 prevederebbe che la direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario presso il Dipartimento delle entrate del Ministero dell'economia e delle finanze possa formulare e proporre al Ministro indirizzi per gli uffici periferici ai fini della difesa dell'Amministrazione finanziaria in ordine alle questioni rilevate ed esaminate; possa stabilire criteri di interpretazione della legge, nonché esaminare l'attività di rappresentanza e difesa degli uffici periferici dinanzi alle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, se del caso, impartendo le direttive per la loro organizzazione.
Tale situazione si sarebbe realizzata anche con riguardo al caso di specie, in cui il giudice si troverebbe a dover decidere un giudizio in cui il MEF avrebbe impartito la direttiva 14 dicembre 2012, n. 2/DGT, perorando la correttezza di una precisa interpretazione dell'istituto giuridico controverso, verosimilmente innescando, altresì, la modifica normativa intervenuta con la legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)».
Si tratterebbe, a parere del rimettente, di attività interpretativa "quasi autentica" che ordinariamente sarebbe svolta anche e soprattutto dalle Agenzie fiscali, vigilate e coordinate dal MEF, con circolari o atti amministrativi variamente denominati che troverebbero inevitabile ingresso (pur non vincolando il giudice) nel contenzioso tributario.
Da ultimo, il rimettente osserva come l'estrema ampiezza e la progressiva implementazione delle competenze del MEF in materia di giustizia tributaria abbia fatto sì che, da unica Direzione centrale del Dipartimento delle finanze, si sia passati a una struttura dipartimentale poiché le ulteriormente implementate competenze del MEF avrebbero richiesto l'estensione della struttura burocratica ministeriale che sarebbe, secondo il rimettente, non ragionevole e contraria al principio costituzionale di buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.).
Dinanzi al descritto panorama istituzionale, il giudice rimettente ritiene non irragionevoli le questioni di legittimità costituzionale proposte, innanzitutto con riguardo alla necessaria indipendenza e autonomia della magistratura speciale e prima ancora della funzione giurisdizionale (giusto processo e parità delle parti), come previsto dagli artt. 101, secondo comma, 104, 108 (per le magistrature speciali), 110, nonché 10, 11 e 117 Cost., questi ultimi in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui prevede il diritto che ogni causa sia esaminata «da un tribunale indipendente e imparziale», nonché in relazione all'art. 47 CDFUE (essendo i tributi materia dell'UE), nella parte in cui prevede che «[o]gni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente [...] da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge».
Ritiene il rimettente che i principi di autonomia e indipendenza dei giudici e della funzione giurisdizionale da ogni altro potere dovrebbero conformare non soltanto la sostanza delle funzioni, ma anche la loro apparenza nei confronti della collettività, che avrebbe diritto ad avere e a poter maturare la ragionevole rappresentazione di un giudice terzo ed imparziale e non già soggetto al potere di influenza di una delle parti del processo.
Il principio dell'indipendenza del giudice si coniugherebbe e si completerebbe con l'art. 111 Cost., oltre che con la disciplina internazionale sul giusto processo, con particolare riguardo al principio della "parità delle parti", che la normativa censurata altererebbe vistosamente; i principi costituzionali di giusto processo e di parità delle parti si completerebbero a loro volta con il disposto dell'art. 6 CEDU e dell'art. 47 CDFUE.
In detto quadro normativo internazionale-convenzionale ed eurounitario (che rinverrebbe il suo ingresso costituzionale negli artt. 10, 11 e 117 Cost.), il diritto soggettivo di ciascuna persona a rivolgersi per la tutela dei propri diritti ad "un giudice terzo e imparziale", implicherebbe la necessità di assicurare l'indipendenza e l'imparzialità del giudice quale garanzia della tutela dell'insieme dei diritti conferiti ai singoli dal diritto dell'Unione europea e dalla CEDU.
3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in giudizio con atto depositato in data 24 ottobre 2023.
3.3.1.- L'Avvocatura generale eccepisce innanzitutto l'inammissibilità delle censure per mancanza di rilevanza poiché non decisive ai fini della definizione della controversia di merito, che riguarderebbe la regolarizzazione del pagamento del contributo unificato da parte del ricorrente.
Le questioni di legittimità costituzionale non sarebbero difatti decisive ai fini della soluzione del giudizio principale perché non avrebbero nel procedimento a quo un'incidenza né attuale né meramente eventuale. Sul punto viene richiamata la giurisprudenza costituzionale secondo cui solamente quando il dubbio di legittimità costituzionale investa una norma dalla cui applicazione il giudice dimostri di non poter prescindere, si concreterebbe il fenomeno della pregiudizialità costituzionale.
Nel caso di specie, in nessuna ipotesi il giudice tributario potrebbe applicare le disposizioni di cui lamenta l'illegittimità costituzionale in quanto non si discuterebbe di questioni di astensione o di ricusazione, bensì di un invito al pagamento e della corretta determinazione del contributo unificato.
Inoltre, le questioni sarebbero irrilevanti essendo prospettate in via del tutto generale e astratta. La considerazione in base alla quale la riforma attuale non garantirebbe l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura tributaria e dei giudici per l'assoluta mancanza di garanzie di status e di effettiva libertà da condizionamenti provenienti dall'amministrazione finanziaria, si caratterizzerebbe per genericità, mancando di elementi a supporto della preliminare rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale nel giudizio tributario a quo.
Le censure sarebbero inoltre indeterminate nel petitum nonché contenenti una richiesta di intervento additivo in una materia riservata alla discrezionalità del legislatore.
L'indeterminatezza dei rilievi sarebbe accentuata dal fatto che le questioni sarebbero genericamente poste "anche in correlazione" o "in rapporto" con altre norme di variegato contenuto, talune di natura regolamentare (come i decreti ministeriali), o con interi testi legislativi, in difetto di qualsiasi argomento che consenta di collegare le singole norme evocate ai parametri di legittimità costituzionale e senza, peraltro, indicare quale sarebbe il rimedio alternativo auspicato dal rimettente.
3.3.2.- Le censure sarebbero comunque non fondate.
Sostiene l'Avvocatura generale che sarebbe del tutto priva di fondamento l'affermazione del rimettente secondo cui vi sarebbe una "sudditanza" tra giudice tributario e MEF in quanto, da un punto di vista soggettivo, il giudice non sarebbe dipendente del Ministero, mentre, da un punto di vista oggettivo, l'indennità corrisposta al giudice sarebbe determinata normativamente.
Con specifico riferimento a tale ultimo profilo, sarebbe dunque manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della disposizione che attribuisca al MEF il compito di determinare il compenso fisso e variabile dei componenti delle corti di giustizia tributaria.
Sul punto evidenzia la difesa statale che la riforma del 2022 avrebbe ancorato il trattamento economico dei componenti le corti di giustizia tributaria (magistrati tributari, assunti per transito o per concorso pubblico) a quello dei giudici ordinari e, quanto ai giudici onorari, il legislatore avrebbe previsto la fissazione del compenso fisso per legge, lasciando al decreto esclusivamente la fissazione dei compensi variabili ex art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992, coerentemente alla ratio fondamentale della richiamata disciplina, non diretta a definire un nuovo regime complessivo dello status giuridico ed economico dei giudici onorari trattandosi di ruolo ad esaurimento.
Con riferimento agli altri profili osserva la difesa statale che la scelta di mantenere, anche con l'intervento riformatore, tale assetto della giurisdizione tributaria sarebbe maturata nell'ambito di un lungo e ampio confronto che avrebbe accompagnato la formazione della volontà del legislatore, il quale avrebbe inteso porre in essere un restyling del ruolo e delle funzioni attribuite al CPGT, organo di autogoverno dei giudici tributari, proprio al fine di rafforzare l'indipendenza della nuova magistratura tributaria.
Evidenzia altresì l'Avvocatura che la legge n. 130 del 2022 si porrebbe nel contesto del PNRR, di cui la giustizia tributaria costituirebbe uno dei punti principali con due obiettivi fondamentali: una riforma del processo tributario incentrata per un verso sui principi di terzietà e specializzazione dei giudici e per un altro sull'ammodernamento e sulla digitalizzazione finalizzata alla conoscibilità dei precedenti giurisprudenziali. Nell'ottica del perseguimento di questi obiettivi si sarebbe mosso il legislatore della riforma, attraverso l'istituzione a regime di un giudice tributario togato, assunto per concorso e attraverso la modernizzazione digitale e la creazione, implementazione e fruibilità di una banca dati dei precedenti giurisprudenziali.
Proprio al fine di assicurare l'imparzialità e l'indipendenza del nuovo magistrato tributario professionale, sarebbero state attribuite rilevanti funzioni al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, organo di autogoverno, autonomo, terzo e imparziale rispetto a ogni parte processuale dei contenziosi fiscali. Inoltre, con lo stesso scopo, si sarebbe prevista l'applicazione ai magistrati tributari delle norme che disciplinano le incompatibilità dei magistrati ordinari e lo stesso trattamento economico.
Sarebbe stato, difatti, attribuito al CPGT il compito di bandire il concorso per l'accesso alla magistratura (art. 4-ter, comma 2, del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera f, della legge n. 130 del 2022), di nominare la Commissione di esame (art. 4-quater del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dall'art. 1, comma 1, lettera f, della legge n. 130 del 2022) e di gestire la procedura di interpello per l'esercizio dell'opzione per il passaggio definitivo dalle altre magistrature a quella tributaria.
Pertanto, la nomina a magistrato tributario con decreto del MEF si limiterebbe sostanzialmente a ratificare una procedura gestita totalmente dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Analoghe considerazioni varrebbero anche per quanto riguarda le censure rivolte alla gestione del personale amministrativo da parte del MEF. L'attività amministrativa non andrebbe confusa con quella giurisdizionale: la differenza tra la prima e la seconda risiederebbe nella diversità dei fini perseguiti dalla pubblica amministrazione e dal giudice e nella diversità di funzioni che essi rispettivamente svolgerebbero.
Il legislatore avrebbe cercato, attraverso la previsione di nuove assunzioni, di incrementare il livello di efficienza degli uffici e delle strutture centrali e territoriali della giustizia tributaria in modo da garantire il buon andamento dell'attività giurisdizionale a vantaggio dell'intera collettività.
In tal senso, la normativa di riferimento e l'attuale assetto organizzativo non solo risulterebbero ragionevoli e conformi ai principi costituzionali, ma valorizzerebbero quei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione che riguarderebbero anche gli uffici giudiziari.
In sintesi, secondo la difesa statale, il giudice rimettente non avrebbe considerato che le competenze esercitate dagli uffici di segreteria sarebbero di natura amministrativa e, come tali, non potrebbero interferire con la funzione giurisdizionale svolta dai giudici.
Inoltre, il rimettente non avrebbe tenuto pienamente conto del potere di vigilanza di cui godono i presidenti delle corti di giustizia tributaria e neppure dei poteri ispettivi attribuiti al CPGT.
Con riguardo alle censure promosse nei confronti dell'art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, la difesa statale evidenzia che, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, il Dipartimento della giustizia tributaria sarebbe stato istituito proprio per garantire l'imparzialità e la terzietà nella gestione dello status giuridico ed economico dei magistrati tributari, nell'ambito delle riforme previste dal PNRR e in base alle raccomandazioni della Commissione europea.
Il Presidente del Consiglio dei ministri conclude chiedendo che siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate le questioni sollevate dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.- Con ordinanza iscritta al n. 144 del reg. ord. 2022 la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, solleva questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992 e della legge n. 130 del 2022.
1.1.- Lamenta in primo luogo il giudice a quo l'accentuato rapporto di dipendenza dei giudici tributari dal Ministero dell'economia e delle finanze determinato dagli artt. 24, commi 1, lettere d) ed e), e 2-bis; e 24-bis nonché di da tutte le disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992 (e in specie, tra esse, gli artt. 13, 32, da 36 a 41 e 43) nella loro formulazione vigente (novellate o meno dall'anzidetta legge) che attribuiscono competenza gestionale e di supporto amministrativo in ordine all'organizzazione giudiziaria tributaria al MEF anziché ad altra amministrazione centrale dello Stato. Tali disposizioni sarebbero in contrasto con i principi dell'indipendenza e dell'imparzialità dei giudici, costituzionalmente garantiti dagli artt. 101, 104, 105 108 e 110 Cost., nonché dall'art. 6, paragrafo 1, CEDU, così come interpretato e applicato dalla giurisprudenza della Corte EDU in tema di equo processo, che fungerebbe da disciplina interposta ai fini della valutazione della conformità a Costituzione della legge ordinaria per effetto della previsione dell'art. 117, primo comma, Cost.
L'inquadramento dell'organizzazione giudiziaria tributaria all'interno di un apparato del MEF sarebbe in conflitto con i principi di autonomia e indipendenza in quanto finirebbe per determinare condizionamenti, anche involontari, comunque non corrispondenti alla funzione di garanzia imparziale della giurisdizione e alla par condicio delle parti nel processo.
La giurisdizione tributaria sarebbe ancor più esposta al rischio di assenza di indipendenza e autonomia con le modifiche introdotte dalla legge n. 130 del 2022 che riconoscerebbero alla Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze una pervasiva "funzione di supporto" anche nell'attività ispettiva che dovrebbe invece essere esercitata in istituzionale autonomia da parte dell'organo di autogoverno della giustizia tributaria.
Un'analoga funzione di supporto sarebbe riconosciuta in capo alla predetta Direzione ai fini delle attività dell'ufficio del massimario nazionale in aggiunta alla funzione di organizzazione e supporto per l'espletamento dei corsi di aggiornamento riconosciuta alla Scuola centrale tributaria incardinata anch'essa nel MEF, cosicché il sapere giurisprudenziale sarebbe sottoposto a condizionamento ab externo, contrastando con la garanzia di parità delle parti nel processo.
L'assenza di indipendenza sarebbe accentuata dalla disciplina novellatrice censurata che avrebbe modificato la natura del rapporto di servizio dei magistrati tributari, reclutati con pubblico concorso, i quali diventerebbero "lavoratori dipendenti" dal MEF.
Un ulteriore profilo di censura attiene alla differente disciplina del trattamento economico dei giudici tributari attualmente in servizio determinata con decreto ministeriale, mentre per i magistrati tributari di nuova nomina il trattamento economico avviene con fonte normativa primaria (ai sensi dell'art. 13-bis della legge n. 130 del 2022).
1.2.- Lamenta altresì il rimettente che l'art. 8, comma 5, della legge n. 130 del 2022, che disciplina la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per la consiliatura successiva all'entrata in vigore della anzidetta legge, violerebbe i principi di cui agli artt. 48, 104, primo comma, 107 e 108 Cost., per effetto dello squilibrio, determinatosi nella fase transitoria di applicazione della legge n. 130 del 2022, nel rapporto proporzionale tra elettorato attivo ed elettorato passivo, con riserva di posti a favore di alcune categorie.
1.3.- Il rimettente dubita inoltre della legittimità costituzionale degli artt. 7 e 12 del d.lgs. n. 545 del 1992, che disporrebbero l'irrogazione di una misura espulsiva automatica in difetto di un procedimento disciplinare che consenta di valutare la gravità del fatto e la proporzionalità della sanzione, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
1.4.- Il giudice a quo censura, inoltre, i commi 4-ter e 5 dell'art. 11 del d.lgs. n. 545 del 1992, per violazione del principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.) oltre che dei principi di autonomia e indipendenza del giudice (artt. 101 e 108 Cost.).
Riferisce il rimettente che le disposizioni censurate introdurrebbero nell'ordinamento giudiziario tributario una sanzione disciplinare, mascherata da requisito del concorso interno per l'accesso alle funzioni superiori. Le disposizioni censurate, laddove escludono la partecipazione al suddetto concorso a coloro che abbiano registrato un rapporto inferiore al sessanta per cento tra provvedimenti tardivamente depositati e provvedimenti complessivamente depositati, violerebbero i principi di autonomia e indipendenza del giudice.
Le disposizioni censurate determinerebbero inoltre un vulnus ai principi di ragionevolezza e di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici poiché costituirebbero un disincentivo alla produttività dei giudici tributari, che sarebbero tendenzialmente stimolati ad assumere il minor carico possibile di provvedimenti da redigere, al fine di rispettare la proporzione fissata con riguardo al parametro del termine di cui si è detto.
1.5.- Il rimettente dubita altresì della legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022 laddove attribuisce al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria il potere di assegnare d'ufficio, in applicazione non esclusiva, giudici tributari appartenenti al ruolo unico, presso le sedi nelle quali non è possibile assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale individuate dallo stesso Consiglio di presidenza.
Ciò violerebbe i principi di indipendenza e inamovibilità del giudice, (artt. 106 e 107 Cost.), il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e il principio di buon andamento dell'organizzazione dei pubblici uffici (art. 97 Cost.).
1.6.- Il giudice a quo lamenta inoltre l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022 in combinato disposto con gli artt. 13 e 13-bis del d.lgs. n. 545 del 1992 per violazione del principio di eguaglianza, in quanto determinerebbe una differenziazione dello "status" delle due categorie di componenti dell'ordine giudiziario tributario che si rifletterebbe in una ingiustificata discrepanza del trattamento economico riconosciuto a ciascuna di esse, sia pur a fronte di identiche funzioni esercitate.
1.7.- Infine, il rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 1-bis, 8, comma 1, 9, commi 2 e 2-bis, e 11, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, i quali prevederebbero che ai giudici tributari onorari sia garantita la maggioranza dei posti di componente delle corti di giustizia tributaria di secondo grado e che soltanto questi ultimi siano utilizzabili in "applicazione" per la stabile composizione dei collegi di qualsivoglia ufficio ogni volta in cui ciò appaia necessario per garantire l'esercizio minimo della funzione giudiziaria tributaria. Tale normativa violerebbe l'art. 106 Cost.
2.- Con ordinanza iscritta al n. 50 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale di diverse disposizioni del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificate e integrate dalla legge n. 130 del 2022.
2.1.- Il rimettente censura innanzitutto l'art. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022, e gli artt. 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992, nelle parti in cui prevedono per le procedure di interpello e di concorso, nonché per la nomina dei magistrati e giudici tributari la competenza «del Ministro dell'Economia e Finanze e del Ministero dell'Economia e Finanze, invece della competenza rispettivamente del Ministro della Giustizia e del Ministero della Giustizia», per violazione degli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU.
Tale normativa determinerebbe la mancanza di autonomia e la soggezione economica e amministrativa dei giudici al MEF e ciò contribuirebbe - a detta del rimettente - a fornire un'immagine di dipendenza della giustizia tributaria che non soddisferebbe i requisiti richiesti per l'equo processo dalla Corte EDU, la quale avrebbe sempre sottolineato la necessità che in una società democratica la giustizia debba non solo essere indipendente, ma debba anche apparire tale agli occhi delle parti e del pubblico.
2.2.- Con la seconda questione, il rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 31 e 34 del d.lgs. n. 545 del 1992 i quali - secondo la sua prospettazione - violerebbero gli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, in tema di equo processo. Ritiene il rimettente che l'inquadramento degli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado nel MEF anziché nel Ministero della giustizia comprometterebbe l'indipendenza della stessa Corte.
2.3.- Con il terzo motivo di censura il giudice a quo lamenta che l'art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, come modificato dall'art. 39 del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, e dall'art. 11 del d.lgs. n. 156 del 2015, laddove sottrae ai presidenti delle corti di giustizia tributaria la vigilanza sull'andamento dei servizi di segreteria attribuendo loro solo la possibilità di segnalarne la qualità e l'efficienza alla Direzione del MEF per non meglio precisati "provvedimenti di competenza", violerebbe gli artt. 97, secondo comma, 101, 104, 108 e 111, commi primo e secondo, Cost. La normativa in esame difatti comprometterebbe sia l'imparzialità e l'autonomia del giudice tributario sia il buon funzionamento dell'azione amministrativa, nella fattispecie, «delle segreterie e degli altri uffici della Corte Tributaria».
3.- Con ordinanza iscritta al n. 128 del registro ordinanze 2023, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 in combinato disposto con l'art. 51 cod. proc. civ. e con l'art. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, secondo comma, 108, 111 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU; degli artt. 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992 nonché dell'art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, secondo comma, 108, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione con l'art. 6 CEDU; degli artt. 32, 36 e 37 del d.lgs. n. 545 del 1992, nonché dell'art. 20, comma 2-bis, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 104, 108, 110, nonché 10, 11, 117, questi ultimi in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU e all'art. 47 CDFUE.
3.1.- La prima questione riguarda l'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 (e il correlato art. 8, comma 4, della legge n. 130 del 2022), anche in combinato disposto con gli artt. 6 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 51 cod. proc. civ., nella misura in cui assegnano al MEF la determinazione discrezionale del compenso (in particolare, variabile, ma anche fisso, nei limiti minimi ormai stabiliti dalla legge) dei giudici tributari.
Lamenta il rimettente che il potere di determinazione in via amministrativa della retribuzione affidato al MEF provocherebbe una particolare situazione di soggezione del giudice tributario al potere discrezionale del predetto dicastero. Tale soggezione violerebbe i principi di indipendenza del giudice, garantiti dall'art. 108 Cost. e di indipendenza e imparzialità della funzione giurisdizionale ovvero del giusto processo in condizioni di parità tra le parti, dinanzi ad un giudice terzo e imparziale (artt. 101, secondo comma, e 111 Cost.; art. 6 CEDU).
Le disposizioni censurate violerebbero anche il principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.) della giustizia tributaria, determinando una situazione di stallo istituzional-processuale che sarebbe arduo risolvere se non in violazione della disciplina dell'obbligo di astensione del giudice posta a presidio dell'indipendenza e imparzialità della funzione giurisdizionale e della parità tra le parti del processo.
La normativa in esame violerebbe altresì i principi costituzionali del giusto processo e della parità delle parti del processo (art. 111 Cost., in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 47 CDFUE), trovandosi il MEF, creditore sostanziale e parte del giudizio, in una posizione non pari-ordinata rispetto a quella del contribuente e addirittura di supremazia rispetto al giudice.
3.2.- Il rimettente censura inoltre gli artt. 9, 32, 36, 37 del d.lgs. n. 545 del 1992; 4-ter e 4-quater del d.lgs. n. 545 del 1992; e 20, commi 2-bis e 2-ter, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, in riferimento agli artt. 3 (principio di ragionevolezza), 97 (buon andamento), 101, secondo comma, 104, 108, 110, 111 nonché 10, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 47 CDFUE.
Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della normativa censurata che attribuisce al MEF: la gestione dei concorsi per l'accesso alla magistratura tributaria; il compito di determinare le variazioni della dotazione organica dei giudici tributari e del personale amministrativo, le assunzioni di personale, i comandi e i distacchi, le mobilità, i trasferimenti, i premi di produttività; il servizio automatizzato per la gestione delle attività degli uffici di segreteria delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado e del consiglio di presidenza incardinato presso il centro informativo del Dipartimento delle entrate; le «funzioni di spettanza statale» nel settore della gestione e dello sviluppo del sistema informativo della giustizia tributaria e del processo tributario telematico lasciando i presidenti di corte di giustizia tributaria privi di adeguate leve gestionali.
Le disposizioni censurate consentirebbero inoltre alla direzione centrale per gli affari giuridici e per il contenzioso tributario presso il Dipartimento delle entrate del Ministero dell'economia e delle finanze di formulare e proporre al Ministro indirizzi per gli uffici periferici ai fini della difesa dell'Amministrazione finanziaria; l'esercizio di tali facoltà - ritiene il giudice a quo - potrebbe influenzare in modo incisivo la giustizia tributaria.
La progressiva implementazione delle competenze del MEF in materia di giustizia tributaria avrebbe comportato l'estensione della struttura burocratica ministeriale. Ciò, secondo il rimettente, sarebbe non ragionevole e contrario al principio costituzionale di buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.).
Dinanzi al descritto panorama normativo, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni censurate, innanzitutto con riguardo alla necessaria indipendenza e autonomia della magistratura tributaria e prima ancora della funzione giurisdizionale (giusto processo e parità delle parti), come previsto dagli artt. 101, secondo comma, 104, 108 (per le magistrature speciali), 110, 111 nonché 10, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui prevede il diritto che ogni causa sia esaminata «da un tribunale indipendente e imparziale», nonché in relazione all'art. 47 CDFUE (essendo i tributi materia dell'UE), nella parte in cui prevede che «[o]gni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente [...] da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge».
4.- Le tre ordinanze di rimessione sottopongono a questa Corte numerose questioni di legittimità costituzionale che riguardano parzialmente le stesse norme, si basano su parametri pressoché coincidenti e argomentazioni sostanzialmente analoghe. Deve essere pertanto disposta la riunione dei giudizi per essere decisi con unica sentenza (ex plurimis, sentenze n. 171 e n. 98 del 2024).
5.- Le censure possono suddividersi in due grandi gruppi: il primo riguardante quelle relative all'ipotizzata lesione dell'autonomia e dell'indipendenza dei giudici tributari, sub specie di asserita perdita di serenità e turbamento psicologico del magistrato a causa dell'eccessiva ingerenza del Ministero dell'economia e delle finanze nella gestione della giustizia tributaria; il secondo gruppo riguarda, in particolare, il compenso, la nomina, la promozione dei giudici tributari, i poteri del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il sistema elettorale del Consiglio di presidenza, le sanzioni disciplinari e l'attribuzione di funzioni collegiali ai giudici onorari.
6.- Si ritiene opportuno ripercorrere brevemente i momenti caratterizzanti l'articolato e complesso quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
Con la legge 14 luglio 1864, n. 1830 (con la quale fu stabilita, tra l'altro, un'imposta sui redditi della ricchezza mobile) furono istituite commissioni comunali e consorziali, per lo svolgimento di tutte le operazioni occorrenti per appurare e determinare le somme dei redditi e dell'imposta dovuta dai contribuenti. Contro le "somme di reddito" deliberate dalle già menzionate commissioni era ammesso il ricorso, tanto nell'interesse dei contribuenti quanto nell'interesse del fisco, presso una commissione provinciale.
Con successiva legge 20 marzo 1865, n. 2248 (Per l'unificazione amministrativa del Regno d'Italia), Allegato E (Legge sul contenzioso amministrativo), furono aboliti i tribunali del contenzioso amministrativo e furono affidate al giudice ordinario le controversie tra cittadini e pubbliche amministrazioni nelle quali si facesse «questione di un diritto civile o politico» (art. 2), comprese quelle relative alle imposte dirette e indirette; vennero tuttavia escluse dalla competenza delle autorità giudiziarie le questioni relative all'estimo catastale e al riparto di quota e tutte quelle sulle imposte dirette (sino a che non avesse avuto luogo la pubblicazione dei ruoli) che rimanevano attribuite alle predette commissioni.
Le commissioni così delineate erano, dunque, organi amministrativi incardinati presso l'amministrazione delle entrate. Questa natura, tuttavia, non era idonea ad assicurare l'indipendenza e l'imparzialità.
Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, con sentenza n. 12 del 1957, questa Corte ritenne che le commissioni tributarie, «pur comunemente chiamandosi amministrative per ragioni storiche e tradizionali», costituissero «organi di giurisdizione speciale» in quanto «chiamate a giudicare in materia di diritti soggettivi, definendo, nel contrasto tra il Fisco e il contribuente, qual è la volontà della legge che nel caso concreto dev'essere attuata»; in particolare, nella predetta sentenza si sottolineava come le commissioni tributarie pervengono alle loro pronunce «attraverso l'applicazione di formali disposizioni di procedura, poste dalla legge per la regolarità dei loro giudizi e anche a tutela dei diritti delle parti contendenti; che le loro pronunce, come qualsiasi altra pronuncia di organo giurisdizionale, nel caso di mancanza di impugnativa, acquistano valore definitivo e forza di giudicato formale».
Veniva così affermata la natura giurisdizionale delle commissioni tributarie; natura confermata con successiva sentenza n. 287 del 1974 nella quale questa Corte ha sottolineato come la legge 9 ottobre 1971, n. 825 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria) e il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), intervenendo sulla composizione delle commissioni tributarie, sul loro funzionamento e sulle loro competenze funzionali (principalmente al fine di assicurarne l'autonomia e l'indipendenza e in modo da garantire l'imparziale applicazione della legge), avevano eliminato tutte le disposizioni dalle quali traeva fondamento la tesi della natura amministrativa delle commissioni tributarie, determinando «la sicura convinzione che le commissioni tributarie, così revisionate e strutturate, debbono ora considerarsi organi speciali di giurisdizione».
Le commissioni tributarie sono state quindi da ultimo disciplinate dal d.lgs. n. 545 del 1992 e dal d.lgs. n. 546 del 1992 quali organi giurisdizionali composti da giudici non professionali prevedendo criteri oggettivi di reclutamento e l'istituzione di un organo di autogoverno, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
Questa Corte, confermando l'indirizzo già assunto fin dalla sentenza n. 41 del 1957 (e ribadito nella sentenza n. 215 del 1976) sulla VI disposizione transitoria e finale della Costituzione, con ordinanza n. 144 del 1998, ha chiarito che l'«ampliamento della competenza delle commissioni tributarie non vale a far ritenere nuovo il giudice tributario in modo tale da ravvisarsi un diverso giudice speciale, in quanto è rimasto non snaturato né il sistema di estrazione dei giudici (anzi migliorato dal punto di vista dei requisiti di idoneità e di qualificazione professionale e delle incompatibilità), né la giurisdizione nell'ambito delle controversie tributarie» e che «pertanto le attuali commissioni tributarie non possono essere considerate, agli effetti del combinato disposto dell'art. 102 e VI disposizione transitoria della Costituzione, nuovi giudici speciali, come tali vietati».
La modifica della disciplina della giustizia tributaria realizzata con la legge n. 130 del 2022 - che si colloca nell'ambito degli interventi previsti nel PNRR per superare le criticità del "sistema Paese" - vuole rappresentare una risposta organica e di sistema per risolvere molte delle problematicità insite nel precedente assetto ordinamentale.
Intervenendo su taluni aspetti cruciali e delicati della giustizia e del processo tributari, la novella normativa ha avvicinato molto la giurisdizione tributaria a quella ordinaria.
Si tratta di una riforma che, a completamento di un percorso di 160 anni, ha contribuito in modo decisivo a realizzare nel nostro ordinamento una giurisdizione (che si affianca a quella ordinaria, amministrativa, contabile e militare), composta, a regime, da magistrati tributari: a) professionali a tempo pieno; b) selezionati con pubblico concorso; c) specializzati nella materia tributaria.
7.- Tutto ciò premesso, deve preliminarmente essere esaminata l'eccezione con cui l'Avvocatura generale dello Stato ha contestato l'ammissibilità, per difetto di rilevanza, delle censure sollevate con le tre ordinanze dalle tre Corti di giustizia tributarie rimettenti.
La difesa statale evidenzia che i giudici rimettenti non sarebbero chiamati a fare diretta applicazione nei giudizi a quibus delle disposizioni censurate poiché esse atterrebbero allo status del giudice, alla composizione del CPGT nonché, in generale, alle garanzie e ai doveri che riguarderebbero l'operare del giudice e non avrebbero una effettiva interferenza nel decidere in relazione alle concrete questioni poste al loro esame e alle specifiche e conseguenti decisioni che sono chiamati ad adottare nei giudizi a quibus.
8.- L'eccezione di inammissibilità delle censure è fondata per i motivi che seguono.
Occorre primariamente verificare l'esistenza della «necessaria relazione di "dipendenza funzionale" tra giudizio a quo e tema agitato attraverso la questione di legittimità costituzionale: relazione che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve assumere i connotati della pregiudizialità, la quale comporta l'impossibilità di definire il procedimento pregiudicato in assenza della delibazione della quaestio pregiudicante» (sentenza n. 164 del 2017).
In linea di principio, tutte le volte in cui questa Corte è entrata nel merito di questioni di legittimità costituzionale relative a norme riguardanti lo status di magistrato, ciò è avvenuto in ragione di una incidenza diretta di quelle norme con l'oggetto del giudizio a quo.
Così, ad esempio, nel giudizio deciso con la sentenza n. 237 del 2013, questa Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di norme che avevano disposto la soppressione di diversi uffici giudiziari: oggetto del giudizio di costituzionalità era, in quella sede, la potestà di ius dicere dei giudici rimettenti, direttamente e immediatamente dipendente dalle norme censurate. Nessun dubbio poteva sussistere, pertanto, sulla rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
Analogamente, il nucleo principale delle questioni decise con la sentenza n. 18 del 1989 riguardava la struttura e la composizione dell'organo giudicante e involgeva lo status di giudice, la sua composizione, nonché, in generale, le garanzie e i doveri che riguardano il suo operare, tutti aspetti ontologicamente rilevanti nell'àmbito dei relativi procedimenti dai quali le questioni provenivano.
8.1.- Nelle tre ordinanze i giudici a quibus affermano che le questioni di legittimità costituzionale sono direttamente rilevanti nei rispettivi giudizi principali, in quanto la disciplina normativa censurata sarebbe concretamente e immediatamente produttiva di un turbamento della serenità decisionale nonché dell'autonomia e indipendenza del giudice tributario.
Questa Corte, tuttavia, non ha escluso che norme, pur non immediatamente applicabili nel processo, possano incidere in maniera evidente e attuale sulle garanzie costituzionali della funzione giurisdizionale, così condizionando l'esercizio della relativa attività. Ciò presuppone «che tale incidenza - per qualità, intensità, univocità ed evidenza della sua direzione, immediatezza ed estensione dei suoi effetti - sia tale da determinare una effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere, a prescindere da qualsiasi profilo che possa riguardare un eventuale "perturbamento psicologico" del singolo giudice» (ancora sentenza n. 164 del 2017), sempre che non si tratti di una questione meramente ipotetica e astratta.
Ai fini della rilevanza occorre ulteriormente verificare se le norme asseritamente interferenti sullo status di magistrato ne compromettano l'indipendenza e la terzietà riflettendo lesioni non solo potenziali delle garanzie costituzionali ma violazioni attuali in relazione alla concreta questione posta all'esame dei rimettenti e alla specifica e conseguente decisione che sono chiamati a adottare nei giudizi a quibus.
Questi presupposti sono del tutto assenti nelle odierne questioni, alla luce della stessa motivazione sulla rilevanza fornita dai giudici rimettenti in relazione all'attuale sistema normativo sull'organizzazione della giustizia tributaria e sui concreti e specifici elementi caratterizzanti i giudizi a quibus che permettano di dubitare realmente dell'indipendenza del giudice.
Nelle fattispecie in esame, infatti, l'asserito perturbamento del giudice, derivante dalla sensazione di dover giudicare in merito a una controversia tributaria non "in un campo neutro" ma, per così dire, "in casa" del MEF, con i possibili condizionamenti connessi ai profili organizzativi, è privo di riscontri oggettivi circa la concreta lesione ad opera delle disposizioni censurate delle garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura sancite dalla Costituzione a presidio dell'attività giurisdizionale.
Alla luce di tutto quanto sopra, le questioni di legittimità costituzionale relative al primo gruppo di censure sono inammissibili per difetto di rilevanza in quanto non si ravvisa in concreto quella situazione di effettiva interferenza sulle condizioni di indipendenza e terzietà nel decidere tali da condizionare strutturalmente e funzionalmente lo ius dicere del giudice tributario.
8.2.- Il secondo gruppo di censure prospetta una serie di dubbi di legittimità costituzionale relativi a disposizioni aventi ad oggetto il compenso, la nomina, la promozione dei giudici tributari, i poteri del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il sistema elettorale del Consiglio di presidenza, le sanzioni disciplinari e l'attribuzione di funzioni collegiali ai giudici onorari e quindi al corretto funzionamento della giustizia tributaria.
Anche queste questioni sono inammissibili per irrilevanza.
L'oggetto dei giudizi a quibus riguarda, infatti, controversie tra l'Agenzia delle entrate e privati afferenti, rispettivamente, alla debenza del contributo unificato (r.o. n. 50 e n. 128 del 2023) e dell'imposta sul valore aggiunto (r.o. n. 144 del 2022), che nulla hanno a che vedere con il compenso, la nomina, la promozione dei giudici tributari, i poteri del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, il sistema elettorale del medesimo Consiglio, le sanzioni disciplinari e la partecipazione ai collegi da parte dei giudici onorari.
Peraltro, neppure si profila il pericolo di una sostanziale sottrazione delle disposizioni censurate al controllo di legittimità costituzionale, essendo agevole ipotizzare altre sedi in cui le medesime questioni potrebbero trovare una ben più pertinente ragion d'essere. Difatti, la normativa in esame potrebbe essere eventualmente sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) nel corso di un giudizio instaurato dinanzi alla competente autorità giurisdizionale.
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte già richiamata con riguardo al primo gruppo di censure, devono essere dichiarate inammissibili, perché irrilevanti, anche tutte le questioni del secondo gruppo sollevate con le tre ordinanze indicate in epigrafe.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24, commi 1, lettere d) ed e), e 2-bis; 24-bis; 13; 32; da 36 a 41 e 43 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevate, in riferimento agli artt. 101, 104, 105 108, 110 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 5, della legge 31 agosto 2022, n. 130 (Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari), sollevate, in riferimento agli artt. 48, 104, primo comma, 107 e 108 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 12 del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo al principio di ragionevolezza, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 11, commi 4-ter e 5, del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 97, con riguardo al principio di buon andamento, 101 e 108 Cost., con riguardo ai principi di autonomia e indipendenza del giudice, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 106 e 107 Cost., con riguardo ai principi di indipendenza e inamovibilità del giudice, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 14, della legge n. 130 del 2022, in combinato disposto con gli artt. 13 e 13-bis del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost., con riguardo al principio di ragionevolezza, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
7) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1-bis; 8, comma 1; 9, commi 2 e 2-bis; e 11, comma 1, del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento all'art. 106 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Venezia, prima sezione, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
8) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 10, della legge n. 130 del 2022 e degli artt. 1-bis; 4; 4-bis; 4-ter; 4-quater; e 9 del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
9) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 31 e 34 del d.lgs. n. 545 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 101, secondo comma, 104, 108, 110 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
10) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 15 del d.lgs. n. 545 del 1992, e dell'art. 11 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23», sollevate, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, 101, 104, 108 e 111, primo e secondo comma, Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione settima, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
11) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 (e il correlato art. 8, comma 4, della legge n. 130 del 2022), anche in combinato disposto con gli artt. 6 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e 51 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 97, 101, 108 e 111 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima, con l'ordinanza indicata in epigrafe;
12) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 4-ter; 4-quater; 9; 32; 36; e 37 del d.lgs. n. 545 del 1992, e dell'art. 20, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge 22 aprile 2023, n. 44 (Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche), convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2023, n. 74, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 104, 108, 110, 111, nonché 10, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all'art. 6 CEDU e all'art. 47 CDFUE, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Messina, sezione prima, con l'ordinanza indicata in epigrafe.