Corte di cassazione
Sezioni unite civili
Sentenza 4 dicembre 2024, n. 31136

Presidente: D'Ascola - Estensore: Scarpa

FATTI DI CAUSA

Roberto V. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 2466/2017 della Corte d'appello di Roma, pubblicata il 28 giugno 2017.

Resistono con distinti controricorsi il Comune di Latina, l'INPS e la Regione Lazio.

La Corte d'appello di Roma, riformando la sentenza n. 1429/2014 del Tribunale di Latina, ha respinto la domanda avanzata da Roberto V. volta ad ottenere la condanna, in via alternativa, della Regione Lazio, del Comune di Latina o dell'INPS a pagare la somma di euro 22.133,00 a titolo di differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori a far tempo dal 14 luglio 2003. Il ricorrente aveva dedotto di essere stato dipendente dal 1999 del Ministero dell'interno - Ufficio Prefettura di Prato, poi trasferito il 1° luglio 2001 alle dipendenze del Comune di Latina con la qualifica di operatore ufficio, categoria A, posizione economica A3; quindi, in seguito ad un protocollo d'intesa tra Regione Lazio, INPS e Comune di Latina, era stato assegnato alle dipendenze dell'INPS il 14 luglio 2003; ancora, con determina dirigenziale n. 182/2004 del Comune di Latina era stato inquadrato nei ruoli comunali nella categoria A4 a decorrere dal 1° marzo 2003; infine, con ordine di servizio del 28 gennaio 2005, gli erano state assegnate dall'INPS mansioni riconducibili all'area C. La domanda di condanna alternativa dei convenuti era appunto fondata sull'accertamento dell'espletamento delle mansioni superiori dal 14 luglio 2003.

Il Tribunale di Latina aveva accolto il ricorso condannando l'INPS a corrispondere l'importo indicato, in quanto il lavoratore era stato comandato alle dipendenze dell'INPS dagli enti di appartenenza (prima Comune di Latina e poi Regione Lazio), e doveva perciò essere l'amministrazione ove era stato comandato, la quale aveva indebitamente utilizzato il dipendente nelle mansioni de quibus, a corrispondere le relative differenze retributive.

Avverso la decisione di primo grado proposero appelli in via principale il soccombente INPS e, in via incidentale, Roberto V. sulla sola statuizione di compensazione delle spese, nonché condizionatamente il Comune di Latina sulla prescrizione dei crediti azionati, mentre l'appellata Regione Lazio chiese di confermare la sentenza del Tribunale.

La Corte d'appello, accogliendo il gravame principale, ha affermato che il V. aveva svolto in regime di comando presso l'INPS mansioni legate alla concessione delle prestazioni assistenziali di invalidità civile per conto dapprima del Comune di Latina e di seguito della Regione Lazio, sicché l'INPS non doveva essere chiamato a rispondere delle pretese economiche azionate dal lavoratore. I giudici di secondo grado hanno peraltro rilevato che Roberto V., nel costituirsi nel giudizio di appello, aveva concluso per il rigetto dell'appello dell'INPS e per la riforma della decisione del Tribunale limitatamente al capo sulle spese di lite, senza spiegare appello incidentale e nemmeno riproporre le domande, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., nei confronti del Comune di Latina e della Regione Lazio, sicché in ordine alle stesse non poteva esserci pronuncia nel giudizio di impugnazione. Per la Corte d'appello di Roma, inoltre, la formulazione di gravame incidentale ad opera del V. sul solo capo attinente alle spese processuali attesterebbe l'accettazione della sentenza del Tribunale nelle parti relative al rigetto delle domande verso gli altri convenuti.

Il primo motivo del ricorso di Roberto V. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la necessità di proporre appello incidentale condizionato al fine di ottenere il riesame e l'eventuale accoglimento delle pretese verso il Comune di Latina e la Regione Lazio.

Con ordinanza interlocutoria n. 3358/2024, pubblicata il 6 febbraio 2024, all'esito dell'udienza pubblica dell'8 novembre 2023, la Sezione lavoro ha rimesso la causa alla Prima Presidente per eventuale assegnazione alle Sezioni unite. L'ordinanza interlocutoria ha, invero, ravvisato la particolare importanza della questione di massima inerente alla necessità che, in caso di cumulo soggettivo passivo alternativo di domande articolate in primo grado, l'appellato vincitore, destinatario di impugnazione principale formulata del convenuto soccombente, presenti appello incidentale, eventualmente condizionato, o riproponga ex art. 346 c.p.c. le domande non accolte dal primo giudice, al fine di impedire il passaggio in giudicato della parte della decisione relativa alla posizione degli altri convenuti risultati non soccombenti.

Il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Carmelo Celentano, ha depositato memoria, chiedendo di rigettare il ricorso, enunciando il principio di diritto secondo cui: "in caso di domanda proposta, alternativamente, nei confronti di due o più convenuti, che sia stata accolta nei confronti di uno, l'appello introdotto dal soccombente non determina ex se la devoluzione al giudice di secondo grado anche della cognizione sulla pretesa dell'attore nei confronti degli altri titolari passivi alternativamente citati in giudizio, poiché, pur trattandosi di unico rapporto sostanziale dedotto in lite, con titolare passivo incerto, risultano azionate due o più distinte formali pretese, con unicità del petitum e diversità dei soggetti passivi, con la conseguenza che, contestata dall'appellante la relativa pretesa, l'attore-appellato, per il caso di assorbimento implicito delle domande nei confronti degli altri soggetti passivi alternativi, ha l'onere di riproporle, ai sensi dell'art. 346 c.p.c.".

Hanno depositato memorie anche il ricorrente e il controricorrente INPS.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso di Roberto V. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto la necessità di proporre appello incidentale condizionato al fine di ottenere il riesame e l'eventuale accoglimento delle pretese verso il Comune di Latina e la Regione Lazio. La censura osserva che l'attore non era tenuto a proporre l'impugnazione incidentale, in quanto con la sentenza di primo grado egli aveva visto realizzare per intero il proprio interesse attraverso la condanna di uno dei convenuti, bastando l'impugnazione di quest'ultimo a devolvere ai giudici di secondo grado l'intero ed unico rapporto processuale.

Il secondo motivo del ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 56 e 57 del d.P.R. n. 3 del 1957, in ordine alla interpretazione delle nozioni di comando e di distacco.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost., in tema di retribuzione proporzionata all'attività effettivamente svolta.

Il quarto motivo di ricorso allega l'erronea interpretazione dei documenti prodotti, in particolare dell'ordine di servizio 10/2005, e l'erronea valutazione delle dichiarazioni testimoniali.

2. L'esame del primo motivo di ricorso sollecita la questione di diritto evidenziata nell'ordinanza interlocutoria n. 3358/2024 della Sezione lavoro.

2.1. L'ordinanza segnala che, a fronte di un cumulo soggettivo passivo alternativo di domande, ovvero di un litisconsorzio soggettivamente alternativo, le possibili risposte circa la condotta che deve osservare l'attore appellato, a seguito del gravame avanzato dall'unico convenuto soccombente, sono tre: 1) egli è tenuto a proporre appello incidentale condizionato contro i convenuti andati assolti; 2) egli è tenuto a riproporre espressamente in appello, ai sensi dell'art. 346 c.p.c., le domande verso i convenuti non soccombenti; 3) egli non dovrebbe fare alcunché, bastando l'appello del soccombente a rimettere per intero in discussione il tema della individuazione dell'effettivo debitore.

3. Come ricorda la stessa ordinanza interlocutoria, queste Sezioni unite hanno già pronunciato su tale questione con la sentenza n. 11202 del 2002, per dirimere un contrasto di orientamenti giurisprudenziali.

Tale sentenza chiarì che il dilemma si pone per le pretese effettivamente ed oggettivamente alternative, ossia corrispondenti ad una situazione di indifferenza dell'attore verso l'uno o l'altro dei convenuti o dei chiamati in causa, in rapporto alla misura dei diritti fatti valere ed alle prospettive di assicurarne il soddisfacimento.

Le Sezioni unite del 2002 contemplarono anche l'ipotesi del convenuto che non neghi l'esistenza dell'obbligo allegato dall'attore, ma affermi di non essere tenuto alla prestazione, dirottando la richiesta condanna su un terzo, già convenuto oppure chiamato in causa (litisconsorzio soggettivamente alternativo, ossia rapporto giuridico unico e con titolarità passiva da accertare alternativamente, ma qui di tipo successivo).

Nel litisconsorzio alternativo passivo originario, le domande dell'attore, ciascuna rivolta contro uno dei diversi soggetti, sono, così, legate da un nesso di dipendenza che impone al giudice di accoglierne una ad esclusione dell'altra.

Non si versa, invece, in tale situazione allorché le due o più domande verso diverse controparti non sono tra loro incompatibili, oppure sono graduate.

Del pari, non si versa (più) nella situazione in esame allorché il giudice, pronunciata la condanna generica di uno dei convenuti, separi la causa concernente l'altro convenuto e l'attore accetti tale provvedimento di separazione.

La sentenza n. 11202 del 2002 escluse sia la soluzione che l'attore, investito dall'appello principale dell'unico soccombente, debba spiegare gravame incidentale per vedere accolta la pretesa in danno dei restanti convenuti, non avendo egli, del resto, doglianze da opporre sul punto alla prima sentenza; sia la soluzione dell'automatica devoluzione in secondo grado dell'intero rapporto soggettivamente alternativo per effetto dell'appello avanzato dal solo condannato, ove pure la decisione sui due o più rapporti sostanziali dipenda dall'"accertamento di un elemento comune".

Il precedente in esame, in particolare, ravvisò la sussistenza di un "rapporto giuridico unico e con titolarità passiva da accertare alternativamente", traendone la conseguenza che "l'appello proposto dal convenuto condannato impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado", ma allo stesso tempo precisando che non basta "la sola impugnazione principale del convenuto condannato a devolvere al giudice d'appello anche la cognizione circa la pretesa dell'attore contro il convenuto alternativo".

La sentenza n. 11202 del 2002, peraltro, non specificava se l'effetto di "esclusione" di una delle domande alternative discendente dall'accoglimento dell'altra si traduce in una pronuncia di rigetto (sia pure implicito) o di assorbimento.

Tuttavia, le Sezioni unite del 2002 prescelsero univocamente la tesi secondo cui, avendo l'appellato, con la sentenza di condanna di un convenuto, visto per intero realizzato il proprio interesse, gli basta (ma gli occorre) la riproposizione ex art. 346 c.p.c. della(e) domanda(e) nei confronti dell'altro (degli altri) convenuto(i). Una manifestazione di volontà ad hoc da parte dell'appellato è richiesta giacché l'unicità del rapporto sostanziale di credito, con titolare passivo incerto, non toglie che due e distinte siano le formali pretese, caratterizzate, pur nell'identità del petitum, dalla diversità dei soggetti convenuti (personae) e in parte dai fatti e dagli argomenti di sostegno (causae petendi).

4. L'ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro pone ora a confronto le conclusioni raggiunte dalla sentenza n. 11202 del 2002 con i principi enunciati da queste stesse Sezioni unite nella più recente sentenza n. 7700 del 2016. Questa sentenza ha regolato, in realtà, il caso del rigetto della domanda principale e della conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all'accoglimento della prima, affermando che per la devoluzione della domanda di garanzia al giudice investito dell'appello sulla pretesa principale non occorre la proposizione di impugnazione incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell'art. 346 c.p.c.

La sentenza n. 7700 del 2016 in premessa ha affermato che l'individuazione della linea di demarcazione fra l'appello incidentale e la riproposizione ex art. 346 c.p.c. postula che al secondo istituto sia attribuita una portata residuale rispetto al primo. In particolare, alla riproposizione deve ritenersi estraneo ogni profilo di deduzione di una critica alla decisione impugnata, il che è connaturato al concetto di impugnazione. Secondo la sentenza n. 7700 del 2016, con la riproposizione il legislatore ha inteso alludere alla prospettazione al giudice di appello di domande ed eccezioni che possono essere nuovamente "proposte" come lo erano state al primo giudice, giacché da questo "non accolte", ma senza che egli le abbia considerate espressamente o implicitamente nella sua motivazione, e dunque senza che le valutazioni su di esse abbiano concorso a determinare il contenuto della decisione, altrimenti imponendosi una critica alla sentenza e, perciò, un appello incidentale. Elaborato questo criterio, la sentenza n. 7700 del 2016 si poneva dichiaratamente in prospettiva differente dalla sentenza n. 11202 del 2002, espungendo dall'ambito di operatività dell'art. 346 c.p.c. ogni ipotesi di domanda o eccezione respinta, cioè su cui il giudice di primo grado abbia espresso una decisione o sia incorso in un error in procedendo: si legge nella più recente pronuncia che "[n]el caso di rigetto espresso (o implicito) di una domanda per ridiscuterne sarà di regola necessario l'appello, che potrà assumere carattere principale oppure incidentale e non sarà mai utilizzabile l'art. 346 c.p.c.".

La sentenza n. 7700 del 2016 conteneva anche un passaggio specificamente relativo alle ipotesi di domande alternative, che viene di seguito trascritto.

"(...) § 5.4.2. Nel caso di proposizione di domande da parte dell'attore con nesso di alternatività riguardo al loro accoglimento e, dunque, con indifferenza rispetto all'accoglimento dell'una o dell'altra, si deve distinguere a seconda che l'alternatività concerna una relazione fra le domande tale che, a livello di diritto sostanziale, esistano o i fatti costitutivi dell'una o i fatti costitutivi dell'altra, e dunque, si configuri un'alternatività oggettiva per incompatibilità nello stesso diritto sostanziale, di modo che il giudice per ritenerne fondata una debba necessariamente reputare infondata l'altra, dal caso in cui l'alternatività non sia tale, potendo coesistere i fatti costitutivi di entrambe le domande ed essendo essa solo espressione dell'indifferenza dell'interesse della parte all'accoglimento di una di esse.

§ 5.4.2.1. Nella prima ipotesi la decisione necessariamente deve avere pronunciato (anche esaminando implicitamente una di esse) su entrambe le domande e, poiché per l'attore era indifferente che fosse accolta l'una o l'altra, egli non solo non è in posizione di soccombenza pratica, essendo stato vittorioso, ma, a seguito dell'impugnazione del convenuto, che invece è soccombente, pur avendo la sentenza nell'accogliere una domanda escluso la fondatezza dell'altra, non si troverà nella condizione né di dover proporre appello incidentale né di dover riproporre l'altra domanda, qualora l'appellante convenuto proponga il suo appello censurando la sentenza di primo grado con una prospettazione che neghi la fondatezza di entrambe le domande, cioè sia di quella accolta, sia di quella esclusa solo perché incompatibile con quella accolta: in tal caso, la discussione su entrambe le domande è già sollecitata dallo stesso appellante convenuto, il quale negando la fondatezza di entrambe le domande ha già devoluto la cognizione di entrambe al giudice d'appello. Semmai per l'attore si porrà un problema di devoluzione al giudice d'appello di eventuali questioni decise espressamente o implicitamente dalla sentenza di primo grado. L'appello incidentale sarà configurabile in relazione a tali questioni e servirà ad evitare che il giudice d'appello non le possa esaminare, come imporrebbe l'art. 329, primo comma, c.p.c.

Viceversa, se il convenuto appelli la decisione di accoglimento di una domanda per ragioni solo ad essa intrinseche, che non comporterebbero la fondatezza di quella invece ritenuta infondata, l'attore, per ottenere che sia riesaminata la domanda reputata infondata, essendovi stata una decisione espressa (o implicita) riguardo ad essa, deve criticarla e, quindi, deve proporre appello incidentale quanto alla sua decisione.

§ 5.4.3. Nella seconda delle ipotesi prima formulate, se il primo giudice abbia accolto una domanda e rigettato l'altra, la posizione di indifferenza dell'attore rispetto all'accoglimento dell'una o dell'altra esclude che egli abbia interesse ad impugnare, essendo la sua soccombenza non pratica ma solo teorica dal punto di vista dell'interesse che l'aveva spinto ad agire. Se il convenuto impugni, la sua impugnazione non potrà che dirigersi che contro la domanda accolta e l'attore, a questo punto, vedrà sorgere il suo interesse a rimettere in discussione il rigetto dell'altra domanda che aveva proposto in via alternativa e con nesso di indifferenza e senza interferenze oggettive di reciproca esclusione della fondatezza dell'una sulla fondatezza dell'altra. Tale interesse per potersi realizzare abbisogna dell'appello incidentale, dato che si impone una critica alla decisione impugnata e la critica ad una decisione dinanzi ad un giudice di impugnazione si deve articolare in appello con l'impugnazione incidentale, che assumerà così carattere condizionato all'eventuale accoglimento dell'appello del convenuto sull'altra domanda.

La mera riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c. non sarà, dunque, sufficiente (...)".

5. Alla luce dei dissimili percorsi argomentativi adottati nelle sentenze n. 11202 del 2002 e n. 7700 del 2016, l'ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro ribadisce il ventaglio delle opzioni ermeneutiche, prospettandone, di volta in volta, i punti di forza e le debolezze.

Così, la ricostruzione che impone all'appellato vincitore in primo grado di proporre appello incidentale, eventualmente condizionato, sembrerebbe coerente con la considerazione che la condanna di uno dei convenuti alternativi resa in primo grado configura una decisione implicita di rigetto della pretesa avanzata nei confronti degli altri. Essa subisce, tuttavia, l'obiezione che l'attore per effetto della condanna di uno dei convenuti alternativi è comunque integralmente vincitore ed ha ottenuto il bene della vita domandato.

La ricostruzione, invece, che impone all'appellato vincitore in primo grado di riproporre ex art. 346 c.p.c. le domande nei confronti dei convenuti non soccombenti sarebbe in linea con la tesi che tali domande non siano state, in realtà, decise nel merito, essendo rimaste assorbite, oppure definite in rito. La vulnerabilità di questa soluzione discenderebbe dalla constatazione che la domanda contro i convenuti assolti risulta, in realtà, respinta nel merito, previo accertamento della identità dell'effettivo debitore, sicché non vi sarebbe spazio per l'art. 346 c.p.c.

Infine, la ricostruzione secondo cui le domande nei confronti dei convenuti non soccombenti sarebbero automaticamente devolute al giudice d'appello per effetto della proposizione del gravame del convenuto condannato, sicché non servirebbe né l'appello incidentale né l'art. 346 c.p.c., troverebbe il proprio fondamento nella situazione di litisconsorzio processuale, e quindi di inscindibilità della lite, che viene a determinarsi in conseguenza dell'articolazione delle domande formulate dall'attore.

Questo spiegherebbe perché sussista, dopo l'instaurazione del giudizio di primo grado, un litisconsorzio processuale sopravvenuto anche nei confronti dei convenuti assolti in prime cure, essendovi ormai una situazione di inscindibilità della lite. A fondamento di questa opzione, secondo l'ordinanza interlocutoria, potrebbe sopravvenire sia il disposto dell'art. 329, comma 2, c.p.c., sia il disposto dell'art. 336, comma 1, c.p.c. Sul punto, l'ordinanza interlocutoria richiama alcune precisazioni dettate nella sentenza n. 21691 del 2016 sempre di queste Sezioni unite, secondo cui, qualora due o più parti di una sentenza siano collegate da un nesso di principale a dipendente, l'accoglimento dell'impugnazione mirata sulla parte principale comporta giuridicamente e logicamente la caducazione anche della parte consequenziale, che non potrebbe reggersi da sola. Quali controindicazioni di quest'ultima scelta interpretativa, si indicano l'interesse dei convenuti non condannati in primo grado a veder subito definito l'oggetto dell'appello, nonché l'orientamento giurisprudenziale che, in ipotesi di proposizione di domande incompatibili, onera l'attore che voglia insistere nella domanda alternativa non accolta di formulare appello incidentale, eventualmente condizionato all'accoglimento del gravame principale, in quanto solo in tal modo egli potrebbe evitare la formazione del giudicato sull'accertamento dei fatti posti a fondamento della pretesa accolta ed incompatibili con quella disattesa (così Cass., n. 8674 del 2017).

6. La tendenza interpretativa sui limiti di operatività dell'art. 346 c.p.c., che l'ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro riferisce alla sentenza n. 7700 del 2016, nel senso che alla riproposizione debba ritenersi estraneo ogni profilo di critica ad una decisione comunque, espressamente o implicitamente, resa, trova più ampia conferma nella recente giurisprudenza di queste Sezioni unite.

Così, ad esempio, la sentenza n. 7940 del 2019, circa le modalità della riproposizione delle domande e delle eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite. Così la sentenza n. 13195 del 2018, che riferisce la riproposizione alle domande o alle eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite. Così la sentenza n. 11799 del 2017, che reputa non sufficiente la mera riproposizione in appello dell'eccezione di merito che sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, al contrario bastando riproporre l'eccezione che non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure. La sentenza n. 11799 del 2017, nel tracciare i "confini fra appello incidentale e c.d. mera riproposizione", ha richiamato puntualmente la sentenza n. 7700 del 2016, confermando i legami di rigorosa consequenzialità, rispettivamente, tra: enunciazione espressa o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e gravame incidentale; carenza di enunciazione espressa, o comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza e riproposizione.

7. La questione ora rimessa alle Sezioni unite coinvolge i temi dell'oggetto della domanda, e perciò dell'oggetto del processo e del contenuto della pronuncia giudiziale in rapporto all'utilità giuridica che l'attore voglia trarne, nonché dell'oggetto del giudicato, mediante la formazione progressiva dello stesso anche in ragione dei limiti devolutivi dell'appello segnati dagli artt. 342, 343 e 346 c.p.c. (ovvero, nelle controversie di lavoro, dagli artt. 434 e 436 c.p.c.).

Nel dare risposta a tale questione, in conformità a quanto evidenziato nella memoria depositata dal Pubblico Ministero, occorre pure preservare il valore della "stabilità" della giurisprudenza, particolarmente impellente soprattutto in materia di interpretazione delle norme processuali (Cass., Sez. un., sentt. n. 13620 del 2012, n. 23675 del 2014, n. 29862 del 2022, n. 8486 del 2024).

8. I profili problematici colti dall'ordinanza interlocutoria di rimessione si pongono sempre che - e soltanto se - si sia in presenza di un atto introduttivo del processo che delinea quella situazione che in dottrina si definisce "cumulo alternativo sostanziale incondizionato" di domande tra loro incompatibili.

Le considerazioni che qui vengono svolte postulano, quindi, che l'attore proponga in giudizio due (o più) pretese tra loro incompatibili nei confronti di due (o più convenuti), sufficientemente identificate nei loro elementi essenziali, senza che perciò venga meno l'onere della domanda ed il dovere di chiarezza e di specificità che il medesimo attore è tenuto ad osservare nelle proprie allegazioni, ai sensi degli artt. 163, comma 3, nn. 3 e 4, e 164, comma 4, c.p.c.

L'attore fa, dunque, causa alternativamente nei confronti di due o più convenuti, richiedendo uno stesso bene della vita, ma le domande sostanzialmente cumulate divergono, oltre che per la persona del destinatario della pretesa, eventualmente anche per il petitum immediato e/o per la causa petendi, sicché l'una domanda non può dirsi fondata ed essere accolta se risulta fondata e si accoglie l'altra, mentre esse ben possono essere entrambe rigettate.

Viene instaurata una controversia che comporta l'individuazione, in via alternativa fra due convenuti, del soggetto passivo della pretesa azionata. Le domande restano, pertanto, due, sotto il profilo strutturale, seppure avvinte da unitarietà funzionale e da interdipendenza processuale, atteso che la soluzione dell'una non può aversi se non in funzione della soluzione dell'altra, e ciò delinea l'unitarietà del litisconsorzio.

Tale configurazione si pone in continuità con la sentenza n. 11202 del 2002, che, come visto, già ravvisava, nell'unicità del rapporto sostanziale con titolare passivo incerto, due e distinte formali pretese.

È indicativo che anche alla base della sentenza n. 12310 del 2015 vi fosse il postulato della diversità, sia pure per modificazione e non per immutazione, delle domande che, sebbene accomunate dal riferimento alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, siano connotate da un rapporto di connessione per alternatività/incompatibilità.

L'applicazione dell'una o dell'altra fattispecie legale posta in rapporto di esclusione, qui dirimente al fine della individuazione dell'effettivo debitore, ferme l'unicità del credito spettante e l'unitarietà dell'oggetto del giudizio, comprova la diversità delle pretese eterodeterminate.

9. Allorché l'attore abbia esposto in modo chiaro e specifico le ragioni della propria domanda verso i due convenuti nei termini di un cumulo alternativo sostanziale incondizionato, articolato, pertanto, mediante due pretese tra loro incompatibili, il rispetto della regola di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato impone al giudice di primo grado di adempiere al proprio dovere decisorio in maniera da dirimere il dubbio irrisolto nella individuazione dell'effettivo obbligato, pervenendo all'affermazione della responsabilità di uno di essi, sicché la sentenza contiene una pluralità di statuizioni, di fondatezza e di infondatezza delle rispettive pretese, l'una dipendente e discendente dall'altra.

10. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo e dal simultaneo processo di accertamento dell'elemento comune tra le due cause comporta in sede di impugnazione l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. Anche questa conclusione trova già riscontro in una costante elaborazione giurisprudenziale, affermandosi che la proposizione di una domanda volta all'affermazione della responsabilità alternativa di uno dei due convenuti per la medesima obbligazione (in conseguenza della originaria determinazione dell'attore o della chiamata in causa del terzo indicato dal convenuto quale unico debitore) determina una situazione di litisconsorzio unitario (o necessario processuale) tra i diversi rapporti, che assoggetta, appunto, l'impugnazione alla regola dell'art. 331 c.p.c. (Cass., n. 36420 del 2023, n. 4722 del 2018, n. 10243 del 2014). L'impugnazione ritualmente proposta da uno dei convenuti alternativi e la partecipazione al giudizio dei convenuti assolti assicurano il contraddittorio in appello ed evitano il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di tutti i litisconsorti necessari, con efficacia conservativa, dunque, pure per le parti che non abbiano spiegato gravame.

Tuttavia, il litisconsorzio processuale in sede di gravame garantisce, appunto, l'integrità del contraddittorio e, cioè, quanto ai soggetti che devono prendere parte al giudizio, ma non ne determina ipso iure l'ampiezza, questa dipendendo dalle specifiche iniziative dei singoli litisconsorti in relazione all'ambito oggettivo di quanto è devoluto al giudice del gravame. L'appellato, soccombente sul capo che ha respinto le domande verso i convenuti alternativi, deve proporre impugnazione incidentale per chiedere che le stesse siano nuovamente decise nel merito.

11. Gli effetti dell'eventuale accoglimento dell'appello formulato dal singolo convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado vanno stabiliti alla luce della richiamata sentenza n. 21691 del 2016, la quale ha spiegato come opera l'effetto estensivo della riforma o della cassazione, ex art. 336, comma 1, c.p.c., nell'ipotesi di sentenza, pronunciata tra una parte soccombente ed una parte vittoriosa, strutturata in due o più capi collegati da un nesso di dipendenza, nel qual caso, appunto, gli stessi simul stabunt simul cadent, in quanto, caduto il capo principale, il capo conseguenzialmente dipendente vien meno perché non può reggersi da solo. Pertanto, il capo dipendente di sentenza recante l'enunciazione espressa o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso il convenuto alternativo rispetto a quello condannato, subisce l'effetto espansivo interno della riforma derivante dall'accoglimento del gravame principale e, dunque, non passa in giudicato, sicché dall'accoglimento dell'appello principale non discende una duplice soccombenza dell'attore stesso.

12. L'effetto espansivo della riforma provocato dal nesso di dipendenza tra le pretese in cumulo alternativo e tra i correlativi capi della decisione inerenti alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite non comporta, tuttavia, la devoluzione automatica al giudice d'appello della pronuncia sulla domanda dell'attore verso il litisconsorte alternativo assolto, non potendosi giustificare la modifica della prima sentenza su tale punto, nel senso di condannare l'altro convenuto, in forza soltanto dei motivi dell'appello principale.

12.1. Si è detto che ciò che connota il problema del cumulo alternativo sostanziale incondizionato, confezionato dall'attore in sede di introduzione della causa, è che la sentenza, per corrispondere a quanto richiesto, deve contenere una pluralità di statuizioni dipendenti, una di fondatezza e l'altra (o le altre) di infondatezza delle pretese contestualmente azionate.

Stante il descritto nesso di alternatività sostanziale corrente tra le domande avanzate dall'attore contro i diversi convenuti, la pronuncia che vi risponde deve individuare uno di loro quale debitore e rigettare la pretesa verso l'altro, giacché non obbligato, adottando due statuizioni decisorie di merito, soggettivamente differenziate, per quanto interdipendenti.

Le pretese in cumulo alternativo verso i distinti convenuti, reciprocamente incompatibili sul piano sostanziale, concorrono in modo apparente ai fini del soddisfacimento del medesimo interesse e si pongono tra loro in relazione di esclusione (non di assorbimento), sicché la decisione del giudice nel merito deve riguardare sempre entrambe, perché se è fondata l'una, è infondata l'altra.

L'eguaglianza del risultato economico cui mirano le domande cumulate non ne giustifica, tuttavia, la simultanea integrale devoluzione al giudice d'appello sol perché il convenuto soccombente con l'impugnazione principale rimette in discussione la statuizione inerente alla sua condanna, e quindi alla individuazione del soggetto passivo della pretesa azionata.

L'effetto espansivo interno della riforma opera, dunque, ex post e non implica un effetto devolutivo allargato dell'appello, perché l'unitarietà dell'oggetto del giudizio non annulla la diversità delle pretese azionate.

La riforma della statuizione di accoglimento della domanda avanzata nei confronti dell'appellante principale comporta, invero, la caducazione del capo dipendente di assoluzione del convenuto alternativo, che non può reggersi da solo, ma non modifica in peius la condizione di quest'ultimo, uscito vincitore in primo grado, se non pronunciando su uno specifico appello incidentale condizionato.

L'effetto espansivo della riforma della sentenza che abbia visto condannato uno dei convenuti alternativi non può quindi giovare oltre i limiti della soccombenza di quest'ultimo ed in favore dell'attore, il quale non abbia proposto alcuna doglianza volta a sovvertire l'esito del giudizio in danno dell'altro convenuto.

12.2. È diversa la fattispecie che viene a delinearsi in caso di impugnazione esperita avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda dell'attore di responsabilità del convenuto, sia la domanda di garanzia avanzata da quest'ultimo. Riguardo a siffatta ipotesi si è riconosciuto l'effetto espansivo dell'accoglimento del gravame, specificandosi comunque nella sentenza n. 24707 del 2015 di queste Sezioni unite che il litisconsorzio necessario determinato da questa impugnazione è tale "sul piano processuale, ma non sul piano del tenore della decisione: essa dev'essere unitaria solo se le posizioni assunte dai litisconsorti e le emergenze istruttorie giustifichino la stessa decisione".

13. Le ravvisate esigenze di "stabilità" della giurisprudenza in materia di interpretazione delle norme processuali inducono, allora, a porsi in continuità con le ancora recenti indicazioni enunciate nella sentenza n. 7700 del 2016 e nella sentenza n. 11799 del 2017, quanto al discrimen tra domanda (o eccezione) non accolta, giacché ritualmente assorbita, cioè accantonata, non decisa, resa superflua dalla costruzione logico-giuridica della motivazione della sentenza, cui si attaglia la riproposizione ex art. 346 c.p.c., e domanda altrimenti respinta in modo espresso o attraverso un'enunciazione indiretta che ne sottenda la valutazione di infondatezza, ove la parte può avere interesse a lamentare l'errore del primo giudice e deve allora chiedere la sostituzione della iniziale decisione mediante appello incidentale.

13.1. Quando l'attore abbia fatto causa cumulativamente ed alternativamente nei confronti di due o più convenuti, in maniera che una domanda non può dirsi fondata ed essere accolta se risulta fondata e si accoglie l'altra, a fronte della condanna pronunciata in danno di uno dei medesimi convenuti e dell'appello principale avanzato dal solo soccombente, che investa la decisione del primo giudice circa la titolarità passiva del rapporto dedotto in causa, l'attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. le domande verso i restanti convenuti, ma deve avanzare appello incidentale (condizionato) allorché la pronuncia di primo grado abbia comunque esaminato e deciso nel merito, respingendole, tali domande alternative (e non meramente dichiarato assorbite le stesse, con pronuncia di rito di absolutio ab instantia che non forma giudicato, come invece si addice nel caso di cumulo alternativo condizionale).

13.2. Può, peraltro, avvenire che le censure sulla ricostruzione dei fatti e sulle violazioni di legge rivolte alla sentenza di primo grado nell'appello principale del convenuto soccombente involgano la fondatezza di entrambe le domande (ovvero l'"accertamento di un elemento comune"), e, in questo caso, la devoluzione al giudice del gravame della cognizione della posizione del convenuto assolto non postula alcuna specifica iniziativa processuale dell'attore.

13.3. L'appello principale del convenuto alternativo soccombente, altrimenti, può, in ragione del capo della decisione di primo grado impugnato, delle censure proposte alla ricostruzione dei fatti ivi operata e delle violazioni di legge denunciate, rimettere in discussione la statuizione del primo giudice in ordine alla scelta del soggetto passivo della pretesa, e ciò impone all'attore di proporre gravame incidentale (anche tardivo, ai sensi dell'art. 334 c.p.c.) nei confronti dell'altro convenuto, al fine di ottenere l'affermazione dell'obbligo di questo in caso di accoglimento dell'impugnazione principale, insorgendo l'interesse all'impugnazione incidentale in conseguenza dell'impugnazione principale.

La proposizione del gravame incidentale amplia l'oggetto dell'impugnazione principale del convenuto alternativo condannato e comporta anche il riesame e la pronuncia sulla fondatezza della equipollente pretesa dell'attore verso l'altro debitore.

Non vale replicare che la soccombenza pratica dell'attore rispetto al convenuto non condannato è priva di attualità, ovvero soltanto virtuale, in quanto la proposizione dell'appello principale e il prefigurabile esito del suo accoglimento rendono, piuttosto, attuale l'interesse ad impugnare in via incidentale e condizionata.

La posizione assunta dall'attore appellato ed appellante incidentale, il quale finisce per cumulare le difese avverso l'impugnazione principale, allegando la correttezza della individuazione dell'effettivo debitore operata dalla sentenza di primo grado, e le critiche verso la medesima decisione, finalizzate ad ottenere, piuttosto, la condanna del convenuto lì rimasto assolto, non fa che riaprire nel giudizio di gravame, seppur stavolta in via condizionata, quella stessa irrisolta alternatività che aveva determinato l'attore ad instaurare così ab origine la lite.

13.4. Non appare contraria alle esigenze del giusto processo e della ragionevole durata la conclusione che la mera caducazione ex art. 336, comma 1, c.p.c. del capo dipendente della sentenza di primo grado, contenente il rigetto della pretesa dell'attore verso il convenuto alternativo assolto, non comporti il passaggio in giudicato, sicché la rispettiva pretesa può poi essere devoluta in un nuovo processo.

Ai fini della completezza del sistema delle garanzie apprestate dall'art. 111, secondo comma, Cost., i cui valori non possono entrare in comparazione, deve apprezzarsi anche l'interesse del convenuto alternativo, vincitore in primo grado, alla stabilizzazione della decisione o, altrimenti, ad essere posto a conoscenza, in modo chiaro e leale, della circostanza che sia stata proposta un'impugnazione diretta nei suoi confronti, per poter così allertare i propri poteri difensivi.

13.5. La necessità dell'impugnazione incidentale è, del resto, indicata in giurisprudenza per l'eventualità in cui, in ipotesi sempre di domanda soggettivamente alternativa, l'attore abbia ottenuto in grado d'appello l'accoglimento nei confronti di uno dei convenuti in giudizio. In tale evenienza, si sostiene che, per impedire il passaggio in giudicato della pronuncia di assoluzione dell'altro convenuto, occorre la proposizione del ricorso incidentale per cassazione (Cass., n. 3261 del 2003). Non basterebbe a giustificare la incoerenza sistematica fra le soluzioni adottate per il giudizio di appello e per il giudizio di cassazione la considerazione che in quest'ultimo non è applicabile l'art. 346 c.p.c.

14. Va enunciato, pertanto, il seguente principio di diritto.

Nel caso di domande avvinte da un nesso di cumulo alternativo soggettivo sostanziale per incompatibilità, proposte dall'attore nei confronti di due diversi convenuti, la sentenza di primo grado che condanna colui che sia individuato come effettivo obbligato contiene una statuizione di fondatezza della rispettiva pretesa e una statuizione di rigetto nel merito della pretesa alternativa incompatibile. Il nesso di dipendenza implicato dal cumulo alternativo comporta in sede di impugnazione l'applicazione dell'art. 331 c.p.c. e la riforma del capo della sentenza inerente alla titolarità passiva del rapporto dedotto in lite, conseguente all'accoglimento dell'appello formulato dal convenuto alternativo rimasto soccombente in primo grado, ha effetto anche sul capo dipendente recante l'enunciazione espressa, o anche indiretta, ma comunque chiara ed inequivoca, di infondatezza della pretesa azionata dall'attore verso l'altro convenuto. Affinché il giudice d'appello, adito in via principale sul punto dal convenuto soccombente, possa altresì accogliere la pretesa azionata verso il litisconsorte alternativo assolto in primo grado e perciò condannare quest'ultimo, l'attore non può limitarsi a riproporre ex art. 346 c.p.c. la rispettiva domanda, esaminata e respinta nella sentenza impugnata, ma deve avanzare appello incidentale condizionato.

15. In applicazione del principio enunciato, il primo motivo del ricorso di Roberto V. non è fondato.

La domanda proposta da Roberto V. era volta ad ottenere la condanna, in via alternativa, della Regione Lazio, del Comune di Latina o dell'INPS a pagare le differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori a far tempo dal 14 luglio 2003.

Le conclusioni contenute nell'atto introduttivo, in particolare, chiedevano di "accertare/dichiarare l'effettivo svolgimento da parte del ricorrente di mansioni superiori... con diritto ai benefici economici previsti ex lege" e di "condannare in favore del ricorrente la Regione Lazio..., oppure in via alternativa il Comune di Latina..., o in via ulteriormente alternativa l'INPS... al pagamento della somma di euro 22.133,00 o della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia...". Pur nell'unicità del rapporto sostanziale prospettato dall'attore in giudizio, si delineavano, a seguito della modificazione del rapporto di servizio del dipendente, distinte pretese basate su diverse causae petendi, riferibili ai diversi interessi che i convenuti alternativi (nella qualità di ente di appartenenza comandante o di organizzazione beneficiaria dell'assegnazione temporanea) potevano avere alle prestazioni lavorative oggetto delle obbligazioni dedotte in lite.

Il Tribunale di Latina, qualificata la fattispecie come comando, aveva accolto la domanda nei confronti dell'INPS, condannato a corrispondere l'importo richiesto a titolo di differenze retributive perché aveva indebitamente esercitato lo ius variandi, adibendo di fatto a mansioni superiori il lavoratore comandato alle dipendenze dell'Istituto dagli enti di appartenenza (prima Comune di Latina e poi Regione Lazio). Secondo il giudice di primo grado, tali mansioni superiori, cui l'attore era stato di fatto assegnato dall'ente utilizzatore, non potevano "riverberare i loro effetti - né in punto di inquadramento giuridico né in punto di trattamento economico - sul rapporto intrattenuto con l'amministrazione di appartenenza, la quale ultima non può subire le conseguenze di una diversa utilizzazione del lavoratore effettuata da un ente terzo rispetto al rapporto di lavoro predetto". Così, affermava il Tribunale, l'"onere economico delle mansioni superiori" non poteva "che ricadere sull'ente utilizzatore INPS". Non di meno, lo stesso Tribunale motivò la integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in deroga al principio di soccombenza, considerato pure "il vantaggio che indubbiamente le amministrazioni di appartenenza - in particolare, la Regione Lazio - hanno tratto dallo svolgimento delle mansioni superiori assegnate...".

Le domande alternative verso il Comune di Latina e la Regione Lazio erano state, pertanto, rigettate nella sentenza di primo grado, in quanto la fondatezza delle relative pretese risultava verificata nella sua esattezza ed argomentativamente esclusa dal Tribunale.

Il primo motivo dell'appello dell'INPS, accolto nella sentenza impugnata, presupposta la qualificazione della fattispecie come "mero distacco" e non come comando, era volto a criticare l'erronea individuazione dell'Istituto come soggetto passivo dell'obbligo per le differenze retributive. Si assumeva nell'atto di appello che le prestazioni del V. erano state eseguite "fisicamente presso l'INPS, ma nell'evidente interesse della Regione, che, infatti, provvedeva alla controprestazione erogando la relativa retribuzione", sicché "la responsabilità del trattamento economico, e quindi le eventuali differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori a favore del distaccato, facevano chiaramente capo alla Regione, titolare del rapporto di lavoro intrattenuto con il V.". L'appello dell'INPS chiedeva in conclusioni di "respingere le domande avversarie proposte nei confronti dell'Istituto, dichiarando che nulla è dovuto dall'INPS in favore del sig. V.".

La Corte d'appello di Roma, accogliendo il gravame principale, ha affermato che l'assegnazione del dipendente presso l'INPS era stata disposta e reiterata dai suoi enti datori di lavoro nel loro esclusivo interesse. L'INPS non doveva perciò rispondere delle pretese economiche azionate dal lavoratore. Tuttavia, Roberto V. non aveva formulato appello incidentale e nemmeno riproposto le domande nei confronti del Comune di Latina e della Regione Lazio, sicché in ordine alle stesse non poteva esserci pronuncia nel giudizio di impugnazione.

Essendo le domande del V. avvinte da un nesso di cumulo alternativo sostanziale per incompatibilità, e contenendo la sentenza di primo grado una statuizione di fondatezza della pretesa verso l'INPS e una statuizione di rigetto della pretesa verso la Regione Lazio e il Comune di Latina, a fronte dell'appello principale dell'INPS, che criticava la qualificazione legale della fattispecie ed il capo della decisione inerente alla titolarità passiva dell'obbligo retributivo dedotto in causa, il V. avrebbe dovuto proporre appello incidentale condizionato per far valere in sede di gravame le domande contro la Regione Lazio e il Comune di Latina respinte dal Tribunale. L'interesse alla proposizione dell'impugnazione incidentale sorgeva dall'impugnazione principale, la quale invocava l'applicazione della diversa fattispecie legale del "mero distacco" per pervenire alla individuazione dell'effettivo debitore, così mettendo nuovamente in discussione l'assetto complessivo delle situazioni giuridiche dedotte in causa fin dalla sua introduzione. La Corte d'appello non poteva altrimenti pervenire alla condanna dei convenuti assolti in primo grado in forza dell'accoglimento dell'impugnazione dell'INPS, premiando le difese dell'appellato che riportavano l'elemento comune alle domande alternative.

Non risulta decisivo considerare che si tratti di controversia soggetta al rito del lavoro, non avendo comunque l'appello in tale rito effetto pienamente devolutivo (artt. 434 e 436 c.p.c.).

16. Queste Sezioni unite, dopo aver pronunciato sul primo motivo di ricorso e sulla questione di massima di particolare importanza sollevata con l'ordinanza interlocutoria, rimettono l'esame dei restanti motivi alla Sezione lavoro, a norma dell'art. 142 disp. att. c.p.c.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e rimette alla Sezione lavoro la decisione sui restanti motivi.