Corte di cassazione
Sezioni unite penali
Sentenza 28 marzo 2024, n. 36208
Presidente: Cassano - Estensore: Serrao
RITENUTO IN FATTO
1. Salvatore M. veniva tratto a giudizio davanti al Tribunale di Siracusa, per rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p. «perché, nel condurre l'imbarcazione Aretusa della società cooperativa complesso portuale di Siracusa, adibita al trasporto passeggeri, all'interno della Baia di Santa Panagia in direzione della piattaforma n. 6 pontile ISAB, con colpa consistita nel non regolare la velocità e le modalità di navigazione in considerazione delle condizioni di luce e di avvistamento e, pertanto, nel non mettere in atto la necessaria manovra di accostamento a dritta di cui alla regola 14 punto A del Regolamento internazionale per evitare gli abbordi in mare, entrava in collisione con l'imbarcazione da diporto della persona offesa che procedeva con rotta opposta, così concorrendo a causare il sinistro dal quale derivava la morte per annegamento di C. Carmelo». Fatto commesso in territorio di Siracusa, il 3 gennaio 2011.
2. Il giudice di primo grado, all'esito di giudizio ordinario, con sentenza del 9 maggio 2018, ritenuta provata la responsabilità penale dell'imputato per il reato ascrittogli, con il concorso colposo della vittima, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, condannava Salvatore M. alla pena di un anno di reclusione, nonché, in solido con il responsabile civile HDI Assicurazioni s.p.a., al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede, oltre che al pagamento in loro favore di una provvisionale.
In particolare, il giudice di primo grado ascriveva all'imputato la violazione di tre regole cautelari previste dal COLREG: la regola 6, che indica tra i fattori che incidono sulla velocità di sicurezza «la presenza di luci di sfondo come quelle dovute a luci costiere e al bagliore delle proprie luci»; la regola 15, che descrive il comportamento delle navi che si trovano nella situazione di rotte incrociate, imponendo alla nave che vede l'altra sulla propria dritta di lasciare libera la rotta evitando di passarle di prora; la regola 16, secondo la quale una nave che deve lasciare libera la rotta a un'altra nave deve, per quanto possibile, manovrare in modo deciso e tempestivo per ottemperare a tale obbligo e lasciare libera la rotta. Pur in assenza di un limite di velocità nell'area in cui si è verificato il sinistro, la velocità media di navigazione di 15,40 nodi era ritenuta eccessiva e sproporzionata in relazione alle circostanze del caso.
3. Avverso tale sentenza proponevano appello la difesa dell'imputato, le parti civili e il responsabile civile.
3.1. La difesa dell'imputato eccepiva la nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p. assumendo che il M. era stato condannato per un fatto diverso da quello indicato nel capo di imputazione, e, in ogni caso, nel merito, ne chiedeva l'assoluzione essendo provato che il fatto non sussiste o comunque non costituisce reato; in subordine, sollecitava la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
3.2. Le parti civili chiedevano affermarsi l'esclusiva responsabilità dell'imputato nella causazione dell'evento dannoso, e la condanna dello stesso all'integrale risarcimento del danno, in solido con il responsabile civile; in subordine, aumentarsi la somma riconosciuta a titolo di provvisionale.
3.3. Il responsabile civile chiedeva l'assoluzione dell'imputato ai fini degli interessi civili.
4. La Corte di appello di Catania, premesso che alla data della pronuncia qui impugnata il reato risultava prescritto, in considerazione della presenza delle parti civili ha valutato i fatti nel merito, pervenendo alla conclusione che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l'istruttoria dibattimentale non aveva consegnato la prova della responsabilità penale dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Su tale base, con sentenza del 25 gennaio 2022, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto Salvatore M. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste, con revoca delle statuizioni civili.
In dettaglio, la Corte territoriale evidenziava l'impossibilità di stabilire con esattezza il punto in cui fosse avvenuto l'impatto, c.d. punto nave, così da non consentire di ritenere conoscibile l'effettiva velocità della motobarca. In relazione al residuo profilo di colpa generica, inerente alla velocità asseritamente inadeguata alle circostanze di luce e di avvistamento, escludeva l'evitabilità dell'evento per l'insufficienza della prova dell'avvistabilità del natante da parte del M.
5. Avverso tale provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione, ai soli effetti civili ai sensi degli artt. 576 e 622 c.p.p., C. Luca, C. Fabio e Ca. Lucia, parti civili costituite, deducendo i motivi di seguito enunciati.
5.1. Con il primo motivo denunciano violazione delle regole 6 e 15 del regolamento internazionale per prevenire gli abbordi in mare (di seguito COLREG) e degli artt. 521 e 522 c.p.p., nonché mancanza o apparenza della motivazione in ordine alla contestazione di colpa specifica attribuita all'imputato, anche in relazione agli argomenti sviluppati nella comparsa conclusionale. Deducono, infatti, che i giudici di appello, senza aver dichiarato nel dispositivo la nullità della sentenza di primo grado, hanno condiviso le argomentazioni della difesa dell'imputato, ritenendo dunque di non poter imputare al M. alcuna delle due violazioni considerate: la regola 14 COLREG, perché esclusa dal primo giudice, e la regola 15 COLREG, perché «non ritualmente contestata mediante la modifica del capo di imputazione» (pag. 5 della sentenza impugnata). Inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto di escludere la violazione della regola 6 COLREG come profilo di colpa specifica, in quanto ritenuta (erroneamente secondo i ricorrenti) regola generale sulla velocità, inerente al giudizio sulla colpa generica sotto il profilo dell'imprudenza. Dall'istruttoria dibattimentale sarebbe, invero, emersa una dinamica del sinistro parzialmente differente da quella ipotizzata nel capo di imputazione, essendosi accertato che le imbarcazioni non navigavano con rotte contrapposte, bensì con una incidenza di circa 45 gradi a prora rispetto alla direzione della MB Aretusa, con provenienza del C. da dritta; dunque con rotte perpendicolari. Secondo la tesi proposta in ricorso, questa diversa ricostruzione, incentrata sulla regola 15 e non sulla regola 14 COLREG, non avrebbe in concreto determinato un mutamento della condotta doverosa. Entrambe le regole citate, infatti, avrebbero imposto al M. di manovrare virando a dritta per cedere la rotta all'imbarcazione del C.
5.2. Con il secondo motivo deducono che la motivazione del provvedimento impugnato è viziata da travisamento della prova ed è manifestamente illogica e contraddittoria in ordine alla ritenuta insussistenza della colpa generica, sotto il profilo dell'imprudenza. Si censura l'affermazione dei giudici di appello secondo cui, oltre alla velocità eccessiva, «nel corpo della sentenza (e nelle perizie in atti) non si riscontrerebbe alcun riferimento a specifiche e diverse "modalità di navigazione" inadeguate alle condizioni di tempo e luogo», ritenendo i ricorrenti che la condotta sarebbe stata imprudente in quanto violativa della regola 6 COLREG, che disciplina la velocità di sicurezza, da calibrarsi sul grado di visibilità dell'orizzonte, nel caso specifico limitato dal bagliore delle luci del pontile ISAB, nonché dall'illuminazione delle imbarcazioni attraccate al pontile medesimo e di quelle alla fonda. La motivazione sarebbe manifestamente illogica nonché contraddittoria rispetto alle risultanze processuali, avendo i giudici escluso l'esigibilità di una condotta alternativa lecita sebbene i consulenti avessero ritenuto pericolosa la velocità di Kn 15,40 per la navigazione nello specchio acqueo compreso tra il Porto Rifugio e il Pontile ISAB. Con riguardo alla colpa specifica, si assume che, se il M. avesse manovrato tempestivamente a dritta, avrebbe certamente evitato di speronare, sovrastandola letteralmente (come evidenziato dal consulente tecnico di parte Grasso), l'imbarcazione della vittima. Essendo la visibilità severamente compromessa, l'imputato avrebbe dovuto regolare la velocità in presenza di bagliore e riverbero delle luci del pontile ISAB, che non consentivano una normale capacità di avvistamento dei natanti che si sarebbero potuti frapporre nella rotta tra l'imbarcazione Aretusa e il pontile. Contraddittoriamente la Corte, pur ritenendo provato che presso il Porto Rifugio insistevano sia il Cantiere Navale Stentinello sia il Circolo Nautico Targia, da cui uscivano e rientravano unità navali e da diporto, non ha ritenuto l'evento prevedibile in concreto per il M.; l'evento sarebbe stato evitabile adottando gli accorgimenti dovuti in relazione alle condizioni di visibilità. Sebbene il primo giudice, sulla scorta della regola 23, comma 2, COLREG, avesse ammesso che la luce di avvistamento, in relazione alla tipologia dell'imbarcazione del C., potesse essere mobile e non fissa, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto non provato che l'imbarcazione fosse visibile, travisando peraltro la prova testimoniale diretta del teste P., il quale aveva riferito che il giorno del sinistro il C. avesse con sé la luce di avvistamento già montata prima di prendere il mare.
5.3. Con il terzo motivo deducono violazione degli artt. 125, comma 3, 129, comma 2, e 578 c.p.p. nonché motivazione mancante o apparente laddove è stata pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste in luogo della declaratoria di intervenuta prescrizione. La Corte territoriale, pur avendo dato atto dell'intervenuta prescrizione del reato (maturata alla data di trattazione del processo in secondo grado), ha affermato di dover procedere comunque alla valutazione del fatto nel merito per la costituzione della parte civile e ha assolto l'imputato per insussistenza del fatto, non essendo stata raggiunta la prova di colpevolezza secondo il paradigma dell'«oltre ogni ragionevole dubbio». La Corte etnea sembrerebbe aver preso implicitamente spunto dall'indirizzo interpretativo della nota sentenza Sez. un., n. 35490 del 15 settembre 2009, Tettamanti, Rv. 244273-01, secondo cui allorquando, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., il giudice di appello, intervenuta una causa estintiva del reato, è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, anche nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova. L'insufficienza della prova è stata ravvisata in merito alla sola colpa generica sulla base di una sommaria ricostruzione del fatto, valutato secondo la regola di giudizio penalistica dell'«oltre ogni ragionevole dubbio» anziché secondo il criterio civilistico del «più probabile che non». Ad avviso dei ricorrenti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, il giudice avrebbe dovuto allineare la decisione all'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 578 c.p.p. ivi indicata. Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del reato ai sensi dell'art. 129, comma 1, c.p.p. e valutare la condotta del M. sotto il mero profilo della responsabilità civile ex artt. 2043, 2054 e 2059 c.c., esaminando il fatto così come ricostruito in sentenza in relazione alla violazione delle regole 6 e 15 COLREG. Ci si duole che il giudice di appello, invece, abbia considerato sussistente il ragionevole dubbio sul presupposto di non poter valutare i profili di colpa specifica riconosciuti all'imputato in primo grado, dunque indirizzando la valutazione della condotta del soggetto agente verso il solo profilo della colpa generica. Valutazione, quest'ultima, parimenti viziata, poiché fondata su una semplificazione del fatto e su una rilettura superficiale delle prove.
6. In data 23 maggio 2023 è stata presentata memoria difensiva nell'interesse di Salvatore M. a firma dei difensori di fiducia, Avv.ti Lucia Randazzo e Gaetano Maria Greco, con la quale, ricordati gli snodi della vicenda processuale, ripercorso il decisum del giudice di appello, in particolar modo per quanto riguarda la nullità della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 522 c.p.p., l'assenza di prova della responsabilità colposa dell'imputato, la imprevedibilità e l'inevitabilità dell'evento, nonché la velocità del natante condotto dal M., si deduce l'inammissibilità per genericità e aspecificità dei motivi del ricorso proposto dalle parti civili, nonché l'infondatezza degli stessi. Si sostiene che le doglianze proposte sollecitano una rivalutazione del fatto, non ammissibile nel giudizio di legittimità.
7. In data 25 maggio 2023 è stata depositata memoria a firma del difensore del responsabile civile HD Assicurazioni s.p.a., con cui si chiede rilevarsi l'inammissibilità del ricorso per cassazione, ex artt. 591 e 606 c.p.p., poiché proposto per motivi manifestamente infondati o, in subordine, qualora si ritenesse di non applicare la novella legislativa di cui all'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., rigettarsi il ricorso con conseguente condanna al pagamento delle ulteriori spese sostenute in questo grado di giudizio.
8. Con ordinanza dell'8 giugno 2023, la Sezione Quarta Penale ha rimesso alle Sezioni unite la questione inerente al sindacato del giudice di appello e alla regola di giudizio applicabile a fronte del gravame proposto dall'imputato, condannato in primo grado anche al risarcimento del danno, che non abbia rinunciato alla prescrizione.
8.1. Il Collegio rimettente ha evidenziato che il terzo motivo di ricorso, letto nell'ottica della pronuncia della Corte costituzionale n. 182 del 2021, sarebbe fondato perché il giudice di appello, trovatosi di fronte a un reato prescritto, avrebbe dovuto: ai fini penali, valutata l'insussistenza della evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato, concludere per l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione; ai fini civili, valutata la responsabilità del M. in rapporto alla fattispecie dell'illecito aquiliano, applicata la regola di giudizio del «più probabile che non», pronunciarsi unicamente sul diritto delle parti civili al risarcimento del danno. Ha, per converso, considerato che il motivo risulterebbe infondato facendo applicazione del principio espresso dalla Corte di cassazione a Sezioni unite nel 2009, essendosi la Corte distrettuale attenuta a esso.
8.2. La Sezione Quarta ha, dunque, ritenuto che, per quanto interpretativa di rigetto, la sentenza n. 182 del 2021 costituisca termine di riferimento non eludibile, perché la soluzione adottata appare comporre in un ragionevole equilibrio i diversi valori in gioco, ponendosi nella linea di tendenza anche normativa di una sempre più evidente distinzione tra azione penale e azione civile (citando Sez. un., n. 22065 del 28 gennaio 2021, Cremonini, Rv. 281228, e l'impianto complessivo della c.d. Riforma Cartabia), mentre la pronuncia Sez. un. Tettamanti sarebbe espressione di un diritto vivente per il quale la presunzione di innocenza non è chiamata a svolgere, nell'ambito dei rapporti tra azione penale e azione civile, il ruolo di principio ordinatore, e si inscrive in un contesto culturale che trasmette all'azione civile le regole del giudizio penale in cui è stata ospitata. Intendendo, pertanto, il Collegio dissentire dal principio enunciato da Sez. un. Tettamanti, ha rimesso la soluzione della questione alle Sezioni unite, secondo il disposto dell'art. 618, comma 1-bis, c.p.p.
9. Con decreto del 1° agosto 2023 la Prima Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'odierna udienza pubblica.
10. Con istanza in data 5 ottobre 2023 il difensore delle parti civili ha chiesto la trattazione orale della causa; con provvedimento in data 24 gennaio 2024 la Prima Presidente ha accolto la richiesta. Il Procuratore generale e i difensori di Salvatore M. hanno depositato memorie. All'odierna udienza, le parti hanno rassegnato le conclusioni in epigrafe trascritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso che la rimessione della questione alle Sezioni unite, testualmente riferita all'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., non era necessitata da tale norma, posto che l'obbligo di rimessione non è riferibile ai casi nei quali al «precedente vincolante» abbia fatto seguito una modifica normativa o una sentenza (anche interpretativa di rigetto) della Corte costituzionale che abbia mutato il quadro preesistente. Il che non esclude che la questione possa ugualmente essere trattenuta dal Primo Presidente sulla base della qualificazione della questione come «di particolare importanza»; tale provvedimento, seppure previsto per la fase di prima assegnazione dei ricorsi, può ugualmente essere adottato, per ragioni logico-sistematiche correlate alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte, anche successivamente a una rimessione della Sezione semplice all'esito del giudizio in udienza sul ricorso proposto.
2. La questione di diritto sulla quale le Sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi è la seguente:
«Se, nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, possa pronunciare l'assoluzione nel merito anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", ovvero debba far prevalere la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, pronunciandosi sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica del "più probabile che non"».
Occorre in primo luogo richiamare le ragioni del principio di diritto enunciato da Sez. un. Tettamanti.
Le Sezioni unite, chiamate a dirimere il contrasto circa la prevalenza o meno del proscioglimento nel merito rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, hanno espresso il principio per cui «all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili».
La pronuncia, muovendo dal criterio di bilanciamento espresso dalla Corte costituzionale (sentenze n. 175 del 1971 e n. 275 del 1990, ordinanze nn. 300 e 362 del 1991) per cui l'equilibrio del sistema è garantito dalla possibilità per l'imputato di rinunciare alle cause estintive del reato (amnistia o prescrizione), ha confermato la prevalenza dell'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità, dovendosi privilegiare in linea di principio le esigenze di speditezza sottese al disposto dell'art. 129 c.p.p.
Le Sezioni unite hanno, però, osservato che l'enunciato dell'art. 578 c.p.p. dischiude, in presenza della parte civile, al giudice di appello la porta della "cognizione piena"; tale constatazione ha condotto ad affermare il principio, favorevole all'imputato, della prevalenza, in tal caso, del proscioglimento nel merito secondo la regola dettata dall'art. 530, commi 1 e 2, c.p.p. sulle esigenze di speditezza delle quali è espressione la declaratoria ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
La pronuncia ha messo in luce che l'orientamento della giurisprudenza costituzionale, che aveva indicato nel diritto dell'imputato a rinunciare all'amnistia e alla prescrizione il punto di equilibrio sul quale riposa la legittimità costituzionale dell'art. 129, comma 2, c.p.p., lasciava in ombra la regola per cui, in presenza della parte civile, il giudice è tenuto a valutare nel merito, anche al maturare di una causa estintiva del reato, il compendio probatorio già acquisito ai fini delle statuizioni civili.
Ciò rende recessivo l'obbligo per il giudice di appello di attenersi a canoni di economia processuale rispetto al dovere di "conoscere" il merito della causa, aprendo in tal modo il varco alla tutela dei diritti fondamentali della persona imputata.
L'accertamento del diritto al risarcimento del danno da reato implica, infatti, nel rispetto del contraddittorio, anche il diritto alla prova contraria, garantito a livello costituzionale dall'art. 111, terzo comma, Cost. e dall'art. 495, comma 2, c.p.p. in conformità all'art. 6, § 3, lett. d), CEDU.
Divenendo recessiva l'esigenza di speditezza del processo, pur in presenza della causa estintiva e in assenza di rinuncia dell'imputato ad avvalersi della stessa, è logico che riemerga l'imperativo di assolvere l'imputato non solo a fronte dell'evidenza dell'innocenza, come espressamente previsto dall'art. 129, comma 2, c.p.p., ma anche nel caso in cui, pur essendovi alcuni elementi probatori a carico, essi siano inidonei a fondare una dichiarazione di responsabilità penale secondo la regola di giudizio di cui al secondo comma dell'art. 530 del codice di rito.
Lo sviluppo argomentativo della sentenza Tettamanti è integrato dall'ulteriore constatazione che il parametro dell'evidenza sancito dall'art. 129, comma 2, c.p.p., e con esso lo sbarramento a ogni ulteriore attività processuale, non altera il susseguirsi delle fasi processuali allorché il fenomeno estintivo emerga, piuttosto che nella fase istruttoria, in quella decisoria.
Prevedendo, dunque, l'art. 578 c.p.p. il potere di cognizione piena del giudice di appello alla duplice condizione della presenza della parte civile e della ricorrenza del fenomeno estintivo della prescrizione (o dell'amnistia), alle medesime condizioni le Sezioni unite hanno ammesso l'esito assolutorio, anche ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., con prevalenza sulla causa estintiva.
Il principio in esame concerne il caso dell'assoluzione nel merito in appello, pur a fronte di prescrizione maturata, per mancanza o insufficienza di prova; tale soluzione ermeneutica, che ha trovato il suo argomento di fondo nell'interpretazione dell'art. 578 c.p.p., non esaurisce il perimetro applicativo della disposizione.
Infatti, con la pronuncia Sez. un. Schirru, n. 46688 del 29 settembre 2016, Rv. 267885-01, si è evidenziato che, qualora sia intervenuta la condanna in primo grado, l'art. 578 c.p.p. attribuisce al giudice dell'impugnazione il potere di pronunciarsi, a margine della declaratoria della causa di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, anche sugli interessi civili; tanto in deroga alla regola generale per cui il potere di cognizione del giudice dell'impugnazione sugli interessi civili è accessorio alla pronuncia di una sentenza di condanna, in base al combinato disposto degli artt. 598 e 538 c.p.p.
Tale pronuncia chiarisce, dunque, che in base all'art. 578 c.p.p. è riconosciuto al giudice dell'impugnazione il potere di accertare la responsabilità civile anche in caso di declaratoria di prescrizione del reato, ossia in difetto di condanna dell'imputato agli effetti penali.
In definitiva, la disposizione dell'art. 578 c.p.p. prevede eccezionalmente, in presenza della parte civile, da un lato, la cognizione piena sull'accusa penale del giudice di appello pur a fronte di prescrizione maturata; dall'altro, il permanere del potere di cognizione del giudice di appello sugli interessi civili a seguito della declaratoria di prescrizione.
Nel primo caso, argomentando dal potere di cognizione piena del giudice di appello in presenza della parte civile, Sez. un. Tettamanti consente l'assoluzione nel merito per mancanza o insufficienza della prova, pur essendo maturata la prescrizione; nel secondo caso, che ha formato oggetto dell'esame della Corte costituzionale nella sentenza n. 182 del 2021, si tratta della valutazione della responsabilità civile da parte del giudice dell'impugnazione penale a seguito di dichiarazione di prescrizione del reato in appello.
4. Le Sezioni semplici di questa Corte hanno fatto costante applicazione dei principi enunciati da Sez. un. Tettamanti.
In numerose sentenze si è ribadito che il giudice di appello, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato per il quale in primo grado è intervenuta condanna, non può desumere le ragioni della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato in quanto, una volta chiamato a esprimersi sulla conferma delle statuizioni civili, anche per ritenere comunque ai fini penali la prevalenza di una causa estintiva, non può esimersi dal confutare in maniera specifica i motivi d'appello proposti dall'imputato al fine di escludere i presupposti per il proscioglimento nel merito, non solo con riguardo al parametro dell'evidenza della prova d'innocenza o dell'assenza assoluta di quella di colpevolezza, ma anche in relazione a quelli di contraddittorietà o insufficienza del compendio probatorio (ex multis, Sez. 5, n. 1951 del 4 novembre 2020, Beatrice, non mass.; Sez. 2, n. 29499 del 23 maggio 2017, Ambrois, Rv. 270322-01; Sez. 5, n. 28289 del 6 giugno 2013, Cologno, Rv. 256283-01; Sez. 6, n. 4855 del 7 gennaio 2010, Damiani, Rv. 246138-01).
In merito al rapporto tra art. 129 c.p.p. e art. 578 c.p.p., hanno affermato che «all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo il caso in cui il giudice, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, sia chiamato a valutare, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili» (Sez. 4, n. 53354 del 21 novembre 2018, Zuccherelli, Rv. 274497-01; Sez. 4, n. 55519 del 16 novembre 2018, Dentoni, Rv. 274767-01; Sez. 4, n. 20568 dell'11 aprile 2018, D.L., Rv. 273259-01; Sez. 2, n. 38049 del 18 luglio 2014, De Vuono, Rv. 260586-01; Sez. 6, n. 4855 del 7 gennaio 2010, Damiani, Rv. 246138-01).
Come ulteriore sviluppo, si è parlato di «maggior effetto utile per l'imputato» al quale deve tendere il processo penale, affermandosi il principio per cui «nel giudizio di cassazione, qualora risulti che la sentenza di appello ha illegittimamente dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione avverso la condanna di primo grado e si proceda contestualmente anche agli effetti civili, la Corte non può immediatamente dichiarare l'estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, limitandosi a escludere la possibilità di un più favorevole proscioglimento per ragioni di merito ex art. 129 c.p.p., poiché il ricorso dell'imputato in ordine all'affermazione di responsabilità impone la valutazione del compendio probatorio "a cognizione piena", sia agli effetti penali che a quelli civili, con conseguente trasmissione degli atti al giudice penale a seguito di annullamento con rinvio» (Sez. 5, n. 46780 del 22 dicembre 2021, Nobili, Rv. 282380-01; Sez. 2, n. 8935 del 21 gennaio 2020, Pulcrano, Rv. 278588-01).
Come corollario della pronuncia di Sez. un. Tettamanti si è affermato che l'illegittima negazione del giudizio di appello a cognizione piena può determinare da parte della Corte di cassazione l'annullamento con rinvio al giudice penale della sentenza che abbia dichiarato la prescrizione pure a fronte della richiesta dell'imputato di un proscioglimento nel merito (Sez. 2, n. 21071 del 15 febbraio 2023, Tonel, non mass.; Sez. 2, n. 8327 del 24 novembre 2021, dep. 2022, Salvatore, Rv. 282815-01; Sez. 5, n. 46780 del 20 settembre 2021, Nobile, cit.; Sez. 5, n. 43690 del 10 settembre 2021, Singh, non mass. sul punto).
Le pronunce richiamate confermano, dunque, che i principi espressi da Sez. un. Tettamanti costituiscono "diritto vivente" secondo i parametri assunti dalla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis: Corte cost., sentenze n. 54 del 2023, n. 84 del 1996, n. 3 del 1956).
5. Secondo i ricorrenti, e nell'impostazione della Sezione rimettente, questi principi meritano di essere rivisitati alla luce dell'interpretazione dell'art. 578 c.p.p. operata dalla Corte costituzionale nella sentenza interpretativa di rigetto n. 182 del 2021.
Si sostiene nel ricorso che tale interpretazione impone al giudice dell'impugnazione di prendere atto della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione e di provvedere sull'impugnazione ai soli effetti civili. In assenza di rinuncia alla prescrizione da parte dell'imputato e mancando l'evidenza della prova di innocenza, nel caso concreto il giudice avrebbe dovuto valutare le emergenze istruttorie secondo la regola di giudizio processual-civilistica del «più probabile che non» ex artt. 2043, 2054 e 2059 c.c., non potendo recuperare «opinabili valutazioni fondate sul ragionevole dubbio in ambito penale».
I rilievi difensivi rendono necessario ripercorrere la motivazione della sentenza del Giudice delle leggi.
La Corte costituzionale ha ricostruito il quadro normativo di riferimento, limitatamente all'ambito di applicabilità della disposizione censurata, sotto il profilo del sistema dei rapporti tra giudizio civile e giudizio penale, nonché dei rapporti tra azione civile e poteri cognitivi del giudice penale.
Con riguardo al primo profilo, osserva che il codice di procedura penale in vigore prevede che la sentenza penale irrevocabile di assoluzione non abbia efficacia di giudicato nel processo civile se il danneggiato esercita l'azione in sede civile a norma dell'art. 75, comma 2, c.p.p.
Qualora, invece, la domanda risarcitoria venga proposta in sede penale tramite la costituzione di parte civile, trova applicazione la regola dell'accessorietà dell'azione civile, con tutti i conseguenti adattamenti derivanti dalla funzione e dalla struttura del processo penale.
Ciò comporta che, se il giudice di primo grado pronuncia sentenza di proscioglimento, non deve provvedere sulla domanda civile; al contrario, la pronuncia di una sentenza di condanna comporta, ai sensi dell'art. 538 c.p.p., la statuizione del giudice anche sulla domanda restitutoria o risarcitoria.
In sede di impugnazione, invece, tali regole deflettono a favore del diritto di azione della parte civile, essendo assegnato al giudice del gravame il potere-dovere di provvedere sulla domanda civile, pure in presenza di una pronuncia di proscioglimento, ossia in assenza dell'accertamento della responsabilità penale.
A proposito delle deroghe al regime di accessorietà, è richiamato in primo luogo l'art. 576 c.p.p., che conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento del danno e alle restituzioni pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto.
L'art. 578 c.p.p., inoltre, prevede il soddisfacimento delle pretese della parte civile, in presenza di una condanna pronunciata in primo grado e di maturazione del termine prescrizionale nelle more della celebrazione del giudizio di appello. Condizioni perché il giudice dell'impugnazione possa pronunciarsi sugli interessi civili sono: l'emissione di una valida condanna nel grado di giudizio precedente, impugnata dall'imputato, alla quale sia sopravvenuta una causa estintiva del reato (amnistia o prescrizione); la circostanza che il proscioglimento non sia stato pronunciato nel merito (in quanto «all'eventuale assoluzione dall'imputazione penale pronunciata dal giudice dell'impugnazione non segue la decisione sul capo civile»).
La terza norma richiamata quale eccezione al principio di accessorietà è l'art. 622 c.p.p.
Dopo essersi espressa sulla portata e sul significato del diritto alla presunzione di innocenza nell'ordinamento convenzionale e in quello europeo, la Consulta ha escluso che il giudice di appello debba procedere a una rivalutazione complessiva della responsabilità penale dell'imputato qualora, accertata la sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, sia chiamato a decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili.
La Corte ha ritenuto che, nella situazione processuale descritta dall'art. 578 c.p.p., a differenza di quanto previsto dall'art. 578-bis c.p.p., il giudice «non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza che concernono gli interessi civili».
L'ambito della cognizione richiesta al giudice penale ai fini del provvedimento sull'azione civile, in ossequio ai parametri dettati dall'art. 6 CEDU, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza di Strasburgo, nonché dall'art. 48 Carta di Nizza, non deve dunque essere esteso dall'interprete ai profili di colpevolezza penalmente rilevanti.
È richiamata Sez. un. Tettamanti, da un lato per condividere l'enunciato in base al quale, in caso di sopravvenuta estinzione del reato, il giudice di appello, per la presenza della parte civile, è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili con cognizione a carattere "pieno" o " integrale"; dall'altro, per mettere in luce che il principio enunciato dalle Sezioni unite «non presuppone (né implica) che il giudice, nel conoscere della domanda civile, debba altresì formulare, esplicitamente o meno, un giudizio sulla colpevolezza dell'imputato e debba effettuare un accertamento, principale o incidentale, sulla sua responsabilità penale».
Quanto precede ha indotto l'ulteriore precisazione secondo cui «il giudice penale dell'impugnazione è chiamato ad accertare i presupposti dell'illecito civile e nient'affatto la responsabilità penale dell'imputato, ormai prosciolto per essere il reato estinto per prescrizione», in tal modo marcando la distanza dal caso, esaminato da Sez. un. Tettamanti, in cui siano ancora sub iudice tutti i profili attinenti alla responsabilità dell'imputato.
La circostanza che l'accertamento sulle statuizioni civili si svolge dinanzi a un giudice penale ed è condotto applicando le regole processuali e probatorie del processo penale (art. 573 c.p.p.) non mette in dubbio l'autonomia dell'accertamento dell'illecito civile.
Tale affermazione indica che, pur nel rispetto delle regole proprie del processo penale che disciplinano tanto i mezzi di prova (sarà così ammissibile e utilizzabile, ad esempio, la testimonianza della persona offesa che nel processo civile sarebbe interdetta dall'art. 246 c.p.c.), quanto le modalità di assunzione della prova (le prove costituende saranno così assunte per cross examination ex art. 499 c.p.p. e non per interrogatorio diretto del giudice), l'accertamento demandato al giudice penale rimane confinato entro l'ambito del giudizio sulla responsabilità civile.
In sintesi, la Corte costituzionale ha stabilito che il giudice dell'impugnazione penale, a seguito della declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (in conseguenza della quale la cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato viene meno), deve comunque provvedere, in applicazione dell'art. 578 c.p.p., sull'impugnazione ai soli effetti civili, compiendo un accertamento incentrato sugli elementi costitutivi dell'illecito civile, senza poter conoscere, sia pure incidenter tantum, la responsabilità penale dell'imputato per il reato estinto.
6. Tanto premesso, alle Sezioni unite si chiede di valutare se dalla lettura costituzionalmente orientata dell'art. 578 c.p.p. operata dalla Consulta consegua che è precluso al giudice di appello penale, al maturare del termine di prescrizione del reato, l'accertamento a favore dell'imputato dei presupposti per l'assoluzione nel merito nei termini nei quali è stato, invece, ammesso da Sez. un. Tettamanti.
Il Collegio ritiene che alla questione debba essere data soluzione negativa perché non vi è incompatibilità tra le due pronunce.
Occorre muovere dal presupposto che la sentenza interpretativa di rigetto del Giudice delle leggi pone un vincolo negativo di interpretazione (Sez. un., n. 3513 del 16 dicembre 2021, Fiorentino, non mass. sul punto), nel senso che il giudice a quo non può attribuire alla disposizione di legge la portata esegetica ritenuta non corretta dalla Corte costituzionale, pur restando libero di optare a favore di differenti soluzioni ermeneutiche che, ancorché non coincidenti con quelle della sentenza interpretativa di rigetto, non collidano con norme e principi costituzionali (Sez. un., n. 23016 del 31 marzo 2004, Pezzella, Rv. 227523-01; Sez. un., n. 25 del 16 dicembre 1998, dep. 1999, Alagni, Rv. 212074-01; Sez. un., n. 930 del 13 dicembre 1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203426-01).
Il vincolo negativo posto dalla sentenza n. 182 cit. implica che l'art. 578 c.p.p. non può essere interpretato nel senso che l'accertamento della responsabilità civile da parte del giudice di appello penale, esaurita la vicenda penale con la declaratoria di prescrizione del reato, equivalga ad affermazione, sia pur incidenter tantum, di responsabilità penale.
La ratio della pronuncia della Consulta è quella di evitare che, attraverso l'esame del fatto imposto dall'art. 578 c.p.p. ai soli fini delle statuizioni sulla responsabilità civile, si giunga ad affermare de facto la responsabilità penale, così violando il principio di presunzione di non colpevolezza.
La situazione processuale oggetto della pronuncia della Consulta riguarda il caso in cui «il giudice dell'impugnazione penale (giudice di appello o Corte di cassazione), spogliatosi della cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato in seguito alla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (o per sopravvenuta amnistia), deve provvedere - in applicazione della disposizione censurata - sull'impugnazione ai soli effetti civili».
Il principio espresso da Sez. un. Tettamanti opera, invece, nel caso in cui non sia venuta meno per il giudice dell'impugnazione penale la cognizione sulla responsabilità penale dell'imputato.
In altre parole, l'esigenza di tutela della presunzione d'innocenza nei rapporti tra proscioglimento in rito dall'accusa penale e potere cognitivo del giudice dell'impugnazione sugli interessi civili non si pone nell'ambito applicativo del principio espresso da Sez. un. Tettamanti, concernente la possibilità per il giudice penale di privilegiare l'assoluzione nel merito dall'accusa penale sulla declaratoria di prescrizione, con parallela revoca delle statuizioni civili.
Di ciò si trae conferma dal passaggio motivazionale (§ 6.2) della sentenza n. 182 cit. in cui si precisa che la disposizione dettata dall'art. 578 c.p.p. «non opera né nelle ipotesi di proscioglimento nel merito (all'eventuale assoluzione dall'imputazione penale pronunciata dal giudice dell'impugnazione non segue la decisione sul capo civile), né nell'ipotesi di cause estintive del reato diverse dalla prescrizione o dall'amnistia».
La sentenza della Corte costituzionale fornisce la legittima esegesi dell'art. 578 c.p.p., che regola il caso in cui «il giudice dell'impugnazione è chiamato a decidere sull'impugnazione ai soli effetti civili dopo aver dichiarato l'estinzione del reato», lasciando impregiudicato il "diritto vivente" espresso dalla sentenza Tettamanti con riguardo al potere del giudice di appello di applicare l'art. 530, commi 1 e 2, c.p.p. anche in assenza di rinuncia alla causa estintiva.
Il principio desumibile dalla sentenza Tettamanti, come si è detto compatibile con l'interpretazione dell'art. 578 c.p.p. espressa dalla Consulta, riconosce, in definitiva, una forma di tutela che, addirittura perché consente di pervenire all'assoluzione, non pone in discussione la presunzione di innocenza, in linea con la giurisprudenza di Strasburgo, secondo la quale gli Stati contraenti, quindi anche la giurisprudenza, possono assicurare un livello di garanzie superiore rispetto allo standard minimo convenzionalmente assicurato.
7. Affrontando il tema dalla prospettiva eurounitaria, occorre sottolineare che nel testo del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva U.E. 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali) non è prevista alcuna disposizione direttamente funzionale alla tutela dell'interesse della parte civile, in linea con l'impostazione di principio della direttiva, interamente proiettata al rafforzamento dei diritti procedurali dell'indagato e dell'imputato.
Il considerando n. 16 della direttiva fa riferimento al dovere delle autorità pubbliche, ivi inclusa l'autorità giudiziaria, di non presentare l'imputato come colpevole «fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata».
La direttiva richiama la presunzione di innocenza con riferimento a decisioni giudiziarie diverse da quella sull'accusa penale, ponendo l'accento sull'aspetto ultraprocessuale del principio e, in particolare, sulle modalità espressive alle quali l'autorità giudiziaria deve attenersi in questi casi, al fine di non manifestare il convincimento che la persona sia colpevole.
In merito alla regola probatoria, il considerando n. 22 afferma che «la presunzione di innocenza risulterebbe violata qualora l'onere della prova fosse trasferito dalla pubblica accusa alla difesa». L'art. 6, § 2, della direttiva, in applicazione di tale principio, prevede che «gli Stati membri assicurano che ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell'indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta».
La Corte [di] giustizia, 28 novembre 2019, DK, ha specificato, sia pure ad altri fini, che il «riferimento alla prova della "colpevolezza" di cui all'articolo 6 deve essere inteso nel senso che tale disposizione è volta a disciplinare la ripartizione dell'onere della prova solo in sede di adozione di decisioni giudiziarie sulla colpevolezza» (§ 33), mostrando così di privilegiare la prospettiva di una stretta correlazione tra presunzione di innocenza, regola probatoria e processo penale.
In termini generali, la direttiva stabilisce che la presunzione di innocenza opera fino a quando non sia stata legalmente provata la colpevolezza (artt. 2 e 3) e che comunque nessuna disposizione della direttiva potrà essere interpretata in modo da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali assicurati dalla CEDU o da altre previsioni di diritto internazionale o di qualsiasi Stato membro (art. 11).
L'art. 53 della Carta di Nizza, rubricato «Livello di protezione», pone in collegamento i principi informatori del diritto dell'Unione europea, oltre che con i princìpi costituzionali degli Stati membri, con quanto si andrà a dire in materia di protezione della presunzione di innocenza secondo la Corte EDU.
8. Nella giurisprudenza della Corte EDU l'art. 6, § 2, tutela il diritto di ogni persona a essere «presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata». Tale diritto viene declinato in due modi: endoprocessuale e ultraprocessuale. Considerata come una garanzia procedurale nell'ambito del processo penale, la presunzione di innocenza impone al giudice di merito o a qualsiasi altra autorità pubblica, tra le altre condizioni, il divieto di formulare dichiarazioni premature circa la colpevolezza di un imputato (Corte EDU, 10 febbraio 1995, Allenet de Ribemont c. Francia, §§ 35-36; Corte EDU, 27 febbraio 2007, Negéak c. Slovacchia, § 88).
Tenuto conto, tuttavia, della necessità di garantire che il diritto protetto dall'art. 6, § 2, sia concreto ed effettivo, la presunzione di innocenza riveste anche un altro aspetto (ultraprocessuale). Il suo scopo generale, in questa prospettiva, è di impedire che persone che hanno beneficiato di un proscioglimento siano trattate da agenti o autorità pubbliche come se fossero in realtà colpevoli del reato loro imputato (Corte EDU, 12 luglio 2013, Allen c. Regno Unito, § 94). Ogni volta che la questione dell'applicabilità dell'art. 6, § 2, si pone nell'ambito di un procedimento ulteriore, il ricorrente deve dimostrare l'esistenza di un nesso tra il procedimento penale concluso e l'azione successiva. Tale legame può essere presente, ad esempio, quando l'azione successiva richiede l'esame dell'esito del procedimento penale e, in particolare, quando obbliga il giudice interessato ad analizzare la sentenza penale, effettuare uno studio o una valutazione degli elementi di prova contenuti nel fascicolo penale, valutare la partecipazione del ricorrente a uno o a tutti gli eventi che hanno portato all'accusa, o a formulare osservazioni sulle indicazioni che continuano a suggerire un'eventuale colpevolezza dell'interessato (Corte EDU, Allen, cit., § 104).
È consolidata nella giurisprudenza della Corte EDU l'interpretazione dell'art. 6, § 2, nel senso della sua applicabilità al giudizio di risarcimento del danno da reato negli ordinamenti nazionali nei quali vi è concomitanza di giudizio su responsabilità penale e diritto al risarcimento del danno (Corte EDU, 25 luglio 1993, Sekanina c. Austria, § 22; Corte EDU, 21 marzo 2000, Rushiti c. Austria, § 27; Corte EDU, 20 dicembre 2001, Weixelbraun c. Austria, § 24).
Nelle cause riguardanti il diritto della vittima al risarcimento da parte dell'imputato prosciolto, la Corte EDU ha ritenuto che la decisione sul risarcimento civile potrebbe implicare l'affermazione di colpevolezza, così creando un collegamento tra i due procedimenti idoneo a rendere applicabile l'art. 6, § 2, alla sentenza sulla domanda di risarcimento (Corte EDU, 11 febbraio 2003, Y c. Norvegia, § 4).
Nel caso Corte EDU, 20 ottobre 2020 Pasquini c. Repubblica San Marino, il sintagma «procedimento successivo» è stato riferito anche al giudizio di risarcimento del danno interno al processo penale, spettante, in alcuni ordinamenti nazionali, al medesimo giudice penale competente a dichiarare la prescrizione del reato, sempre a condizione che vi sia un collegamento tra i fatti dai quali ha tratto origine l'accusa e la decisione circa il risarcimento del danno.
Su tale assunto, la Corte di Strasburgo ha ritenuto applicabile l'art. 6, § 2, anche nel caso in cui il medesimo giudice che ha dichiarato l'improcedibilità dell'azione penale per prescrizione proceda alla decisione circa il risarcimento del danno agli effetti civili.
Tale giurisprudenza è a fondamento dell'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata operata dalla sentenza della Corte cost. n. 182 cit., secondo la quale il giudice chiamato a valutare la responsabilità civile da reato, una volta dichiarato prescritto il reato, deve accertare il fatto illecito senza esaminare, sia pure incidenter tantum, la responsabilità penale.
Con la sentenza Corte EDU, 9 marzo 2023, Rigolio c. Italia, il giudice di Strasburgo (§ 95) ha ricordato ancora che, in materia di rispetto della presunzione di innocenza, il linguaggio utilizzato dall'autorità decidente riveste un'importanza cruciale quando si tratta di valutare la compatibilità con l'art. 6, § 2, della decisione e del ragionamento seguito.
Nella giurisprudenza della Corte EDU non si rinvengono, in definitiva, affermazioni di principio dalle quali si possa desumere l'obbligo di applicazione della causa estintiva del reato con prevalenza rispetto alla pronuncia assolutoria all'interno del medesimo processo penale. All'azione civile di danno si è fatto riferimento solo per evidenziare l'obbligo delle autorità di non violare l'onore dell'autore del danno, ove prosciolto dall'accusa penale.
La protezione giuridica offerta al diritto di difesa dell'imputato da Sez. un. Tettamanti si pone, d'altro canto, in diversa prospettiva rispetto alle garanzie che la Convenzione riconosce in funzione di tutela della presunzione d'innocenza e costituisce esplicazione del potere riconosciuto dalla Corte EDU agli Stati parte di accordare, attraverso il diritto interno, ai diritti e alle libertà che essa garantisce una protezione giuridica maggiore di quella che essa stessa attua (Corte EDU, 18 novembre 2021, Marinoni c. Italia; Corte EDU, 25 marzo 2021, Di Martino e Molinari c. Italia, § 39).
9. Concludendo, il principio consacrato in Sez. un. Tettamanti, che assicura la più ampia tutela del diritto di difesa, non può ritenersi in contrasto con la tutela della presunzione di innocenza.
L'intervento della Consulta pone come punto fermo che alla pronuncia di estinzione del reato ai sensi dell'art. 578 c.p.p. non possa accompagnarsi, secondo una lettura convenzionalmente orientata della disposizione, l'affermazione, sia pur incidentale, della responsabilità penale dell'autore del danno.
La tesi che fa derivare da tale esegesi il ripudio del principio espresso da Sez. un. Tettamanti finisce per imporre al giudice di appello la mera presa d'atto della causa estintiva. Tale ragionamento incorre, tuttavia, nel paradosso di negare, in virtù del principio di presunta innocenza, la possibilità per il giudice di valutare i presupposti dell'assoluzione nel merito, che rappresenta l'obiettivo primario del diritto di difesa.
Il Collegio ritiene che, invece, per le ragioni di non incompatibilità tra la pronuncia della Consulta e quella delle Sezioni unite in precedenza espresse, il vincolo negativo derivante per l'interprete dalla pronuncia costituzionale non incida sul principio affermato dalla sentenza Tettamanti.
Tanto più che l'imputato potrebbe aver scelto di non rinunciare alla causa estintiva confidando nel «diritto vivente» originatosi da tale sentenza e dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che vi ha fatto seguito.
10. In base alle considerazioni che precedono deve essere enunciato, a norma dell'art. 173, comma 3, disp. att. c.p.p., il seguente principio di diritto:
"Nel giudizio di appello avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, non può limitarsi a prendere atto della causa estintiva, adottando le conseguenti statuizioni civili fondate sui criteri enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, ma è comunque tenuto, stante la presenza della parte civile, a valutare, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, la sussistenza dei presupposti per l'assoluzione nel merito".
11. Tanto premesso, si esaminano i motivi di ricorso.
Il Collegio ritiene che il terzo motivo di ricorso, logicamente pregiudiziale, sia infondato. Si osserva, in primo luogo, che sussiste l'interesse della parte civile a ricorrere avverso la sentenza di proscioglimento nel merito.
La recente pronunzia Sez. un., n. 28911 del 28 marzo 2019, Papaleo, Rv. 275953-01, in un caso in cui il Supremo Collegio era chiamato a risolvere la diversa questione dell'ammissibilità dell'impugnazione della parte civile avverso la sentenza che abbia dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, ha ribadito i principi espressi da Sez. un., n. 40049 del 29 maggio 2008, Guerra, Rv. 240815. Ha affermato che la parte civile è legittimata all'impugnazione di tutte le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, senza alcuna distinzione, ritenendo che la possibilità, per la parte civile, di ottenere il risarcimento del danno al di fuori del processo penale non possa annullare l'interesse a ottenerlo in sede penale. È stata inoltre ritenuta condivisibile la considerazione secondo cui, in caso di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, le limitazioni all'efficacia di giudicato, previste dall'art. 652 c.p.p., non incidono sull'estensione del diritto all'impugnazione, riconosciuto in termini generali alla parte civile nel processo penale dall'art. 576 c.p.p., giacché, tra l'altro, ove si ritenesse il contrario, la parte civile che intendesse impugnare la sentenza assolutoria sarebbe costretta a rinunciare agli esiti dell'accertamento compiuto nel processo penale e a riavviare ab initio l'accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali (Sez. 2, n. 41784 del 18 luglio 2018, Edilscavi, Rv. 275416-01; Sez. 2, n. 36930 del 4 luglio 2018, Addonisio, Rv. 273519-01).
Tale ragionamento vale a fortiori per l'ammissibilità del ricorso proposto dalla parte civile che ritenga indebitamente esaminato nel merito il punto della responsabilità penale dell'imputato in presenza della causa estintiva del reato. Proprio in ragione del fatto che il giudice di appello può decidere di accogliere la domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno quando dichiara estinto per prescrizione il reato a norma dell'art. 578 c.p.p., deve ritenersi che la parte civile sia interessata a proporre impugnazione contro la sentenza di assoluzione nel merito pronunziata nel giudizio di appello.
La declaratoria di estinzione del reato per prescrizione deve ritenersi più favorevole per la parte civile ricorrente in quanto idonea a scindere l'accertamento della responsabilità penale da quello della responsabilità civile dell'accusato e a consentire al giudice civile designato ai sensi dell'art. 622 c.p.p. di pervenire all'accoglimento della domanda risarcitoria e restitutoria, laddove la pronuncia di proscioglimento nel merito anche agli effetti penali preclude ogni diverso esito dell'azione civile esercitata nel processo penale (cfr. Sez. un. Papaleo, cit.).
Sulla base delle considerazioni sinora svolte, l'assunto circa l'impossibilità per la Corte di appello di prosciogliere l'imputato per insussistenza del fatto, anche ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., a fronte della maturata prescrizione, è evidentemente infondato alla luce del principio di diritto affermato.
12. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, in parte, aspecifico e, in parte, tendente a sollecitare la Corte di legittimità a sviluppare una diversa valutazione del compendio probatorio.
In particolare, la Corte territoriale è pervenuta alla pronuncia assolutoria ritenendo inidonei gli elementi istruttori acquisiti a dimostrare l'evitabilità dell'evento da parte del M.
Si tratta di una pronuncia assolutoria che ha riformato la sentenza di condanna facendo, peraltro, applicazione della regola di giudizio secondo la quale, ai fini dell'accertamento della colpa, la regola cautelare la cui violazione integra il comportamento colposo (antidoveroso) non può essere individuata a posteriori. Soprattutto in presenza di una regola cautelare "elastica", quale la velocità di navigazione, in assenza di un limite di velocità imposto, particolarmente ardua è l'operazione del giudice nell'individuazione del comportamento doveroso. Tale comportamento si calibra, infatti, sulla base di circostanze contingenti e il giudizio sulla colpa non può essere disgiunto dalla conoscenza o conoscibilità ex ante di esse. La Corte territoriale, lungi dall'identificare la condotta doverosa in quella che avrebbe evitato l'evento con giudizio a posteriori, ha correttamente evidenziato che nessuno degli esperti ha indicato quale sarebbe stata nel caso concreto la velocità idonea a evitare l'evento ovvero quella che, alla luce di tutte le circostanze del caso, risultava - non ex post ma ex ante - ragionevolmente in grado di evitare l'abbordo. A monte, ha ritenuto indimostrata la stessa evitabilità dell'evento in considerazione dell'incertezza degli indizi afferenti l'avvistabilità del natante condotto dal C.
Laddove s'incentra sul tema della regola cautelare violata ovvero sul tema del divieto di navigazione nella Baia di Santa Panagia o ancora sulla definizione di «visibilità ridotta», la censura non si confronta con il nucleo della pronuncia assolutoria, individuato nell'esito negativo del giudizio inerente all'evitabilità dell'evento da parte dell'imputato, desunto dall'incertezza degli elementi ai quali il giudice di primo grado aveva attribuito valore di prova della concreta avvistabilità del natante condotto dal C.
Con riguardo a tale ultimo argomento, nessun rilievo viene mosso al giudizio espresso dalla Corte territoriale circa l'inidoneità degli elementi acquisiti nel corso del dibattimento a fondare un giudizio rispettoso della regola dettata dall'art. 192, comma 2, c.p.p.
I ricorrenti hanno ribadito: a) che la luce di avvistamento non doveva essere necessariamente fissa; b) che coloro che avevano negato la presenza di imbarcazioni in quello specchio d'acqua prima del sinistro erano inattendibili; c) che era provata l'esistenza in quel momento di altre imbarcazioni di pescatori; d) che era provato che il giorno del sinistro il C. avesse con sé la luce di avvistamento già montata prima di prendere il mare.
Si tratta di osservazioni che tendono inammissibilmente a fornire, anche per tale profilo, una lettura delle emergenze istruttorie alternativa a quella fornita dal giudice di merito. A fronte della testimonianza di P., che aveva riferito di aver visto il C. prendere il mare con la luce di avvistamento già montata, la Corte non solo ha valorizzato il mancato ritrovamento della lanterna, ma ha sottolineato, con ragionamento immune da vizi logici e giuridici, l'assenza di prova che il C., uscito in mare nelle ore di luce, avesse ritenuto di attivarla e che si trattasse di luce idonea all'avvistamento del natante a una distanza tale da consentire un'efficace manovra da parte del M., osservando come tale vuoto probatorio non aveva consentito agli esperti di indicare quale velocità di navigazione sarebbe stata, nel caso concreto, idonea a evitare l'evento.
Anche per quanto riguarda il giudizio di prevedibilità dell'evento, la censura tende a proporre una lettura alternativa del compendio istruttorio, non consentita in fase di legittimità, allegando a sostegno la circostanza che il M. fosse capogruppo della «Cooperativa barcaioli», con sede all'interno del Porto Rifugio, dalla quale i giudici di merito avrebbero dovuto desumere la consapevolezza dell'altissima probabilità di poter incrociare imbarcazioni di pescatori e diportisti, senza alcun reale confronto con l'argomento sviluppato nella sentenza circa la stagione e l'orario in cui il fatto si è verificato.
13. Il primo motivo di ricorso, alla luce delle superiori considerazioni, e inammissibile per manifesta infondatezza.
Premesso che, nel caso in esame, i giudici di appello hanno escluso a monte l'evitabilità dell'evento, occorre considerare che le ragioni che hanno condotto all'assoluzione rendono irrilevante ogni doglianza inerente alla regola cautelare violata. Non sarebbe stato, infatti, possibile calibrare la condotta del M. in relazione alla violazione delle regole 6 e 15 COLREG in una situazione in cui è rimasta incerta l'avvistabilità del natante condotto dal capitano.
14. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Depositata il 27 settembre 2024.